mercoledì 22 novembre 2023

...è finita la pace: esistiamo!

Un paio di giorni fa qualcuno mi ha segnalato questa agenzia:


il che significa, evidentemente, che qualcun altro si era letto questo post.

Non ho mai dubitato della capacità del Dibattito di influire sui dibattiti: era evidente in tanti aspetti, sia di forma (la preminenza improvvisamente data alla "forma blog" dai nostri concorrenti perdenti) sia di contenuto (e qui gli esempi si sprecherebbero: praticamente ogni QED del nostro blog è originato dall'ammissione da parte della "stampa" di qualcosa che qui era stato affermato con anni di anticipo). Resta il fatto che, per quanto io sappia, questa è la prima volta che il blog viene esplicitamente citato come fonte da una fonte di stampa.

Sinceramente, non so se rallegrarmene o preoccuparmene.

Essi (come direbbe Luciano) sanno molto bene come vincere la guerra dell'informazione: il silenzio è la migliore forma di comunicazione, e il fatto che abbiano deciso di privarsene è un dato che va interpretato. Chi arriva qui trova una visione del mondo alternativa a che e soprattutto per il suo essere accanitamente fact-based. Non è esattamente quello che chi governa i flussi dell'informazione vuole trasmettere ai destinatari finali. Sarà stato un glitch della matrix? Vedremo. Una rondine non fa primavera, dice Lascienza (Aristotele, in questo caso).

Certo è che ci divertivamo di più, eravamo più liberi, quando non esistevamo. Ora che esistiamo, se esistiamo, dobbiamo stare attenti a come ci muoviamo. Resta il fatto che essere sorvegliati non solo ci snaturerebbe: ci annoierebbe!

La vita è troppo breve per correre questo rischio.

lunedì 20 novembre 2023

Spingitori di austerità: M.Buti, su Rieducational channel

Ieri abbiamo parlato di un fatto triste e di una persona animata da un genuino amore per il progresso della conoscenza.

Oggi prendiamola a ridere, che è meglio.

Rieducational channel, cioè il Corriere della Sera, sulla cui attendibilità ci siamo più volte intrattenuti (qui e qui, ad esempio) oggi ci fa sapere che:


Vediamo intanto il lato positivo. Gli "spingitori di austerità", fra cui M.Buti, gettano la maschera. Tutto l'aulico e raffinato dibattito sulle nuove regole si riduce a un punto pratico molto semplice: tagli da dieci miliardi all'anno per i prossimi sette anni. Quest'anno vorrebbe dire, ad esempio, non rinnovare i contratti del comparto sanitario e non accorpare le aliquote IRPEF. Noi la sapevamo da un po', questa verità, perché qualche simulazione delle nuove regole l'avevamo vista, ma è importante che a dirla siano loro, perché se l'avessimo detta noi loro avrebbero avuto l'opportunità di smentirla.

Ora non possono.

Vediamo allora il lato negativo.

Noi non solo sappiamo ora, ma avevamo previsto dodici anni fa, che i tagli non avrebbero risolto il problema del debito pubblico. Erano i famosi "salvataggi che non ci salveranno" (a proposito, i grafici dei post antecedenti al 2013 sono di nuovo visibili e suggerisco di guardarli).

Da allora questa verità è stata confermata dai dati:


(il periodo evidenziato dal rettangolo rosso è quello dell'austerità di Monti e Letta, che ha portato il rapporto debito/Pil dal 120% di fine 2011 al 135% di fine 2014: voi questo lo sapete, ma girano per gli studi televisivi saggisti scarsi di pubblicazioni scientifiche peer-reviewed che affermano il contrario).

Non solo! Con comodi dodici anni di ritardo oggi anche il Fmi ci fa sapere che "on average, fiscal consolidations do not reduce debt-to-GDP ratios" (in media, politiche fiscali restrittive - cioè tagli alla spesa o innalzamento di imposte - non riducono il rapporto debito/Pil), e ci fanno anche il disegnino:


(che trovate qui e di cui è strano che nessuno vi abbia parlato).

Non voglio annoiarvi coi dettagli tecnici, ma insomma la linea verticale nera è l'intervallo di confidenza dell'impatto dei tagli: se attraversa lo zero, vuol dire, in buona sostanza, che nel 90% non è possibile escludere che l'impatto delle politiche di austerità sul debito pubblico sia zero. Noterete anche che nelle economie avanzate l'impatto dei tagli sul rapporto debito/Pil è positivo, non negativo, cioè dopo i tagli il debito in rapporto al Pil aumenta, non diminuisce, e che in questi casi l'intervallo di confidenza al 90% è sopra lo zero (quindi nel 90% dei casi non è possibile escludere che i tagli facciano aumentare il debito pubblico).

Questo significa, in buona sostanza, che quanto abbiamo visto in Italia non è un caso particolare, un accidente del destino cinico e baro, ma una regolarità statistica che, dopo dodici anni di Dibattito, è attestata perfino dal Fondo Monetario Internazionale.

Dovremmo stupirci?

Direi di no. Noi qui un spiegazione ce l'eravamo data undici anni fa parlando dell'aritmetica del debito pubblico in Ruritania: visto che la spesa pubblica entra nella definizione di Pil (Y = C + G+ I + X - M), se tagli di uno la spesa pubblica (G) tagli di uno il Pil (Y), astraendo per semplicità da qualsiasi effetto indiretto. Morale della favola: se il rapporto debito/Pil è maggiore di uno, ad esempio è di 6/5 = 120%, togliendo uno sopra e sotto si passa a 5/4 = 125%, che è quello che è successo non solo in Ruritania, ma anche in Italia.

Se leggete il World Economic Outlook troverete una spiegazione molto più raffinata e scientifica: ovviamente devono farla complicata per non farvi capire che non hanno voluto capire una cosa semplice:


ma i matematicamente alfabetizzati vedranno subito che il succo del ragionamento è quello che ho esposto a beneficio dei non matematicamente alfabetizzati.

Obiezione: "Ma allora mi stai dicendo che devo spingere sul deficit per far diminuire il debito?"

Premesso che il discorso è più complicato di così, guardate quanto è diminuito il rapporto nel 2021 e nel 2022, quando le regole sono state sospese e i governi hanno potuto non tagliare! Ovviamente la verità sta nel mezzo, ma palesemente non è quella che ci raccontano gli spingitori di austerità, artefici di una stagione che ha messo in ginocchio il Paese e che gli italiani, alle ultime elezioni, hanno archiviato.

Tanto vi dovevo.


(...il lato negativo ha un risvolto che vale merita una sottolineatura: la qualità delle élite italiane lascia molto a desiderare. Non è ammissibile che un economista non legga il World Economic Outlook, o che, leggendolo, deliberatamente non ne tenga conto. Come vi ho detto più e più volte, il ricambio delle élite tecniche richiede molto ma molto più tempo del ricambio delle cariche elettive. Dovete avere persistenza, altrimenti ci troveremo sempre a vivere un eterno giorno della marmotta...)

(...oggi chiudiamo le prenotazioni per il #Goofy12. Se siete interessati a partecipare, il momento di iscriversi è adesso...)

domenica 19 novembre 2023

In memoriam

Tre giorni fa vi ho spiegato quale importanza avesse avuto nel mio percorso di consapevolezza il lavoro di Anthony Thirlwall, un lavoro che ho cercato di illustrarvi e di condividere con voi a più riprese. Sono frutto della sua influenza intellettuale, e poi dello scambio con lui, alcune delle mie pubblicazioni più prestigiose, come questa, o più citate, come questa, ma anche, come vi ricordavo nell'ultimo post, delle più significative per il percorso che abbiamo fatto insieme, come questa, questa, o questa, senza dimenticare questa e questa (l'ultima legata, in particolare, al caro ricordo di una serata passata a cena insieme a Budapest). La sua "legge":


di cui vi avevo parlato per la prima volta qui, e poi, nei dettagli, tre anni dopo qui, resta, dal mio sommesso punto di vista, un capolavoro di economia di pensiero. Non conosco in economia, e neanche nelle scienze di cui sono dilettante, una formula che con così tanta concisione (o, se volete, con così poche pretese) aiuti così tanto a interpretare un fenomeno complesso (che nel caso in specie è quello della crescita economica). E in effetti, per quanto ci riguarda, questa semplice formula, come abbiamo visto nel corso dei lunghi anni passati insieme, ci aiuta a capire com'è andata in Italia molto meglio delle tante spiegazioni da bar dello sport con cui ci intrattengono millantatori di titoli, o possessori di prestigiosissime cattedre: due estremi che si toccano nel gonfiarcele con "il treno della rivoluzione digitale", o "la scarsa produttività delle PMI", e consimile ciarpame autorazzista.

Le spiegazioni di questi fenomeni da baracchino o baraccone non sono coerenti col profilo temporale dei dati, come vi spiegai a suo tempo. La spiegazione fornita dalla legge di Thirlwall, invece, lo è.

Oggi, affacciandomi alla cloaca social, ho appreso con grande dolore da un tweet lievemente promozionale di Mathias Vernengo che Tony ci ha lasciato a 82 anni l'8 novembre scorso. La sua ultima lettera, alla quale non ho risposto, perché non sono riuscito a trovare le parole per farlo, era di circa un anno fa, del 24 novembre 2022. Al termine di uno scambio sulle situazioni politiche dei nostri rispettivi Paesi, dopo avermi fatto i complimenti per la mia rielezione, naturalmente dicendomi anche lui che avrebbe votato per me ma non per la Lega (una posizione che evidentemente è rappresentata anche a livello internazionale!), Tony mi confidava di avere una malattia incurabile, e che per quanto cercasse di prenderla stoicamente, la sua vita non era affatto facile.

Questa notizia mi lasciò amareggiato e senza parole: non sapevo come essergli di conforto.

Poi il flusso delle mille incombenze quotidiane mi distrasse da questa cosa che avrei preferito non sapere. Retrospettivamente non sono molto contento di essermi lasciato distrarre, ma è andata così e accetto il rischio che possa andare così altre volte in futuro. 

Ero molto fiero che gli fosse piaciuto il paper in cui estendevo il suo modello a un contesto a più Paesi, per analizzare il contributo alla crescita di un Paese dei suoi rapporti commerciali con diverse aree geografiche. Ma tutto questo appartiene a un tempo e a un mondo diverso, quello in cui avevo tempo di studiare e approfondire. Da questo mondo mi ha strappato l'aver denunciato, molti anni dopo di lui, quella che lui, molti anni prima, nel 1998, quando avevo da poco preso confidenza col suo lavoro, aveva chiamato "la follia dell'euro". Della sua appassionata e lucida denuncia vi avevo parlato qui, dodici anni or sono. Forse dovreste rileggerla: sarebbe un modo utile di ricordare una persona che ha lasciato una traccia nel pensiero economico, riflettendo sull'attualità di quello che aveva cercato di dirci 25 anni fa. 

giovedì 16 novembre 2023

Storia di una community

(...comunicazzione di servizzio: mi scuso perché a causa di un problema tecnico che si ripropone a intervalli di tempo le immagini dei post più antichi citati in questa ricostruzione storica non sono accessibili. Rimedierò cercando di rendere più "resiliente" il blog rispetto alle innovazioni nell'architettura del web della D'Annunzio o alle decisioni del CINECA o a quel che l'è. Basterà portare tutto in questo backend: prometto di farlo durante le vacanze di Natale, se il problema non si risolve prima...)


Alle 12:50 di oggi il Dibattito, aka "la community", ha compiuto 12 anni.

Dodici anni dopo, assistendo agli scleri di certe stanze Twitter (dove non manca mai il volenteroso di turno che mi spiega i danni causati dall'Unione Europea!), o conversando con certi colleghi o con certi operatori informativi (quelli che "oggi l'elettorato è liquido e il consenso evanescente"), mi rendo conto di quanto sia necessario e improcrastinabile nel giorno del suo dodicesimo compleanno riassumere, prima di dimenticarla, la storia di un'esperienza di divulgazione e di militanza che ha fatto capire a decine, forse centinaia di migliaia di italiani quanto la nostra democrazia fosse a rischio, quali pericoli per essa fossero insiti nell'adesione all'UE (quei pericoli che oggi si materializzano nel "non possiamo farlo perché altrimenti perdiamo arataderpiennerere"), e che per questo ha goduto e gode di un consenso tutt'altro che evanescente (cinque centinaia, o se volete mezzo migliaio, di persone festeggiarono il secondo compleanno del Dibattito nel 2013, e altrettante festeggeranno questo compleanno il 25 novembre 2023).

Non è carino e non è giusto sfottere quelli che vengono qui pensando di entrare in casa "der senatore da a Lega" se non gli si forniscono gli strumenti per capire dove si trovino, quale sia la nostra storia, quale percorso abbiamo fatto, chi troverà qui, chi sia il padrone di casa e chi abiti questo luogo. Del resto, la pandemia e la sua gestione in qualche modo ci aiutano, perché sono una metafora che molti troveranno di agevole lettura per interpretare correttamente il percorso che qui è stato fatto, le difficoltà che qui sono state fronteggiate, le dinamiche dei tanti dibattiti che sono pallide repliche e gemmazioni del nostro Dibattito. Ma soprattutto raccontare la storia del Dibattito è utile perché chi si avvicina con un diverso spirito, animato da una genuina curiosità e non da un ottuso pregiudizio, abbia gli strumenti critici per comprendere fino in fondo la natura del lavoro che qui è stato fatto: un lavoro che ha trasformato il suo artefice (io) e i suoi destinatari (voi), facendo crescere in consapevolezza chi ha voluto crescere, e cambiando il panorama politico del nostro martoriato Paese.

Documentarlo sarà faticoso ma non difficile: il web nasconde, ma non ruba.

Il percorso di libertà che vi racconterò si è svolto in modo completamente trasparente e documentato, sotto gli occhi di tutti, o almeno di chi c'era (ma anche chi non c'era è stato condizionato da quel percorso, e non mi riferisco solo ai baggiani che vengono oggi a spiegare a me che nell'UE non c'è democrazia!), le tracce lasciate sono tante, anche se, come vedremo, qualcuno ogni tanto ha provato a nasconderle. Certo, il dato documentale, che è sempre stato l'alfa e l'omega del nostro lavoro, e quindi, nel caso della storia della community, i post scritti, le loro visualizzazioni, i vostri commenti, i vostri sfoghi, gli eventi organizzati, gli interventi dei loro partecipanti, più o meno illustri (ci sarà un motivo se il MES è una priorità per l'opposizione ma non per questo governo, no?), quel dato è ancora lì, sotto gli occhi di tutti, e nonostante un certo sforzo di Google per "tenerlo sotto" imbattervisi non è difficile. Ma una fruizione episodica di certi contenuti, senza ricostruirne le motivazioni, la collocazione temporale, e il contesto, rende molto difficile, a chi quei momenti non li ha vissuti, capire il senso di un'esperienza, quella di cui voi siete stati protagonisti, così eccezionale da avere attirato perfino l'attenzione Lascienza, impersonata qui da un sociologo:


(dove il Dibattito veniva per la prima volta identificato e certificato come community da un esperto di community, che si interrogava appunto sui meccanismi narrativi adottati per costruirla) e qui, da qualcosa di simile a un epistemologo, o forse a un sociologo della scienza:


che si interrogava e cercava di spiegarsi, a modo suo, quali fossero le cause del successo del Dibattito, in un articolo scritto nel 2018 e pubblicato nel 2019. Un articolo particolarmente interessante, e che dovrebbe chiarire tante cose agli imbecilli (se gli imbecilli non fossero by definition impermeabili al ragionamento), proprio in quanto poneva il mio, il nostro lavoro come alternativa dialettica al burionismo (perché tale era il nostro lavoro: l'esercizio del pensiero critico, contro la violenza del principio di autorità). Lui, ovviamente, stava (legittimamente) con Burioni, e molti di voi, i "sopravvenienti", i "punturini", all'epoca non stavano da nessuna parte, perché non avevano ancora capito: le dinamiche che qui stavamo descrivendo da anni non avevano ancora bussato alla loro porta.

Ricostruire il fervore di quel periodo, la tensione e la passione civile che hanno animato un'esperienza così trainante da attirare l'attenzione opportunistica e i tentativi di infiltrazione di molti, ma anche da far crescere una classe dirigente alternativa nel Paese, non è difficile: è impossibile. Solo chi l'ha vissuta se la può ricordare, e se qualcosa può renderne il senso, più dei miei interventi, sono i vostri, che sono anch'essi tutti lì: quando avete condiviso con me, cioè con la community, i successi e gli insuccessi dei vostri tentativi di divulgazione, la vostra solitudine, il vostro dolore, ma anche la vostra crescente consapevolezza che la narrazione colpevolizzante e autorazzista che vi veniva inflitta per fiaccarvi fosse intrinsecamente falsa, e la vostra sconsolata ricognizione del fatto di essere stati traditi dalla sinistra, il vostro sconcerto nello sperimentare processi sociali che pensavate fossero ormai circoscritti alla memoria storica, la vostra disperazione.

Incamminiamoci.

Il mondo prima del Dibattito

La premessa necessaria è che io non mi ero mai occupato di politica fino a quando, grazie agli strumenti della mia professione, non intuii che la politica si sarebbe occupata di me.

Vorrei chiarire il senso di questa frase: non significa che mi aspettassi di essere coinvolto dalla politica, ma che ero certo di diventarne vittima! Fino al dicembre 2017, infatti, cioè fino alla cena in cui Claudio e Massimiliano mi dissero che Matteo voleva candidarmi, mai avrei mai pensato, e soprattutto mai avrei desiderato, che la politica mi coinvolgesse (e anche in quell'occasione feci parecchia resistenza). Molto prima di quella data fatidica avevo però intuito che la politica avrebbe potuto infliggere un deterioramento sostanziale alla vita mia e dei miei cari propugnando scelte irrazionali sotto il profilo economico. Forse più che "avrebbe potuto infliggere" dovrei dire: aveva inflitto, visto che la scelta più irrazionale, quella di aderire all'unione monetaria, era stata già compiuta.

Affinché questa dichiarazione postuma non sembri millanteria, più che i tanti post in cui poi ho sviluppato le mie intuizioni, di cui rivendico l'assoluta non originalità, può essere utile chiarire il mio percorso scientifico.

La mia attività di ricerca era iniziata con una tesi di dottorato sulla sostenibilità del debito pubblico (cioè, come oggi sappiamo, sul falso problema), di cui pubblicai un paio di pezzi (qui e qui: il secondo articolo venne adottato nel corso di Scienza delle finanze 2 da uno di passaggio). Fra i vari corsi seguiti durante il dottorato, quello che più indirizzò la mia successiva produzione fu quello tenuto da Stefano Manzocchi, che sarebbe poi stato mio coautore. Da Stefano imparai due cose:

  1. il modello di crescita post-Keynesiano di Kaldor-Thirlwall, che, anni dopo, mi avrebbe permesso di dare prima in questo blog e poi su riviste scientifiche una spiegazione del declino dell'economia italiana più ancorata ai fatti delle consuete stronzate su "avemio perzo er treno de 'a rivoluzzione diggitale" o "c'avemio 'e imprese troppo piccole" (versione paludata e accademica, ma ugualmente consistente, del "se sò magnati tutto"), e più tardi di riassumere in un modello formale le alternative di politica (economica) che l'unione monetaria tuttora fronteggia senza riuscire (per ovvi motivi politici) a prendere la strada giusta: quella di politiche espansive nei Paesi del Nord;
  2. correlativamente, l'importanza del saldo delle partite correnti, cioè dell'indebitamento estero (il vero problema) come indicatore dello stato di salute di un sistema economico, della sua permeabilità ai/dipendenza dai capitali esteri, problema di cui mi ero occupato scientificamente molto prima di occuparmene qui a livello divulgativo.

Per chi come me e Stefano aveva studiato già negli anni '90 i "current account reversals", cioè i cambiamenti di segno del saldo delle partite correnti (da indebitamento ad accreditamento, e viceversa) nei Paesi in via di sviluppo (cioè in quelli che tipicamente si indebitano con l'estero in una valuta che non controllano: il dollaro), quella che De Grauwe nel 2011 presentava come una geniale ponzata:


cioè il fatto che entrando in un'unione monetaria (e quindi cominciando a indebitarsi in una valuta che non controllavano: l'euro) gli stati membri dell'Eurozona si "terzomondizzassero" finanziariamente, esponendosi così a un accresciuto rischio di "reversal", o "sudden stop" (arresti improvvisi) dei finanziamenti esteri, con le conseguenti crisi finanziarie, era una cosa talmente ovvia da non dover essere nemmeno rimarcata, erano semplicemente "lebbasi". 

Pur essendo munito di questo bagaglio tecnico, la mia consapevolezza non mi avrebbe spinto ad espormi, se non avesse subito un paio di "salti quantici" che vi descriverò.

Prima di essi la mia vita era quella di un docente universitario non divorato dall'ambizione di far carriera, dedito con passione all'insegnamento (quell'insegnamento che la maggior parte dei colleghi vede invece per quello che è diventato: un ostacolo all'attività di ricerca e quindi alle possibilità di carriera), interessato alla ricerca non in quanto esercizio astratto e calligrafico di autolegittimazione scientifica (e quindi, ancora una volta, di carriera), ma in quanto strumento di comprensione di problemi concreti (come le crisi finanziarie) partendo dal responso dei dati (come l'andamento dell'indebitamento estero).

Un animale, in effetti, abbastanza strano (lo vedo col senno di poi), ma sostanzialmente innocuo: pacifico e cordiale con gli studenti, cooperativo o remissivo coi colleghi, cui non mi interessava particolarmente togliere spazio, atteso che, in tutta evidenza, per me, che pure facevo con scrupolo e amore il mio lavoro, le cose importanti erano altre (come dimostra questo video, antecedente di 16 giorni al crack Lehman Brothers). Fra le cose importanti, cui dedicare energie spirituali, non ricadeva certo "la politica", che io vedevo, in compagnia di tanti, come un'attività arcana e distante, dalla quale non mi sarei dovuto aspettare molto, e con la quale, per acquietare la coscienza, bastava regolare i conti ogni tanto, votando per il partito "giusto", che all'epoca, per me, era di sinistra.

Nel mio lavoro ero anche bravino, e ogni tanto mi capitava di fare consulenze per progetti di ricerca o di formazione che mi portavano nei posti più impensati. Ve ne cito due, perché ad essi è legato il ricordo di due episodi (uno lo conoscete bene) che mi hanno segnato, i due "salti quantici" di cui vi dicevo, due episodi che, visti col senno di poi, sono stati decisivi per condurmi qui, a San Macuto, da dove vi scrivo.

Il primo "salto quantico"

Era il giugno 2002 (potrei sbagliare di qualche mese): seduto sugli scogli a scrutare, nell'interminabile tramonto scandinavo, le derive che stringevano di bolina per rientrare in porto dal Tärpänänaukko, origliavo involontariamente e distrattamente una conversazione fra due colleghi, più desiderosi di mettere un allora giovane adepto a parte delle loro riflessioni, di quanto fossi io volenteroso di prestarvi attenzione. Questo progetto di ricerca, che avrebbe originato questo paper, gestito dalla Fondazione Brodolini in associazione con queste altre associazioni e centri di ricerca, mi aveva portato a Turku, storica capitale della Finlandia. Del viaggio ricordo le donne di Stoccolma, dove avevamo fatto tappa, bellissime e annoiatissime, e il fatto di poter usare a Turku lo stesso contante che a Roma. Il changeover era cosa recente, e i due colleghi senior, di cui cito solo quello che nel frattempo è morto, il mio maestro Francesco Carlucci, commentavano quali sarebbero state le sorti di un sistema che condannava i salari al ruolo di unico meccanismo di aggiustamento degli shock macroeconomici.

"Quanto potrà durare una cosa del genere?" si chiedeva l'uno. E l'altro: "Ma, forse cinque o sei anni...". 

Mentre ascoltavo vedevo allungarsi all'infinito la mia ombra sulla scogliera, così come oggi sembra che si stia allungando all'infinito l'esperimento europeo: ventuno anni dopo siamo ancora qui, nelle stesse condizioni, cioè in condizioni peggiori! Non credo di aver capito subito la portata delle riflessioni dei miei due colleghi più anziani, né quanto esse fossero, in fondo, abbastanza scontate (era la catastrofe annunciata che vi avrei illustrato qui). Eppure i miei paper sui "current account reversals" li avevo già scritti! Ma forse quello che era mancato a me e a Stefano, anche se ne avevamo discusso a lungo, era stata la determinazione ad esplorare fino in fondo il significato di quelli che chiamavamo "positive reversals", cioè dei bruschi passaggi da situazioni di indebitamento estero (saldo delle partite correnti negativo) a situazioni di accreditamento estero (saldo delle partite correnti positivo). Quegli episodi non sono quasi mai esito di un processo virtuoso: sono quasi sempre rotture traumatiche, crisi determinate dall'arresto improvviso (sudden stop) dei finanziamenti esteri, cioè la fase terminale di quello che poi avremmo imparato a riconoscere come ciclo di Frenkel e avremo descritto come "romanzo di centro e periferia". Ma questa piena consapevolezza, allora, nel 2002, mi mancava, anche se ricordo che Stefano, nell'osservare l'approfondirsi del deficit estero dell'Italia, mi domandava e si domandava quando e come avremmo corretto questo squilibrio (il come, oggi, lo vediamo bene: con l'austerità). Ai miei colleghi seniori, invece, nelle loro astratte valutazioni economiche, mancava certamente quello che io invece ho avuto, lottando con coraggio, l'opportunità di acquisire: una piena e matura consapevolezza dell'estrema inerzialità dei processi storici. Una roba simile in cinque o sei anni non si smonta, anche se esattamente sei anni dopo, nel 2008, sarebbe arrivato lo shock che il sistema non poteva smorzare e che ci ha ridotti nello stato in cui siamo.

Tutto questo non potevo né compiutamente saperlo né compiutamente capirlo. Ma intanto, nel 2002, si sviluppava in me la consapevolezza che fossimo stati condotti su una traiettoria sbagliata, che i "current account reversals" non erano un curiosum accademico circoscritto a persone dal colore della pelle diverso dal nostro, ma avrebbero potuto essere un serio problema per tutti noi (come poi furono, con l'avvento di Monti).

Da allora, ogni tanto, nelle conversazioni fra amici, mi capitava quindi di mettere in discussione la prospettiva irenica de Leuropa che ci da Lapace perché con Lamonetaunica ha sconfitto i nazzzzionalismi. Peggio, molto peggio, che parlare di effetti collaterali a casa di Burioni! Di fatto, non tanto i miei amici (io non ho amici, ho solo conoscenti), quanto quelli di Roberta, sentendomi esprimere dubbi sul RU (Racconto Unico, aka "narraFFione"), si alteravano, diventavano aggressivi, e toglievano non tanto a me, che me ne sono sempre strabattuto, quanto a lei, il loro prezioso saluto! Capivo, poco a poco, quanto meschini e cattivi fossero i piddini, quel ceto di semicolti cui io credevo di appartenere, i Buoni, quelli aperti di spirito, quelli di cui anni dopo avrei approfondito e descritto l'antropologia qui, definendoli come gli uomini antisocratici, i discepoli di Etarcos, quelli che sanno di sapere. Persone vili, infime, capaci delle più atroci vendette contro chiunque li estirpasse, per un attimo, dalla loro comfort zone piccoloborghese, persone per le quali non esisteva spazio di relazione umana, non esisteva amicizia, non esisteva parentela, verso chi deflettesse dal Verbo, cioè dalle scemenze defecate dai loro quotidiani di riferimento. Per un dubbio sull'euro si inquinavano o si terminavano amicizie decennali (ma si faceva anche di peggio).

Se ad alcuni vengono in mente certe dinamiche della pandemia, ecco: benvenuti fra noi!

Il secondo "salto quantico"

Qui inizia la storia che conoscete anche voi, o almeno quelli di voi che sono qui da un po'. Molti anni dopo, nel maggio 2010, a Ouagadougou, sulla scaletta dell'aereo che ci riportava in Europa, mi sentii fare da un collega un discorso che mi colpì, come colpì voi quando ve lo raccontai. Il discorso lo rimuginai dentro di me per un anno, finché, quattordici mesi dopo, non ce la feci più e ruppi gli argini: la community nacque in quel momento.

Vale quindi la pena di descriverlo in dettaglio.

Nell'agosto 2011 Rossana Rossanda aveva avviato sul manifesto un dibattito dal titolo "La rotta d'Europa" (con elegante anfibologia: rotta come percorso e rotta come sconfitta). Gli interventi venivano pubblicati in simultanea sul cartaceo e su Sbilanciamoci (questa roba qui). Mi era già capitato di contribuire a quel forum (trovate qualcosa qui). I miei articoli erano, per ovvi motivi, i più letti e commentati. L'articolo dello scandalo oggi è nascosto nelle pieghe del sito (per eliminare datazione e commenti). Conservo tuttavia il pdf della sua pubblicazione sul manifesto il 23 agosto 2011 (ricordo ancora le cautele con cui uno dei tanti pretini di sinistra, di cui sinceramente non mi sovviene il nome, mi chiese di limarne il contenuto per non offendere Rossana, che ovviamente criticavo da sinistra...).

Il mio intervento eretico (per la sinistra) prendeva proprio le mosse dal discorso del mio collega Aristide (chiamiamolo ancora così, col suo pseudonimo, perché credo sia ancora vivo), questo discorso qui:

Che cosa c'era di così sconvolgente nel discorso del mio collega?

Non credo di dover spiegare oggi qui, per l'ennesima volta, la fondatezza della mia premessa, ovvero il fatto che l'euro sia contrario agli interessi di chi siamo abituati a considerare come l'elettorato di sinistra. Lo ha fatto in modo magistralmente sintetico Stefano Fassina:

e del resto oggi tutti noi vediamo quali siano i limiti di un sistema che adotta come stella polare la "stabilità" dei prezzi. Dato che i prezzi dipendono dalla legge della domanda e dell'offerta, e che nel breve periodo la domanda è più facilmente manovrabile dell'offerta (con tagli ai redditi, inflitti  direttamente, decurtando stipendi e pensioni, o indirettamente, alzando le imposte o i tassi di interesse), nel mondo della moneta forte ogni volta che occorre con urgenza recuperare competitività, cioè ridurre i prezzi dei beni nazionali per promuovere le esportazioni nelle fasi di calo della domanda mondiale, invece di una fisiologica svalutazione della moneta parte l'attacco ai redditi dei lavoratori.

Di converso, come ora è impossibile nascondere, e come mille volte avevamo chiarito, la moneta forte, di per sé, non difende dall'inflazione. Detto in altri termini, anche sotto l'euro avremmo avuto bisogno (e abbiamo avuto bisogno, e stiamo avendo bisogno) di ricorrere a una recessione indotta, nel caso in cui tensioni sui mercati delle materie prime avessero fatto decollare i prezzi. In altre parole, quello che garantisce oggi la maggiore rapidità del rientro dall'inflazione nel contesto di uno shock energetico potenzialmente più ampio di quelli degli anni '80 non è l'esistenza della moneta unica, ma l'inesistenza del sindacato.

Ma questo, a chi era stato bombardato dal racconto unico, al semicolto piddino mediano, sembrava "complottismo" (concetto col quale molti si sono familiarizzati solo anni dopo...).

I commenti agli articoli dello sbilifesto sono andati persi, ma un ulteriore e più pregnante momento di consapevolezza fu, per me, leggere il commento di una povera deficiente che mi accusava di complottismo semplicemente perché mettevo in evidenza come l'appartenenza alla moneta unica determinasse una dinamica oggettiva di compressione dei salari (vedi sopra Stefano). Questo cretinismo metodologico mi faceva capire da un lato che forse io non potevo essere di sinistra (o almeno non potevo stare in compagnia di cretini che derubricavano il materialismo storico a complottismo), e dall'altro mi faceva pensare che la sinistra danneggiasse i suoi inconsapevolmente, per ignoranza, per incapacità di andare oltre il racconto unico, irenico, della moneta che, unificando se stessa, avrebbe condotto attraverso una gloriosa marcia trionfale verso l'obiettivo dell'unificazione del tutto: dei bilanci, dei Parlamenti, dei Governi, ecc. Un obiettivo di cui non era ben chiaro quale fosse la desiderabilità, se non nei termini ingenui e stilizzati della teoria del pennello grande: siccome "fuori c'è la Cina", dobbiamo difenderci facendo lo Statone europeone. Una teoria cretina sì (non ci vuole un pennello grande, ci vuole un grande pennello!), ma verosimilmente accattivante per le anime semplici. 

Ci stava quindi che dietro a tanta cecità vi fosse solo incultura e ingenuità. Un concetto tutto sommato rassicurante: per quanto uno stupido possa fare più danni, e quindi sia più pericoloso, di un malvagio, resta il fatto che non è malvagio!

Ma le parole di Aristide ci dicevano il contrario, e per quello mi colpirono, ci colpirono, come uno schiaffo in faccia. Aristide non contestava, come mi sarei aspettato, la mia premessa, ovvero il fatto che la moneta unica danneggiasse i lavoratori.  Al contrario: rivendicava questi "danni collaterali" come "inevitabile incidente sulla via del progresso", come strumento per costringere il popolo a fare la cosa giusta. Insomma: Aristide non era stupido, era malvagio. Sulla scaletta dell'aeroporto di Ouagadougou per la prima volta prendevo atto dell'agghiacciante e ributtante paternalismo con cui la sedicente e soprattutto secredente élite di sinistra ammetteva di aver messo in difficoltà il Paese per "spronarlo", ovviamente per il suo (del Paese) bene, a migliorarsi, a elevarsi politicamente fondendosi in una compiuta unione politica, totalmente noncurante dei non trascurabili danni collaterali che questo approccio necessariamente avrebbe inflitto a tante persone. 

Oggi che "non tutti i Paesi beneficino in ugual misura dell'euro" (cioè che l'euro danneggi alcuni Paesi) è una constatazione banale: possono permettersela perfino quei sommi sacerdoti del pensiero unico che vanno sotto il titolo di banchieri centrali. Ma all'epoca nessuno mai si sarebbe permesso di ammettere una simile evenienza, né tantomeno di dichiarare in pubblico che un danno economico potesse essere consapevolmente inflitto per conseguire un fine politico (una "Europa federale"), confidando sull'ignoranza degli elettori.

Eppure, come poi imparammo insieme, tutta questa roba era già stata scritta e teorizzata più di dieci anni prima, non solo e non tanto negli articoli dell'ineffabile Giavazzi (come quello sull'importanza di legarsi le mani: pattume da ingengngnieri), quanto nelle riflessioni più raffinate e articolate di Kevin Featherstone sulla political economy del vincolo esterno (ad esempio questa). Riflessioni che, ci tengo a sottolinearlo, fu uno di voi a portare alla mia attenzione. Trovavamo, insomma, nel pensiero delle élite di sinistra quel benecomunismo deamicisian-nietzschiano che oggi ritroviamo nelle stanze X delle loro vittime: l'idea che il "bene comune" potesse, anzi: dovesse essere deciso senza mediazione democratica da chi riteneva di esserne depositario, perché legittimato o dal suo essere "colto" (nella versione piddina), o dal suo essere "er popolo" (nella versione ortottera).

La consapevolezza che questo atteggiamento costituisse una minaccia concreta e imminente per la democrazia fu la molla che mi spinse a lanciare il mio disperato, lancinante grido di allarme sul manifesto.

Imporre una cosa a tutti perché qualcuno pensa che sia la cosa giusta, fottendosene dei danni collaterali, anzi, negazionandoli! Ricorda qualcosa?

Forse ora è chiaro a più persone che cosa allora mi allarmasse. Se fosse così, potremmo dire che non tutti i buchi, anzi, i buchini, vengono senza ciambella. Si può speculare quanto si vuole sul fatto se una maggiore consapevolezza avrebbe evitato tanti lutti. Io so di aver fatto tutto quello che potevo fare. La storia, del resto, non si fa coi se. Nei fatti l'impatto di quell'articolo, a sinistra, fu così grande che venne tradotto in altre lingue, ovviamente quelle di Paesi in crisi, a partire dal greco. Sul sito di sbilanciamoci gli unici articoli letti e commentati da un numero decente di persone erano i miei: la community era sostanzialmente già nata lì, behind enemy lines.

Non so quanti di quel primo drappello sono sopravvissuti: qualcuno sarà morto, qualcuno se ne sarà andato nel 2018, apprendendo che mi schieravo a destra (i motivi per capire perché non potevo non farlo avrebbero dovuto essere chiari, ma non pretendevo né pretendo che fossero condivisibili).

Ma qualcuno ci sarà, perché non eravamo pochissimi, e mi farà piacere se si paleserà nei commenti.

Come arrivammo qui?

La nascita del Dibattito

Prima dell'intervento pericolosamente esplicito sul manifesto mi era capitato di provare a fornire versioni alternative della crisi in corso su un organo ben più ortodosso e paludato: lavoce.info. Il mio primo contributo era stato quello sulla morale della favola irlandese (un tema che avremmo poi ripreso qui plurime volte). Anche lì, come sullo sbilifesto, i miei articoli suscitavano un dibattito intenso, tanto da costringermi in qualche caso a replicare ai colleghi, in un confronto comunque corretto e costruttivo (qui trovate tutto). Una cosa mi era chiara: il "vaccino" euro, anziché rafforzare le nostre economie, portava in sé i germi di un pericolosissimo effetto collaterale: l'accumulazione di ingente debito estero, cioè di debito contratto da operatori per lo più privati nazionali per finanziare squilibri di bilancia dei pagamenti.

Lo schema della narrazione però era già quello consueto: se una dose non basta, ce ne vogliono di più (più Europa!), ma se qualcosa va storto, la colpa è di qualcos'altro: della pizza margherita, o del debito pubblico. Eppure, come avevo chiarito parlando dell'Irlanda, ma anche dell'Italia, su lavoce.info, l'indicatore che meglio anticipava lo scoppio di una crisi finanziaria era l'ammontare dell'indebitamento estero (e sopra vi ho spiegato quale percorso di ricerca mi avesse portato a questa consapevolezza).

Fatto sta che a ottobre 2011 mandai un altro articolo a lavoce.info per ribadire questo punto, chiarendo che aggredire il debito pubblico non ci avrebbe salvato dalla crisi. Come andò ve l'ho raccontato qui, e l'articolo in questione era questo, il primo di questo blog.

Che cosa era successo? Perché la redazione de lavoce.info aveva deciso di censurarmi?

Non ci voleva molto a capirlo: la mia uscita sul manifesto non era passata inosservata, ormai ero bollato come no-vax, pardon: no-euro! E lavoce.info era organica a quel "complesso militare-accademico" che aveva deciso di lanciare un programma di vaccinazione, pardon, austerità obbligatoria!

Posso ammetterlo: andare a dire a casa di Monti che l'austerità di Monti avrebbe fallito non era esattamente il massimo dell'astuzia politica!

Tuttavia, in un'ottica di medio periodo, scegliere me come nemico, silenziandomi, si rivelò, per i voce.infiani, un errore molto più grave. Basti dire (per apprezzarne la gravità) che mentre, silenziando me, loro mi hanno fatto arrivare dove non volevo arrivare (hic manebimus optime), alcuni di loro, in conseguenza di questo gesto stupidamente aggressivo, non sono arrivati dove volevano arrivare, e dargli serenamente una badilata sui denti è stato gesto tanto riparatorio quanto liberatorio. Se potessi raccontarvelo in dettaglio capireste meglio quanto serva votare: ma per sapere tutto dovrete aspettare le mie memorie (che non credo leggerete, essendo io ben intenzionato a sotterrarvi tutti)!

Comunque, all'epoca che da politico di un certo peso mi sarei tolto certe soddisfazioni non potevo saperlo (così come ora non posso dirlo: ma tanto questo blog non esiste...). Una sera, un po' abbacchiato, mi grattavo le croste in compagnia del professor Santarelli. Constatavamo quanto fosse assurda la logica allora (e tuttora) prevalente secondo cui la Germania era un Paese di successo perché aveva un saldo commerciale positivo verso l'Eurozona (tema su cui ci siamo poi intrattenuti a lungo: una delle più recenti ed esaustive illustrazioni è qui). Già nel 2009 Krugman aveva chiarito, in un diverso contesto, che non possiamo essere tutti simultaneamente esportatori:

Sostituendo Japan con Germany si ottiene la descrizione di quello che era allora l'Eurozona. Il mio punto era semplice: siccome le esportazioni di un Paese viste da un altro Paese somigliano tanto a delle importazioni, era assurdo glorificare le prime e demonizzare le seconde, perché esse erano sostanzialmente la stessa cosa. Lo squilibrio andava cioè gestito da entrambi i lati: se l'Italia importava troppo, insomma, la colpa era anche un po' della Germania. Una cosa che (all'epoca non lo sapevo) era ben chiara a Keynes ai tempi di Bretton Woods, come vi avrei poi spiegato, e che Stiglitz avrebbe notato, o almeno espresso, molto dopo di noi:


E fu lì che il professor Santarelli ebbe un'idea geniale, anzi, due. La prima si tradusse in un un commento ironico: "Certo che chi non capisce che le esportazioni di un Paese sono le importazioni di un altro mi sembra proprio come Pippo in quel vecchio fumetto, te lo ricordi?"


La seconda fu una proposta: "Ma se non ti pubblicano il tuo commento, perché non apri il tuo blog? Lo potresti chiamare l'economia di Pippo, Goofynomics...".

La proposta mi sembrava assurda! Chi avrebbe letto il blog di un oscuro professorino di provincia? Come avrei potuto competere con l'auctoritas dei vociani (anzi, dei voce.infiani)? A che cosa sarebbe servito?

Ma proprio perché la proposta era assurda, decisi di seguirla, e il 16 novembre 2011 aprii questo blog con l'articolo che lavoce.info aveva rifiutato, e che da allora è stato letto da 127069 persone.

Nel giorno in cui in Europa si promulgava il Six pack, e in cui Monti prestava giuramento, nasceva il Dibattito, che sarebbe diventato la casa della community.

Il successo del Dibattito

Il successo del Dibattito, cioè di questo blog, fu, come direbbe Keynes, "something of a curiosity and a mystery", e indubbiamente "it must have been due to a complex of suitabilities in the doctrine to the environment into which it was projected", ma per motivi uguali e contrari a quelli cui Keynes attribuisce il successo dell'economia ricardiana nel terzo capitolo della Teoria generale.

Se per l'economia ricardiana le cose erano andate così (e scusatemi se vi infliggo una delle pagine preferite dei miei scrittori preferiti):

That it reached conclusions quite different from what the ordinary uninstructed person would expect, added, I suppose, to its intellectual prestige. That its teaching, translated into practice, was austere and often unpalatable, lent it virtue. That it was adapted to carry a vast and consistent logical superstructure, gave it beauty. That it could explain much social injustice and apparent cruelty as an inevitable incident in the scheme of progress, and the attempt to change such things as likely on the whole to do more harm than good, commended it to authority. That it afforded a measure of justification to the free activities of the individual capitalist, attracted to it the support of the dominant social force behind authority.

per il Dibattito erano decisamente andate al contrario, cioè così:

That it reached conclusions quite similar to what the ordinary uninstructed person would expect, lent it virtue. That its teaching, translated into practice, allowed to anticipate a number of economic developments, added, I suppose, to its intellectual prestige. That it was adapted to carry a small but consistent logical superstructure, gave it beauty. That it could explain much social injustice and apparent cruelty as an avoidable incident in the scheme of progress, and the attempt to change such things as likely on the whole to do more good than harm, commended it to the oppressed. That it afforded a measure of justification to market regulation, attracted to it the support of the social force opposed to authority (the no-people).

E fino a qui per il divertissement letterario.

Ma il successo del blog fu veramente strabiliante, all'epoca, e del resto i due saggi che vi ho citato sopra, quello di Acquarelli (che poi conobbi a Parigi) e quello di Brandmayr, partono proprio da questo dato, cercando di spiegarselo. Credo che ci sia stato un momento in cui il successo mi intimorì. In fondo, ero pur sempre un docente universitario, cioè appartenevo a un clero particolarmente ottuso, conformista e spietato. Per quanto la massiva trahison des clercs rappresentata dal sostegno degli economisti laureati (quelli che si muovevano fra ligustri e acanti, ma non fra bossi) potesse indignarmi, non poteva sfuggirmi il fatto che le varie cupole bocconiane ma anche "sbilifestiane" mi tenevano comunque per le palle, laddove avessi voluto concorrere per una abilitazione (come poi feci, peraltro ottenendola)! Ma questo, forse, era il meno. Lo smarrimento comunque durò poco: seguì un reciso alea jacta est: la strada intrapresa andava percorsa fino in fondo, quale che fosse il fondo.

Torno sul successo. Gli scienziati citati nel paragrafo precedente ne mettono in luce alcuni aspetti: la cifra letteraria, la costruzione di una narrazione, ecc. A questi aggiungerei quelli che mi ricordo e che posso documentare. Intanto, se il mio lavoro aveva successo, era perché forniva un'offerta che rispondeva a una enorme e insoddisfatta domanda, che aveva tante sfaccettature: un bisogno di accreditamento scientifico, un bisogno di decostruzione della narrazione, un bisogno di prospettiva.

Ricordo ad esempio che il post sulla catastrofe annunciata mi venne sollecitato da un (allora) amico, Marino Badiale (non so che fine abbia fatto). La richiesta era quella di avere una rapida rassegna delle valutazioni critiche sulla moneta unica espresse dagli esponenti più autorevoli della disciplina economica. Il motivo era il solito: chi si esponeva con critiche era stanco di venir preso per un matto, e desiderava rifugiarsi nel principio di autorità. Ovviamente questo scudo era inutile! Non ci siamo stupiti quando Montagnier è stato considerato un Nobel "di serie B", e screditato da una ciurma di coglioni prezzolati, semplicemente perché un'operazione simile l'avevamo già vista compiere. Ma dal mio particolare punto di vista, il cercare ancoraggi nella letteratura scientifica era essenziale per evitare che i miei, i nostri argomenti venissero derubricati a farneticazioni di un professorino di provincia in cerca di visibilità (quella visibilità che non cercavo allora e non cerco ora, atteso che essere visibili non è un buon presupposto all'essere letali). Le cose stavano al contrario! Esattamente come 141 giorni dopo il noto tweet di critica al MES ancora non si è trovato chi provi a confutarlo, 4383 giorni dopo l'apertura di questo blog ancora non si è trovato il fantomatico paper "pro-euro", semplicemente perché solo un ignorante squinternato potrebbe affermare che in termini economici l'adozione di una moneta unica in una zona che non è un'area valutaria ottimale sia una buona idea. Poi il discorso si può, e si deve, allargare, ma in termini scientifici la verità finora incontestata (e affermata, come vi dicevo sopra, anche dai banchieri centrali), è che ci siamo messi in una situazione notevolmente complessa.

C'era poi un grande bisogno di decostruzione della narrazione colpevolizzante, quella secondo cui se le cose andavano male era perché non avevamo fatto quello che dovevamo fare, o non lo avevamo fatto abbastanza. Insomma, il #fateskifen, che constava di due parti: l'affermare la superiorità ontologica dei tedeschi, e correlativamente l'affermare l'inferiorità razziale degli italiani. Per portare a termine questo compito i media si dedicavano a una diligente riscrittura della storia, indirizzata in particolare a convincere gli smemorati e gli ignoranti che prima dell'avvento dell'unione monetaria tutto andasse a ramengo nel nostro Paese. Nacquero dal desiderio di contrastare questa narrazione falsa e disfattista dal lato "italiano" del problema post come quello su svalutazione e salari (ad usum piddini), che mostrava come non fosse vero che storicamente le svalutazioni della moneta si fossero riflesse in cadute del salari reali, o quello sulle lievi imprecisioni del Corsera, che rimetteva un minimo di verità fattuale nella storia della crisi del 1992, che il Corriere aveva romanzato per descriverne le conseguenze a tinte foschissime, commettendo una serie di falsi storici (dopo la svalutazione i tassi di interesse erano scesi, non saliti, le esportazioni erano cresciute, non calate, ecc.); dal lato "tedesco", invece, post quello sulla slealtà, sul deficit di investimento  e sul dumping salariale perpetrato dagli Alemanni. Sulla riscrittura della storia, poi, il Corriere della Sera, più avanti, avrebbe fatto uno scivolone tanto più clamoroso quanto da noi anticipato (ma ci arriveremo).

Naturalmente gli amici, quelli bravi, mi davano i consigli giusti: scrivi di meno, non mettere grafici, che laggente nun li capischeno, non mettere formule, che laggente se spaventeno, nun ce sò pportati pe a matematica, ecc. ecc.

Altrettanto naturalmente io facevo il contrario: scrivevo molto, forse troppo, rispondendo a tutti, tuttissimi (le discussioni sotto ai post si articolavano per centinaia di interventi, in un flusso tumultuoso ma comunque più ordinato e fruibile del cazzeggio degradante di Twitter), mettevo tanti grafici e tante formule, spiegandole, e lo facevo a ragion veduta, per almeno tre motivi.

Il primo, ovviamente, è questo:


e non devo soffermarmici ulteriormente: "Il popolo, quando sente le parole difficili, si affeziona". 

Ma naturalmente c'era dell'altro: credo che l'accanimento con qui mi dedicavo a confutare le obiezioni e chiarire gli argomenti portando elementi concreti venisse apprezzato anche da chi a quegli argomenti restava refrattario. A distanza di anni dal post su Premiata armeria Hellas, ve lo dico con semplicità e con affetto, sono convinto che nessuno di voi abbia veramente capito che cosa sia il saldo delle partite correnti. Che volete che sia? Quisquilie, pinzillacchere: è solo la variabile macroeconomica più rilevante e significativa per monitorare lo stato di salute di un'economia! Però tutti avete capito che cercavo, con disinteresse e con enorme sforzo, di attirare la vostra attenzione su un pericolo, sul pericolo che le politiche di Monti costituivano.

E poi c'era un terzo elemento: il mio rifiuto programmatico delle captatio benevolentiae, e la mia consapevolezza che i follower, come i voti, si pesano, non si contano. A me interessava creare un corpo scelto, un corpo di élite, di élite vera, però, armata di un bagaglio tecnico-scientifico, oltre che di una nascente consapevolezza politica. Non volevo, per fare numeri, abbassare il livello del messaggio.

E, in effetti, elevando il livello del messaggio facevo numeri, sicché anche oggi, quando i "comunicatori" mi parlano della "Sciura Maria" e della necessità di andarle incontro, io sorrido e penso (e qualche volta, quasi mai, dico): "Ma cocco bello, tu comunicando sei diventato comunicatore, e io comunicando sono diventato presidente di bicamerale. Chi deve stare ad ascoltare l'altro?"

Perché la prima vostra domanda che qui trovavate soddisfatta era quella di qualità: qualità letteraria e qualità scientifica. Due ordini di qualità che agli operatori informativi sarebbe indelicato chiedere.

"I miei colleghi hanno paura di te!"

E qui si arriva a un punto dolente nella storia della community: il rapporto con gli operatori informativi. Il mio punto di vista lo sapete, l'ho espresso in modo piuttosto reciso. L'inefficiente mediazione culturale, per essere gentili, o l'efficiente propaganda, condotta dagli operatori informativi resta uno dei principali ostacoli che il nostro Paese trova sulla via di una democrazia compiuta. Non è un caso se la voce Propaganda è la prima nel nostro tag cloud:


Fin dagli inizi il Dibattito avevamo individuato in questo aspetto il principale ostacolo al nostro lavoro di divulgazione.

Ricordo la tensione emotiva che, anche sull'onda della forza del messaggio e della rapidità della sua propagazione, vi animava! Il successo del blog era, per la community, una potente lente di ingrandimento, che portava ad abbagli piuttosto divertenti. C'era chi si preoccupava, chi temeva addirittura che potessi essere assassinato (tanto scomode erano, a dire dello sciroccato di turno, le banali verità tecniche che mi accadeva di trasmettervi). C'era chi, sconsolato, si lamentava del fatto che questo esperimento sarebbe rimasto confinato sui social media, che non sarei mai arrivato nella agognata TV, né tanto meno in prima serata:


Fa molto tenerezza questo discorso, visto col senno di poi. Io ero perfettamente consapevole di non essere così importante da avere l'opportunità di diventare un martire, così come (ed è scritto qua sopra) del fatto che lavorando si sarebbero potuti conseguire obiettivi che sembravano irraggiungibili.

E quindi restavo umile e lavoravo!

Non ci vuole l'intelligenza lucida e spietata di un Capezzone per capire che in un momento in cui la critica all'Unione Europea (e in particolare a quella sua degenerazione che è l'unione monetaria) stava montando, i media allineati sarebbero andati alla ricerca di personaggi con un certo seguito, per poterli presentare come degli squinternati pazzotici, al fine di screditare qualsiasi tentativo di pensiero critico. Era il tentativo che fece con me il buon Vianello a giugno 2012, ma non gli andò benissimo. Ricordo con tenerezza i vostri tentativi affettuosi di insegnarmi come si sta in pubblico (questo il dibattito che seguì la trasmissione). Io ci sapevo stare per altri motivi (l'insegnamento, i concerti, la preparazione, la toscanità...) e presto i conduttori cambiarono atteggiamento. Screditarmi era piuttosto complesso, anche perché, evitando la tentazione "politica" di fare "er CLN" caricando su nani e ballerine, avevo tenuto a grande distanza personaggi in cerca di editore come il buon Donald con la sua MMT (tre mesi prima della prima apparizione televisiva) o, per altri versi, tutto il simpatico mondo ortottero. Non mi interessava mescolarmi né con profeti né con movimenti. Mi interessava mescolarmi con voi e non farvi fare brutta figura.

Rapidissimo flash forward: qualche giorno fa ero a pranzo con un giornalista (gli operatori informativi sanno anche essere persone piacevoli), che a un certo punto mi guarda e mi fa: "Ma tu lo sai che i miei colleghi hanno paura di te?" E io, quasi modo genitus infans: "Ma no!? E perché?"

Il perché è ovvio. Io mi pregio di essere sopravvissuto dall'onorevole Gruber, europarlamentare del PD, e al suo plotoncino di esecuzione:

e, come è noto, quello che non ti uccide ti rende più forte. Se uno studia e ha la battuta pronta ("tu li smonti con l'ironia...") non ce n'è per nessuno.

Ovviamente le apparizioni televisive ampliavano la community, che cresceva, cresceva... E quello che impressionava gli operatori informativi era sentire il tiro della community sui social! Quando ero presente io in trasmissione l'engagement aumentava, e aumentava di molto. Tutti si chiedevano come facessi. Chissà, forse il mito de "La Bestia" è nato allora, sei anni prima che io diventassi leghista! Ma la risposta era semplice: ero semplicemente me stesso (cioè, secondo alcuni, una bestia), come Verlaine prescrive a chi ha urgenza di esprimersi,

La crescita della community

25 aprile 2012: entra Luciano Barra Caracciolo

Eh già! Sotto le mentite spoglie di Quarantotto, nella data fatidica del 25 aprile Luciano interveniva, commentando così un commento di Flavio, che ogni tanto vedo intervenire ancora, sempre con ottimi contributi. Poco dopo Luciano si sarebbe palesato, e nel corso dell'anno avrebbe aperto il suo blog, che lo avrei aiutato a lanciare, sfruttando la massa critica che ormai, a meno di un anno dalla partenza, avevamo, e che attirava qui tante intelligenze.

26 luglio 2012: entra Claudio Borghi

Più dell'approdo ai media tradizionali, nei quali il modulo del tutti contro uno aveva sì un valore ginnico, ma non consentiva più di tanto di argomentare, un altro motore di sviluppo della community fu il sostegno datole da alcuni canali social organici agli ortotteri, fra cui, tipicamente, quello di Byoblu. L'amico Claudio (Messora) aveva intervistato l'amico Claudio (Borghi) il 23 maggio 2012: notai il video (che nel frattempo Google ha tirato giù da YouTube) e mi piacque molto perché entrava con grande semplicità in una serie di dettagli tecnico-finanziari che non avevo mai affrontato nei miei ragionamenti. All'epoca il backend di blogger permetteva di risalire ai "referrer", cioè alle pagine che citavano i miei articoli. In questo modo ero risalito a un forum di finanza in cui Claudio, citando non so più quale mio articolo, diceva una cosa del tipo: "Non è male questo: un po' complottista [NdCN: aridanga!], ma ha ragione!" Sul "complottista" avevo alzato gli occhi al cielo: evidentemente, avevano messo qualcosa negli acquedotti. Ma i complimenti fanno (quasi) sempre piacere.

Nel frattempo, il 6 luglio 2012, ero stato anch'io intervistato da Byoblu, a grande richiesta del suo pubblico (fra cui, immagino, ci fosse la frangia ortottera della community), in un'intervista (anch'essa scrupolosamente tirata giù da Google) che ritrovate qui: "Ce lo chiede l'Europa!", che all'epoca portò quasi 200.000 visualizzazioni a Messora (giusto per farvi capire la potenza della community, o, se volete, del logos). Sicché, quando il 26 luglio del 2012 ricevetti una lettera da Claudio Borghi, la condivisi immediatamente con voi. Onestamente, non ricordo quando ebbi poi modo di incontrare per la prima volta fisicamente Claudio. Certamente era al #goofy1 (di cui parliamo più avanti).

31 dicembre 2013: entra Giuseppe Liturri

Così, saltando di palo in frasca: il 31 dicembre del 2013 entrava a pieno titolo nella community un altro protagonista del dibattito. Ho la vaga idea di averlo incontrato per la prima volta di persona dalle parti sue. Abbiamo condiviso tante valutazioni e tante vicende personali, e gli sono infinitamente grato per fare un lavoro che un italiano (io) non può più fare: informarvi correttamente.

3 giugno 2017: entra Sergio Giraldo

Altro piccolo flash forward, prima di tornare al 2012: il 3 giugno 2017 entrava nel Dibattito, in punta dei piedi, per tutelarne l'anonimato, Sergio Giraldo. Grazie a lui acquisivamo, con qualche anno di anticipo sul resto del mondo, la piena contezza di quanto non solo il discorso economico sulla Germania, ma anche quello ambientale fosse ipocrita e distorto. Allora sembrava poca cosa, sembrava una curiosità da inserire come minuscola tessera nel mosaico della propaganda: oggi capiamo quanto quei temi fossero e siano centrali.

Virtual goes real: il #goofy

A un anno dalla nascita del Dibattito, celebrato da questo post, il legame assiduo, quotidiano fra noi mi spinse a creare un'occasione di incontro, perché ci si potesse finalmente conoscere di persona. Mi venne l'idea di organizzare un convegno scientifico nell'aula magna Federico Caffè della facoltà di economia a Pescara. I relatori erano Claudio Borghi, Lidia Undiemi, Gennaro Zezza, Luca Fantacci e Luciano Barra Caracciolo. Fu una bellissima giornata. Non so quanti di voi fossero lì, cioè non so quanti, fra quelli che erano lì, sono ancora qui, o semplicemente al mondo. Potrei cercare nelle mie email la lista dei partecipanti, ma ci vorrebbe un po'. L'unico che sicuramente si ricorda tutto sarà Claudio (Borghi), che ha una memoria di ferro, e che sicuramente in quell'occasione incontrai di persona. Tracce non ne sono rimaste: né video, né di altro tipo. L'unica cosa che capimmo subito fu che da come si stava mettendo la volta successiva un'aula magna da 200 persone sarebbe stata largamente insufficiente, e organizzare un convegno decente sotto l'ombrello universitario avrebbe creato difficoltà, non tanto per i temi trattati (il mio direttore dell'epoca, Piergiorgio Landini, tutelava la mia libertà di ricerca e di espressione: bello schiaffo morale per un intellettuale di sinistra come me vedersi difeso da un collega che si era esposto politicamente con AN!), quanto per banali aspetti amministrativi (organizzare una minima ospitalità per oltre 200 non-colleghi non sarebbe stato tecnicamente possibile, il Dipartimento non poteva riscuotere contributi alle spese congressuali, ecc.). Anzi: di cose ne capimmo due: che ripetere l'esperienza sarebbe stato complesso, ma anche che sarebbe stato necessario, e quindi ci mettemmo al lavoro.

Per decidere il "dove" non ci volle molto: la segretaria del mio Dipartimento, Angela, mi segnalò il Serena Majestic di Montesilvano, la struttura dove poi si svolsero tutti i #goofy dal 2 all'11 (per il 12, come avrete visto, abbiamo cambiato sede).

Per decidere il "come" ci volle un po' di più. Alla fine, insieme con gli amici che cercavano di sostenermi nel mio lavoro di divulgazione, o almeno di evitare che ci smenassi troppo (perché, come ricorderete, era tutto un susseguirsi di impegni a conferenze e a dibattiti nei contesti e nei luoghi più impensati, con difficoltà di gestione di agenda e costi logistici che all'epoca non ero abituato a trattare), si decise di fondare un'associazione di promozione sociale. Il nome, a/simmetrie, mi venne in mente nel luogo delle ispirazioni fondamentali: sotto la doccia. Avevo appena ricevuto una call iniziale dal Journal of Economic Asymmetries (dove quattro anni dopo avrei pubblicato questo), e questa cosa delle asimmetrie economiche mi ballava per la testa... In effetti... Che cos'era l'Eurozona se non il più gigantesco esempio di asimmetria economica? E così il nome dell'associazione era definito. Partimmo a luglio del 2013, e in autunno eravamo già operativi per organizzare il secondo goofy, il goofy2, che è il primo di cui trovate traccia nel sito dell'associazione, qui.

I #goofy ci accompagnano da dodici anni: sono la festa della community, in cui si oltrepassa la barriera degli pseudonimi per conoscersi di persona in un luogo familiare e protetto, si sviluppano e si consolidano i legami epistolari stretti nel corso dell'anno, si cresce culturalmente e politicamente, si assiste a prolusioni e seminari degli intellettuali più interessanti, o comunque prestigiosi, per i temi di nostro interesse. Ma erano fin dall'inizio, prima ancora che io potessi rendermene conto, un importante fatto politico. Non era scontato che centinaia di persone si muovessero per recarsi in riva al mare, in pieno autunno, pagandosi le spese di viaggio e condividendo le spese congressuali, per assistere a prolusioni su temi non esattamente ricreativi. Il fatto che loro, il fatto che voi, foste lì, era anche un fatto politico di estrema rilevanza.

Il primo che me lo fece notare fu Giorgio La Malfa, invitato al midterm goofy del 2014, il convegno di metà anno che di quando in quando organizziamo a Roma (non è un evento fisso: ne abbiamo fatto solo un altro quest'anno per celebrare il decennale dell'associazione, ed è venuto piuttosto bene...). Uscendo dalla sala dell'Antonianum, gremita di persone (intorno alle 600), Giorgio mi diceva una cosa del tipo: "Alberto, queste persone che sono qui, per te, rappresentano un fatto politico. Hai pensato a cosa fare, a come dar loro una risposta?" E la mia risposta a lui fu più o meno un a cosa del tipo "it's not my business": "Io posso solo divulgare teorie scientificamente sostenibili e invitare, se lo desiderano, dei politici. Poi ci devono pensare loro. Non è mia intenzione né mio desiderio assumere un ruolo che non è il mio". E Giorgio insisteva: "Pensaci...". Ma io avevo già espresso in modo diffuso e articolato la mia posizione in merito.

Arriva #aaaaabolidiga

In effetti anche oggi non sono molti i politici che riescono a riempire sale, reali o virtuali. Il #goofy2 si svolse in contemporanea all'Ubalda, pardon: alla Leopolda del bulletto che sapete, e pensate un po': nei trending topics di Twitter noi le tenevamo testa. Quello pareva che avesse in mano l'Italia, ma i social li avevamo in mano noi, perché eravamo (e siamo) tanti (anche se questa consapevolezza non sempre è resistente rispetto a infiltrazioni di disfattismo più o meno organizzate)!

L'interesse de #aaaaabolidiga per tutto questo consenso non poteva tardare. Fra l'inverno del 2013 e la primavera del 2014 avevo conosciuto (non ricordo in che ordine, anche qui dovrei fare qualche ricerca nelle mie carte) Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni. Da Giorgia mi aveva portato Antonio Triolo, da Berlusconi non so, non ricordo... Quello che ricordo però bene sono due cose: che in entrambi i casi l'impulso non era venuto da me (che la pensavo come avevo detto a Giorgio) ma dai tramiti, e che in entrambi i casi (e in tutti i casi successivi) il mood era "Sì, vabbè, però lo fate stare solo un quarto d'ora", e poi però gli incontri duravano lievemente di più (diciamo così). Ricordo meglio quello con Berlusconi che quello con Giorgia, per il semplice motivo che a un certo punto con lui decisi di andare all'attacco: "Ma scusi, Presidente! Qui stiamo parlando di quelli che l'hanno praticamente deposta. Ma lei proprio non desidera restituirgli almeno in parte quello che ha ricevuto?" Per il resto, vedi le mie memorie (quando sarà il momento).

Ma il vero punto di svolta, nei rapporti della community con la politica, era stato impresso da Claudio, che a Milano, credo addirittura prima del #goofy2 (e quindi nell'estate del 2013) aveva in qualche modo conosciuto Salvini. Ricordo ancora, e vi ho poi raccontato a Firenze (durante la mia prima campagna elettorale), la telefonata entusiastica con cui Claudio mi riferì di questo incontro. Matteo fu, fra i vari politici coinvolti, il più reattivo, con un certo mio sconforto perché (come credo di avervi detto), il mio obiettivo era quello di aprire un dibattito a sinistra: la soluzione di un problema che affliggeva i lavoratori la si sarebbe naturaliter dovuta trovare a sinistra, pensavo, sarebbe stata la sinistra a doversi intestare questa battaglia. Certo, i miei toni, visti col senno di poi, non erano, almeno col PD, proprio quelli concilianti e inclusivi che sarebbero stati richiesti per avviare un discorso. Ma il PD lo davo per perso. Inutile che ci addentriamo ora nelle intricate seghe mentali che impedivano a praticamente tutti i politici della sinistra "de sinistra" (quelli che ora vanno sotto la sigla AVS, Assicurazione Vecchiaia e Superstiti, credo...) di prendere in mano la situazione. Il mio dibattito con Ferrero è ancora lì, credo, e credo sia ancora eloquente (non ho tempo di rivederlo). Matteo aveva almeno tre oggettivi punti di vantaggio sui rifondaroli et similia. Due di natura ideologica: era scevro dai cascami di quel cosmopolitismo borghese che la sinistra delle anime belle confonde con l'internazionalismo proletario, ed aveva nella tradizione del suo partito le analisi di quello che, quando le faceva, mi sembrava uno squinternato, ma alle quali oggi è impossibile non riconoscere una certa preveggenza; il terzo, di natura tattica: dopo l'opposizione a Monti, il partito, alle politiche del 2013, aveva avuto la bella idea di convergere verso le grandi praterie del centro, alleandosi con Berlusconi (adesso posso farmi una vaga idea di cosa abbia potuto essere il dibattito in merito, pur non avendone nessun referto né diretto né indiretto). Il centro, come dice Capezzone, è un luogo frequentato più dagli eletti che dagli elettori, e il risultato di quella tornata lo dimostrò: 4,08%. A questo punto, tanto valeva giocarsi un'idea forte, tanto forte da portare a Montesilvano 500 persone, e da egemonizzare il dibattito social.

Eh, sì, perché non dobbiamo dimenticarci che nel frattempo, col crescere della community, il Dibattito si affermava. Nel 2013 era già secondo classificato fra i siti di economia a Macchia Nera Awards:

(tre posizioni sopra quelli che avevano cercato di tacitarci...), posizione mantenuta nel 2014:


fino al conseguimento, grazie a voi, della prima posizione nel 2015:

e alla vittoria nel 2016:

così umiliante che dal 2017 la categoria "miglior sito di economia" venne eliminata dal torneo!

Poverelli...

Ricordo ancora quando, prima che partisse "Econo-polly", mandarono da me un loro misso dominico, a spiegarmi che la mia spinta propulsiva era esaurita (e come no!), e che forse avrei fatto meglio a inserirmi in un progetto più strutturato, ecc. ecc. A quella cena assistettero altre due persone della community, e forse se la ricordano. Io ovviamente li mandai a stendere e l'anno dopo vinsi. Mi bastava, come soddisfazione personale, la consapevolezza di aver costretto, con un blog pieno di dati, grafici e formule, l'informazione raffazzonata e approssimativa italiana a darsi una mossa, o almeno a fingere di farlo!

Ma insomma il punto è che la community c'era, e si dava da fare: la progressione descritta negli ultimi quattro grafici è significativa.

Claudio si giocò la sua candidatura alle europee del 2014. All'epoca non era richiesto (come non era richiesto, ad esempio, di pubblicare i bilanci sul sito), ma io gli chiesi, una volta candidatosi, di uscire dal direttivo dell'associazione, e poi, il 25 aprile del 2014, feci una dichiarazione di voto per lui.

I risultati furono quelli che sapete: la Lega torno oltre il 6%, ma Claudio, nonostante una campagna elettorale incentrata sul tema europeo, non passò. Chi doveva, aveva appreso che un consenso c'era, ma noi avevamo appreso di non essere Legione (cosa che, avendola appresa, cerchiamo inutilmente di spiegare ai semomijonisti odierni: ma in fondo fatti loro...). Claudio restava uno di noi, ma in qualche modo le strade si erano biforcate: lui proseguiva, con tenacia, la sua carriera politica, e io la mia di intellettuale tendenzialmente di sinistra ma che cercava di costruire un coinvolgimento trasversale. Il #goofy3, quello del 2014, fu probabilmente l'esperimento più ambizioso in questo senso, come questa foto testimonia:


Di fronte a una platea di 488 persone Cuperlo, Meloni, Pancani, Bertinotti, Colletti (un local hero dei 5 Stelle) e Matteo (i lavori sono qui, e andrebbero visti da chi non li ha ancora visti e rivisti da chi li ha già visti, altrimenti non si capiscono tante cose).

Ricordo che al suo arrivo nei pressi del Serena Majestic Matteo si era organizzato un suo comizietto nella piazza attigua. Non erano tantissime persone, ma la cosa mi fece girare vorticosamente il cazzo: non volevo che la community e il lavoro dell'associazione venissero esposti politicamente! Volevo che restassimo un forum di discussione e di ascolto trasversale. Pensate quanto mi incazzai quando, nell'immediatezza dell'evento, i miei collaboratori misero in homepage, fra tutte le interviste girate durante i lavori, queste due:


"Ma come!? Ma qui facciamo tanto per non farci dire che non siamo trasversali, per cercare di far capire che se critichi l'euro non sei necessariamente un nazista, e voi mi mettete in prima Salvini e Alemanno? Ma almeno fatene uno di destra e uno di sinistra, no?"

Lebbasi, le fottute bbasi...

Però il dato c'era: mettere così tanti politici di fronte a così tante persone non era cosa da tutti. Ci voleva qualità, e ci voleva quantità. Noi, per fortuna, le avevamo entrambe.

Tuttavia... serviva veramente a qualcosa rivolgersi ai leader politici, in particolare a quelli di sinistra?

Intorno al 2015 li conoscevo ormai tutti, inclusi (ebbene sì) quelli del PD. Dal 2016 smettemmo di invitarli. La community aspettava qualcosa che desse uno sbocco politico alla sua ansia di cambiamento. Voleva, insomma, fare qualcosa, o che qualcuno facesse qualcosa. Così, il 18 gennaio 2018, accettai con riconoscenza la proposta di Matteo Salvini di candidarmi al Senato. Di tutti quelli che conoscevo, e li conoscevo tutti, l'unico che mi fosse sembrato cosciente dei problemi e affidabile era lui. Il 23 gennaio 2018 scrissi il mio post sul conservatorismo e poi andai alla Camera, in quel territorio per me all'epoca estraneo e ostile, nonostante da intellettuale lo avessi frequentato in lungo e in largo per incontri con tanti miei attuali colleghi, per la conferenza stampa di presentazione della mia candidatura. 

La mia paura era che la community non reggesse il trauma di questa presa di posizione. La sinistra la conoscevo: esattamente quel clero di ipocondriaci ottusi e conformisti della cui pericolosità sociale molti di voi hanno preso coscienza solo dal 2021. La community, evidentemente, non la conoscevo altrettanto bene. Io pensavo di rivolgermi a persone di sinistra, ma o voi non eravate di sinistra, anche quando vi dichiaravate per tali, o eravate di una qualità umana non so dire se superiore, ma certamente diversa da quella sinistra dei sinistri che conoscevo. Mi sorprendeste in bene, forse per il rapporto di fiducia personale che attraverso 2383 post, sei #goofy e innumerevoli altri incontri si era consolidato fra noi. Così come io avevo condiviso la vostra disperazione, così voi mi sostenevate nel mio salto nel buio. E, in effetti, la community andava crescendo: nel 2019 raggiungemmo, con 707 persone, e nonostante l'effetto del controverso "stacco della spina" estivo, il massimo delle presenze al convegno. Non era stato un problema che io mi schierassi a destra (qualche letteraccia arrivò, ovviamente, anche da colleghi accademici), non era stato un problema che mandassimo a stendere i 5 Stelle (che cosa sarebbe successo ve lo avevo ben detto qualche anno prima). Fu ovviamente un problema il COVID, che ci restrinse a 200 persone nel 2020 e nel 2021, e forse la fiducia a Draghi, di cui molti ancora non capiscono il senso, nonostante gli sia stata spiegata in lungo e in largo.

QED

In questi dodici anni ne abbiamo viste tante, e quasi altrettante ne abbiamo previste. Abbiamo visto che l'austerità avrebbe fallito, e perché avrebbe fallito: perché la crisi era una crisi da debito estero, non da debito pubblico. Abbiamo visto che Hollande avrebbe fallito, e perché avrebbe fallito: perché per risolvere il problema di deficit gemelli della Francia occorrerebbe mettere mano alle "riforme strutturali" (non potendo svalutare il franco che non c'è più), e questo ai francesi non piace tanto. Abbiamo visto che Tsipras avrebbe fallito e perché avrebbe fallito, abbiamo visto che la Finlandia sarebbe andata in crisi quando nessuno se lo immaginava, e il racconto degli operatori informativi nazionali era quello di una nazione prospera che a buon diritto pretendeva di prendersi il Partenone in pegno, e via dicendo.

Questo susseguirsi di previsioni azzeccate contribuiva a creare quel senso dell'immanenza di cui parla Acquarelli nel suo saggio, indicandolo come uno dei collanti della community. Ma in queste premonizioni non c'era nulla di messianico: l'economia, a differenza di quello che credono e affermano i cretini, è una scienza, e in quanto tale un minimo di valore predittivo ce l'ha. Certo, quella del XX secolo funziona meglio di quella del XIX secolo. Ma credo che valga un po' per tutto: anche per le lampadine o per le locomotive, per dire! E va da sé che l'adozione di un paradigma economico non è una scelta meramente tecnica: se scegli di usare l'economia del XIX secolo è perché, più o meno implicitamente, ambisci a costruire una società del XIX secolo.

Fatto sta qui abbiamo visto che c'è un ragionamento che funziona, e un ragionamento che non funziona.

"Ma l'euro non è tramontato gne gne gne!" Eh, no, non è proprio così: l'euro è tramontato, svalutandosi pesantemente, e questa sua svalutazione ci ha condotto allo scenario attuale, con tutte le sue criticità, che ultimamente vi ho spiegato parlandovi dei banchieri filantropi! D'altra parte, quello che non avevamo visto, che non potevamo vedere, era la complessità del sistema, con l'inerzialità che consegue, nel voler imprimere una svolta radicale al sistema, dal dover allineare una quantità infinita di comportamenti. Alla fine, il problema è più culturale che politico, ma soprattutto non è tecnico. La prima legge di Bagnai ("tutto quello che ci dicono succederebbe se uscissimo dall'euro accadrà dentro l'euro") la conoscevate credo tutti, ma la pandemia ci ha fatto fare un ulteriore passo avanti, facendoci capire che shock dell'ordine di grandezza di quelli che ci aspetteranno in caso di rottura traumatica del sistema li sopporteremmo, perché li abbiamo già sopportati due anni fa. Se riguardiamo alla luce di quello che ci è appena successo le simulazioni del paper del 2017 ci viene un po' da sorridere. Quelli che sembravano scenari "forti" sono nulla rispetto a quello che ci è toccato di sperimentare. Ma aveva ragione Draghi: il capitale investito è grande, più grande di quello che potessimo immaginare dall'esterno, e i frutti si vedono, indubbiamente, come mostrava undici giorni fa il Financial Times:


ma non sono quelli previsti da Prodi. Sono quelli previsti da Krugman: l'Europa sta diventando giapponese, anzi, lo è diventata: è scivolata inesorabilmente nella deflazione, e quando i banchieri centrali se ne sono accorti era ormai troppo tardi.

E quindi?

E quindi dobbiamo dirci che irreversibile non vuol dire sostenibile, dobbiamo dirci che battaglia e vittoria non sono sinonimi, che quella della vittoria definitiva che ci porterà alla pace eterna è una pericolosa illusione, è esattamente il mito lugubre della Lue che ci dà Lapace, che il nostro destino è il conflitto, che il nostro impegno non è stato vano, se non altro perché è stato decisivo nel non peggiorare la situazione aderendo a follie come la riforma del MES, e che fra nove giorni ci vedremo a Montesilvano per il #goofy12, il cui programma è qui.

Qualche stanza ci dovrebbe ancora essere, ma abbiamo già ampiamente il numero legale: quello che accolse il panel "politico" che vi ho fatto vedere sopra, mostrandovi una foto dall'album di famiglia!

(...e ora buonanotte! La giornata è stata lunga, e domani avrete da studiare...)