(...per i quattro(mila) gatti che sono rimasti qui, dopo il mio infame tradimento - che è quello di restare fedele al me stesso che io percepisco, non a quello che altri percepiscono nel loro allucinato delirio cataro - riprendo una consuetudine che abbiamo portato avanti, con qualche eccezione, negli anni precedenti:
- nel 2011, parlando di Savonarola vs. Paperoga - anche sui temi ambientali siamo stati precursori, era chiaro che si andava a parare lì;
- nel 2013, commentando una mia audizione informale alla Commissione finanze della Camera - quella volta che un commesso mi disse che sarei tornato dalla porta principale;
- nel 2014, riferendo di un intervento in televisione che è andato perduto, come tanto materiale postato su questo blog;
- nel 2015, dove, parlando di moneta, corruzione e politica attribuivo una probabilità elevata allo scenario in cui ci troviamo (un #sevedeva di ampie proporzioni);
- nel 2017, parlando dell'Europa secondo i tedeschi, tema sempre affascinante e rilevante, data la rilevanza della Germania nel contesto europeo.
Dal 2018 in poi non mi è stato possibile, per un motivo o per l'altro, dedicarvi del tempo a fine anno, e del resto anche quest'anno sono rimasto appeso a certe cose che dovevo chiudere fino alle 17:35 di due giorni fa, per la gioia degli assistenti del Senato che dovevano tenermi aperta la stanza, io unico senatore presente - ma la mia poltrona è molto freddolosa, mi chiedeva di scaldarla!
Di cose da dire ce ne sarebbero molte, ma a me interessa come sempre ragionare sul metodo, perché la democrazia è innanzitutto un metodo: questa è la premessa dalla quale ci siamo mossi. Non sto a dirvi se l'esperienza diretta di questo metodo, il diventarne concretamente parte, e soprattutto lo scontro con la percezione totalmente distorta - a loro svantaggio - che di questo metodo hanno molti elettori [mi riferisco specificamente ai diversamente intelligenti secondo cui in democrazia le decisioni si prendono a minoranza, per cui un partito col 17% può far cadere il Governo e comandare da solo: sì, esiste gente che ragiona così!] non sto a dirvi quanto questa esperienza diretta renda difficile resistere alla tentazione di considerare questo metodo molto sopravvalutato! Ogni giorno incontro, prevalentemente sui social, persone che mi riconcilierebbero con l'atteggiamento oligarchico e paternalistico di Aristide, il personaggio che mi aprì gli occhi sulla natura radicalmente antidemocratica della sinistra, come ricorderete. Mi riconcilierebbero, se questo fosse possibile. Ma purtroppo non mi è possibile piegarmi alla logica degli ottimati che pretendono o pretenderebbero di guidare il popolo verso un radioso futuro senza consultare il popolo stesso o magari agendo contro la sua espressa volontà. Per essere totalmente trasparenti: non mi è possibile non perché non creda che un buon pezzo di popolo non se lo meriterebbe, o perché non creda che questo metodo non sarebbe efficiente, ma perché più conosco gli ottimati e più sono preoccupato dalla loro scarsa consistenza. Insomma, senza pretesa di originalità sono ricondotto a pensare che la democrazia decisamente non è male se consideri l'alternativa, più esattamente se consideri chi impersona questa alternativa. Sono giunto a una specie di teoria lamarckiana della classe dirigente: un Paese i cui percorsi sono in larga parte esogenamente tracciati - e il PNRR è un pezzo di questo discorso, come alcuni scoprono a posteriori - non sviluppa l'organo "classe dirigente" perché non ne ha bisogno, atteso che della direzione che il Paese deve prendere si occupano altri, altrove. I "mandarini" locali quindi avvizziscono, come quelli che per scampare alle fauci del consumatore natalizio si nascondono nell'estremo recesso del cassetto del frigo... dove li coglie la muffa - fine ingloriosa e inutile! L'atrofia cui alludo è un pezzo non banale delle difficoltà che dobbiamo affrontare ogni giorno e che non è il caso di dettagliare più di tanto: basterà, appunto, l'avervi alluso, tenendo sempre presente che la politica viaggia sulle gambe delle persone, ed è per questo che una democrazia vera, fatta di ricambio e di contendibilità, mi dà più affidamento, in termini astratti, di un'oligarchia sclerotica, fatta di ristagno e rendite di posizione.
Proviamo allora a ragionare su come aumentare la nostra efficacia, che quella altrui resta un problema, appunto, altrui. Proviamo a fare l'inventario delle cose che credo di avervi detto in questo decennio e che possono esserci utili per mandare avanti il dibattito, o almeno per non metterci inutilmente nei guai, in un periodo in cui, più che in tanti altri, il primo obiettivo politico è e deve essere portare la pelle a casa...)
Credo che il collante più forte che ci raccoglie in questa comunità sia la serena consapevolezza del fatto che la vita è conflitto, e che politica è mediare, non negare, questo conflitto, perché la negazione del conflitto ha come esito inevitabile quello di esacerbarlo, come nel passo di Rilke che qui vi ho tante volte citato (la prima qui).
Insomma, siamo qui perché ci fa sorridere di tenerezza la sinistra che riscopre oggi, con virginale pudore, la lotta di classe (chiamandola "conflitto tra interessi", qui):
naturalmente con quel minimo di green washing (la giustizia climatica!?) oggi indispensabile per potersi dire "de sinistra".
Del resto, mettere in bottiglie apparentemente nuove (il green, il gender, quel che l'è...) un vino solo apparentemente vecchio (il conflitto distributivo) serve a giustificare la propria assenza ingiustificata dal dibattito, serve a indurre nel gonzo di turno l'idea che fosse scusabile non aver più parlato e non parlare più di certi temi perché non sarebbero al passo coi tempi (eppure, anche quello fra Caino e Abele era un conflitto distributivo...), serve cioè a spogliarsi della responsabilità di aver contribuito a immiserire la dialettica intellettuale e politica di questo Paese creando un clima in cui qualsiasi tentativo di analizzare le dinamiche di classe veniva derubricato a "complottismo", appunto perché, come dice in uno sprazzo di lucidità Barbera qua sopra, la "sinistra" aveva deciso di sposare il paradigma neoclassico (nel senso della teoria economica: altri direbbero liberale, liberista, ecc.), quello secondo cui i comportamenti individuali vengono spontaneamente guidati da una mano invisibile a comporsi in un benessere collettivo in cui tutti gli interessi convergono. Qualsiasi manuale di politica economica ortodossa da due soldi, per il semplice fatto di non poter non parlare dei fallimenti del mercato, si trovava così istantaneamente più a sinistra del più sinistro degli intellettuali di sinistra!
Ricordo quanto mi stupì il commento, oggi non più rinvenibile, di una povera sciocca che su sbilanciamoci mi dava appunto del complottista semplicemente perché stavo illustrando le banali conseguenze in termini di distribuzione del reddito della scelta di aderire a un'unione monetaria. Da quell'osservazione capii che la battaglia sarebbe stata lunghissima, che un pezzo del Paese era ormai inservibile, lobotomizzato, che nulla sarebbe servito a coinvolgerlo in un percorso di presa di coscienza. Ridurre a "complottismo" (l'ultimo rifugio dei cialtroni, come abbiamo visto in altre circostanze) l'oggettiva considerazione che le scelte economiche, essendo guidate dal movente del profitto, nella schiacciante maggioranza dei casi avvantaggiano alcuni più (o a danno) di altri: a me era chiaro nel 2011 (e suppongo a tanti altri anche prima!) quello che ai vari Barbera è chiaro oggi: questo atteggiamento era la morte della sinistra, più esattamente: la morte della possibilità di poter fare un qualsiasi discorso politico a sinistra. Ora ci stanno arrivando anche loro. Ma ora è un po' tardi.
Credo che sia per questo che, al netto di alcuni scleri individuali, la mia scelta di schierarmi in un partito conservatore non ha allontanato da questo blog tanti lettori sinceramente progressisti, probabilmente anche perché avevo provato loro ultra vires che a sinistra non c'era e non ci sarebbe potuta essere per lunghi anni a venire alcuna possibilità di costruire un percorso di riscatto (la famosa tabellina dello zero...).
Ora, è in qualche modo fisiologico che alla consapevolezza che la vita è conflitto si associ, nel discorso politico, una certa retorica bellicista: "Siamo in guerra! Nemico! Traditore! Disertore!..." e via vociferando. Fin qui, se non si travalica il buon gusto, in fondo non c'è nulla di male. Sinceramente, ne ho le gonadi ricolme di quelli che, ostentando un bon ton degno di miglior causa, puntualizzano di non aver "nemici" ma "avversari" politici, quando è del tutto ovvio nel loro argomentare e nel loro modus operandi che la loro personale traduzione della frase erroneamente attribuita a Voltaire (uno dei tanti fake della storia) è: "non sono d'accordo con quello che dici e conseguentemente ti ammazzerò se ti ostini a dirlo"! Diffidiamo da questi melliflui e farisaici araldi delle buone maniere! Non c'è nulla di male a riconoscere che lo scopo di ogni conflitto è l'annientamento dell'avversario: funziona così, niente di personale (possiamo credere a uno che se ne intendeva). Solo partendo da questa consapevolezza, purché sia profonda e sincera, si può restituire all'attività politica la sua nobiltà, che consiste appunto nel creare l'infrastruttura perché questo scontro non sia meramente distruttivo, perché tesi e antitesi, anziché annichilarsi come particella e antiparticella, vengano a sintesi.
Sembra tutto molto astratto, ma niente come una legge di bilancio ti riavvicina alla concretezza di queste considerazioni...
Quando però la (fisiologica) retorica bellicista si scolla dalla consapevolezza reale e vissuta del conflitto, quando diventa una bolla di vociferazioni narcisistiche incapaci di ricondurre a un disegno razionale la prassi politica, ecco, o addirittura suscettibili di avvitarsi in un delirio autolesionistico e autodistruttivo, quando succede questo credo che sia necessario intervenire per evitare malintesi e problemi. Berciare secondo me non è mai il migliore dei mezzi, e certamente è sempre il peggiore dei fini, se non altro perché contravviene a una elementare esigenza tattica.
Vorrei parlarvi di questo, dopo aver constatato (e l'amico Giacinto - sed magis amica veritas - è il paradigma di questo atteggiamento, ma ne potrei citare altri meno simpatici) che nella bolla dei social molti si sono presentati e tuttora si presentano col piglio marziale dei 300, salvo poi dimostrare, all'atto pratico, maggiore affinità coi 3ciento. Forse a questo punto urge un ripasso (dedico un minuto di raccoglimento al commosso pensiero che oggi un simile film non potrebbe essere concepito), per allineare questa bella d'erbe community e di animali a un dato apparentemente tautologico: se si è in guerra, si è in guerra, e quindi per portare qualcosa a casa - a partire dalla propria pelle - conviene comportarsi come in guerra.
E come ci si comporta in guerra?
Dipende ovviamente dalle circostanze, come qui abbiamo lungamente spiegato parlando di Azincourt e altre storie europee. Se rimproveriamo ai nostri nemici (pardon, avversari...) di rifiutare il dato di realtà, un rifiuto che si palesa nel loro modus operandi, tutto basato sulla coazione a ripetere ("[fesseria a piacere] non funziona, quindi: ci vuole più [fesseria a piacere]"), una coazione che è la quintessenza riconosciuta (dicono da Einstein, ma è un altro fake) del rifiuto del dato di realtà, allora come primo asse strategico suggerisco di farli noi i conti con la realtà, per quanto ciò possa essere sgradevole. In questo spirito vi segnalo che purtroppissimissimo (spiace a me più che a voi) una serie di consapevolezze che qui abbiamo raggiunto attraverso un percorso analitico approfondito e scientificamente incontrovertibile, bene: queste consapevolezze sono largamente minoritarie, il che significa, visto che vi piace giocare alla guerra, che noi siamo in condizioni di inferiorità numerica (qualora non lo si fosse capito),
Purtroppo, è indispensabile partire da questo dato di realtà nelle sue varie sfaccettature, che condizionano quello che è possibile e quello che non è possibile fare. Ho cercato in mille e una maniera di spiegarvi che per chi è in condizione di inferiorità numerica è opportuno:
- non segnalare la propria posizione;
- non accettare il terreno di battaglia scelto dall'avversario;
- sfruttare la forza dell'avversario.
Partirei dal non segnalare la propria posizione, dal mimetizzarsi, dal non rendersi bersaglio.
Non so più come dirvelo. I social sono un luogo pericoloso. Sbraitare per avere qualche like, rovinandosi la vita, non mi sembra uno scambio vantaggioso. Non sto dicendo di rinnegare le proprie idee. Sto dicendo quello che ho sempre detto con parole non mie: siate prudenti. Vedo in giro una certa aspirazione alla testimonianza, intesa come martirio. Evitate. Gli altri non giocano. Un soldato morto non serve a nessuno: non serve al suo esercito, non serve alla sua famiglia. Avete visto che aria si respira in Commissione "odio"? Ecco: tenete presente la psicologia dei buoni. Contro di voi qualsiasi sopruso e qualsiasi discriminazione sarà accettabile, perché voi non siete i buoni, siete i cattivi. Purtroppo per voi partite svantaggiati numericamente e moralmente. Fatevi furbi. Tutelate il vostro anonimato e non usate mai mai mai toni inappropriati. A voi non verrebbero perdonati. Non segnalate la vostra posizione.
Aggiungerei, ma capisco che per molti sarà difficile accettarlo, che continuo a trovare stupido, concettualmente e comunicativamente, l'appiccicarsi addosso delle etichette come quella di "sovranista", indubbiamente giovevoli all'autostima di chi le ha create, ma assolutamente nefaste per una dialettica ordinata ed equilibrata. Anche a prescindere dal fatto che il 70% dei nostri concittadini assocerà l'idea di "sovranismo" a quella di monarchia (provate per credere!), il che apre a ovvi fallimenti comunicativi, resta il fatto che chi si richiama all'art. 1 della Costituzione repubblicana può semplicemente dichiararsi democratico, lasciando agli altri l'onere di provare di non essere fascisti nel momento in cui confutano i principi fondamentali della Costituzione. Ecco la differenza fra rendersi un bersaglio (cosa da non fare) e scegliere il proprio campo di battaglia (cosa da fare).
Approfondiamo il tema della scelta del campo di battaglia. Qui ne abbiamo già parlato: so benissimo che abbiamo tutti una certa urgenza di ritrovare la nostra libertà, ma è essenziale uscire dal perimetro. E uscire dal perimetro non vuol dire solo continuare a tenere un faro acceso su quello di cui non vogliono che parliate, che non è, credetemi, l'aggendah, ma, come sempre, la questione europea, che oggi prende le forme del MES e del PNRR. Vuol dire anche e soprattutto essere diversi da loro. Se opponete a un dogmatismo un altro dogmatismo, a una "verità" un'altra "verità", avete già perso, perché chi ha la forza (mediatica, politica, fisica) di imporre la propria verità non siete voi: sono loro. Non si può contrastare l'uso cialtrone e totalitario che alcune istituzioni fanno del concetto di "scienza" scambiandosi come un sacro Graal paper portatori di una verità alternativa, più "scientifica", più "vera". Non funziona così, purtroppo. Qui pressoché tutti noi si sono potuti fare un'idea, utilizzando canali appropriati, di che cosa stesse succedendo e di come sarebbe andata a finire. Ottimo. Credo di avervi già detto che la "verità" non ha alcun valore politico, se non hai i mezzi per imporla. Lo si vede nell'unico campo che vi interessa, ma lo si vede anche in altri campi. Indipendentemente dal merito, sul quale ho delle opinioni che dirò nelle competenti sedi istituzionali, capite bene che se un incidente di questa portata fosse accaduto, mutatis mutandis, a un politico di area sgradita (sostanzialmente, della Lega) ne avrebbe comportato le dimissioni immediate (è successo). Quelli che ti si avvicinano con l'occhio fisso, concentrato sull'ultima abbacinante verità da cui sono stati colpiti, che ti si aggrappano sussurrando: "Guarda questo paper, è de-fi-ni-ti-vo, guarda questo grafico, ma non capisci? Ma non vedi?", sbandierandoti l'ultimo numero del Chattanooga Journal of Fuzzy Epidemiology, di cui né loro né voi siete in grado di capire nulla... ecco, quelli lì: ma siete sicuri di non averli mai visti, frequentando queste pagine? Non vi ricordate quelli che Auritiiiiiiii, non vi ricordate gli ingengngnieri che "la moneta a debitooooooh", non vi ricordate i giornalisti che "il paper di Mossleeeeeeer"...
No?
Io sì, e ho già dato.
Non funziona così.
Fatevi un pochino più furbi.
Cominciate ad esempio a prendere in considerazione il fatto che non essere padroni del discorso ha delle conseguenze ovvie ma non trascurabili. La prima è che se qualcuno arriva (e resta) in televisione è perché ce lo fanno arrivare (pochi sono in grado di aprirsi una strada da soli), e se ce lo fanno arrivare nella stragrande maggioranza dei casi è perché farcelo arrivare è funzionale al loro, non al vostro discorso. Quindi ottimo che ci sia pluralismo di opinioni, ma occhio ad andar dietro alle opinioni alternative certificate dal mainstream (si dovrebbe capire che cosa c'è che non funziona, ma siccome non vedo molta coscienza di questo dato elementare, lo evidenzio). Conosco uno che le ha toppate tutte (a partire da quando si era messo a disposizione degli ortotteri, e lì mi fermo) ed è sempre lì, ancora lì, perché serve da sparring partner agli squadristi di turno. Sclerare in diretta contro chi ti provoca non è un segno di intelligenza né di forza: è un segno di debolezza. Impappinarsi nel citare dati scientifici fuori dal proprio settore disciplinare non è un segno di autorevolezza né di astuzia dialettica: è un favore fatto all'avversario. Se vi scegliete un araldo, perché proprio avete bisogno di schierarvi in campo aperto, dieci contro diecimila, sceglietelo almeno che non faccia di queste fesserie. Dirò di più: diffidate da chi fa queste fesserie, perché non vi porterà da nessuna parte, perché danneggerà una causa giusta con comportamenti sbagliati e questo non se lo può permettere nessuno. Vi consola fare la òla su Twitter? Io al posto vostro preferirei vincere. E per vincere al posto vostro è meglio essere trasparenti e pazienti.
Se è essenziale che siate consapevoli della vostra inferiorità (perché non siete maggioranza nel Paese), sarebbe altresì utile che vi rendeste conto delle conseguenze della nostra (di eletti) inferiorità numerica. Come ho dovuto spiegare oggi a uno di voi, posto che far cadere il Governo, questo Governo, fosse una cosa giusta da farsi qui ed ora (cosa di cui ovviamente dubito), un partito che ha il 20% non può far cadere un Governo che ha una maggioranza del 79% perché andandosene la porterebbe al 59%, cioè sei punti sopra la maggioranza del governo giallo-verde (che era del 53%).
Per favore, non fate rinnovato insulto alla vostra intelligenza chiedendo cose che non hanno senso aritmetico.
Ma, soprattutto, non fate insulto al vostro buonsenso ignorando un semplice dato della storia: in guerra perde chi abbandona il campo.
Ecco, forse questa è la cosa che è indispensabile che comprendiate, quella più ovvia, ma forse proprio per questo quella che sembra sfuggirvi con inesorabile e disperante regolarità.
Quelli che con accenti patetici, con un'eloquenza a dire il vero un po' ripetitiva e stereotipata, continuano a esortarci a uscire (come partito) o a dimetterci (come individui), poi se gli si chiede quale sarebbe precisamente il vantaggio che conseguirebbero dal nostro abbandono di campo individuale o collettivo non sanno che cosa dire. E certo! Perché il vantaggio non ci sarebbe, salvo forse la soddisfazione puramente narcisistica di poter dire a se stessi di aver votato per la persona giusta, assumendo che la persona giusta sia quella che alla prima difficoltà prende e se ne va. Un'idea sbagliata di persona giusta, ma va bene così. Voi credete, perché ve lo fanno credere, che fare politica sia andare di gesto magniloquente in gesto magniloquente, di azione dimostrativa (preferibilmente eclatante, come il simpatico amico dalla Lacoste rossa) in azione dimostrativa. Invece non è così. Invece è imparare un mestiere, creare una rete, assicurare una presenza, guadagnare ogni giorno un pezzettino di terreno, apprendere qualcosa ogni giorno, e tenerla in serbo fino al momento in cui tornerà utile, ricordarsela al momento giusto, guadagnarsi il rispetto col rispetto e la lealtà con la lealtà. Lavorare e creare ogni giorno le condizioni per lavorare meglio, assumere un ruolo e creare ogni giorno le condizioni per sostenerne uno più impegnativo.
Mando un forte abbraccio a chi vede il nostro futuro nel cimitero dei narcisisti, il gruppo misto. Massimo rispetto per chi vuol così bene a se stesso, pensando di meritarselo. Io non devo difendere la mia immagine, tanto meno di fronte a voi: io devo combattere la mia battaglia, per voi. Posso facilmente privarmi del piacere di fare sfoggio di eloquenza (verrà il momento) e sostituirlo con un esercizio di responsabile umiltà.
Perché, visto che siete così bellicosi e marziali, forse dovreste ricordarvi come funziona la vita militare (o immaginarlo, se non avete avuto la fortuna di passarci): c'è una catena di comando, c'è una gerarchia, e ci sono degli obiettivi.
Quali possano essere gli obiettivi ora, credo che offenderei la vostra intelligenza se ve lo spiegassi: non siete voi quelli che venivano a darmi lezioni di politica? Non sarò così scortese da ricambiare, e poi basta aprire il giornale: se ne parla ogni giorno, se ne sta parlando ora... Per quanto possa essere duro resistere, fra poco più di un mese sapremo in che scenario saremo, e potremo valutare gli obiettivi raggiunti. So che non posso chiedervelo, ma purtroppo, per quel che mi riguarda, parlandovi con la massima trasparenza e franchezza, fino a quel momento stracciarsi le vesti non ha alcun significato e non serve a nulla se non a far contenti gli avversari.
Non sarebbe invece meglio sfruttare la sterminata forza dell'avversario? Da quando siamo qui quanti ne abbiamo visti andare a velocità accelerata contro un muro? Distoglierli non ha più di tanto senso. Anche questo è sfruttare la forza dell'avversario.
Certo, questa è razionalità.
Poi ci sono le infinite dolorose vicende dei singoli individui, le frustrazioni soggettive, le oggettive difficoltà in cui la situazione attuale ci costringe (perché le limitazioni, caso mai non fosse chiaro, riguardano anche noi). Ci siamo sempre raccolti qui anche per condividere, per cercare conforto reciproco. Questo ora è più complesso, io non posso sempre tenere aperto questo spazio, spesso ho altro da fare. Però in effetti colpisce vedere come molti che venivano qui a condividere e partecipare si siano convertiti alla denigrazione a tempo pieno del lavoro che qui è stato e tuttora viene svolto. I "seguaci neri", come li ha battezzati Nat, qui ci sono sempre stati: ricordate Peter Yanez, col suo blogghetto cachettico, oggi sostituito dalla logorrea semicolta del grillino Sderenippo? Gente che non sta bene, ma anche gente che non abbiamo conosciuto. Delle loro meschine invidie, delle loro piccole frustrazioni, o magari della mancetta che lucrano per venire a rompere le uova nulla sappiamo e nulla vogliamo sapere. Viceversa, che persone che abbiamo conosciuto, accolto, cui ci siamo aperti, si comportino come un Serendippo qualsiasi, dedicandosi a tempo pieno a spalare sterco su chi, secondo loro, li avrebbe traditi (tradito cosa? Come? Quando?), bè, questa è una cosa che capisco possa dare fastidio. Però ricordatevi sempre della principessa Maria: tutto comprendere è tutto perdonare. Cercate di accogliere gli altri, o almeno di ignorarli. Ci aspettano momenti ancora più duri: ci sarà bisogno di quella parola tanto abusata e misconosciuta che è la compassione, la capacità di soffrire con gli altri, di condividere il loro dolore, che poi sarebbe, etimologicamente, la simpatia.
E poi c'è un'altra cosa di cui tenere conto, una illusione ottica alla quale sottrarsi. Mi rendo conto (lo ripeto) che possa essere duro per chi ha partecipato a questo blog fin dall'inizio, per chi si è sentito in famiglia, per le persone con cui ho condiviso tanto della mia esistenza, trovarsi all'improvviso tagliato fuori da un dialogo che per forza di cose si è dovuto interrompere: da un lato, non mi basta il tempo per vivere una vita e raccontarla; dall'altro, non tutto quello che faccio può né deve essere raccontato. Ecco, è soprattutto questo che credo dobbiate (a fatica) accettare. Con chi era qui, e meritava di esserci, abbiamo stretto un patto. Anch'io non avevo, e non ho, alle mie spalle "nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta; dall'essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non esser fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io del resto considero degno di ogni più scandalosa ricerca". Questo patto ora esige che voi vi fidiate di me. La politica richiede i suoi tempi. I social hanno il tempo dell'immediatezza. La pretesa di controllare giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto i propri rappresentanti è folle e stupida. Ci giudicherete dai nostri risultati, ci giudicherete nel 2023. Esattamente come è vostro buon diritto votare per chi vi pare, incluso nessuno, né io farò nulla per convincervi del contrario che non sia comportarmi in modo coerente col nostro patto, al tempo stesso è mio diritto ignorare le sollecitazioni estemporanee del quotidiano, formulate con l'isteria di chi costruisce pretese sulla sabbia delle informazioni parziali e distorte dei media. Ho dimostrato sufficiente trasparenza, anche durante il mio mandato parlamentare (non credo che ci sia un singolo parlamentare delle diciotto legislature della Repubblica italiana che abbia speso un centesimo del tempo che io ho speso a spiegarvi la dinamica della vita parlamentare), e ritengo quindi di avere anche il diritto di non motivare ogni singolo passo di un percorso che per forza di cose (non penso di dovervelo spiegare) è complesso e tortuoso.
Potete non accettarlo: me ne farò una ragione. Ma il dato è che io non ho alcun obbligo di rendervi giornalmente conto delle mie scelte, così come non avrò alcun diritto di contestare la scelta che farete quando sarà il momento di farla. Funziona così, è sano che sia così. Il grillismo, la filosofia dell'invidia e del sospetto, nasce per avvelenare questo rapporto fiduciario coi miasmi di una pregiudiziale e paralizzante diffidenza. Siete naturalmente liberi di abbandonarvi a questo degrado ma magari, prima, sollevate le palpebre e datevi un'occhiata intorno.
E ora dedichiamoci alle nostre famiglie e ai nostri affetti, e ad accogliere l'anno che verrà. Un anno che inizia in salita, sotto tutti i profili.
Possa conservarci la salute e restituirci la libertà.