Prima storia
Il 14 maggio 1993, alle ore 21:40, un gruppo di fuoco composto da mafiosi di Brancaccio e di Corso dei Mille fece brillare all'angolo di via Ruggero Fauro con via Umberto Boccioni (Roma) una Fiat Uno con circa un quintale d'esplosivo al passaggio dell'Alfa 164 che stava riportando a casa Maurizio Costanzo e la sua compagna. I danni agli immobili circostanti furono ingenti, ma l'obiettivo presunto dell'attentato salvò la vita a causa di un'esitazione degli attentatori. Non ci furono vittime, se si eccettua qualche lesione agli agenti della scorta, e una signora anziana che morì di crepacuore il giorno dopo (così riporta la tradizione orale). La fonte delle fonti parla di danni gravi ma non disastrosi. Fatto sta che alcuni palazzi vennero evacuati per un lungo periodo di tempo, e che il vetraio di via Fauro chiuse. Il suo prodotto, dopo l'esplosione del petardo, si trovava in eccesso di domanda nel raggio di alcuni chilometri. Purtroppo, però, ciò che aveva causato l'aumento della domanda aveva anche frantumato totalmente la sua capacità di offerta. Questa cosa un economista non la capirebbe: per lui gli shock o sono di domanda o di offerta. Che offerta e domanda possano essere collegate, e in modo così cogente, non riuscirete a farglielo capire, se non con un esempio. Ma naturalmente vi sconsiglio dal farglielo.
Seconda storia
Il 17 agosto del 2007, alle ore 10, presentavo il paper "China as an engine of sustainable growth" nella sessione parallela Chinese Economy and Business della conferenza Rising China in the Age of Globalization organizzata dall'Istituto Confucio dell'University College of Dublin (keynote speaker... è lui o non è lui?... Ma certo che è lui: Bob Mundell, quello della Columbia, e naturalmente dell'OCA). Ero arrivato due giorni prima e avevo noleggiato una macchina all'aeroporto per recarmi al mio B&B, l'Andorra, 94 Merrion Road. Venendo da nord, passo il fiume, e all'altezza del Trinity vedo un cartello alto un metro che mi segnala lavori in corso. Io, che già ero prudente per via della guida a sinistra (avrete capito che con la sinistra ho un rapporto delicato), rallento ulteriormente la velocità, nonostante di fronte a me non vedessi nulla: né buche, né cantieri, né macchinari, né rallentamenti. Il centro di un ordinato paesotto di provincia, nonché capitale della tigre celtica. Per farvi capire, questo è il disegnino di dove ero quando ho visto il cartello, e di dove dovevo arrivare:
Il cartello era a 4100 metri (o se volete a 4,1 km, o a 410000 centimetri) da dove dovevo arrivare, cioè a circa 12 minuti in automobile. Io proseguo fiducioso, e dopo altri 500 metri un altro cartello mi avverte che ci sono lavori ahead. Vabbè, dico io: sono prudente, tengo la sinistra, mi sorpasseranno a destra, non gli manderò i morti come farei se fossi a Roma (dove terrei la sinistra per sorpassare a sinistra, cosa che ormai in Italia riesce solo al Fmi): prima o poi sti lavori si vedranno, non tamponerò chi mi sta davanti. Proseguo per altri 500 metri: nessuna buca, nessuna coda, traffico regolare. Altro cartello... A questo punto comincio a preoccuparmi: se lo segnalano così, sarà come minimo il cantiere per l'erezione di una nuova piramide, pensavo. Chissà che bordello poi per arrivare all'UCD.
Insomma, ve la faccio breve: stavano cambiando un tubo del gas di fronte al mio B&B, con un restringimento di carreggiata di un paio di metri, che non causava nemmeno un senso unico alternato, ma un piccolo rallentamento locale, del tutto gestibile per un romano (un napoletano non se ne sarebbe nemmeno accorto - e, peraltro, avrebbe guidato a destra, visto che a Napoli guida a sinistra, cosa per la quale gli sono spiritualmente vicino...).
Ma avevano avuto la civiltà di mettere cartelli da quattro chilometri prima, per avvertire i contribuenti che forse avrebbero potuto incontrare dei disagi.
Terza storia
Il 30 agosto 2016 esco da un ristorante per turisti nel quartiere Prati, reduce da una serata sgradevole per vari e giustificati motivi: perché un mio amico cui tengo, e non si sa perché, sta male, e non si sa perché; perché mi impone persone spiacevoli, e non si sa perché; perché i ristoratori romani ogni tanto vogliono fare gli chef francesi, e non si sa perché. Tanti misteri, un'unica certezza: quando sul menù di un ristorante trovate scritto "con il suo" (e.g.: "Il filetto di narvalo delle Lofoten con il suo letto di cannabis del Pakistan") potete tranquillamente alzarvi ed andarvene: non avrete perso nulla. Se invece trovate scritto "con il mio" (dove l'io me della situazione è lo chef) dovete alzarvi, e darvela a gambe levate: non facendolo perderete molto (in termini finanziari).
Ovviamente, è solo un suggerimento: poi voi fate come vi pare, e dopo verrete a piagnucolare da me: "avevi ragione". Se è successo per Grillo, che almeno non vi ha sfilato una cento, figuratevi se non succederà per lo chef.
Me ne torno verso casa, ai Parioli. Dovete sapere (o forse saprete: ad esempio, Claudio Borghi lo sa), che la parte bassa di viale Parioli è il paradiso del liberismo. A causa di una rilevante concentrazione di locali alla moda (e non si sa perché) lo standard è la tripla fila (una fila di macchine parcheggiate a spina di pesce, più due file di macchine parcheggiate normalmente). Poco importa che ci sia anche una importante caserma dei vigili urbani, i quali, evidentemente, sono degli assidui lettori di John Locke (salvo fare sporadiche spedizioni punitive - ma anche queste scelte di metodo temo siano conseguenza dei noti fenomeni: i tagli, le carenze di organico, ecc.). Così, insomma, i vigili tollerano, e naturalmente, dove il ritrarsi dello stato crea un'opportunità, il mercato interviene. Le due triple file sono gestite da uno strano personaggio, molto caratteristico, un po' zoppicante, che si para in mezzo alla strada (a rischio della pelle) e alloca i giovin signori, o, per meglio dire, le loro vetture, con estrema efficienza. Fatto sta che la doppia tripla fila di viale Parioli la carreggiata la restringe un po' più del singolo tubo di Dublino, e prima o poi qualcuno si farà del male, dopo di che ci si chiederà come mai una situazione simile potesse essere stata per anni la norma (e ognuno si darà le sue risposte).
Comunque, questa sera passo indenne le due triple file e mi accingo ad andarmene a casa, quando, ops!, una via che dovevo imboccare, adiacente a via Fauro, era bloccata.
Di fatto, ci impedivano di tornare a casa. Cartelli quattro chilometri prima? Ma ovviamente non se ne parla! Cartelli sul posto? Io non ne ho visti. Un simpatico nastrino giallo, e due signori con un gilet giallo.
Sapete cosa stavano facendo? Stavano girando un film sulla prima storia. E, per farlo "realistico", lo giravano ai Parioli, ma non sul luogo dell'attentato. Ora, io dico, i casi sono due, caro cineasta che sicuramente avrò sovvenzionato con le mie tasse (perché viale Parioli è il regno del liberismo, ma il cinema italiano è il regno dello statalismo...): vuoi fare una cosa realistica? Bene: vai sul luogo in cui è successo il disastro, e chiedi a proprietari delle case: "Gentili signori, desiderate rivivere le splendide emozioni di quella notte? Posso scarnificare con una ruspa la facciata di casa vostra? Posso fottervi, al rientro delle vacanze, una quarantina di posti macchina per occuparli con automobili finte, pseudodistrutte da pseudocalcinacci?". Tu vai a chiederlo, loro verosimilmente ti respingono con perdite (cosa che disapprovo, ma si spiega col trauma subito), quello che resta di te si dedica ad altro, e morta lì.
In alternativa, fai come tutti: ci sono tanti begli studi a Cinecittà: ti fai fare una via Fauro fasulla, e fai con quella. Tanto oggi con l'elettronica tutto si aggiusta! Invece no! Il simpatico cineasta, cui va fin d'ora la mia gratitudine per la passione civile con la quale sta affrontando un episodio negletto della nostra storia recente (e che ricorderò nelle mie preghiere fino a quando non sarà più necessario) che si inventa? In studio no, sul luogo dell'evento no, ma un po' vicino, in un quadrivio (per bloccare mezzo quartiere) e naturalmente non in pieno agosto, quando ai Parioli c'eravamo solo io e il giornalaio, ma alla fine del mese, alla ripresa del delirio.
Tralascio la parte folcloristica della terza storia, che sarebbe quando un tizio in gilet giallo mi si avvicina nell'ombra per spiegarmi che non posso rientrare a casa perché c'è un film, e io chiedo: "ma un cazzo di cartello non lo potevano mettere?" e lui: "non si arrabbi, che una soluzione si trova!" e io: "guardi, per sua informazione: ancora non mi ha visto arrabbiato...".
Un po' di creatività e qualche contromano mi hanno permesso di rientrare. Ma solo perché so come è fatto il dedalo di viuzze che ci circonda. Lui, che forse doveva saperlo e dirmelo, non era visibilmente in grado di trovare una soluzione.
La morale
La morale è semplice: aridatece Oscare!
Noi ogni tanto ci prendiamo amabilmente gioco di Giannino, che però, a pensarci bene, non se lo merita. In effetti, nella sua vicenda ci sono due paradossi e un insegnamento.
Il primo paradosso è nel fatto che lui, che attribuisce i mali dell'Italia al fatto di essere un paese cialtrone e non meritocratico, abbia una simile esposizione dopo quanto si è scoperto. Ma proprio questo dimostra che ha ragione lui! In un paese normale, un'associazione imprenditoriale un minimo seria si sarebbe ben guardata dal tenersi un testimonial simile. Non c'è che dire, ha ragione Oscar: siamo un paese di cialtroni, non meritocratico (e così è chi ci rappresenta, non solo in parlamento, ma anche e soprattutto nei corpi intermedi).
Il secondo paradosso è nel fatto che lui venga chiamato economista senza esserlo. Ma proprio l'assenza di titoli dimostra che in effetti la sua conoscenza dei principi della scienza economica è superiore a quella di molti miei colleghi. Sarebbe infatti irrazionale, e quindi antieconomico, dotarsi (con fatica) delle competenze adeguate al titolo che ti viene attribuito (e ti lasci attribuire), se questo ti viene riconosciuto senza che tu faccia tanta fatica.
L'insegnamento è che questo, nonostante lo amiamo (perché se lo merita) non è, non riesce a essere un paese normale. È un paese nel quale i vigili (o chi per loro) non riescono a capire che non possono autorizzare il simpatico cineasta animato da passione civile a impedirti di tornare a casa senza: (1) avvertirti e (2) spiegarti (loro) cosa puoi fare. Semplicemente, non sono culturalmente attrezzati a farlo, non sono culturalmente pronti a tutelare la più ovvia delle libertà, più di quanto Stiglitz sia culturalmente attrezzato a capire la politica del nostro paese (spettacolare la sua richiesta di abolire il referendum per salvare l'euro che, però, secondo lui, è stato un errore - al perseverare nel quale dobbiamo sacrificare quel bene che gli americani con tanta larghezza esportano: la democrazia)!
Quanto rispetto nei cartelli di Dublino!
Tralascio la parte folcloristica della terza storia, che sarebbe quando un tizio in gilet giallo mi si avvicina nell'ombra per spiegarmi che non posso rientrare a casa perché c'è un film, e io chiedo: "ma un cazzo di cartello non lo potevano mettere?" e lui: "non si arrabbi, che una soluzione si trova!" e io: "guardi, per sua informazione: ancora non mi ha visto arrabbiato...".
Un po' di creatività e qualche contromano mi hanno permesso di rientrare. Ma solo perché so come è fatto il dedalo di viuzze che ci circonda. Lui, che forse doveva saperlo e dirmelo, non era visibilmente in grado di trovare una soluzione.
La morale
La morale è semplice: aridatece Oscare!
Noi ogni tanto ci prendiamo amabilmente gioco di Giannino, che però, a pensarci bene, non se lo merita. In effetti, nella sua vicenda ci sono due paradossi e un insegnamento.
Il primo paradosso è nel fatto che lui, che attribuisce i mali dell'Italia al fatto di essere un paese cialtrone e non meritocratico, abbia una simile esposizione dopo quanto si è scoperto. Ma proprio questo dimostra che ha ragione lui! In un paese normale, un'associazione imprenditoriale un minimo seria si sarebbe ben guardata dal tenersi un testimonial simile. Non c'è che dire, ha ragione Oscar: siamo un paese di cialtroni, non meritocratico (e così è chi ci rappresenta, non solo in parlamento, ma anche e soprattutto nei corpi intermedi).
Il secondo paradosso è nel fatto che lui venga chiamato economista senza esserlo. Ma proprio l'assenza di titoli dimostra che in effetti la sua conoscenza dei principi della scienza economica è superiore a quella di molti miei colleghi. Sarebbe infatti irrazionale, e quindi antieconomico, dotarsi (con fatica) delle competenze adeguate al titolo che ti viene attribuito (e ti lasci attribuire), se questo ti viene riconosciuto senza che tu faccia tanta fatica.
L'insegnamento è che questo, nonostante lo amiamo (perché se lo merita) non è, non riesce a essere un paese normale. È un paese nel quale i vigili (o chi per loro) non riescono a capire che non possono autorizzare il simpatico cineasta animato da passione civile a impedirti di tornare a casa senza: (1) avvertirti e (2) spiegarti (loro) cosa puoi fare. Semplicemente, non sono culturalmente attrezzati a farlo, non sono culturalmente pronti a tutelare la più ovvia delle libertà, più di quanto Stiglitz sia culturalmente attrezzato a capire la politica del nostro paese (spettacolare la sua richiesta di abolire il referendum per salvare l'euro che, però, secondo lui, è stato un errore - al perseverare nel quale dobbiamo sacrificare quel bene che gli americani con tanta larghezza esportano: la democrazia)!
Quanto rispetto nei cartelli di Dublino!
Un rispetto, una civiltà, che in effetti qui riscontro di rado in
condizioni normali. Un rispetto che fa la differenza fra cittadino e suddito. E quindi, sì, devo dirvelo, e ve lo dico: quanto vorrei vivere in un paese normale nei
momenti eccezionali, ed eccezionale nei momenti normali! Insomma: in un paese di cittadini normali, non di eccezionali sudditi. Credo che la pensasse così anche Gadda, e credo che tre persone qui abbiano chiaro il passo al quale mi riferisco.
Si apra la discussione, ma io non potrò partecipare: sono riuscito a tornare a casa, e adesso dormo...
(...domani mi informo se è normale questo modus operandi. Any clue? Io non ho nulla contro il nuovo cinema italiano. Però mi piace molto anche Proietti...)
Addendum pro veritate
SAR Rodelinda, regina dei Longobardi, mi ha imposto di pubblicare la seguente rettifica: "La vicenda del vetraio di via Fauro non dimostra la relazione fra shock di domanda e di offerta, ma l'elasticità della domanda al prezzo in regime di concorrenza monopolistica. In effetti è vero che il vetraio perse il magazzino, ma poteva approvvigionarsi da fornitori lontani da cratere, e vendere ai facoltosi (e tordi) abitanti dei Parioli, i quali, nell'urgenza, non poterono esercitare la loro sovranità di consumatori - con buona pace di Oscarè - e quindi si fecero tosare, dato che in concorrenza monopolistica la curva di offerta non è infinitamente elastica, il che attribuiva al vetraio un certo potere di mercato. Quindi, se vi siete preoccupati per lui, tranquillizzatevi: ora ci fa ciao ciao con la manina da un qualche paradiso tropicale, dove spero abbia avuto il buon senso di ritirarsi".
(...ho creato un mostro...)
Si apra la discussione, ma io non potrò partecipare: sono riuscito a tornare a casa, e adesso dormo...
(...domani mi informo se è normale questo modus operandi. Any clue? Io non ho nulla contro il nuovo cinema italiano. Però mi piace molto anche Proietti...)
Addendum pro veritate
SAR Rodelinda, regina dei Longobardi, mi ha imposto di pubblicare la seguente rettifica: "La vicenda del vetraio di via Fauro non dimostra la relazione fra shock di domanda e di offerta, ma l'elasticità della domanda al prezzo in regime di concorrenza monopolistica. In effetti è vero che il vetraio perse il magazzino, ma poteva approvvigionarsi da fornitori lontani da cratere, e vendere ai facoltosi (e tordi) abitanti dei Parioli, i quali, nell'urgenza, non poterono esercitare la loro sovranità di consumatori - con buona pace di Oscarè - e quindi si fecero tosare, dato che in concorrenza monopolistica la curva di offerta non è infinitamente elastica, il che attribuiva al vetraio un certo potere di mercato. Quindi, se vi siete preoccupati per lui, tranquillizzatevi: ora ci fa ciao ciao con la manina da un qualche paradiso tropicale, dove spero abbia avuto il buon senso di ritirarsi".
(...ho creato un mostro...)