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domenica 13 aprile 2025

Simmetrie

Il progetto europeo è qualcosa di così distante dalla possibilità di reale esercizio della democrazia (perché è difficile immaginare una democrazia senza demos) da far perdere ai suoi fanatici il senso del perimetro all’interno del quale la democrazia può ragionevolmente essere agita, nel rispetto del fondamentale principio di autodeterminazione dei popoli.

Vi faccio due esempi uguali e contrari tratti dal dibattito recente.

I dazi sono imposte, e sono come tali soggetti al noto principio no taxation without representation, un cardine, anzi, direi di più: un elemento genetico delle democrazie occidentali. Ora, se è vero che i paesi che si uniscono in una unione doganale accettano di avere una tariffa doganale comune, e quindi uguali dazi nei riguardi dei paesi terzi, resta il fatto che questo accordo vincola i paesi che ad esso aderiscono, i quali, a casa propria, hanno il diritto di regolarsi come meglio credono, ma che gli accordi tra loro conclusi non attribuiscono loro alcun diritto di decidere la struttura delle aliquote di alcuna tassa in alcun paese terzo! Ne consegue che un paese terzo può imporre dazi diversificati alle merci di provenienza da diversi paesi membri di una unione doganale, mentre i membri di una unione doganale, per definizione, non possono opporre dazi diversificati alle merci di provenienza da un paese terzo. È una semplice e immediata conseguenza del principio sopra ricordato: no taxation without representation. Il governo degli Stati Uniti rappresenta i cittadini degli Stati Uniti e impone loro quella particolare imposta che sono i dazi nella misura che ritiene conveniente e nelle modalità che ritiene opportune, rispetto alle quali gli eletti e i governi europei non hanno alcun diritto di mettere bocca. La democrazia funziona così, e ignorarlo indica scarsa consuetudine non tanto con la teoria pura del commercio internazionale, quanto con le più banali e consuete prassi della politica democratica.

Simmetricamente, in uno degli ultimi editoriali del nostro amico Piroetta, si rinviene questa perla:


Sì, avete letto bene: secondo il nostro autorevole piroettatore Trump può decidere le politiche di investimento della Germania, e quindi dovrebbe farla investire anziché imporle dei dazi! Sfugge un dettaglio: che le politiche di investimento della Germania le decidono il governo e gli imprenditori tedeschi, su cui Trump non ha alcuna presa, se non quella indiretta, che sta utilizzando, consistente nell’applicare dazi ritorsivi. Assistiamo quindi al doppio paradosso, o se volete, alla doppia piroetta,  di una persona che rimprovera a Trump di non star facendo una cosa nel modo sbagliato, mentre Trump la sta facendo in quello giusto.

Giavazzi che non capisce che in Germania sugli investimenti tedeschi decidono i tedeschi è simmetrico alla legione di sprovveduti che non capiscono che negli Stati Uniti sui dazi degli Stati Uniti decidono gli americani

D’altra parte, si potrebbe pensare che se da un lato è vero che in Germania comandano i tedeschi come negli Stati Uniti gli americani, dall’esterno si possa esercitare un minimo di moral suasion per indurre un governo sovrano in casa propria a “fare la cosa giusta”. Per carità, tutto è possibile, ma risparmiateci un film già visto! Questo tipo di moral suasion è stato esperito invano per anni dal partigiano Joe:

Risultati, credo sia corretto dirlo, non se ne sono visti: il capitalismo tedesco va per la sua strada come ha diritto di fare, e se non deflette quando glielo chiede un premio Nobel come Stiglitz, non defletterà neanche quando glielo chiede Giavazzi, atteso che la materia in cui quest’ultimo eccelle (la danza classica) non prevede un così prestigioso riconoscimento.

In questa incapacità a riconoscere, o forse ad ammettere, che i popoli abbiano il sacrosanto diritto di autodeterminarsi, si riconosce tutto l’orrore di un progetto nato per conculcare i popoli europei con la teoria fallimentare e fascista del vincolo esterno di cui appunto il nostro è stato uno dei primi e più accesi propugnatori. Un progetto che continua imperterrito a perseguire il male delle parti, illudendosi così di fare il bene del tutto, ma condannandoci invece ad una lenta ma inesorabile discesa verso la totale irrilevanza. Per chi ha deciso che gli italiani non possano comandare a casa loro suona assolutamente familiare e anzi desiderabile l’idea che non possano farlo né gli statunitensi né i tedeschi. Peccato che non funzioni così e quindi, prima di venire al pettine, i nodi dovranno ingarbugliarsi ancora un po’.

lunedì 3 febbraio 2025

Un altro regalo alla destra: il PD, il populismo, e l’art. 68






Questo blog è stato aperto il 16 novembre del 2011, data del giuramento di Monti, per rivendicare la necessità che decisioni intrinsecamente politiche, come quelle riguardanti la distribuzione del reddito, non venissero devolute a governi tecnici, tanto più quando questi erano scarsamente a loro agio con la tecnica cui dichiaravano di ispirarsi, il che rendeva chiaramente leggibile, per chi avesse avuto un minimo di strumenti e di volontà di farlo, come questa tecnica altro non fosse che la continuazione della politica, con altri mezzi e al di fuori del meccanismo di pesi e contrappesi che caratterizza le moderne democrazie, almeno in teoria…

Nel corso di questi lunghi anni abbiamo investigato i meccanismi eversivi che consentivano di obliterare la volontà politica democraticamente espressa dal voto popolare. Questo ci ha portato ad approfondire la teoria del “vincolo esterno”, cioè, in sintesi, della devoluzione di decisioni cruciali a organismi posti “al riparo del processo elettorale” (espressione cara, appunto, a Monti, che apertamente rivendicava l’opportunità di evitare che gli elettori potessero occuparsi dei propri interessi!) in nome di una governance sovranazionale basata su regole. Insomma, il famigerato “ce lo chiede l’Europa!”, cui intitolai il mio primo video di un certo successo, tirato giù a suo tempo dai fascisti di YouTube (ma di questo parliamo dopo).

Ci è sempre stato evidente il legame organico fra le due forme di antipolitica: quella sanculotta e quella in grisaglia. L’antipolitica del “se sò magnati tutto” andava e va a braccetto con l’antipolitica del “rigore“ e delle “regole”. A ben vedere la prima ad altro non serviva che a creare consenso popolare per la seconda, o anche semplicemente a renderla plausibile, accettabile, da parte dell’opinione pubblica. Il successo strategico più decisivo da parte dei grandi poteri economici è stato indubbiamente quello di convincere gli elettori che il gioco politico fosse un gioco competitivo fra loro e gli eletti, un gioco il cui scopo fosse appunto quello di sconfiggere gli eletti, di ridurli all’impotenza, come se esistesse un quantum incomprimibile di potere che poteva essere esercitato o dagli eletti o dagli elettori, e che, se tolto agli eletti, sarebbe magicamente tornato in mano agli elettori, magari in virtù del mitologico voto online con cui ognuno avrebbe potuto, dal proprio divano, approvare o respingere, poniamo, gli emendamenti alla legge di bilancio!

Se siete qui è perché siete abbastanza evoluti da capire che è molto difficile essere più incisivi depotenziando chi porta la vostra voce nelle sedi istituzionali. Chi non l’ha capito subito, l’ha capito, magari al contrario, nel Rincoglionitico, quell’era geologica in cui abbiamo visto cose che noi umani non potevamo credere. Se siete qui non vi siete stupiti quando gli utili idioti del PD, cioè gli ortotteri, sono confluiti nel PD, come vi avevo anticipato tanti anni fa. Se siete qui, ci siete anche perché avete intuito il ruolo delle magistrature nel preservare e nell’imporre un certo indirizzo politico, ma soprattutto, preliminarmente, nel creare e alimentare quel clima antipolitico che, comprimendo il legislativo e l’esecutivo, lasciava corso all’azione incontrastata e incontrastabile del potere giudiziario (che non si manifesta solo nella magistratura ordinaria, ma anche in quella amministrativa e in quella contabile).

Come ho avuto più volte modo di evidenziare, in Italia non c’è un problema di separazione fra i poteri: c’è un gigantesco problema di squilibrio fra i poteri, causato dalla reazione emotiva delle classi politiche allo shock di Mani pulite. In fondo a questo squilibrio, costruito e giustificato seminando discredito sul potere legislativo, non c’è un mondo migliore: c’è solo un mondo in cui l’ordine giudiziario sarà screditato, esattamente come in fondo allo scientismo con cui è stata impostata la gestione della pandemia non ci ritroviamo con un mondo più sano, ma con un mondo in cui la professione scientifica è stata screditata. Per carità! Napoleone diceva di non interrompere mai un nemico mentre sta facendo un errore ed è sufficientemente evidente in questi giorni che l’ansia di fare politica sta indebolendo politicamente la magistratura. Io però continuo a essere un sentimentale, o, se volete, un istituzionale, e preferirei evitare questo gioco al massacro, che è decisamente un gioco a somma negativa.

Tanto per collegarci al tema del post precedente: in una fase in cui le conseguenze negative dell’immigrazionismo emergono con risalto quotidiano, episodi come quello dei magistrati che annullano il trasferimento di clandestini rinviando alla CGUE espongono la magistratura ad essere considerata una passiva cinghia di trasmissione del vincolo esterno. Più in generale, la riforma della giustizia che tutti auspicano, per un verso o per un altro, perché nessuno è disposto a dire che non sia necessaria, che tutto vada bene così, e che comunque i nostri elettori ci chiedono, in tutta evidenza non potrà essere mai portata a termine finché il potere legislativo sarà sotto ricattto del potere giudiziario. “Io separo le carriere!” “E io ti metto sotto inchiesta, così ti impari anche a togliermi il volo di Stato!”… Non so se sia andata proprio così, ma basta il fatto che sembri così per far sorgere il dubbio che qualcosa non stia funzionando come dovrebbe.

Insomma, per farla breve: ripristinare un minimo di equilibrio fra poteri, a mio avviso, farebbe molto comodo alla magistratura, anche se priverebbe i suoi attuali azionisti politici di un’importante leva per imporre il proprio indirizzo. 

E visto che qui non siamo “artigiani del copia incolla”, ma cerchiamo di proporre una visione anticipatrice (e comunque originale), vi dirò come penso che andrà a finire questa storia: esattamente come quella dei tribunali della verità di cui vi parlai nel lontano 2017, pronosticando che sarebbero stati un regalo alle destre di tutta Europa. Le sinistre (aggettivo) non capirono, e oggi che la situazione, come era facile prevedere, si è ribaltata, piagnucolano sull’egemonia delle tecnodestre (?), quando invece avrebbero potuto fare proprio un discorso di difesa della libertà di espressione (a me l’antifascismo è stato insegnato così: come reazione alla pretesa del fascismo di imporre un discorso unico), costruendo a difesa di questa libertà dei presidi di cui ora potrebbero giovarsi, o almeno non smantellando quelli che c’erano, con un gesto di hybris per me incomprensibile!

Prevedo quindi che oggi le sinistre (aggettivo) per difendere lo stupro della Costituzione del 1948 calceranno la palla in tribuna con appelli demagogici al sentimento popolare (?), come quello che vi ho riportato qua sopra, ma siccome il mondo va a destra, e siccome una magistratura visibilmente schierata a sinistra aiuta, non ostacola, questo processo inevitabile dopo anni di globalizzazione e austerità, ancora una volta, alla fine, lasciando qualche vittima sul terreno, ci troveremo paradossalmente a beneficiare noi di uno squilibrio che avremmo preferito non ci fosse. Bisogna essere molto ottimisti o molto stupidi per desiderare un mondo più ingiusto, più squilibrato, in un periodo in cui si è destinati a perdere terreno.

La lotta contro i tribunali della verità l’abbiamo persa, e abbiamo lasciato sul terreno persone come Claudio Messora, che si sono comunque rialzate e hanno continuato a combattere (ma il video cui tenevo più di tutti gli altri non c’è più), fino a quando Trump non ha suonato la fine della ricreazione… Perderemo anche la battaglia per un sano equilibrio fra i poteri, ma, alla fine, dello squilibrio beneficeremo prima indirettamente (come crescita del consenso) e poi direttamente (come azionisti di maggioranza) noi. Questo ci permetterà di arrivare nel posto giusto percorrendo la strada sbagliata, ma, come si sa, una rivoluzione non è un pranzo di gala, e non è neanche un seminario accademico.

Intanto, sono lieto di aver consentito alla fondazione Einaudi di trovare una sala stampa in cui esporre la sua proposta:


Spero che apprezziate il fatto che quando si tratta di temi importanti invece di fare il rituale display di purezza e durezza à la Rizzo, Trombetta, ecc., lascio da parte quello che so e mi concentro su quello che voglio, e che, se un po’ vi conosco, io che vi ho raccolto qui e qui ho contribuito a darvi un’identità, volete anche voi: un po’ più democrazia, la possibilità di incidere un po’ di più sul vostro destino.

Vediamo come andrà.

Io, come al solito, ho fatto del mio meglio per togliervi la sorpresa, ma, come sempre, spero di restare sorpreso a mia volta.


sabato 1 febbraio 2025

Sedes sapientiæ

 


Qualcuno sa, o immagina, dove sia e dove porti questa sobria scalinata?


(…eh, sì! Porta lì…)

domenica 19 marzo 2017

Euro: Darwin vs. Lamarck

(...da Charlie Brown, cioè:

da Charlie Brown

ricevo e immediatamente pubblico...)




Abbiamo tutti capito, grazie ad Alberto, che l'euro non è solo una moneta [NdC: ma va anche ringraziata la nostra economista di riferimento].
 
L'euro è stato un esperimento politico. Per motivi politici è stata disattesa la dottrina mainstream delle aree valutarie ottimali. Quella dottrina formalizza un concetto noto da millenni a tutti i consuoceri: "moneta e buoi dei  Paesi tuoi".

Scomodando e storpiando Darwin: una volta postulato (per motivi politici) che l'unione monetaria è da fare "a prescindere", allora l'ambiente socio-economico (il quale determina tra l'altro il grado e la facilità di movimento  dei fattori della produzione) condiziona le probabilità di successo economico dei diversi Paesi all'interno di quella unione monetaria.

L'adozione  dell'euro voleva risolvere un particolare problema  geopolitico. Problema ora ridimensionato e sostanzialmente scomparso, nonostante i tentativi della precedente amministrazione americana di perpetuare la guerra fredda. Ma l'adozione dell'euro ha rappresentato anche una irripetibile occasione per mettere alla prova il "darwinismo monetario". Scomodano e storpiando Lamarck, posso dire che gli euristi neoclassici non solo credevano (e credono)  nell'effetto salvifico della mobilità dei fattori di produzione, ma altresì pensavano (e pensano) che i diversi paesi avrebbero nel tempo "sviluppato" nuove strutture socio economiche atte a permettere loro di sopravvivere adattandosi al nuovo ambiente monetario (l'unione monetaria). E che avrebbero trasmesso tali nuove caratteristiche alle loro popolazioni, realizzando così il sogno di una economia "ordoliberale" perfettamente funzionante. 

Tutto ciò si sarebbe realizzato data una sufficiente quantità di tempo, il che spiega la tecnica gradualista della "rana bollita" da sempre adottata dalle istituzioni dell'unione europea. Un gradualismo noto come "metodo Monnet", oggi sposato dal cancelliere tedesco Merkel, e che potremmo definire, restando alla nostra metafore, il "metodo Lamarck". L'uso (del vincolo esterno) avrebbe sviluppato l'organo (della produttività).

L'evidenza cosa ci dice?

Che in vent'anni di moneta unica la mobilità dei fattori intraeuropea non si è manifestata nel modo postulato: tant'è vero che la Germania si è recentemente  affidata ad una  massiccia migrazione dall'esterno per tentare di "governare" in senso sempre più competitivo il proprio mercato del lavoro. Ma soprattutto che in questi vent'anni i paesi più "deboli" hanno indebolito, non rafforzato, le loro strutture socio-economiche. Ciò ha permesso ai Paesi più "forti" di predare quelli più deboli e di sottrarre loro risorse vitali. 

Insomma, calando ex abrupto nel nuovo ambiente (moneta unica) paesi geograficamente contigui ma molto diversi, si è accelerata ed intensificata  la "competizione delle specie" darwiniana a beneficio delle specie più forti. Ciò poiché le specie  più deboli sono state private delle loro protezioni naturali, senza adeguati vantaggi compensativi derivanti dall'integrazione forzata dei mercati del lavoro e del capitale.
L'evidenza storica dice che l'adozione dell'Euro non ha innescato un apprezzabile adattamento lamarckiano dei Paesi più deboli.

E ciò per il semplice fatto che, a prescindere dalla "verità" o meno del lamarckismo economico,  in regime di democrazia liberale,  i tempi dell'economia sono diversi dai tempi dell'evoluzione socio-economica.

Di ciò ha preso atto, in vari modi e misure,  praticamente tutto il mondo libero.

Vorranno le élite italiane fare altrettanto?



(...insomma: Darwin batte Lamarck anche in economia, e su questo sono d'accordo. A testimonianza del fatto che il pezzo non è mio - a che se non mi ricordo di chi sia: voi lo ricordate? - c'è una sfumatura sulla quale non sono d'accordo. Chissà se vi accorgete di quale sia...)



lunedì 6 marzo 2017

Repubblica Italiana e ideologia del vincolo esterno

(...da Agenor, che non sono io, altrimenti lui sarebbe me, per la proprietà transitiva del non essere un altro, ricevo, e immediatamente pubblico...)

(...attenzione, novità! Esiste la funzione "blocca" anche sul blog. Quindi il primo che "professore, molto bello questo suo articolo..." viene bloccato. Da Agenor? No, da me, che non sono Agenor - ho molta meno pazienza...)





L’idea di risolvere i conflitti interni a un paese ricorrendo ad aiuti esterni è tipica dei paesi in via di sviluppo, o di quelli di recente costruzione, o comunque poco coesi. Non è chiaro quanto questo metodo sia davvero utile allo sviluppo dei paesi, tuttavia con il progresso economico e sociale le caratteristiche che li rendono fragili tendono gradualmente ad attenuarsi di pari passo con il rafforzamento delle istituzioni democratiche e della struttura produttiva. L’Italia è una nazione relativamente giovane, unita 150 anni fa quando ancora però c’erano da “fare gli italiani”. Passata attraverso due guerre mondiali, prende forma come Repubblica solo 70 anni fa. L’Italia repubblicana ha sempre conosciuto una qualche forma di vincolo esterno, a cominciare da una fase iniziale di relativa prosperità, guidata dalla ricostruzione post bellica sostenuta dagli Stati Uniti. Con la fine del sistema di Bretton Woods, l’Italia cerca di ritrovare un aggancio esterno, prima con il sistema monetario europeo e poi – dopo il suo fallimento – con l’unione monetaria europea. Questi vincoli diventano sempre più stringenti, poiché la liberalizzazione dei movimenti di capitali, assieme alla rigidità del cambio, alla perdita della politica monetaria e ai limiti alla politica fiscale, limiteranno fortemente la capacità di condurre le politiche macroeconomiche a livello nazionale.

Il vincolo esterno

Verso la fine degli anni ’70, l’ex-governatore della Banca d’Italia Guido Carli professa tutto il suo pessimismo rispetto alla qualità della classe politica italiana e alla sua capacità di guidare il paese in uno spirito di modernità e riformismo, richiesto dal funzionamento di un’economia di mercato.

Successivamente scriverà:



























































(...lo scoprirete solo cliccando...)

domenica 22 novembre 2015

Operazione Odessa

Come prevedibili, i gerarchi austeristi hanno iniziato il loro riposizionamento. Ne abbiamo parlato qui, ottenendo una risposta francamente esilarante, di una disarmante povertà scientifica ed etica.

Il nostro vantaggio, evidente a chi ha assistito al convegno di ieri a Parigi, è che nel resto del mondo non è chiaro a quale livello di diffusione e approfondimento analitico siamo riusciti a spingere il dibattito in Italia.

Ora va fatta una scelta: ponti d'oro, o napalm?

La scelta, però, non dobbiamo farla noi, ma i gerarchi austeristi, quelli che, come sapete, hanno censurato a suo tempo quella che ora propongono come loro "visione unanime". Quella non era la loro visione, e ancora non lo è. Fanno finta che lo sia per salvare la faccia. Possiamo consentirglielo, purché si scusino e riconoscano il nostro ruolo nel dibattito.

Altrimenti napalm.

A questo proposito, mi scuso per i diversamente europei, ma da qui in avanti si procederà sempre più spesso in europeo (inglese, francese, tedesco). Ho richiesto le traduzioni in queste lingue di tre post:

1) L'uscita dall'euro prossima ventura;

2) I salvataggi che non ci salveranno;

3) Il pentimento di Giavazzi e il fallimento dei bocconiani.

Mi sembra di averle assegnate pressoché tutte. Mi manca in realtà un traduttore madrelingua francese (sull'inglese e il tedesco dovrei essere coperto). Fate proposte (ma evitiamo volenterosi cialtroni, perché io ho vinto con la qualità e non voglio perdere con la dozzinalità).

Nel frattempo, potrebbe essere interessante che qualcuno di voi andasse a trovare cosa dicevano nell'agosto 2011 (o, più in generale, fra luglio e dicembre 2011) i simpatici buontemponi presenti in questa hall of shame.

Di uno, quello che stimavo di meno, mi sono già occupato (vedi al punto 3 sopra).

Vi esorterei a mandarmi le immancabili perle nere degli altri (sotto forma di link ad interventi scientifici o nel dibattito pubblicati in quel periodo e, in seconda battuta, in periodi successivi). Potete farlo o sotto forma di commenti a questo post (che per il momento non pubblicherò) o alla mia email (che trovate immediatamente se non siete completamente rincoglioniti, nel qual caso siete anche inutili, ovviamente detto con affetto...).

Vi pregherei anche di non fare troppo casino su Twitter. Non è la mia strategia quella di mettere in allarme l'avversario. E qui stiamo lottando non tanto per salvare l'onore, quanto la pelle. Questa è gente che ci voleva e ci vuole morti: senza sanità, senza previdenza, senza scuole per i nostri figli, senza futuro, senza niente. Quindi è gente pericolosa, per le nostre vite come per la mia carriera (della quale sapete bene il conto che faccio), gente che va trattata con estrema precauzione, e, ça va sans dire, comunque con estrema civiltà. Cosa che molti di voi, ahimè, non sono in grado di fare.

Ergo, quello che vorreste dire a loro, ditelo a me, che glielo dico io, civilmente, con e senza peer review.

Spero sia tutto chiaro, e occhio: torno a dire che non stiamo facendo una scampagnata. Non è così. Queste persone hanno mostrato in più di una occasione un raccapricciante disprezzo per l'altrui dignità umana, si sono fatti portavoce di teorie autoritarie e (oggi) scientificamente screditate come quella del vincolo esterno, hanno inneggiato alla compressione della democrazia e alla distruzione dello stato sociale. Sono un nemico politico, e un nemico temibile. Quindi o vi attenete a un minimo di disciplina (soprattutto su Twitter), nel qual caso noi saremo efficaci e io sarò fiero di voi, oppure dovrò espungervi.

Ma sempre con affetto.



(...chiaro il compitino? Mandarmi in privato o in commenti che non pubblicherò nel blog le lievi imprecisioni profferite dai Sommi Sacerdoti dell'austerità, che ora hanno scoperto che le cose stanno come io dicevo quattro anni or sono. Grazie. Per le traduzioni, mi serve solo un francese, e solo perché non ho tempo. Merci...)


Addendum delle 16:18 (da Orly): ringrazio Angelo, Fabio, Lenny, Marco (gruppo zero positivo), Sandra, e quelli che si aggiungeranno, per le proficue delazioni. Specifico che più che i cosiddetti "bocconiani", ai quali non vorrei nemmeno rispondere perché scientificamente screditati a livello internazionale (vedi Krugman vs. Alesina), a me interessano gli altri nomi della "hall of shame", e, se possibile, roba che qui in Italia non è arrivata o è stata vista poco.

Viceversa, riguardo al pollaio nostrano, mi farebbe piacere se qualcuno di voi ritrovasse che cosa diceva questa gente, o i loro squadristi, di me e del nostro lavoro, al tempo in cui la nostra "eresia" non era ancora diventata il loro "consenso". Se qualcuno di voi, con stomaco forte, frequentava o tuttora frequenta "Noise from Amerika", per dire, non dovrebbe essere difficile trovarne. Poi c'è il sempre valido Minosse, che è più o meno l'unico del quale mi ricordi, perché mi son molto divertito ad asfaltarlo (e anche voi).

Grazie.

Diciamo che è arrivato il momento del #mobbasta. 

sabato 13 giugno 2015

Vincolo esterno e declino italiano (KPD10)

(... benvenuti alla decima puntata del ciclo "keynesianesimo per le dame". Allacciate le cinture, state decollando verso la frontiera della ricerca post-keynesiana...)



(...sono esausto. L’editore mi ha mandato un contratto e mi chiede che ne penso. E che ne devo pensare? Tu sei onesto, sei un professionista, sei pure simpatico: il contratto sarà fatto bene. Il problema non è il contratto: sono io. Vi avevo detto che sarebbe stato un anno lungo e a me non passa veramente più. Tante soddisfazioni, per carità, ma il mio corpo non mi segue. Sto anche entrando in un mood un po’ più buddista: cerco di seguirlo io, il mio corpo, solo che poi mi incazzo perché lui vuole stare fermo! Esempio: tre sere fa ho avuto il classico collasso da congestione. Divinibus preceptibus formato – la parola di Rockapasso – sono riuscito a non svenire. Dai, è andata bene. Qualcuno sopra ha commentato che posto alle 5:35. In effetti, se mi sveglio alle 4 con dolori abbbbominevoli, poi ci rimetto un po’ a prendere sonno. Alle 9 però il Bagnai prussiano ha prevalso sul buddista: corsa sotto il sole sulla pista ciclabile. Il Bagnai buddista non sarebbe andato in palestra. Prometto che stasera comincio a leggere Thich Nath Hanh – lui sa chi è ecc.

Non so però se mi darà la forza di non prendere altri impegni. Forse quest’anno per la prima volta da tre anni riesco a fare una vacanza!

Comunque, essendo esaurito, per sfogare la mia rabbia impotente esaurisco voi con un post “tecnico”. A me rilassa, a voi non so...)


Riprendo l’argomento del vincolo esterno così come viene espresso dalla legge di Thirlwall, cioè come vincolo sul tasso di crescita di lungo periodo:

Ricordo brevemente il senso. La premessa è che un aumento del tasso di crescita normalmente manda in deficit la bilancia dei pagamenti (o ne riduce il surplus), perché un maggior reddito implica una maggiore spesa, e una maggiore spesa implica maggiori importazioni. Di conseguenza la crescita compatibile nel lungo periodo con il mantenimento dell’equilibrio esterno è:

1) direttamente proporzionale alla crescita delle esportazioni (se le esportazioni crescono in fretta il paese ricava molta valuta estera e quindi può permettersi maggiore crescita perché ha di che pagare le maggiori importazioni che ne conseguono);

2) inversamente proporzionale alla elasticità delle importazioni al reddito, che misura la dipendenza strutturale del paese dai beni esteri (se il paese dipende molto dai beni esteri, un aumento del reddito provocherà un aumento relativamente più sostenuto delle importazioni rispetto a quello che si avrebbe in un paese che invece sovviene da sé alla maggior parte dei propri bisogni).

Quindi: [1] più crescono le tue esportazioni, più puoi permetterti di crescere senza rischio di crisi di bilancia dei pagamenti; [2] più dipendi dai beni esteri, meno puoi permetterti di crescere (senza rischio ecc.).

Semplice, no? E, come abbiamo visto, funziona (nel senso che spiega bene gli scarti nei tassi di crescita di lungo periodo fra le diverse economie mondiali).


(...parentesi: come sapete, questo è esattamente il punto che non viene colto dagli utili tsiprioti e in generale dagli appellisti: quelli che “tenemose l’euro ma famo ‘a politica fiscale espansiva a casa nostra”. Una politica fiscale espansiva in cambi rigidi ovviamente determina un immediato peggioramento dei conti esteri, e siccome noi siamo, come sapete bene (voi) in una crisi di bilancia dei pagamenti e non di bilancio pubblico, ecco che la soluzione proposta aggraverebbe il vero male. I colleghi lo sanno, sono in cattiva fede per lo più per motivi politici, ed è per questo che non sono in buoni rapporti con loro, e sapete anche questo, quindi è inutile ribadirlo. Chiunque di voi apra un manuale di economia mi capirà...)


Nel mio ultimo lavoro ho provato a vedere se il vincolo esterno funzionasse anche come spiegazione dell’evoluzione temporale della crescita di un singolo paese, il nostro. Prima di farvi vedere i risultati, vi do qualche altro approfondimento (scusandomi per le eventuali mancate risposte sotto al post precedente: eventualmente ripostatele qui).

Intanto, tenete presente che il vincolo per definizione si applica alla crescita di lungo periodo. Che vuol dire, cos’è il lungo periodo? Questa domanda non ha una risposta univoca in economia. Nel contesto dell’analisi che stiamo facendo, diciamo che il problema può essere posto in questi termini: per quanto riuscirà, un dato paese, a farsi finanziare dai mercati uno sbilancio esterno? Nei termini che qui ci sono consueti (anche se in questo contesto forse sono un po’ riduttivi) potremmo chiederci: quanto può durare un ciclo di Frenkel? Diciamo che se va avanti sei-sette anni è molto. Questo significa che se effettui un’analisi prendendo la crescita media su un periodo di una ventina d’anni, puoi immaginare, a grandi linee, di aver “livellato” il risultato economico di un paese su almeno due o tre cicli, cioè di avere una stima del tasso di crescita “di lungo periodo”, quello attorno al quale il paese ciclicamente oscilla. Normalmente quindi le analisi del vincolo esterno (compresa la mia precedente su Applied Economics) procedono così: prendono un campione di paesi (io ne consideravo 22) e un campione di osservazioni abbastanza lungo (il mio andava dal 1960 al 2006), lo usano per stimare l’elasticità delle importazioni, e poi applicano la legge usando le medie campionarie dei tassi di crescita delle esportazioni e del reddito sull’intero campione.

Per dire, io nel mio lavoro precedente facevo una cosa del genere:


Leggiamo il primo rigo, che riguarda l’Australia. Dal 1960 al 2006 la crescita media delle esportazioni è stata del 6.05%, a me veniva un’elasticità stimata pari a 1.45, quindi il tasso di crescita compatibile con l’equilibrio di bilancia dei pagamenti è 6.05/1.45=4.17, e la crescita media effettiva nei 46 anni considerati è al disotto di questo vincolo, al 3.64%. Non notate niente di strano? Pare che l'Australia rispetti il vincolo esterno. Sicuri?

Nel caso dell’Italia il modello funziona particolarmente male: il tasso di crescita vincolato è vicino al 5% (4.96), mentre la media storica della crescita sul campione considerato è di circa 2 punti inferiore: 2.98%. Questi risultati, presi così, indicherebbero che anche l’Italia non è stata vincolata dal lato della domanda (estera): con un tasso di crescita delle esportazioni superiore al 6% e un’elasticità delle importazioni al reddito relativamente bassa avremmo potuto crescere di più senza andare in crisi di bilancia dei pagamenti. L’interpretazione standard, se i risultati fossero statisticamente corretti, sarebbe: "Fateskifen! Se non siete riusciti a crescere non è per un vincolo di domanda estera, ma per un vincolo di offerta nazionale (corruzione, casta, cricca, tempi della giustizia, costi della politica, e via micugineggiando...)".

In realtà le cose non stanno come gli offertisti pensano. La crescita italiana è stata vincolata pesantemente dal vincolo esterno, ma nell’articolo del 2010 questo non risultava a causa di un problema statistico che affrontavo, ma non ero riuscito a risolvere nel caso dell’Italia: il problema dei cambiamenti di struttura.

Qui la domanda è: ma siamo sicuri che in 46 anni la dipendenza strutturale di un paese dai prodotti altrui rimanga invariata? E la risposta è: abbastanza no. Nell’articolo del 2010 andavo a vedere se c’erano cambiamenti in questo parametro strutturale, e la risposta era ovviamente sì. I risultati erano questi:


Anche qui, prendiamo il caso dell’Australia: una analisi statistica più accurata (sui cui dettagli non mi soffermo) mostra che c’è un cambiamento di struttura alla fine degli anni ’60. Se lo si prende in considerazione, si ottengono stime mediamente più alte dell’elasticità delle importazioni al reddito, che invece di essere pari a 1.45 (come risulta nelle stime su tutto il campione della Table 4), passa da 2.15 prima del 1969 a 1.71 dopo il 1969. Ovviamente con una elasticità delle importazioni più alta (se pure decrescente nel tempo) il vincolo esterno australiano risulta più stringente, e in effetti con questi calcoli si vede che l’Australia lo ha violato praticamente sempre (nel secondo sottoperiodo in effetti di pochissimo). Questo risultato è più coerente con quello che sappiamo dell’Australia, paese che è classificato come persistent net external debtor dai soliti Lane e Milesi Ferretti (1999). Certo: se un paese viola il vincolo esterno, ovviamente sarà un debitore estero (importa “troppo”, viva "al disopra dei suoi mezzi"), e altrettanto ovviamente, se lo fa è perché può farlo, cioè perché qualcuno ci mette i soldi (ad esempio gli USA?).

Notate che nella Table 5 (quella che considera possibili break strutturali) l’Italia manca. Perché? Perché in quel lavoro non ero riuscito a ottenere stime statisticamente valide dell’elasticità delle importazioni al reddito (dipendenza strutturale dell’Italia dai beni esteri) né su tutto il campione, né considerando cambiamenti di struttura (per i tecnici: la nulla di non cointegrazione non veniva respinta).

Nel mio ultimo lavoro ho ripreso in considerazione il nostro paese, apportando due o tre migliorie all’analisi. Intanto, ho considerato i flussi commerciali bilaterali (quindi non le importazioni complessive, ma quelle dai sette gruppi principali di partner: centro dell’Eurozona, periferia dell’Eurozona, altri paesi dell’Unione Europea, Stati Uniti, OPEC, BRICS e resto del mondo). Poi, ho preso in considerazione l’ipotesi che ci potesse essere, in ognuna di queste sette relazioni, più di un cambiamento di struttura. Con questi approfondimenti, ho ottenuto dei risultati statisticamente validi.

Il succo del discorso riassunto da questa figura, che riporta l’evoluzione di numeratore (tratteggiato) e denominatore (puntinato) della legge di Thirlwall, insieme al valore del tasso di crescita vincolato (rapporto fra numeratore e denominatore, linea continua, scala di sinistra).


Si notano alcune cose.

La prima è che il tasso vincolato è andato costantemente diminuendo nel tempo, con tre scalini abbastanza evidenti: uno intorno al 1975 (dopo il primo shock petrolifero); uno intorno al 1986 (SME credibile); uno intorno al 1996 (rivalutazione e aggancio all’ECU/EUR). L'Italia è stata progressivamente soffocata dal vincolo esterno. Per constatarlo, basta rappresentare insieme il vincolo esterno e la componente di lungo periodo del tasso di crescita italiano:


(estratta con un filtro di Hodrick-Prescott o di Christiano-Fitzgerald: qui si va sul relativamente complicato e non mi metto a spiegarvelo, anche se prometto che ci divertiremo con gli spettri abbastanza presto).

La componente di lungo periodo del tasso di crescita (indicata con HP o CF: in sostanza, una specie di media mobile del tasso di crescita, calcolata in modo da trascurare i movimenti di breve periodo, da un anno all'altro, cogliendo solo l'evoluzione "fondamentale" della crescita) presenta alcune oscillazioni, che seguono però la generale tendenza ribassista del vincolo esterno, con un accostamento abbastanza significativo.Notate anche che prima di crisi di bilancia dei pagamenti l'Italia cresce a tassi superiori al vincolo. I conti tornano.

La seconda è che la dipendenza dell’Italia dai prodotti altrui (l’elasticità alle importazioni, espressa dal parametro al denominatore della legge di Thirlwall) è andata sempre aumentando (è la linea a puntini), con un forte incremento in occasione della effettiva entrata nell’euro (cioè dal 1996 in poi). Notate che il precedente scalino verso il basso del tasso di crescita vincolato (linea continua) era stato determinato non da un aumento del denominatore, ma da una diminuzione del numeratore (cioè del tasso di crescita delle esportazioni, linea tratteggiata) dopo il 1986. In quel caso erano peggiorati i nostri mercati, in qualche modo (i nostri prodotti erano diventati meno appetibili? La domanda estera era diminuita?). Nel 1996 invece succede una cosa diversa: da lì in avanti aumenta la nostra dipendenza dai prodotti esteri.

La terza è che data la sua struttura e quella del commercio internazionale in cui è inserita, allo stato attuale l’Italia non può sostenere un tasso di crescita superiore allo 0.75% senza che i suoi conti esteri ricomincino a deteriorarsi. Ho appena ricevuto un report di Oxford Economic Forecasting che per quest’anno prevede 0.5% (quindi i conti esteri non peggioreranno, o non di molto), e per l’anno prossimo prevede 1%. Notate anche come la mettono:


("la crescita è stata frenata dal saldo commerciale ma la crescita delle importazioni riflette il miglioramento dell'economia interna", dove vanno apprezzate due cose: (1) la prima è la solita, ovvero che tutti sanno che una accelerazione della crescita peggiora il saldo estero; gli appellisti non lo sanno perché non vogliono saperlo e infatti nel mio libro scrivo che con loro l'economia ha perso la propria dignità; (2) la seconda cosa è il meccanismo keynesiano di stabilizzazione del saldo estero... ma se non lo vedete non preoccupatevi: intanto, Monti lo vedeva benissimo, e poi comunque se riparleremo...)

La quarta è che la mia analisi pubblicata nel 2015 (uscirà in autunno) utilizza dati solo fino al 2010 (l’avevo fatta nel 2013 e sottoposta all’editore nel 2014). Nel frattempo il mondo è andato avanti, e ovviamente non in meglio, per noi.

Qui la domanda è: la deindustrializzazione determinata anche dal crollo della domanda interna (austerità), oltre che dalla penalizzazione sui mercati esteri (apprezzamento del cambio reale determinato dall’euro), che effetti ha sul vincolo esterno? E la risposta è abbastanza ovvia. Meno cose riusciamo a fare da noi, e più dovremo comprarne all’estero. In altre parole, l’elasticità delle importazioni al reddito, se prosegue il processo di sfaldamento dell’industria italiana, non potrà che aumentare, rendendo ancora più stringente il vincolo, e ancora meno sostenibile per noi una crescita sostenuta che non sia finanziata dai capitali esteri (i quali, per  definizione, dopo un po’ si stancano e se ne vanno, lasciando dietro di sé macerie, come abbiamo visto accadere tante volte dal 1980 in poi).

Ovviamente questo rimane qui fra noi (e per i lettori della International Review of Applied Economics).

I nostri politici o sono traditori, o non ci arrivano, ma per noi cambia poco: l’interesse del paese è in ogni caso leso, e in ogni caso loro non sono disposti nemmeno a far finta di prendere in considerazione il problema, che poi è sempre il solito, e non è quello di uscire dall’euro (perché tanto dall’euro usciremo), quanto quello di uscirne in fretta, per limitare i danni.

Si apra la discussione (ma io dormo, o almeno ci provo: il monaco buddista mi terrà sveglio?).





(...per leggere un monaco buddista devo stare parecchio male, e in effetti sto parecchio male, non nel senso di provare dolore, ma spossatezza sì. Che dite, sarà il caldo?...)