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martedì 20 ottobre 2015

"La Spagna sta bene"

(...io sto meglio. Meglio della Spagna, e meglio di prima. Ma ci vuole veramente poco. Ho imparato che le vacanze servono, e anche lì, dopo tre anni, era facile prevedere una elevata produttività marginale. Ho imparato che non posso lavorare ogni sera fino all'una, quindi mi spiace per chi si è drogato di blog: cambiate pusher - anche perché i più "a ròta" sono, come da copione, i meno consapevoli, e hanno bisogno di questo blog soprattutto come luogo per leccarsi le ferite quando soccombono meritatamente negli scontri col piddino di turno. Ho imparato che il Signore manda avvertimenti: ha avuto la bontà di ricordarmi che ho dei parametri sballati, scegliendo, per delicatezza, quello meno letale, cosa della quale gli sono immensamente grato. Ora, quando incontro micuggino, parliamo delle nostre esperienze coi medici, e c'è da farsi delle gran risate: nella professione medica il piddinismo è almeno tanto diffuso quanto in quella insegnante - per non parlare dei miei amici di sempre, gli ingengngnieri! Ma i medici hanno sugli economisti il vantaggio del corpo a corpo... Comunque, grazie a roberto b anche i diversamente europei possono godersi il post di Agenor...)



In Spagna più nessuno si azzarda a utilizzare in modo esplicito lo slogan con cui José María Aznar pretendeva di mettere a tacere qualsivoglia voce critica sul suo governo, proclamando che "la Spagna sta bene", punto. Nonostante ciò, è questo il messaggio che esplicitamente si cerca di vendere in questi mesi che s'avvicinano alla campagna elettorale per le elezioni politiche di novembre. Il dibattito sull'economia sta diventando più animato, ma non più informato. La Spagna è il paese nel quale si parla di meno del problema fondamentale dell'economia europea: l'unione monetaria, la sua instabilità, l'inefficienza e la difficile sostenibilità.

Sette anni dopo la sua caduta in recessione, il paese non ha ancora recuperato il livello del PIL che aveva nel 2008. Nella sua storia non ha mai vissuto una recessione così lunga. Il paese che più ha sofferto gli eccessi e i difetti di questo sistema monetario è anche quello che sembra meno disposto a metterlo in discussione. Basterebbe domandarsi perché la Spagna ha sofferto, e ancora sta soffrendo, una perdita di ricchezza, di occupazione e di diritti maggiore di quella degli altri paesi

Dal momento in cui è stata decisa la moneta unica, eliminando il "rischio di cambio", i flussi di capitale all'interno dell'unione monetaria sono schizzati in alto, crescendo del 500% in 6 anni. La maggior parte di questi flussi erano diretti in Spagna, Sarebbe molto bello pensare che lo facevano perché questo è un paese meraviglioso sotto molti aspetti e offriva le migliori opportunità di investimento. Disgraziatamente però la "scienza triste" ci spiega che che tutto ciò era dovuto ai differenziali di inflazione, i quali facevano in modo che lo stesso tasso di interesse nominale fissato dalla BCE, si traducesse in minor tasso di interesse reale nei paesi ad alta inflazione, come la Spagna, e maggiore in quelli a inflazione più bassa, come la Germania. Questo ha prodotto un circolo vizioso di più capitali, più domanda, più inflazione, minor tasso di interesse reale, che a sua volta attirava più capitali, ecc.

E tutto ciò andava avanti di fronte all'indifferenza o, peggio ancora, alla compiacenza dei regolatori nazionali, ma soprattutto europei. I primi pontificavano che "la Spagna va bene", i secondi che ciò era la prova che l'integrazione economica europea funzionava. Nessuno si preoccupava del fatto che squilibri così enormi nella bilancia dei pagamenti delle economie avrebbero potuto esplodere mandandole in rovina.

Quando il panico ha pervaso i mercati finanziari, dopo il fallimento della Lehman, il giocattolo europeo s'è rotto e paesi come la Spagna si sono trovati di colpo con deficit di conti correnti senza precedenti. Tutti i capitali che erano entrati in forma così massiccia per sostenere quel deficit hanno smesso di farlo. Questo è il momento tipico in cui avvengono le crisi della bilancia dei pagamenti: il paese che ha accumulato un deficit commerciale perde la fonte esterna che lo sosteneva e ha urgente bisogno di recuperare competitività e assorbire il deficit. Invece il paese che ha accumulato un surplus di conto corrente non ha alcuna urgenza di assorbirlo in modo altrettanto rapido. In questi casi la ricetta standard, quasi sempre applicata dal FMI, prevede tagli fiscali per moderare la domanda interna e svalutazione monetaria per recuperare la competitività con l'estero. Il problema della Spagna è che, senza uscire dall'unione monetaria, non ha potuto disporre della seconda misura.

Come si può dunque recuparare rapidamente competitività relativa, persa in un decennio di differenziali di inflazione, senza poter disporre dello strumento standard del tasso di cambio? Ovviamente con la deflazione salariale. Quantunque si travesta da inevitabilità tecnica, questa è una decisione politica. In un primo momento, milioni di lavoratori vengono espulsi dai settori prima sostenuti da quei capitali che adesso sono spariti. Il che di per sé aumenta la pressione su coloro che lavorano accettando un salario più basso. E se ciò non basta, si introducono dure riforme della legislazione sul lavoro al fine di abbassare ulteriormente il costo del lavoro e ridurre la protezione giuridica dei lavoratori. I milioni di disoccupati che desiderano il tuo posto ti convinceranno ad accettare di venir pagato di meno per lavorare di più e con meno diritti.

In teoria la spesa pubblica per la sicurezza sociale potrebbe giocare un ruolo di compensazione, ma così non è stato. Si parla molto di "austerità", ma non è proprio corretto dire che in questi anni i governi spagnoli abbiano praticato l'"austerità", intesa nel senso del taglio alla spesa pubblica e della riduzione del deficit. Piuttosto, è avvenuto l'opposto. All'inizio della crisi, la Spagna partiva da un livello di debito pubblico tra i più bassi di tutto il mondo: 35% del PIL nel 2007. Da allora ha avuto un deficit medio annuale dell'8% del PIL, livello praticamente unico in tutta Europa, ben superiore al limite del 3% e a qualsivoglia criterio che possa definire una politica di consolidamento budgetario.
La Spagna ha triplicato il suo livello di debito pubblico, però questo non ha aiutato a diminuire la disoccupazione, semmai è avvenuto il contrario: nello stesso periodo in cui il debito pubblico triplicava, anche il tasso di disoccupazione triplicava. A fronte d'uno stimolo fiscale medio dell'8% nel corso degli ultimi 8 anni, una crescita media negativa (vale a dire la recessione) è veramente rabbrividente. Il fatto che quest'anno l'economia torni a crescere, a fronte di uno stimolo fiscale di quelle proporzioni, non è sufficiente per considerarsi fuori della crisi. Se si guarda la situazione con un minimo di freddezza, si vede la storia d'un fallimento macroeconomico.

Dal punto di vista dell'aggiustamento macroeconomico, in Spagna sono successe fondamentalmente due cose. Primo, il debito pubblivo ha sostituito l'enorme debito privato degli anni precedenti la crisi. Questa enorme quantità di spesa pubblica non è stata diretta verso l'economia reale, bensì a tappare i buchi delle banche private.



Figura 1: Indebitamento pubblico e privato, annuale in % del PIL.




Ma attenzione. non delle banche spagnole che agivano da semplici intemediari, semmai delle banche di altri paesi della zona euro, la cui esposizione verso la Spagna e verso la sua bolla  immobiliare ha raggiunto livelli senza precedenti nella storia europea. All'inizio del 2008, l'esposizione delle banche di altri paesi della zona euro verso le banche spagnole, ossia i capitali privati che entravano nel paese, era uguale alla metà del PIL della Spagna, La metà di questi capitali, corrispondenti alla quarta parte dell'intero PIL spagnolo, proveniva da banche tedesche. Il che significa che la bolla immobiliare spagnola è stato il piatto ricco in cui tutte le banche della zona euro, e in particolare di altri paesi, mangiavano.

Una volta scoppiata la crisi, queste banche, soprattutto quelle tedesche, sono state di fatto salvate con denaro pubblico spagnolo, che è servito a tappare i loor buchi passando attraverso le abnche spagnole, che sono state unicamente degli intermediari. Se non si capisce questo processo, si continuerà a fomentare una sterile guerra interna alla Spagna, in cui i cittadini accusano i politici dei tagli, i quali accusano le banche dei tagli e chiedono ai cittadini maggiori sacrifici per essere più competitivi, senza rendersi conto che il bottino è finito all'estero.

Il risultato è l'enorme zavorra di un debito pubblico triplicato in 7 anni, che a partire da adesso i cittadini spagnoli dovranno sopportare e cominciare a pagare (non fa differenza se tutti assieme o divisi, se parti del territorio proclamano o meno la loro indipendenza...). Qualunque sia il governo che uscirà dalle elezioni, non avrà altro rimedio che iniziare ad aggiustare i conti e, a fronte di tassi di crescita che non potranno mai compensare l'indebitamento medio degòli 8 anni precedenti, dovranno tagliare in modo significativo ogni tipo di investimento pubblico e aumentare le imposte. In Spagna la vera austerità deve ancora arrivare.

Il secondo processo è stato un brusco aggiustamento della bilancia dei conti correnti del paese. Questo aggiustamento è stato realizzato comprimendo la domanda interna, deprimendo l'economia e distruggendo il potenziale di crescita. La pressoché perfetta simmetria tra l'output gap e la bilancia dei conti correnti ci dice che questo aggiustamento è stato soltanto ciclico e non strutturale.





Figura 2: Bilancia dei conti correnti e output gap, annuale in % del PIL. 





Questo cosa significa? Semplicemente che non è cambiata la capacità strutturale di migliorare a livello internazionale la  produttività relativa della Spagna, che la sua bilancia commerciale continua a dipendere unicamente dal livello di reddito della popolazione, che il suo deficit di competitività estera continua a essere lo stesso, legato soltanto alla capacità e alla volontà politiche di impoverire i cittadini affinché abbiano minor potere d'acquisto, quindi si importi meno. Come conseguenza, la posizione di investimento internazionale netto della Spagna peggiora anno dopo anno ed è già la seconda peggiore dell'intera zona euro.

Nulla è cambiato in Spagna né nell'unione monteraria in modo tale che possa rendere più sostenibile la permanenza del paese nella zona euro. Rifiutandosi di mettere in discussione la permanenza del paese in questa unione monetaria, l'attuale classe politica spagnola nella sua totalità sta oggi assumendo una tremenda responsabilità. Nessuno è disposto a guardare al cuore del problema, ad aprire un dibattito sui costi e benefici xella permanenza nell'unione monetaria, e il livello della discussione economica è veramente lamentabile. Tutto questo non è di buon auspicio per le prossime elezioni politiche né per il futuro del paese.

Non volendo ammettere che questo sistema di cambi fissi sta strangolando il paese e i suoi cittadini, nei prossimi decenni la Spagna sarà costretta ad affrontare periodiche crisi di perdita di competitività, che potranno essere risolte unicamente con maggiore svalutazione interna, maggiore disoccupazione, maggiori riduzioni di salari e diritti, maggior impoverimento e maggiore immigrazione forzata dei suoi giovani migliori. Non vedere questa chiarissima prospettiva in forza d'una qualunque arma di distrazione di massa (che sia la corruzione, o la questione territoriale, o il racconto che la "Spagna va bene") è la ricetta perfetta per condannarsi a essere un paese in via di sottosviluppo.

Agenor




(...con un caro saluto al nostro amico Furbini, che è anche lui una creatura di Dio...)