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martedì 26 marzo 2024

"Il Signore ti dia altri cento anni!"

Fabrice, ayant l’air de marcher au hasard, s’avança dans la nef droite de l’église, jusqu’au lieu où ses cierges étaient allumés ; ses yeux se fixèrent sur la madone de Cimabué, puis il dit à Pépé en s’agenouillant : Il faut que je rende grâces un instant ; Pépé l’imita. Au sortir de l’église, Pépé remarqua que Fabrice donnait une pièce de vingt francs au premier pauvre qui lui demanda l’aumône ; ce mendiant jeta des cris de reconnaissance qui attirèrent sur les pas de l’être charitable les nuées de pauvres de tout genre qui ornent d’ordinaire la place de Saint-Pétrone. Tous voulaient avoir leur part du napoléon. Les femmes, désespérant de pénétrer dans la mêlée qui l’entourait, fondirent sur Fabrice, lui criant s’il n’était pas vrai qu’il avait voulu donner son napoléon pour être divisé parmi tous les pauvres du bon Dieu. Pépé, brandissant sa canne à pomme d’or, leur ordonna de laisser son excellence tranquille.


(...sempre più spesso "mon excellence" si imbatte in mendicanti, cioè in quelle persone che ci offrono l'opportunità di aiutare in concreto quell'umanità per la quale tutti siamo disposti a spenderci in astratto, quelle persone che pongono, a chi voglia porsele, due domande impegnative: "come ha fatto a ridursi così?" e "io, al suo posto, cosa farei?". Ogni volta, inevitabilmente penso al giovane Del Dongo, travolto sul sagrato di San Petronio dalle conseguenze non imprevedibili della sua trasognata e impulsiva generosità. La reazione istintiva di molti, spesso anche la mia, è quella di ignorare questa presenza più perturbante che importuna. Non è facile sostenere lo sguardo di chi, abdicando alla propria dignità, si affida alla solidarietà altrui. Non lo è, perché non è facile chiedere, non è facile confessare  in pubblico la propria fragilità, e di converso non è facile essere scossi nella propria certezza di essere al sicuro. Perché come è capitato a lui, così potrebbe capitare a te. Certo, anche in questo, come in altri casi, bisogna diffidare dei professionisti! Tuttavia, da un lato, non so a voi, ma a me capita sempre più di sorprendere a tendere la mano persone "come noi", persone visibilmente istruite ed educate, aggrappate disperatamente a quel minimo sindacale di decoro che le condizioni gli consentono, persone che si avvicinano sussurrando, che in tutta evidenza ancora non si rassegnano, non vogliono ammettere di essere costrette a tanto per tirare avanti. Persone, per semplificare, che vorrebbero lavorare, che un lavoro magari ce l'hanno avuto, o una pensione. Dall'altro, quand'anche fossero dei lazzaroni, resterebbe il fatto che sono uomini, e certo, se da un lato sussidiare il lazzarone è un incentivo - questo è l'argomento abituale di chi si sottrae - d'altra parte soprattutto se sei o pensi di essere cristiano ti sarà capitato di leggere "te autem faciente eleemosynam, nesciat sinistra tua quid faciat dextera tua, ut sit eleemosyna tua in abscondito, et Pater tuus, qui videt in abscondito, reddet tibi." Le opere di misericordia, insomma, per noi non dovrebbero essere un optional, e vi do una brutta notizia: nel pacchetto non è compresa solo la misericordia corporale dell'euretto abbandonato frettolosamente in mano altrui, ma dovrebbe essere anche compresa la misericordia spirituale della sopportazione e della consolazione, insomma: dell'ascolto, o, se volete, di quello che oggettivamente non possiamo dare, perché noi per primi, ahimè, non l'abbiamo: il tempo.

Del resto, potremmo anche dirci che uno Stato sociale esiste, e che dovrebbe pensarci lui. La teoria è qui, e qui. Sarebbe utile capire, caso per caso, se e quanto sovvenga ai singoli casi particolari, ma, appunto, ci vorrebbe del tempo, quel tempo che forse dovrei prendermi per questa, come per altre cose - incluso il dialogo con voi - ma che viene sacrificato in nome di esigenze più pressanti (a volerne, se ne trovano sempre).

Ieri "mon excellence" usciva da uno dei palazzi del potere vero, dove si era intrattenuto in questioni più o meno rilevanti con un detentore del potere vero, e a un angolo di via del Corso si è imbattuto in una signora anziana, non troppo trasandata. Ho tirato dritto, poi non so perché mi sono fermato, mi sono frugato le tasche, sono tornato indietro, e le ho affidato un pezzetto di carta non troppo stropicciato. Apparentemente quello che non cambiava la vita a me la cambiava a lei: si chiama utilità marginale! Sorpresa e confusa la signora si profondeva in ringraziamenti. E io, preoccupato da un possibile "effetto San Petronio", a dirle che non doveva, che era il minimo che potessi fare (ma evidentemente era molto oltre il massimo di quanto gli altri facevano), che le auguravo una buona giornata e che mi dispiaceva di non potermi trattenere.

E lei: "Sei una buona persona, il Signore ti dia altri cento anni!"

E io: "Grazie, ma me ne bastano molti di meno!"...)



(...ma è veramente così?...)



(...avrete constatato una certa mia fatica nel proseguire qui il nostro percorso. Non riesco più a star dietro a questa come a tante altre cose, comprese quelle che ho sacrificato a questa. Il tempo che posso dedicarvi si è compresso, la mia ora è una vita di incontri, incontri da organizzare, incontri cui partecipare, e di pratiche da istruire. La solitudine è diventata una risorsa scarsa, la lettura un paradiso perduto, inclusa quella dei vostri commenti, cui altresì non ho più tempo di rispondere, e così il dialogo fra di noi si sfilaccia...






















































[pausa]















































[qui in mezzo ci sono state tre telefonate e infiniti messaggi Whatsapp per una bega riguardante una cosa successa in una regione]





















....si sfilaccia lentamente, inesorabilmente. Sento che vi perdo e ci perdiamo mentre il momento richiederebbe che fossimo più saldi che mai, perché il nemico è in affanno, e questo lo rende particolarmente insidioso, e perché avete dimostrato, con la vostra presenza, di essere in grado di aiutarci a definire una linea più razionale (fra FinDay e voto sul MES c'è un chiaro rapporto di causa-effetto). D'altra parte, in queste pause forzate si accumulano così tanti temi, sono così tante le cose su cui vorrei confrontarmi con voi (pressoché ogni giorno si apre con una conferma degli scenari che abbiamo delineato lungo gli anni, a partire da quelli determinati dalle prevedibili difficoltà di Francia e Germania), che da un lato il motore della narrazione si ingolfa per eccesso di alimentazione, e dall'altro, però, i tempi ridotti per elaborare tutte queste conferme rischiano di confinare il blog a una stucchevole, notarile, autocompiaciuta enumerazione di cose che ci eravamo detti, perché mancano il tempo, il dialogo, il confronto necessari per capire insieme dove queste cose ci portano.

Ma siamo sicuri di non averlo capito, siamo sicuri di volerlo capire, e siamo sicuri di non essercelo già detto?

Alla fine, andremo dove era inevitabile che si sarebbe andati. Quando nel 2011 vi dissi che la Germania avrebbe segato il ramo su cui era seduta mi era piuttosto chiaro, e, ne sono certo, era chiaro anche a voi, che noi eravamo seduti su un ramo più basso. Siamo in quel ricorrente momento della storia in cui il capitalismo deve rianimare il ciclo dell'accumulazione. Qui ormai non può esserci ripresa senza ricostruzione, e per esserci ricostruzione, come vi dicevo in una delle ultime dirette Facebook, di quei lacerti di tempo che riesco a dedicarvi, deve esserci distruzione. As simple as that. Anche il "green" a modo suo era una ricostruzione, la ricostruzione di un mondo (quello green) che non c'era mai stato. Apparentemente questo ci esentava dallo spiacevole compito di distruggerlo, ma in realtà "lu grin" era ugualmente distruttivo e disgregante per il nostro tessuto industriale e per la nostra vita quotidiana, era un'autostrada verso la definitiva e totale subalternità dei nostri Paesi, e quindi non sta funzionando (s'ha mort) perché i cittadini, giustamente, non lo vogliono. C'è un'altra cosa che nessuno vuole, in astratto, ma che poi in concreto si ripresenta, e si andrà su quella lì, sui grandi classici: se debito deve essere - e non può non essere, dati gli squilibri interni all'area, squilibri autoinflitti, ma non per questo meno reali - allora debito sia, ma almeno debito di guerra, debito fatto per una "buona" ragione: la produzione e l'acquisto di armi. Siamo sicuri di non essercelo mai detto? Io sono quasi sicuro di avervi scritto più volte che le tensioni generate dalle nostre assurde regole fatalmente avrebbero condotto a una simile valvola di sfogo. L'abbattimento dei freni inibitori, se da un lato ci libera della mielosa ipocrisia che per anni ci ha presentato i conflitti coloniali come "missioni di pace", dall'altro è un elemento di ovvia inquietudine.

Alla fine, la mia lassitudine, il mio disamoramento, vengono anche dal fatto che tutto vorrei tranne che scrivere il QED definitivo, anche perché di questi tempi non si sa se qualora esso si palesi ci sarebbe il tempo o il modo di scriverlo, né a beneficio di chi esso verrebbe scritto.

Ma insomma, forse sono troppo pessimista: sarà il tempo, saranno gli anni che passano, sarà la frustrazione di non potervi sempre restituire il molto che mi avete dato né prendere il molto che avete ancora da darmi, ma anche questa curiosità non possiamo scioglierla: dicono i giornali che io sono coinvolto nell'elaborazione del programma per le europee, che a mio avviso sarebbe molto semplice da scrivere: meno Europa!, e in quello che i giornali dicono ci deve essere qualcosa di vero, perché fra un po' ho una call...)

(...e quindi, pensandoci meglio, in effetti altri 100 anni farebbero comodo, soprattutto se fosse possibile riceverli in due o tre tranche da vivere contemporaneamente, perché da solo è veramente complicata! Ci vediamo presto che devo parlarvi del #midterm...)

domenica 9 aprile 2017

Entre ici...

(...non so perché. Forse perché mi sento logoro. Questa sera vi tocca lui…)


Durant ce court dialogue, Fabrice était superbe au milieu de ces gendarmes, c’était bien la mine la plus fière et la plus noble ; ses traits fins et délicats, et le sourire de mépris qui errait sur ses lèvres, faisaient un charmant contraste avec les apparences grossières des gendarmes qui l’entouraient. Mais tout cela ne formait pour ainsi dire que la partie extérieure de sa physionomie ; il était ravi de la céleste beauté de Clélia, et son œil trahissait toute sa surprise. Elle, profondément pensive, n’avait pas songé à retirer la tête de la portière ; il la salua avec le demi-sourire le plus respectueux ; puis, après un instant :

— Il me semble, mademoiselle, lui dit-il, qu’autrefois, près d’un lac, j’ai déjà eu l’honneur de vous rencontrer avec accompagnement de gendarmes.

Clélia rougit et fut tellement interdite qu’elle ne trouva aucune parole pour répondre. Quel air noble au milieu de ces êtres grossiers ! se disait-elle au moment où Fabrice lui adressa la parole. La profonde pitié, et nous dirons presque l’attendrissement où elle était plongée, lui ôtèrent la présence d’esprit nécessaire pour trouver un mot quelconque, elle s’aperçut de son silence et rougit encore davantage. En ce moment on tirait avec violence les verrous de la grande porte de la citadelle, la voiture de Son Excellence n’attendait-elle pas depuis une minute au moins ? Le bruit fut si violent sous cette voûte, que, quand même Clélia aurait trouvé quelque mot pour répondre, Fabrice n’aurait pu entendre ses paroles. 

Emportée par les chevaux qui avaient pris le galop aussitôt après le pont-levis, Clélia se disait : Il m’aura trouvée bien ridicule ! Puis tout à coup elle ajouta : Non pas seulement ridicule ; il aura cru voir en moi une âme basse, il aura pensé que je ne répondais pas à son salut parce qu’il est prisonnier et moi fille du gouverneur.

Cette idée fut du désespoir pour cette jeune fille qui avait l’âme élevée. Ce qui rend mon procédé tout à fait avilissant, ajouta-t-elle, c’est que jadis, quand nous nous rencontrâmes pour la première fois, aussi avec accompagnement de gendarmes, comme il le dit, c’était moi qui me trouvais prisonnière, et lui me rendait service et me tirait d’un fort grand embarras. Oui, il faut en convenir, mon procédé est complet, c’est à la fois de la grossièreté et de l’ingratitude. Hélas ! le pauvre jeune homme ! maintenant qu’il est dans le malheur tout le monde va se montrer ingrat envers lui. Il m’avait bien dit alors : Vous souviendrez-vous de mon nom à Parme ? Combien il me méprise à l’heure qu’il est ! Un mot poli était si facile à dire ! Il faut l’avouer, oui, ma conduite a été atroce avec lui. Jadis, sans l’offre généreuse de la voiture de sa mère, j’aurais dû suivre les gendarmes à pied dans la poussière, ou, ce qui est bien pis, monter en croupe derrière un de ces gens-là ; c’était alors mon père qui était arrêté et moi sans défense ! Oui, mon procédé est complet. Et combien un être comme lui a dû le sentir ! vivement Quel contraste entre sa physionomie si noble et mon procédé ! Quelle noblesse quelle sérénité ! Comme il avait l’air d’un héros entouré de ses vils ennemis ! Je comprends maintenant la passion de la duchesse : puisqu’il est ainsi au milieu d’un événement contrariant et qui peut avoir des suites affreuses, quel ne doit-il pas paraître lorsque son âme est heureuse !

Le carrosse du gouverneur de la citadelle resta plus d’une heure et demie dans la cour du palais, et toutefois, lorsque le général descendit de chez le prince, Clélia ne trouva point qu’il y fût resté trop longtemps.

— Quelle est la volonté de Son Altesse ? demanda Clélia.

— Sa parole a dit la prison et son regard la mort !

— La mort ! Grand Dieu ! s’écria Clélia.

— Allons, tais-toi ! reprit le général avec humeur ; que je suis sot de répondre à un enfant !

Pendant ce temps, Fabrice montait les trois cent quatre-vingts marches qui conduisaient à la tour Farnèse, nouvelle prison bâtie sur la plate-forme de la grosse tour, à une élévation prodigieuse. Il ne songea pas une seule fois, distinctement du moins, au grand changement qui venait de s’opérer dans son sort. Quel regard ! se disait-il ; que de choses il exprimait ! quelle profonde pitié ! Elle avait l’air de dire la vie est un tel tissu de malheurs ! Ne vous affligez point trop de ce qui vous arrive ! est-ce que nous ne sommes point ici-bas pour être infortunés ? Comme ses yeux si beaux restaient attachés sur moi, même quand les chevaux s’avancaient avec tant de bruit sous la voûte !

Fabrice oubliait complètement d’être malheureux.

(...some years later…)

Il serait bien long de décrire tous les genres de folies auxquels furent en proie, ce jour-là, les cœurs de Fabrice et de Clélia. La petite porte indiquée dans le billet n’était autre que celle de l’orangerie du palais Crescenzi, et, dix fois dans la journée, Fabrice trouva le moyen de la voir. Il prit des armes, et seul, un peu avant minuit, d’un pas rapide, il passait près de cette porte, lorsqu’à son inexprimable joie, il entendit une voix bien connue, dire d’un ton très-bas :

— Entre ici, ami de mon cœur.

Fabrice entra avec précaution et se trouva à la vérité dans l’orangerie, mais vis-à-vis une fenêtre fortement grillée et élevée, au-dessus du sol, de trois ou quatre pieds. L’obscurité était profonde, Fabrice avait entendu quelque bruit dans cette fenêtre, et il en reconnaissait la grille avec la main, lorsqu’il sentit une main, passée à travers les barreaux, prendre la sienne et la porter à des lèvres qui lui donnèrent un baiser.

— C’est moi, lui dit une voix chérie, qui suis venue ici pour te dire que je t’aime, et pour te demander si tu veux m’obéir.

On peut juger de la réponse, de la joie, de l’étonnement de Fabrice ; après les premiers transports, Clélia lui dit : 

— J’ai fait vœu à la Madone, comme tu sais, de ne jamais te voir ; c’est pourquoi je te reçois dans cette obscurité profonde. Je veux bien que tu saches que, si jamais tu me forçais à te regarder en plein jour, tout serait fini entre nous. Mais d’abord, je ne veux pas que tu prêches devant Anetta Marini, et ne va pas croire que c’est moi qui ai eu la sottise de faire porter un fauteuil dans la maison de Dieu.

— Mon cher ange, je ne prêcherai plus devant qui que ce soit ; je n’ai prêché que dans l’espoir qu’un jour je te verrais.

— Ne parle pas ainsi, songe qu’il ne m’est pas permis, à moi, de te voir.



(...sentiamo dire che invecchiando, as a rule and on average, si comprendono più cose. Ora, succede che queste pagine, che ho tanto capito e amato a vent’anni, oggi siano per me incomprensibili. Non c’è Clelia che possa farmi dimenticare la mia prigione, né attirarmi nella sua. Quindi, as it happens, comprendo cose per me allora incomprensibili, e non comprendo più cose per me allora assolutamente evidenti. Er Palla, forse, potrebbe capire queste pagine, se le conoscesse. Ma non le conoscerà mai, se non, forse, quando non potrà più capirle. Che peccato: lui che indubbiamente ha un côté Fabrice bien développé… Ora provo a dormire: si può dimenticare la propria infelicità, ma è molto più difficile dimenticare quella altrui. Capire come resistere, e come aiutarvi a resistere, non è ovvio…)

sabato 26 marzo 2016

Stendhal vs. Renzi: democrazia, privatizzazioni e corruzione

(...i grandi classici...)

(...per quello che vuole portarmi sul delta: oggi ho fatto la lunga, ma sono sceso a 6,6, dai 6,8 dell'altra volta. Lì come va? Tutto bene? Tieniti leggero a Pasqua...)

"Je m'ennuierais en Amérique, au milieu d'hommes parfaitement justes et raisonnables, si l'on  veut, mais grossier, mais ne songeant qu'au dollar [...] Faire la cour aux hommes du peuple, comme il est de nécessité en Amérique, est au-dessus de mes forces. Il me faut les moeurs élégantes, fruit du gouvernement corrompu de Louis XV..."



Viva la sincerità! Stendhal era un progressista, come forse saprete, quindi fottutamente aristocratico, come capita spesso agli amici dell'umanità (amici sì, purché stia a casa sua...), ma almeno si rendeva conto delle sue contraddizioni e non si nascondeva dietro a un dito. Cosa della quale oggi ci sarebbe tanto bisogno.

Mi tornavano in mente ieri queste parole, e anche delle altre, che ora non riesco a trovare (ma voi che sapete tutto sono sicuro che mi aiuterete): quando dice che in fondo fra monarchia e democrazia la seconda offre una certezza: quella di essere comunque il governo dei bottegai. La monarchia, viceversa, soggiace al caso: un re può nascere bischero (da noi in effetti è andata sempre così), oppure no, nel qual caso, magari, le cose vanno meglio con una monarchia costituzionale (la carta del 1830) che con una democrazia ammeregana (la Merika essendo allora il termine di paragone, la democrazia realizzata di inizio XIX secolo...).

Ci pensavo un po' perché, come sapete, a Giovinia c'è del fermento: i giovini vogliono darsi un governo, e io li incoraggiavo a scegliere un regime democratico. Ma, come avrete visto, loro sono piuttosto intenzionati ad estrarre a sorte i propri governanti. Una proposta, faceva notare Silvia, non molto originale, ma comunque con fondamenti nelle scienze politiche (ad esempio ne parlano Del Savio e Mameli in un articolo contro il Parlamento Europeo che vi ho indicato tempo addietro, e che sviluppa il loro concetto di democrazia antirappresentativa come antidoto alla cattura dei politici da parte delle oligarchie), e anche nella letteratura: in fondo, Stendhal preferisce la monarchia (costituzionale) proprio perché gli consente di affidarsi al caso, alla lotteria della genetica.

Ci pensavo anche perché a Parigi, in trasmissione (una trasmissione che dovrebbe andare in onda ai primi di aprile, mi hanno detto), parlavo a Jacques Sapir della crisi bancaria italiana, e facevo questa riflessione che qui molti di voi hanno fatto prima e meglio di me: abbiamo privatizzato il sistema bancario a metà anni '90 per moralizzarlo sottraendolo alla politica, e invece, alla fine, gli intrecci con la politica sono diventati ancora più perversi (non dico incestuosi altrimenti mi querelano: mi riferirei eventualmente al fatto che la politica è figlia dell'economia...). Partendo da questa riflessione, gli spiegavo il paradosso di avere un capo del governo che comincia a difendere gli interessi del paese nel momento in cui una crisi finanziaria privata, nella quale è coinvolto per relazioni in qualche modo legate al suo percorso politico, lo tocca personalmente, costringendolo ad alzare i toni per consolidare il consenso interno (parlare a Merkel perché piddino intenda).

Si conferma così che l'antinomia "pubblico-corrotto"/"privato-incorrotto" non funziona proprio, e l'abbiamo visto (esempio preclaro, in altre settore e altre paese: il caso VW). Un pezzo del problema è che con le "privatizzazioni" la politica cacciata dalla porta rientra dalla finestra, diventando più evanescente, più sottratta ai normali meccanismi di controllo giurisdizionale preventivo e politico successivo (qualcuno ha capito cosa sono le fondazioni bancarie?). Poi direi che anche qui si applica la lotteria di Stendhal: se la genetica aiuta, può anche darsi che un politico, per altruismo, per narcisismo, devii ogni tanto dal porco comodo suo e faccia magari per sbaglio l'interesse collettivo. Ma un privato ci offre sempre e solo un'unica certezza: quella che, se gli si lasciano le briglie sul collo, si farà sempre e comunque prima i fatti suoi, con qualsiasi mezzo e a qualsiasi costo - purché sostenuto dagli altri!

E, se ci pensate, questo spiega tanti problemi "sistemici". In termini aulici lo chiamiamo fallimento del mercato...



(...e si conferma anche la legge di Bagnai: nei grandi classici è meglio entrare dalla porta di servizio. Spesso gli autori sono più veri dove sono più umani, cioè meno grandi...)