Come le pecorelle escon del chiuso
a una, a due, a tre, e l'altre stanno
timidette atterrando l'occhio e 'l muso;
e ciò che fa la prima, e l'altre fanno,
addossandosi a lei, s'ella s'arresta,
semplici e quete, e lo 'mperché non sanno
così i costituzionalisti stanno uscendo dalla loro
turris eburnea, a
uno, a
due, magari domani a tre, e noi, che tante volte e in tanti modi abbiamo cercato di coinvolgerli (ad esempio
qui e
qui), restiamo comunque nel dubbio che lo 'mperché ancora non sappiano, cioè che ancora non sia a tutti loro chiaro, per motivi antropologici, epistemologici e sociologici (in ordine alfabetico), quale dovrebbe essere il punto focale di questa loro preoccupazione che finalmente si estrinseca, ovvero il fatto che
un sistema che prevede come unica valvola di sfogo la compressione dei salari, (De Grauwe dixit: "ridurre salari"), necessariamente dovrà comprimere i diritti politici. Questa deriva autoritaria è oggettiva: dato che i salari sono la fonte di reddito della maggioranza, questa, vistasi lesa nei suoi diritti economici, prima o poi voterà contro. L'unico modo che il sistema ha di perpetuarsi è comprimere, insieme ai salari, la democrazia.
As simple as that.
Bene così, e mi perdonino gli autorevoli colleghi per quello che suona come un amaro sarcasmo,
perché lo è. D'altra parte, le due terzine che ho citato sono immediatamente precedute dal mio endecasillabo preferito:
ché perder tempo a chi più sa più spiace.
Oh, quanto tempo è andato perduto, sprecato! E quanto ci ha addolorato, questa perdita di tempo, quanto lancinante è stato l'assillo di noi che vedevamo il nostro Paese scivolare lungo un piano inclinato al termine del quale non poteva che esserci la compiuta metamorfosi del
fascismo finanziario (Tremonti dixit) in fascismo politico!
Noi vedevamo, noi denunciavamo...
Ma non dobbiamo guardare indietro! Non è perché si sveglia solo quando l'acqua lambisce il lino delle sue candide lenzuola in prima classe che chi sa fare cose sia inutile, anzi! Capita che le conversioni tardive siano assistite dal sacro zelo del neofita, che, quando non è un intralcio, è una risorsa, e quindi noi, che siamo il dibattito, esattamente come dobbiamo bloccare senza remissione né misericordia i provocatori, dobbiamo accogliere senza rampogne né diffidenza questi risvegli tardivi, dobbiamo valorizzarne il contenuto, dobbiamo nel modo più neutrale e asettico possibile portarli a conoscenza dei nostri concittadini.
Con questo spirito ecumenico voglio segnalarvi un
bellissimo articolo che ho letto oggi, il cui autore è stato niente meno che
Presidente della Corte Costituzionale in un periodo in cui il dibattito già esisteva.
La tesi
L'articolo è molto leggibile ma ve ne riassumo comunque per sommi capi il contenuto.
Partendo dall'affermazione che è improprio e pericoloso parlare di sospensione delle garanzie costituzionali, perché sarebbe sufficiente "per fronteggiare lo stato di necessità, applicare quanto è scritto nella Carta costituzionale" (e
se una cosa non serve a nulla serve a qualcos'altro, come qui sappiamo), l'articolo descrive con preoccupazione due processi degenerativi in corso da tempo: il disprezzo verso la democrazia parlamentare, su cui qui tante volte ci siamo spesi in inutili allarmi, che non incombevano a noi per settore scientifico-disciplinare (in particolare quando abbiamo criticato la
raison d'être dei nostri amici ortotteri), e la progressiva alterazione della gerarchia delle fonti, cioè l'effetto domino che ha portato "il decreto legge al posto della legge, l’atto amministrativo al posto del decreto legge" (anche di questo qui ci siamo occupati, quando vi ho spiegato in dettaglio c
he cosa sia diventato il processo legislativo ordinario: "la vera attività legislativa infatti si svolge ormai in un altro modo, cioè "agganciando" a un treno-decreto un vagone-emendamento"). Un effetto domino nella sfera legislativa che si affianca ad un altro, in quella esecutiva: "Il Parlamento è troppo lento e rissoso per essere in grado di sfornare atti normativi con la tempestività imposta dalle drammatiche circostanze determinate dall’espandersi del contagio. Ci pensa il Governo; anzi, siccome lo stesso Governo è lento e litigioso al suo interno, ci pensa il Presidente del Consiglio dei ministri".
Con squarci storici suggestivi e impressionanti l'autore mette in evidenza i tremendi rischi di queste derive che il mito del "decisionismo" rende tollerabili se non addirittura auspicate da popolo ed élite: "quel benefico decisionismo, il cui
deficit sarebbe alla radice di tutti i mali. Si diceva lo stesso nella Germania di Weimar. Sappiamo come è andata a finire".
L'autore riconosce poi con saggezza l'esistenza di alcuni vincoli oggettivi e soggettivi allo svolgimento della normale attività parlamentare: ravvisa vincoli soggettivi in "eventuali atteggiamenti non collaborativi dell’opposizione", e vincoli oggettivi nella "difficoltà di riunirsi delle Camere, a causa della necessità di osservare rigorosamente le precauzioni necessarie ad evitare la diffusione del contagio, anche all’interno delle sedi parlamentari". Per ovviare a entrambi questi limiti l'autore propone, in assenza di riserve di legge di rango costituzionale o di altro tipo, di modificare i regolamenti parlamentari in modo tale che la conversione dei decreti possa avvenire in sede redigente o addirittura (non è chiaro) deliberante, con un duplice vantaggio: tempi più rapidi (questi in effetti si avrebbero solo nella sede deliberante, che elimina il passaggio in assemblea, e credo che a questo si riferisca l'autore quando parla di "procedimento decentrato"), e ovviamente il coinvolgimento di un minor numero di parlamentari, con minori rischi di contagio.
L'ultimo paragrafo è ugualmente interessante e riguarda un altro grande tema sollevato dalla crisi, il rapporto fra emergenza e sistema delle autonomie, su cui non entriamo per non appesantire il discorso.
La diagnosi
La diagnosi dell'autore è a mio avviso tanto illuminante quanto condivisibile, anche se, a mio avviso, necessita di due integrazioni.
La prima è che, suppongo per economia di trattazione, nel denunciare l'aggressione "bottom-up" alla potestà parlamentare, tale per cui argomenti oggetto di riserva di legge come le libertà personali vengono in nome del decisionismo gestiti per atto amministrativo,
l'autore non si sofferma su un'altra aggressione, ben più risalente e penetrante, quella che avviene "top-down" in base all'affermazione del principio della supremazia del diritto comunitario sul diritto nazionale. Come qui abbiamo ampiamente discusso, grazie al lavoro di
Luciano Barra Caracciolo e di
Vladimiro Giacché, i principi fondamentali dei Trattati sono in larga parte incompatibili con quelli della nostra Costituzione. Vale la pena di ricordare la semplice radice di questa antinomia:
la Costituzione di una Repubblica fondata sul lavoro (Art. 1 comma 1 Cost.) oggettivamente entra in conflitto con quella di una Unione basata sulla stabilità dei prezzi (Art. 3 comma 3 TUE), per il semplice motivo che la dinamica dei prezzi è legata non all'offerta ("stampa") di moneta, come ha dimostrato il fallimento di Draghi nel raggiungere l'obiettivo di inflazione al 2%, ma alla dinamica della disoccupazione (curva di Phillips, esercito industriale di riserva, ecc.).
Quindi, se vuoi prezzi stabili, devi sacrificare lavoro (occupazione), e se vuoi tutelare il lavoro (piena occupazione), devi sacrificare la stabilità dei prezzi (o ridefinirla in modo compatibile).
Ciò pone ovviamente il tema di chi debba cedere il passo quando questo conflitto si estrinseca, tanto più che, come è stato autorevolmente ricordato se non erro da Omar Chessa nel
convegno sopra citato,
il principio della supremazia del diritto unionista di fatto legittima l'aggressione di norme di rango costituzionale, o comunque di rango primario, da parte di norme di rango secondario: i Regolamenti UE, che sono, per definizione, immediatamente esecutivi (come i decreti legge). A titolo di esempio, riallacciandomi a un tema che qui abbiamo visto venire prima di altri, il diritto costituzionale alla tutela del risparmio è stato aggredito dal complicato intreccio di due direttive (la BRRD e la CRD) e un regolamento (il CRR), aggiungendo al
vulnus di una aggressione alla Costituzione a colpi di normativa secondaria quello di una totale opacità, tale per cui la stessa Autorità Bancaria Europea si è sentita in dovere di emettere delle
linee guida per aiutare le autorità nazionali ad orientarsi (!) in questo complesso inviluppo.
Non è solo il cesarismo nostrano, che pure c'è (ci sarà pure un motivo se nell'ultima discussione sulla fiducia qualcuno in aula ha "cripto-citato" Shakespeare...), a mettere in crisi la gerarchia delle fonti: l'imperialismo altrui fa la sua parte. Mi piacerebbe sinceramente sentire il parere dell'autore su questo punto: appartiene anche lui al consesso di chi nell'art.11 della Costituzione legge il termine "limitazione" (restringo l'uso di un "oggetto", la sovranità, che appartiene a me popolo) come "cessione" (cedo - a chi precisamente? - un oggetto che
solum è mio, la sovranità, e che quindi da lì in poi non mi appartiene più)?
Sarebbe utile saperlo, perché la
summa divisio si pone a quel livello.
C'è poi una sfumatura, che però a me pare importante. L'autore sembra ritenere che Schmitt non ci aiuti a inquadrare la situazione attuale, e su questo mi permetto di dissentire, assistito dall'
incipit della
Politische Theologie:
Souverän ist, wer über den Ausnahmezustand entscheidet. "Entscheiden über" significa decidere (su qualcosa), non comandare (in o durante qualcosa). L'etimologia rimanda insomma a una opzione radicale, una cesura fra due alternative: lo
skeidan del tedesco antico è parente dello
scindere latino e italiano (Martinetus saprà aiutarci a trovare il nonno sanscrito di questi nipotini...). Ma insomma, a me pare che Schmitt semplicemente (etimologicamente) dica che sovrano è chi "ci dà un taglio" e decide che si è in stato di eccezione, indipendentemente dal fatto che sia poi in grado di governarlo o sia chiamato a governarlo. Certo, come dice l'autore "lo stato di eccezione schmittiano – di questi tempi spesso evocato – presuppone uno spazio vuoto" che non sarebbe ipotizzabile "nell'Italia repubblicana e democratica". Concordo. Ma uscendo dal condizionale e entrando nell'indicativo, a me viene da dire che
questo Governo che decide su tutto ma non governa niente, in virtù di questo stesso modus operandi certifica di aver usurpato la sovranità al popolo.
Insomma, se diamo della frase di Schmitt una lettura positiva, più che normativa, essa ci aiuta a capire che molta, troppa strada è stata già fatta. Detto ancora in un altro modo: non leggerei la frase di Schmitt come una giustificazione per quanto sta accadendo (come l'autore deplora che alcuni facciano), ma anzi,
a contrario, come il più elevato grido di allarme circa la piega che le cose stanno prendendo.
Su alcuni falsi miti
Passiamo dalla diagnosi alla terapia, cioè al suggerimento di modificare i Regolamenti parlamentari consentendo che la conversione dei decreti legge avvenga in sede deliberante anziché referente (e cioè eliminando il passaggio in assemblea). Vorrei valutare con voi se queste modifiche siano effettivamente necessarie e quale forma dovrebbero prendere.
Intanto, parto dal dato incontestabile: la gestione dell'Assemblea e della Commissioni è in effetti resa piuttosto difficile dal pericolo di contagio. Al Senato, in particolare, sono pochi gli spazi che consentono una sicura operatività per le Commissioni: la Sala Koch, la Sala Nassiriya, l'aula Difesa, e più o meno basta. Quanto all'Assemblea, per riunirla mantenendo le distanze di sicurezza si sono spostati gli stenografi in uno dei due balconi soprastanti al banco della Presidenza, si sono fatti accomodare nei due ordini di tribune alcuni senatori, scelti ovviamente fra quelli non iscritti a parlare, e si sono chiamati gli iscritti al parlare al banco delle Commissioni, per evitare che aspergessero i colleghi (
asperges me et aegrescor...).
Il distanziamento sociale è quindi gestibile, ma inibisce una parte importante, forse la più importante, perché meno visibile e non codificata, del lavoro politico, fatta di lavoro degli uffici (come vi ho spiegato in dettaglio
qui), anch'esso inibito a causa di restrizioni di orari e di spazi, di accordi giustamente riservati presi in corridoio sussurando all'orecchio del vicino (cosa ora vietatissima), di decisioni prese nella concitazione delle votazioni coordinandosi con la mimica facciale (ovviamente impossibile se si è mascherati). Questo significa che nel momento in cui si ha meno tempo a disposizione, occorre più tempo per mettersi d'accordo, cioè per comunicarsi le proprie reciproche posizioni.
Quindi, per riassumere: la parte "scenica" del lavoro politico, la sacra rappresentazione, è preservata, ma quella sostanziale è sostanzialmente intaccata, e su questo nessuna modifica del Regolamento può incidere. Starà a noi politici creare altre forme di coordinamento informale, e lo stiamo facendo, ma qui il Regolamento non può aiutarci.
Vorrei ora sfatare una mitologia cui l'autore mi sembra soggiacere, quella del già citato "Parlamento lento e rissoso" (che asintoticamente riconcilia con la sua trasformazione in bivacco di manipoli...) e degli "atteggiamenti non collaborativi delle opposizioni" (che a tendere giustificano la derubricazione a odio di qualsiasi espressione di dissenso). Mi preme dimostrare che nulla di tutto questo incide sul tema che l'autore affronta, ovvero sulla rapidità di conversione dei decreti legge, e quindi nulla di tutto questo giustifica, se non a livello del più becero gossip giornalistico, il rifiuto del Governo di servirsi dello strumento del decreto legge.
La dimostrazione si basa su due dati di fatto: primo, questa opposizione non sta facendo ostruzionismo; secondo, se anche facesse ostruzionismo, non riuscirebbe a ritardare i tempi di un provvedimento su cui in ogni caso il Governo intende porre la questione di fiducia.
So che questa sembra un'opinione politica (cioè, per il PD, una manifestazione di odio da denunciare al
Ministro della Verità!), perché equivale alla dichiarazione di un membro dell'opposizione che se ci sono stati ritardi la colpa è della maggioranza! Ma la ritualità del Parlamento, che ai decisionisti (non all'autore) spiace, serve proprio a separare le opinioni dai fatti e dal loro resoconto.
Servendomi appunto del resoconto, chiarisco il primo passaggio (questa opposizione non sta facendo ostruzionismo).
Vi ho fatto vedere qui in che modo la maggioranza ha fatto ostruzionismo a se stessa presentando 533 emendamenti e perdendo una marea di tempo nel ritirarli (il relativo verbale è qui). Posso dire con cognizione di causa, perché è il mio lavoro, che questa seconda parte della storia avrebbe potuto essere gestita in modo più efficiente; deploro qui che manchi a verbale il mio intervento sull'ordine dei lavori a tal proposito.
A contrario, posso farvi vedere come funziona l'ostruzionismo quando deriva non dall'inconsistenza della maggioranza, ma dalla pertinacia dell'opposizione. Un esempio è
qui, nella discussione del decreto dignità. Semplicemente, una volta passati all'esame degli articoli, su cui ci si premura di presentare una mole esorbitante di emendamenti (quindi 2000, non 204 come abbiamo fatto noi),
si chiede di intervenire in dichiarazione di voto su ogni singolo emendamento (per non più di dieci minuti, art. 89 comma 3 del
Regolamento). Il Regolamento consente un intervento per gruppo (art. 109 comma 2), ma naturalmente, per tutelare le opinioni di tutti, è altresì consentito a ogni parlamentare di intervenire per motivare il suo eventuale dissenso dal gruppo, purché il numero dei "dissociati" sia inferiore a quello della metà degli appartenenti al gruppo. In pratica, nella lunga notte del 5 agosto 2018 le nostre opposizioni, in particolare quelle di sinistra, utilizzarono questa tattica intervenendo sistematicamente in dichiarazione sia a favore che in dissenso (divertentissime le dichiarazioni di voto in dissenso del senatore Laus).
Ma, alla fine, questo a che cosa porta?
Nei lavori di Commissione non vengono contingentati i tempi per gruppo, e quindi ogni gruppo interviene quanto desidera purché nei limiti del Regolamento (quelli appena ricordati). Tuttavia, più di tanto non puoi tirarla in lungo perché
la durata complessiva dell'esame in Commissione è comunque limitata:
è la capigruppo a decidere quando va in Aula (cioè in Assemblea) il provvedimento. Di conseguenza, il massimo risultato che un feroce ostruzionismo può ottenere è che non si termini il lavoro in Commissione, cioè che non si riesca a votare il mandato al relatore. Ciò costringe il Governo a elaborare un maxiemendamento su cui porre la fiducia per recuperare il lavoro emendativo della maggioranza (altrimenti decaduto), oppure a rivotare tutto in Assemblea, dove comunque i tempi sono contingentati e
il canguro consente di andare spediti. In altre parole: l'opposizione
non può far perdere tempo alla maggioranza, e in particolare non lo ha fatto col Cura Italia, tant'è che il provvedimento
è andato in Assemblea col relatore (su quello che è successo dopo taccio per carità di Patria). Ancora in altri termini: in questo assetto regolamentare, che,
come ha spiegato tanto bene Azzariti a questa comunità, comprime fortemente i diritti dell'opposizione, il massimo che questa possa ottenere con l'ostruzionismo è di dover rinunciare ai propri emendamenti!
Quindi, non solo in questa fase di emergenza l'opposizione non sta facendo ostruzionismo, e per un lungo periodo non ha fatto nemmeno opposizione (la famosa storia della cabina di regia), come vi ho appena dimostrato
per tabulas, esercitando la pedagogia dell'esempio e dell'esperienza,
ma se anche facesse ostruzionismo non riuscirebbe a prolungare più di tanto i tempi dell'esame.
Questo significa che da un lato è ancor più incomprensibile e ingiustificabile il ricorso ai DPCM, e dall'altro, per quanto pregevole, è probabilmente superflua la proposta di spostare la conversione dalla sede referente alla deliberante. Una proposta che anzi, a mio avviso, crea più problemi di quanti non ne risolva, e mi affretto a spiegare perché, anche allo scopo di evidenziare un'altra dimensione del malcostume legislativo che ci affligge.
Omogeneità
Premesso che l'articolo del Regolamento del Senato su cui intervenire non sarebbe il 78 citato dall'autore (che semplicemente descrive l'ordine dei lavori sulle leggi di conversione), ma il 35, che riserva all'esame in sede referente una serie di provvedimenti (quelli in materia costituzionale e elettorale, quelli di delegazione legislativa, le ratifiche di trattati internazionali, le conversioni di decreti legge e poco altro), immaginiamo che cosa sarebbe successo se il Presidente Alberti Casellati avesse potuto decidere di assegnare alla Commissione 5a in sede deliberante il Cura Italia (cioè se l'articolo 35 del Regolamento non fosse esistito). Il Presidente Bagnai, vistosi sottratto l'esame di un articolo composto da 5 titoli di cui due di materia della sua Commissione (uno sul fisco e uno sulle banche), per tutelare il ruolo dell'organo parlamentare da lui presieduto avrebbe sollevato immediatamente un problema di attribuzione chiedendo l'assegnazione alle Commissioni riunite 5a e 6a. Ma dato che il primo titolo del provvedimento tratta di materia sanitaria, altrettanto avrebbe potuto fare il Presidente Collina. E saremmo arrivati a tre Commissioni riunite.
Fatto fermo il principio che le decisioni sull'assegnazione sono prerogativa esclusiva del Presidente, resta comunque che l'esclusione del passaggio in Assemblea renderebbe piuttosto cogenti le richieste delle altre Commissioni coinvolte per materia. Si potrebbe infatti argomentare che
senza passaggio in Assemblea i senatori specializzati in un determinato ambito (la fiscalità, la sanità, la giustizia, ecc.) non avrebbero modo di esaminare compiutamente il provvedimento e di incidere su di esso. Questo è chiaro anche all'autore, tant'è che correttamente cita la facoltà di passare "al procedimento ordinario, su richiesta del Governo, di un quinto dei membri della commissione competente e di un decimo dell’assemblea" (art. 35 comma 2 del Regolamento).
Non solo: questo è anche successo. Nella conferenza dei capigruppo che ha disposto l'esame del provvedimento, a fronte di una posizione del PD, che sostanzialmente voleva che si svolgesse l'esame in sede referente nella sola Commissione 5a senza sedi consultive (privando così la Commissione Finanze del diritto di esprimersi su un provvedimento che per due quinti la riguardava!), mi sono trovato a portare avanti la necessità di esaminare il provvedimento in sede referente nelle Commissioni riunite 5a, 6a e 12a coinvolgendo in sede consultiva le Commissioni interessate (Giustizia, Affari costituzionali, Agricoltura). Il punto di caduta è stato l'esame in sede referente nella Commissione 5a con l'esame in sede consultiva in tutte le altre Commissioni (quella di coinvolgere tutte le altre Commissioni è stata una posizione presa dal PD semplicemente a titolo di ricatto, visto che da parte nostra ci siamo rifiutati di dare l'unanimità a un calendario che non accoglieva la nostra richiesta di avere il premier in aula per comunicazioni sul MES: dovendo così portare il calendario in votazione, il PD si è fatto autostruzionismo imponendo la convocazione di Commissioni anche non interessate - e che infatti i rispettivi presidenti poi non hanno convocato, per poi poter dire che "i leghisti cattivi mettono in pericolo la salute dei parlamentari..."). Quattro ore di conferenza dei capigruppo... la vita è fatta anche di queste cose, come il Presidente Silvestri sicuramente saprà!
E qui si arriva a un punto cruciale. La proposta del Presidente Silvestri avrebbe perfettamente senso se il Governo si attenesse, nella decretazione d'urgenza, a quel principio di omogeneità di materia su cui mi pare che la giurisprudenza della Corte,
dopo alcune oscillazioni, abbia poi definitivamente
allargato le maglie (ma qui confesso di non essere un esperto, e chiederei l'aiuto al costituzionalista di turno).
Chiarisco il tema dal mio punto di vista operativo:
se, come nella Lega avevamo auspicato, il Governo fosse intervenuto con provvedimenti puntuali (visto che comunque ne ha emessi una selva, senza minimamente concordare con l'opposizione questo percorso), e se, in particolare, avesse fatto un decreto molto semplice:
sono sospesi gli adempimenti fiscali e i pagamenti delle rate dei mutui full stop, questo decreto, nello scenario ipotizzato dal Presidente Silvestri, sarebbe stato facilmente convertibile in sede deliberante (quindi senza passaggio in Assemblea) dalla Commissione 6a, rientrando pienamente nell'alveo delle sue attribuzioni.
La linea scelta dal Governo, invece, cioè quella di scrivere di fatto una specie di legge di bilancio con collegato fiscale incorporato, avrebbe di fatto reso obbligatorio il procedimento scelto dal Presidente Alberti Casellati anche se le modifiche regolamentari auspicate dal Presidente Silvestri fossero state apportate.
Spero di aver chiarito il punto: il fatto che la Corte Costituzionale (e, devo credere, la Presidenza della Repubblica) si sia progressivamente orientata verso un'interpretazione molto estensiva dell'art. 15, comma 3 della
L. 400/1988, che recita "i decreti devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo", ritenendo che "l'urgente necessità del provvedere può riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate ovvero dall'intento di fronteggiare situazioni complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti a materie diverse, ma orientati all'unico scopo di apportare rimedi urgenti" (tradotto: tana liberi tutti!),
complica in modo significativo il lavoro degli organi parlamentari competenti. Già il lavoro di due Commissioni riunite non è agevole per motivi logistici e organizzativi, figuriamoci con tre o quattro, come sarebbe giustificabile data l'eterogeneità dei provvedimenti che il Governo sta emanando! Tre Commissioni sono una settantina abbondante di persone, esclusi i funzionari: neanche la sala Koch può contenerle in sicurezza, bisognerebbe lavorare in Assemblea, con tutte le complicazioni del caso.
Questo vale in emergenza, ma le cose non vanno molto meglio in tempi normali: la disomogeneità dei decreti è solo un altro dei sintomi tramite cui si manifesta quel degrado della democrazia parlamentare che l'autore stigmatizza. Un sintomo subdolo, ma non per questo il meno letale.
Concludendo
Se il problema procedurale della farraginosità (o della rissosità) delle sedi referenti esistesse, per risolvere la questione aggirando l'ulteriore problema della disomogeneità dei provvedimenti si potrebbe anche pensare di assegnarli in sede deliberante a una Commissione speciale (facoltà già concessa al Presidente dall'art. 35 comma 1 del Regolamento, ma ovviamente non per le leggi di conversione).
Tuttavia, come ho cercato di farvi capire, il problema non esiste.
Questo Governo decide per DPCM e non per decreto legge per i motivi che il Presidente Silvestri correttamente individua (una risposta "decisionista" alle scissioni insanabili della maggioranza, che si riflettono nella compagine governativa), e perde tempo non per colpa del Parlamento, ma semplicemente perché sta aspettando da Bruxelles il permesso di impegnare ulteriori risorse, permesso che gli verrà dato quando avrà infilato il collo del paese nel cappio del MES, cioè di quel meccanismo in grado di imporre condizioni sufficientemente draconiane a garanzia di chi ritiene di essere nostro creditore. La possibilità di ricorso al MES andava semplicemente tolta dal tavolo del negoziato. Il non averlo fatto è una capitolazione, come correttamente rilevano qui altri due costituzionalisti
in un altro bell'articolo che vi segnalo. In che modo il Governo sia stato ricattato, se con la minaccia di scatenargli contro "i mercati", o con quella di una feroce procedura di infrazione a emergenza finita, non so dirvelo. Ma è andata così, e ora il nostro paese è a un bivio, il bivio che Dani e Menéndez lucidamente descrivono (alla buon'ora!).
Il tempo è stato perso così, aspettando in pista l'autorizzazione al decollo. L'opposizione e il Regolamento del Senato c'entrano ben poco. La compressione della democrazia ha altre origini, quelle che in queste poche pagine ho affrontato in sintesi, e alla cui denuncia ho dedicato gli ultimi dieci anni. Se vorremo riconoscere l'esistenza del vero problema, sapremo trovare insieme una soluzione vera.
Benvenuti?