In Spagna più nessuno si azzarda a utilizzare in modo
esplicito lo slogan con cui José María Aznar pretendeva di mettere a tacere
qualsivoglia voce critica sul suo governo, proclamando che "la Spagna sta
bene", punto. Nonostante ciò, è questo il messaggio che esplicitamente si
cerca di vendere in questi mesi che s'avvicinano alla campagna elettorale per
le elezioni politiche di novembre. Il dibattito sull'economia sta diventando
più animato, ma non più informato. La Spagna è il paese nel quale si parla di
meno del problema fondamentale dell'economia europea: l'unione monetaria, la
sua instabilità, l'inefficienza e la difficile sostenibilità.
Sette anni dopo la sua caduta in recessione, il paese
non ha ancora recuperato il livello del PIL che aveva nel 2008. Nella sua
storia non ha mai vissuto una recessione così lunga. Il paese che più ha
sofferto gli eccessi e i difetti di questo sistema monetario è anche quello che
sembra meno disposto a metterlo in discussione. Basterebbe domandarsi perché la
Spagna ha sofferto, e ancora sta soffrendo, una perdita di ricchezza, di
occupazione e di diritti maggiore di quella degli altri paesi
Dal momento in
cui è stata decisa la moneta unica, eliminando il "rischio di
cambio", i flussi di capitale all'interno dell'unione monetaria sono
schizzati in alto, crescendo del 500% in 6 anni. La maggior parte di questi
flussi erano diretti in Spagna, Sarebbe molto bello pensare che lo facevano
perché questo è un paese meraviglioso sotto molti aspetti e offriva le migliori
opportunità di investimento. Disgraziatamente però la "scienza triste" ci spiega che che tutto ciò era dovuto ai differenziali di
inflazione, i quali facevano in modo che lo stesso tasso di interesse nominale
fissato dalla BCE, si traducesse in minor tasso di interesse reale nei paesi ad
alta inflazione, come la Spagna, e maggiore in quelli a inflazione più bassa,
come la Germania. Questo ha prodotto un circolo vizioso di più capitali, più
domanda, più inflazione, minor tasso di interesse reale, che a sua volta
attirava più capitali, ecc.
E tutto ciò
andava avanti di fronte all'indifferenza o, peggio ancora, alla compiacenza dei
regolatori nazionali, ma soprattutto europei. I primi pontificavano che
"la Spagna va bene", i secondi che ciò era la prova che
l'integrazione economica europea funzionava. Nessuno si preoccupava del fatto
che squilibri così enormi nella bilancia dei pagamenti delle economie avrebbero
potuto esplodere mandandole in rovina.
Quando il panico
ha pervaso i mercati finanziari, dopo il fallimento della Lehman, il giocattolo
europeo s'è rotto e paesi come la Spagna si sono trovati di colpo con deficit
di conti correnti senza precedenti. Tutti i capitali che erano entrati in forma
così massiccia per sostenere quel deficit hanno smesso di farlo. Questo è il
momento tipico in cui avvengono le crisi della bilancia dei pagamenti: il paese
che ha accumulato un deficit commerciale perde la fonte esterna che lo
sosteneva e ha urgente bisogno di recuperare competitività e assorbire il
deficit. Invece il paese che ha accumulato un surplus di conto corrente non ha
alcuna urgenza di assorbirlo in modo altrettanto rapido. In questi casi la
ricetta standard, quasi sempre applicata dal FMI, prevede tagli fiscali per
moderare la domanda interna e svalutazione monetaria per recuperare la
competitività con l'estero. Il problema della Spagna è che, senza uscire
dall'unione monetaria, non ha potuto disporre della seconda misura.
Come si può
dunque recuparare rapidamente competitività relativa, persa in un decennio di
differenziali di inflazione, senza poter disporre dello strumento standard del
tasso di cambio? Ovviamente con la deflazione salariale. Quantunque si travesta
da inevitabilità tecnica, questa è una decisione politica. In un primo momento,
milioni di lavoratori vengono espulsi dai settori prima sostenuti da quei
capitali che adesso sono spariti. Il che di per sé aumenta la pressione su
coloro che lavorano accettando un salario più basso. E se ciò non basta, si
introducono dure riforme della legislazione sul lavoro al fine di abbassare
ulteriormente il costo del lavoro e ridurre la protezione giuridica dei
lavoratori. I milioni di disoccupati che desiderano il tuo posto ti
convinceranno ad accettare di venir pagato di meno per lavorare di più e con meno
diritti.
In teoria la
spesa pubblica per la sicurezza sociale potrebbe giocare un ruolo di
compensazione, ma così non è stato. Si parla molto di "austerità", ma
non è proprio corretto dire che in questi anni i governi spagnoli abbiano
praticato l'"austerità", intesa nel senso del taglio alla spesa
pubblica e della riduzione del deficit. Piuttosto, è avvenuto l'opposto.
All'inizio della crisi, la Spagna partiva da un livello di debito pubblico tra
i più bassi di tutto il mondo: 35% del PIL nel 2007. Da allora ha avuto un
deficit medio annuale dell'8% del PIL, livello praticamente unico in tutta
Europa, ben superiore al limite del 3% e a qualsivoglia criterio che possa
definire una politica di consolidamento budgetario.
La Spagna ha
triplicato il suo livello di debito pubblico, però questo non ha aiutato a
diminuire la disoccupazione, semmai è avvenuto il contrario: nello stesso
periodo in cui il debito pubblico triplicava, anche il tasso di disoccupazione
triplicava. A fronte d'uno stimolo fiscale medio dell'8% nel corso degli ultimi
8 anni, una crescita media negativa (vale a dire la recessione) è veramente
rabbrividente. Il fatto che quest'anno l'economia torni a crescere, a fronte di
uno stimolo fiscale di quelle proporzioni, non è sufficiente per considerarsi
fuori della crisi. Se si guarda la situazione con un minimo di freddezza, si
vede la storia d'un fallimento macroeconomico.
Dal punto di
vista dell'aggiustamento macroeconomico, in Spagna sono successe
fondamentalmente due cose. Primo, il debito pubblivo ha sostituito l'enorme
debito privato degli anni precedenti la crisi. Questa enorme quantità di spesa
pubblica non è stata diretta verso l'economia reale, bensì a tappare i buchi delle banche private.
Figura 1: Indebitamento pubblico e
privato, annuale in % del PIL.
Ma attenzione.
non delle banche spagnole che agivano da semplici intemediari, semmai delle
banche di altri paesi della zona euro, la cui esposizione verso la Spagna e
verso la sua bolla immobiliare ha
raggiunto livelli senza precedenti nella storia europea. All'inizio del 2008,
l'esposizione delle banche di altri paesi della zona euro verso le banche
spagnole, ossia i capitali privati che entravano nel paese, era uguale alla
metà del PIL della Spagna, La metà di questi capitali, corrispondenti alla
quarta parte dell'intero PIL spagnolo, proveniva da banche tedesche. Il che
significa che la bolla immobiliare spagnola è stato il piatto ricco in cui
tutte le banche della zona euro, e in particolare di altri paesi, mangiavano.
Una volta
scoppiata la crisi, queste banche, soprattutto quelle tedesche, sono state di
fatto salvate con denaro pubblico spagnolo, che è servito a tappare i loor
buchi passando attraverso le abnche spagnole, che sono state unicamente degli
intermediari. Se non si capisce questo processo, si continuerà a fomentare una
sterile guerra interna alla Spagna, in cui i cittadini accusano i politici dei
tagli, i quali accusano le banche dei tagli e chiedono ai cittadini maggiori
sacrifici per essere più competitivi, senza rendersi conto che il bottino è
finito all'estero.
Il risultato è
l'enorme zavorra di un debito pubblico triplicato in 7 anni, che a partire da
adesso i cittadini spagnoli dovranno sopportare e cominciare a pagare (non fa
differenza se tutti assieme o divisi, se parti del territorio proclamano o meno
la loro indipendenza...). Qualunque sia il governo che uscirà dalle elezioni,
non avrà altro rimedio che iniziare ad aggiustare i conti e, a fronte di tassi
di crescita che non potranno mai compensare l'indebitamento medio degòli 8 anni
precedenti, dovranno tagliare in modo significativo ogni tipo di investimento
pubblico e aumentare le imposte. In Spagna la vera austerità deve ancora
arrivare.
Il secondo
processo è stato un brusco aggiustamento della bilancia dei conti correnti del
paese. Questo aggiustamento è stato realizzato comprimendo la domanda interna,
deprimendo l'economia e distruggendo il potenziale di crescita. La pressoché
perfetta simmetria tra l'output gap e la bilancia dei conti correnti ci dice
che questo aggiustamento è stato soltanto ciclico e non strutturale.
Figura 2: Bilancia dei conti
correnti e output gap, annuale in % del PIL.
Questo cosa
significa? Semplicemente che non è cambiata la capacità strutturale di
migliorare a livello internazionale la
produttività relativa della Spagna, che la sua bilancia commerciale
continua a dipendere unicamente dal livello di reddito della popolazione, che
il suo deficit di competitività estera continua a essere lo stesso, legato
soltanto alla capacità e alla volontà politiche di impoverire i cittadini
affinché abbiano minor potere d'acquisto, quindi si importi meno. Come
conseguenza, la posizione di investimento internazionale netto della Spagna
peggiora anno dopo anno ed è già la seconda peggiore dell'intera zona euro.
Nulla è cambiato
in Spagna né nell'unione monteraria in modo tale che possa rendere più
sostenibile la permanenza del paese nella zona euro. Rifiutandosi di mettere in
discussione la permanenza del paese in questa unione monetaria, l'attuale
classe politica spagnola nella sua totalità sta oggi assumendo una tremenda
responsabilità. Nessuno è disposto a guardare al cuore del problema, ad aprire
un dibattito sui costi e benefici xella permanenza nell'unione monetaria, e il
livello della discussione economica è veramente lamentabile. Tutto questo non è
di buon auspicio per le prossime elezioni politiche né per il futuro del paese.
Non volendo
ammettere che questo sistema di cambi fissi sta strangolando il paese e i suoi
cittadini, nei prossimi decenni la Spagna sarà costretta ad affrontare
periodiche crisi di perdita di competitività, che potranno essere risolte
unicamente con maggiore svalutazione interna, maggiore disoccupazione, maggiori
riduzioni di salari e diritti, maggior impoverimento e maggiore immigrazione
forzata dei suoi giovani migliori. Non vedere questa chiarissima prospettiva in
forza d'una qualunque arma di distrazione di massa (che sia la corruzione, o la
questione territoriale, o il racconto che la "Spagna va bene") è la
ricetta perfetta per condannarsi a essere un paese in via di sottosviluppo.
Agenor
(...con un caro saluto al nostro amico Furbini, che è anche lui una creatura di Dio...)