I am pleased to inform you that your paper Dietary fats, Carbohydrates, and Atherosclerotic Vascular Diseases has been accepted for publication in the New England Journal of Medicine. My own comments are appended to the end of this letter. Now that your manuscript has been accepted for publication it will proceed to copy-editing and production...
Non era certo la prima volta che Mark Hegsted, ordinario di dietologia (traduco così professor of nutrition) presso il prestigioso Dipartimento di dietologia della Scuola di sanità pubblica (da non confondere con la salute pubblica, così come, cari amici giornalisti, l'education non va confusa con l'educazione, perché è istruzione) di Harvard, non era la prima volta, dicevo, che Hegsted riceveva una lettera del genere. Son lettere che, posso assicurarvi io che ne ricevo più o meno tre all'anno, fa sempre piacere ricevere. Diceva Woody Allen che a una certa età (quella alla quale sono riuscito ad arrivare io...) le parole più belle da udire non sono: "ti amo", ma: "è benigno". Questo però vale per voi ignoranti, capre, populisti, e anche un po' nazionalfascioleghisti. Per noi scienziaty le parole più belle sono certamente "has been accepted", soprattutto se chi te le manda è l'editor (che poi sarebbe il curatore) di una rivista prestigiosa come il New England Journal of Medicine (forse la più importante, senz'altro fra le dieci più importanti riviste di medicina, con un impact da capogiro, che oggi quota 72,04), e soprattuttissimo se l'articolo pubblicato è un articolo di rassegna su un tema di grande rilevanza come quello delle malattie cardiovascolari, perché questo garantisce che una fetta molto consistente dei tuoi colleghi sarà praticamente costretta a citarti per almeno tre motivi: il prestigio della rivista, l'attualità del tema, e la praticità di poter far riferimento a una rassegna comparata degli studi precedenti, anziché andarseli a leggere tutti quanti per trarne le conclusioni (fingere di sapere è esercizio che richiede una certa pratica, ma risparmia tanta fatica).
Col senno di poi, possiamo dire che la soddisfazione di Hegsted era ben motivata: l'articolo, infatti, ad oggi ha avuto 110 citazioni (le ultime tre nel 2017!): non moltissime per una rivista di quel settore, ma pur sempre un quarto di quante ne ho ottenute io nella mia laboriosa esistenza (mi riferisco, per la precisione, alle citazioni su Scholar).
Non era la prima volta, disais-je: a 53 anni il nostro Mark la sua carriera l'aveva fatta, e pubblicare aveva pubblicato: altrimenti, capite bene, non sarebbe finito a insegnare in un tempio de Lascienza come Harvard. Di pubblicazioni ne aveva più di 200, dal 1939 in giù.
Guarda caso...
La sua personale guerra al colesterolo Mark l'aveva dichiarata dal Dipartimento di Biochimica dell'Università del Wisconsin a Madison, dove faceva il dottorato, proprio mentre in un'altra parte del mondo qualcuno scatenava un'altra guerra. A questa non ci risulta che Mark abbia partecipato: forse perché un po' troppo segaligno, al limite del cachettico, come ce lo tramandano le foto dell'epoca (il colesterolo, certo, non era un suo problema, il che, se vogliamo, rendeva tanto più generoso il suo impegno nel combatterlo, così strenuamente e disinteressatamente), forse perché, in quanto giovane e brillante scienziato, la sua patria riteneva che egli fosse più utile nelle retrovie che al fronte. E così, il 1942 non l'aveva visto marciare verso Capas dopo la battaglia di Bataan, o abbandonare la Lady Lex al largo del Mar dei Coralli, o ancora sbarcare a Guadalcanal con la II Divisione dei marines...
No, niente di tutto questo: lui, più modestamente, e meno bellicosamente (ma resta da vedere se altrettanto meno letalmente), era sbarcato a Harvard, dopo un anno passato come ricercatore presso una nota società filantropica. Brillante, quindi, doveva certo esserlo, perché se lo erano caricato, nell'ordine, un'istituzione piuttosto attenta ai propri profitti, e un dipartimento altrettanto attento al proprio prestigio.
Non avevano sbagliato.
Scampato allo strepito della contraerea, allo strazio degli ospedali da campo, all'orrore dei campi di prigionia, all'angoscia dei naufragi (se pure nella porzione di canale di Sicilia situata fra il 15° e il 22° parallelo Sud, dove l'ipotermia è un'ipotesi remota - l'acqua, in quei paraggi, è abbastanza stabilmente vicina ai 27° - ma oltre ai cannoni dei cacciatorpedinieri puoi incontrare certe colubrine non meno letali), sottrattosi al pietoso e macabro ufficio di ricomporre le membra dei commilitoni straziati dalle mine o dalla mitraglia, Mark, di essere uno scienziato, lo aveva dimostrato nel modo più insigne in cui uno scienziato dimostra di potersi fregiare di tale titolo: niente meno che con una quazzione, la quazzione di Hegsted, appunto, che recita:
ATC = 2.16 x AS - 1.65 x AP + 6.77 x ID - 0.53
dove ATC è la variazione del colesterolo totale, AS e AP la variazione delle calorie fornite rispettivamente da grassi saturi e polinsaturi (notate il segno meno dei polinsaturi, che poi sarebbero... ecco, sì, bravi: gli omega 3, fra l'altro), e ID è l'assunzione quotidiana (daily intake) di colesterolo.
Non sono esattamente sicuro di aver capito che cosa vi ho detto, però, se volete provare a capirlo da soli, potete cominciare da qui.
Ah, le quazzioni...
Immagino la nostra Nat: sarà stata percorsa da quel fremito, da quell'agnosco veteris vestigia flammae, che un giorno fece maturare in lei l'insano proposito di unirsi a un ingegnere per sempre (à jamais ? Qui peut le dire ?). E immagino anche i nostri treider, scattare come un sol uomo nell'ansia di un livoroso: "questa la sapevo!" E immagino anche il sorriso sornione dei nostri medici (ne abbiamo, ne abbiamo,...) che, unici in questa bella d'erbe famiglia e di lettori, hanno già capito dove voglio andare a parare (e se invece no, forse dovrebbero dedicarsi ad altro...).
Insomma: nel 1967 il nostro Mark aveva già scritto la sua quazzione, che poi sarebbe stata citata in solo 1780 altri studi, ma... non aveva ancora pubblicato nella rivista più importante del suo settore. Questa lettera, capite bene, era il coronamento di una carriera accademica, e quindi, capite altrettanto bene, l'inizio di un altro, altrettanto prestigioso, ma certo più remunerativo, cursus honorum. Questo, Mark, non poteva saperlo: poteva solo presentirlo, così come il poeta di sette anni presentiva violentemente la vela, e io la presento debolmente, da cinquantenne dislipidemico, qui in collina, nell'afa e nella bonaccia... Ma noi, che siamo onniscienti come lo è il romanziere, o semplicemente chi viene dopo, questo cursus possiamo dettagliarlo: consulente del Dipartimento dell'Agricoltura, poi della Commissione sulla Nutrizione e i Bisogni Umani del Senato degli Stati Uniti, per la quale avrebbe redatto il rapporto su Obiettivi dietologici degli Stati Uniti, membro dell'Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti, editor (cioè curatore) di Nutrition Reviews, consulente della FAO e dell'OMS... per citare solo gli incarichi più importanti. Tutto questo, andando a stringere, sulla base di una quazzione e di due saggi principi: "mangiate più frutta", e "being hungry is worse than being fat".
Si riporta che a quest'ultima considerazione Mark arrivasse in tarda età, intorno al 1979.
Che poi i più maliziosi, o i meno colti, di voi, penseranno: "Ma veramente uno può accumulare così tanti incarichi profferendo simili perle di saggezza? A certe vette potrei arrivare anch'io!"
Ma non è mica vero!
Vedete, le cose semplici, nella scienza come nell'arte, non sono mai, e dico mai, banali. Prendete ad esempio miremiremisiredolà. Una bagatella, appunto, ma la potete pronunciare così, oppure, se ce la fate, così. E non ditemi che non sentite la differenza, perché la differenza perfino dei nazionalfascioleghisti come voi la sentono! In effetti l'arte una cosa di bello (o di brutto) ce l'ha: non occorrono doppi cognomi o vibranti blese per attingervi, per sedare (ma non estinguere) la sete natural che mai non sazia. L'arte è democratica, perché è umana. E la scienza, mi direte voi? Bè, qui il discorso è un po' più delicato, e magari poi ci torniamo, ma intanto annotate, for future reference, che la Scienza non è Lascienza (questa, com'è ormai noto, democratica non lo è)...
Comunque, non sta a noi, che non siamo del mestiere, giudicare con arroganza il valore scientifico del nostro Mark. Il riconoscimento, fino a prova contraria, se l'era meritato: d'altra parte, a certificarlo c'era o non c'era la #pirreviù (per chi non ha ancora capito cosa sia e quanto valga - ma lo capirà presto - specifico che mi riferisco alla peer review)? E questa pubblicazione, per dirla tutta, era il compimento, la Vollendung (direbbe il nostro Celso) di due anni di strenuo lavoro, a partire da quando, il 13 luglio 1965, era stato approvato il Progetto 226.
Cos'era il Progetto 226? E chi l'aveva approvato? E qual era il suo obiettivo?
Mamma mia, quanto siete curiosi! Tranquilli, vi dico tutto. Ma il ritmo lo decido io. E siccome questa è una Toccata (e chi sto per toccare lo avete capito anche voi), vi ricordo che, come noi tecnici sappiamo, li cominciamenti delle toccate siano fatte adagio et arpeggiando... Quindi: adagio.
E arpeggiando.
(...incubo: incombono su di me tre pirreviù da fare. Come dice il proverbio? Paper non pubblicare, peer review non avere...)
Comunque, Mark questa soddisfazione se l'era proprio meritata.
Eppure...
Eppure...
Eppure non era solo un sentimento di legittimo orgoglio per l'ambito traguardo a pervaderlo mentre percorreva il corridoio del dipartimento verso la stanza del direttore, Fredrick Stare, suo coautore, per informarlo del lieto evento. Bel tipo, quello Stare, del resto... Anche lui un pozzo di saggezza: "il segreto di una buona salute sono prudenza e moderazione". Il che, peraltro, mi impone una breve digressione per mostrarvi la cartina al tornasole delle grandi frasi che non dicono un cazzo: basta rovesciarle nel loro contrario, dicendo ad esempio che imprudenza e intemperanza possono rovinare la salute... Il contrario di una banalità è una banalità: la banalità è lo zero del ragionamento: per qualsiasi numero positivo o negativo la moltiplichi, ti restituisce sempre se stessa, cioè un cazzo di niente. E attenti: la Scienza non ammette banalità. Lascienza... eh, anche qui il discorso si complica, ma non distraetemi, per favore: riprendo il percorso.
Un percorso tortuoso, ma che sarà meno lungo di quanto sembrava lungo a Mark quel corridoio, il corridoio che portava da Fredrick, lo stesso corridoio che in 25 anni aveva usurato percorrendolo in su e in giù. La strada già percorsa, normalmente, sembra più breve (come penso sembrerà più breve a me la strada del Volterraio quando la rifarò di giorno, dopo averla percorsa nel buio pesto una settimana fa...). Però... dipende anche da quante cose ti frullano in capo...
Ci sono pensieri che il tempo lo accorciano, e pensieri che il tempo lo allungano. Il tempo è elastico, e qui l'Arte è arrivata prima de Lascienza, e anche della Scienza.
Certo, c'era quella storia di non aver voluto tener conto degli studi sui trigliceridi, limitandosi a considerare solo il colesterolo come marker del rischio coronarico. In effetti, questo limitava un po' la portata dello studio. Si sapeva, ormai, che anche i trigliceridi erano collegati al rischio coronarico. Pensate un po': perfino il New York Herald Tribune ne aveva parlato, l'11 luglio del 1965... Insomma, ormai #sesapeva. L'articolo pirreviùd era uscito poco prima, a giugno, ma il tema era talmente sentito, data la diffusione dell'infarto coronarico, una vera e propria epidemia contro la quale (ahimè) l'industria farmaceutica non aveva vaccini da proporre, che c'era voluto meno di un mese perché i suoi risultati diventassero di dominio pubblico... Eh, sì, qualche rosicone, magari, avrebbe potuto chiedere su Twitter: "E perché i trigliceridi non li avete considerati?" Ma... un subitaneo bagliore, un sorriso appena accennato increspò il viso di Mark, che si stava incupendo, mentre il corridoio gli si allungava davanti ai passi: Twitter non era ancora stato inventato, e neanche Facebook! I beceri utenti dei social, quelle capre, quei subumani, non avrebbero potuto mettere in discussione Lascienza!
Però...
Però...
Però c'erano anche cose delle quali un utente Twitter, se anche ci fosse stato, non si sarebbe accorto, mentre un collega magari sì. Ad esempio... ad esempio, quella storia dei polinsaturi. Sì, va bene, c'era la famosa quazzione, ma era una sola, un solo studio. L'articolo ne citava anche altri, ma senza riportarne i risultati. In effetti, andandoli a vedere, qualcuno si sarebbe potuto accorgere che non è che fossero così concludenti. Fra l'altro, di studi che dimostrassero un legame fra l'assunzione di grassi e l'aumento del colesterolo non ve ne erano molti, mentre il legame fra saccarosio e trigliceridi, quello, nei dati, c'era. E sarebbe stato meglio che non ci fosse...
Insomma: Mark era preoccupato, e non era il solo.
Anche John lo era.
John chi? Non John Smith: John Hickson, che naturalmente non era questo John Hickson, ma... indovinate un po'!? Bravi: un altro John Hickson! Insomma: un'altra Europa non l'avete potuta avere, ma in compenso potete avere un altro John Hickson. Chi era costui? Un pezzo grosso, il vicepresidente e direttore di ricerca della SRF, la Sugar Research Foundation, una fondazione indipendente come una Banca centrale, fondata nel 1943 per promuovere studi sul ruolo dello zucchero nell'alimentazione. Lo zucchero raffinato, forse lo saprete, non nasce sugli alberi: in natura non c'è, è un prodotto industriale, si estrae, come sapete, dalle canne (non quelle: quelle altre!) e dalle barbabietole, e negli Stati Uniti, per darvi un ordine di grandezza, muove intorno ai 10 miliardi di dollari. Ora, va anche detto che se una cosa in natura non si trova, un motivo ci sarà, e comunque, senza voler per forza essere schiavi di una visione provvidenziale e teleologica del cosmo, bisogna pur riconoscere che se anche noi, come i ditischi, abbiamo raggiunto un nostro ottimo nella pertinace evoluzione della discendenza, traverso generazioni e millenni, come in effetti è stato, c'è da pensare che altrettante generazioni e altrettanti millenni ci occorrano per adattare il nostro corpo a sostanze che le precedenti generazioni e i precedenti millenni nemmeno si sognavano di poter un giorno ingerire.
O no?
Insomma: il nostro smalto (più esattamente, quello dei nostri denti), o il nostro pancreas, si sono venuti configurando in un mondo senza saccarosio, o meglio, senza quantità industriali di saccarosio (perché in natura il saccarosio c'è: è lo zucchero raffinato che non c'è...). Quindi, banalmente, non sopportano grandi quantità di saccarosio, un po' come i nostri polmoni non sopportano grandi quantità di acqua: c'è troppo idrogeno e poco azoto. Magari, fra millanta anni, gli uomini avranno le branchie e nasceranno coi denti incapsulati.
Per ora, però, bisogna fare attenzione...
E Lascienza cosa dice?
Ci arriviamo fra un attimo: non dimentichiamoci che questo è un blog di economia, e ora, se permettete, vorrei parlarvi di preoccupazioni di ordine economico: quelle dei produttori di zucchero. Già nel 1954 il loro presidente, Henry Hass, si era fatto due conti. "L'assunzione di grassi aumenta il rischio di malattie cardiovascolari!", diceva. "#maleichenesa?", si sarebbe potuto rispondere. E la risposta sarebbe stata: "Lo dice Lascienza. E comunque, se nei prossimi anni riuscissimo a ridurre del 20% le calorie provenienti da grassi nella dieta degli americani, e ad aumentare in pari misura quelle provenienti da carboidrati, questo significherebbe aumentare di oltre un terzo il consumo di zucchero, con un migliormento formidabile della salute della popolazione" (with a tremendous improvement in general health).
Dice: "Scusa, moro, ma tu lo zucchero lo vendi. Non sarai mica in conflitto di interessi?"
Fa: "No guarda, veramente lo dice Lascienza".
Dice: "Ah, vabbè...".
Prestigiosi nutrizionisti, fra cui il nostro amico Fredrick (che nel frattempo sta ancora aspettando, ignaro, che Mark lo raggiunga, traversando questo corridoio elastico come i cattivi pensieri...), si erano in effetti prodigati in elogi della "dieta americana". Sarebbe? Tanto zucchero, e tanta Coca Cola. Ora, fra il 1954 e il 1965, nonostante questi buoni propositi, e nonostante l'incremento nel consumo di zucchero, gli infarti, in effetti, erano aumentati. Pensate voi come dovette sentirsi John (Hickson) leggendo il New York Herald Tribune dell'11 luglio 1965, quello che dedicava una pagina intera al legame fra zucchero e attacchi cardiaci.
"Ma porca di quella troia!" deve aver pensato "Già l'anno non sta andando benissimo: il prezzo è tornato a cinque anni fa"
(...sarebbe il puntino rosso nel grafico...)
"Ora ci si mettono anche questi professorini saccenti di università di provincia, come quei buzzurri dell'Iowa che vogliono convincerci che è lo zucchero a far aumentare il colesterolo... Presentando dati... Ma che dati? La medicina non è una scienza. Lascienza dice che sono i grassi saturi a far aumentare il colesterolo, e se nei dati non si vede, chi se ne frega: non mi sembra un buon motivo per non credere a Lascienza. E poi che c'entra lo studio con sedici paesi, e che cosa vuole quello spocchioso britannico, quello Yudkin - nome sospetto, peraltro - con le sue teorie, le teorie di Yudkin? Si fa presto a parlare alla pancia della gente con titoli a effetto: Lascienza è un'altra cosa, non sono certo questi professorini supponenti che cercano notorietà negando l'evidenza: e l'evidenza è che da anni stiamo promuovendo il consumo di zucchero, e gli infarti aumentano: quindi ci vuole più zucchero".
Sounds familiar? Vi ricorda qualcosa?
Insomma, John non era certo il tipo da affogare ne' mocci: due giorni dopo l'uscita dell'articolo nazionalfasciogrillinopopulista sull'Herald Tribune, il 13 luglio, la Sugar Research Foundation aveva già approvato il Progetto 226. Eccolo che torna! Cos'era? Ma, semplice: si trattava di incaricare dei professoroni di un'importante università (sì, Harvard) di fare una bella rassegna critica della letteratura scientifica sui rapporti fra zuccheri, grassi, e infarto.
Ci siamo?
Bene, da qui la strada è tutta in discesa, e fra l'altro i più informati di voi dovrebbero anche sapere dove porta, perché se ne è parlato (a dire il vero poco) anche da noi. Ovviamente i due professoroni incaricati erano Mark e Fredrick, che oltre ad essere direttore di dipartimento a Harvard, era anche, tanto per gradire, membro del comitato scientifico della Sugar Research Foundation. Un medico zuccherista finanziato dagli zuccherai. Cose che in economia, si sa, non potrebbero capitare...
Ed eccoci quindi al dunque: per tornare a bomba, con la consueta epanalessi, vorrei dirvi che il nostro amico Mark aveva ben più di tre motivi per essere soddisfatto. Per l'esattezza, ne aveva 6500 (ai prezzi del 1965), cioè 48900 (ai prezzi del 2016): tanti erano i dollari che i nostri due eroi (Mark e Fredrick) intascarono dalla Sugar Research Foundation per il loro studio indipendente... dalla salute dei cittadini, esattamente come una banca centrale è indipendente dai loro interessi economici (ma non da quelli dei potentati finanziari). Lo studio faceva abbastanza schifo, e fra l'altro anche il conflitto di interessi dei due economisti, pardon, dietologi di regime era piuttosto palese. Visto che ormai avete capito che storia vi sto raccontando, non sarete sorpresi di sapere che, come al solito, come sempre, come ovunque (non solo nella ténebreuse affaire che ci ha qui riunito: sempre, quando qualcuno vuole sfruttare il proprio strapotere economico per opprimere gli altri), tutto era assolutamente noto, ma nessuno fece assolutamente niente.
Nonostante nel 1974 il Bollettino degli allievi della facoltà di medicina di Harvard dettagliasse per filo e per segno i legami di Fredrick Stare con le maggiori industrie alimentari, la parole d'ordine era una sola, categorica e imperativa per tutti: essa già trasvolava e accendeva i cuori dagli Appalachi all'Oceano Indiano: zucchero, e zucchereremo!
(...visto come trasvolava?...)
Mi dispiace avervi annoiato con questa storia così poco attuale... anche se, devo dirvelo, non è una storia di fantasia, come avrete capito, ma il risultato di una ricerca scientifica pubblicato sul Journal of the American Medical Association, che se non è la prima rivista di medicina, è la seconda. Il povero Mark aveva visto il bicchiere mezzo pieno dell'assenza di social media: l'impossibilità di essere sputtanato urbi et orbi in tempo reale per il suo vergognoso, spudorato, criminale conflitto di interessi. Ma, naturalmente, non aveva visto il bicchiere mezzo vuoto: l'assenza di diritto all'oblio, e il fatto che, in mancanza di Internet, le lettere erano di carta, e, come capita a personalità eminenti, consegnate agli archivi. In realtà il bicchiere non c'era proprio, ma insomma ci siamo capiti: oggi, consultando gli archivi, possiamo leggere di come gli articoli sui danni dello zucchero da passare in rassegna, per screditarli scientificamente (e "scientificamente"), venissero inviati al gatto e alla volpe di Harvard direttamente da John Hickson. Insomma: il direttore di dipartimento di Harvard, e uno dei suoi migliori docenti, facevano cioè da bounty killer, da sicari prezzolati, assassinando con argomenti capziosi il lavoro di colleghi che semplicemente avevano ragione, e questo su commissione dell'industria dello zucchero.
Come dice Marion Nestle, sempre sul JAMA, parlando della rilevanza della storia per il dibattito medico corrente (guarda un po', i medici se ne preoccupano, e più concretamente, degli economisti, che pure da imparare avrebbero tanto dalle storie proprie e altrui...): "I documenti non lasciano alcun dubbio sul fatto che l'intento della rassegna finanziata dagli industriali fosse quello di raggiungere una conclusione precostituita. I ricercatori (Ndr: noi diremmo Gliscienziati) sapevano cosa si aspettasse da loro il finanziatore, e glielo fornivano".
Quindi si può semplicemente agghindare una tesi precostituita e superare la mitica pirreviù?
Certo che si può: e come credo abbiate intuito seguendomi, un buon 90% della ricerca riferita all'euro è visibilmente di questo tipo, tant'è che perfino Jacques comincia a seccarsi - e lui ha un buon carattere - dicendo cose che noi sappiamo da tempo: quello dell'euro è un fallimento largamente annunciato.
Servirà ribadirlo?
Non credo.
Nel 1848, ho imparato scrivendovi questa storia, Rudolf Virchow disse una frase sulla quale credo si debba riflettere tutti: "La medicina è una scienza sociale: la politica non è niente altro che medicina su larga scala".
Una frase nella quale vedo due chiavi di lettura: la prima, quella che esprimo in modo più sintetico quando dico (mi avrete sentito dirlo) che la differenza fra i medici e gli economisti è che i primi uccidono al dettaglio e i secondi all'ingrosso. La seconda, più interessante e sottile, temo ci debba portare a una conclusione che forse vi sembrerà radicale, tanto più quanto meno ne sapete di scienza e del mestiere della scienza, ma che credo sia difendibile: ogni scienza è una scienza sociale. Non ci sono molti meno condizionamenti sociali nel modo in cui Euclide affrontava la teoria della visione (ottica, fisica, scienza dura) di quanti ce ne siano nel raccontino che vi ho fatto. Il fatto di essere cosa umana, e quindi sociale, non rende una qualsiasi scienza "meno" scientifica. Ma starei molto, molto attento a considerare Lascienza come un corpus naturale, asetticamente e oggettivamente fondato, esogenamente trasmesso a Gliscienziati, un po' come certe persone immaginano che la ruota ci sia stata portata in dono da simpatici esseri antropomorfi provenienti da Nibiru con un simpatico cappellaccio in testa. In chi parla di Lascienza in questi termini c'è molto Kazzenger, e poca epistemologia. Quindi, per tornare a Jacques, il suo tentativo, più articolato del mio (ha avuto anche più tempo per scriverlo) non credo sortirà migliore effetto del mio. La società ascolta Lascienza che i rapporti di forze le permettono di ascoltare. Quando verrà il nostro momento, ascolterà noi.
In questo senso, effettivamente, Lascienza non è democratica.
Ma chi dice che Lascienza è poco democratica, dovrebbe anche ricordarsi di dire che Lascienza (a differenza della Scienza) è molto puttana, come la storia che vi ho raccontato dimostra! Ogni professione ha i suoi prezzolati, siatene consapevoli. Quanto avete visto qui, un pazzo squilibrato che farneticava contro gli alti sacerdoti della sua professione, e che poi, però, piano piano, si è visto che diceva semplicemente cose che erano nella letteratura scientifica (come era nella letteratura scientifica già all'inizio degli anni '60 il legame fra zucchero e colesterolo, fra zucchero e trigliceridi, fra zucchero e malattie cardiache: insomma, un pezzo di quello che oggi chiamiamo "sindrome metabolica" come se l'avessimo scoperto ieri...), e che venivano riprese dalla stampa internazionale, e che venivano pubblicate nei documenti delle istituzioni multilaterali... ecco: quello che avete visto qui, pensate che sia accaduto solo qui?
Bè, vi ho appena dimostrato il teorema di esistenza e non unicità de Lascienza puttana: dei ricercatori che, per soldi, avvalorano tesi precostituite. Quindi tranquilli: non è successo solo qui, e non è nemmeno successo solo in America con la storia dello zucchero! Succede, è successo, e succederà ogni giorno.
Vi ho documentato che quello che fa della Scienza la Scienza è la sua capacità, nel lungo periodo, di contribuire al progresso dell'umanità anche ritornando sugli studi de Lascienza e inquadrandoli nel loro contesto sociale (cioè politico ed economico). Dagli errori si impara, e ora le riviste di medicina chiedono di dichiarare chi ha finanziato le ricerche che vengono pubblicate. Ovviamente è un palliativo, perché ci sono tanti modi di pagare di nascosto, ma è un primo segnale, un segnale al quale (ad esempio) l'economia non è ancora arrivata in modo sistematico (solo negli ultimi due anni, cioè dopo cinque anni di crisi, mi è capitato che le riviste mi chiedessero di dichiarare miei eventuali conflitti di interesse).
Vorrei anche che non prendeste questa dinamica, che vi ho documentato, come una definizione di Scienza. Attenzione! Come non credo chiediate a un clarinettista di suonarvi BWV 565, spero non chiediate, né accettiate, che qualcuno di diverso da un epistemologo definisca per voi Lascienza (o la Scienza). Cosa sia la Scienza non sta né ai brillanti aziendalisti dal doppio cognome, né ai burbanzosi specialisti di qualche branca medica, né ai pazienti fisici che aspettano i neutrini sotto le montagne, né a nessuno specialista di qualsiasi cosa che non sia il discorso sulla scienza (cioè l'epistemologia) dirlo.
Questo sfugge sempre, ed è bene ricordarlo qui.
Se e quando un epistemologo mi dirà che la Scienza non è democratica, o magari che io non sono uno scienziato perché non so prevedere la data della fine dell'euro, così come un medico non sa prevedere la data della propria morte (a meno che non la decida lui), io dovrò pensare di aver fatto uno sforzo inutile, lascerò perdere, e tornerò in barca a vela. Finché me lo diranno altri, mi fiderò di loro come mi fido di un filosofo che mi consiglia una dieta, o di un ingegnere che mi consiglia un investimento, o di un economista che mi data un fossile, o di un paleontologo che si proponga di curarmi un dente. Essere un "Loscienziato" e occuparsi di ossa non fa certo di questi una persona abilitata a mettermi le mani (o le parole) in bocca!
E così, ogni volta che saranno persone prive di competenze specifiche a riempirsi la bocca di Lascienza, non potrò evitare di farmi traversare la mente da questa icastica sintesi, che riassume in 9 parole (il numero perfetto) questo lungo post: "Sò 20 con la bocca, e 50 con pirreviù...".
Nonostante questo, il mondo va avanti e la verità viene a galla... il che, forse, non depone a suo favore (ma non vorrei aprire qui un altro fronte su un terreno che non rientra nelle mie competenze).
Il rispetto dell'uomo per l'uomo è l'initium sapientiae.
Altro da dirvi non ho.
(...e ora vado a fare, appunto, tre peer review...)
(...grazie Fausto per il tuo affetto che mi sprona e mi commuove, e naturalmente anche per questi preziosi contributi, ai quali io mi limito, col mio mestiere, a dare una vernice accattivante. Si sa, laggente il JAMA non lo leggono, e se lo leggono non lo capischeno, nonostante - o proprio perché - sia anche lui un "top gun", pardon: un "top ten" delle riviste mediche. Un giorno, se il tuo affetto me lo sarò meritato, tu mi presenterai tua madre, e io ti presenterò le mie nonne: tutte diabetiche, e tutte molto attente ad evitare i grassi. Questo gli era stato detto dai tecnici. Il resto è storia, e, nel mio caso, anche seghe...)
(...cercatevi i nomi su Wkipedia: come dice Marion Nestle più autorevolmente di me, la storia ha molto da insegnarci sui dibattiti attuali...)