Qualche giorno fa Ugo Panizza, prestigioso docente di economia i cui studi sul debito privato, molto interessanti, hanno avuto
ampia risonanza in questo blog, si è avventurato su Twitter a sostegno delle opinioni espresse da un certo Burioni (medico) in ordine alla sostenibilità del debito pubblico italiano (argomento che ci sta moltissimo a cuore, subito dopo la salute, naturalmente, anche se forse non affideremmo né la prima né la seconda a certi dottori...). In questa discussione, originata da un'affermazione azzardata dell'ex ministro Calenda, Panizza confondeva il concetto di stato "senza" l'euro con quello di stato "che esce" dall'euro. Insomma, per capirci, Panizza confondeva qualcosa di analogo al Giappone con qualcosa di simile, ipoteticamente, alla Grecia di qualche anno fa (che è poi una fissazione comune a buona parte degli economisti cosiddetti
mainstream, come ricorderete). Così facendo, Panizza negava quella che è un'evidenza ampiamente riconosciuta dallo stesso
mainstream, ovvero il banale dato di fatto che l'adesione alla moneta unica comporta, per
tutti i paesi coinvolti, la perdita di controllo della moneta in cui è definito il debito cosiddetto sovrano (che poi sarebbe quello pubblico). Questo dettaglio, inutile nasconderlo, qualche difficoltà la crea (in questo blog vi ho citato spesso
questo studio di De Grauwe, che spiega benissimo in cosa consista la difficoltà: e stiamo parlando di un consigliere di Barroso, non di un pericoloso "antieuro")! Il fatto che Panizza non fosse consapevole di certe difficoltà, o le rimuovesse psicanaliticamente, è irrilevante: per fortuna noi, che ne siamo consapevoli, e non lui, che ne è inconsapevole, siamo stati chiamati a gestirle, queste difficoltà. Sarebbe veramente pericoloso se alla guida del paese ci fossero persone che confondono la nostra situazione con quella di stati dotati di sovranità monetaria. Sono situazioni ben diverse, ed è essenziale esserne coscienti per agire in modo responsabile, come stiamo facendo (vale il discorso tenuto in Senato dal Ministro Tria).
Colpito da questa infelice posizione, presa per difenderne
ultra vires una ancora meno felice, intervenivo rimproverando a Panizza la scarsa limpidezza della sua affermazione, veramente deludente (la discussione è
qui). Chiudeva la discussione un mio lettore,
Alessandro Greco, mostrando a Panizza queste sue parole:
tratte da una delle tante pubblicazioni prestigiose dello stesso Panizza (
questa), con le quali il Panizza studioso smentiva il Panizza polemista: il primo infatti ammetteva quello che il secondo negava, ovvero che essere "dentro" l'euro comporta difficoltà aggiuntive nella gestione del debito (ed espongono, in particolare, al pericolo di crisi
self-fulfilling, ovvero al fatto che il paese si trovi in crisi perché ci si aspetta che esso vada in crisi). Difficoltà cui
devono, ovviamente, corrispondere maggiori assunzioni di responsabilità da parte di tutti: non solo di chi governa, ma anche di chi informa sulle condizioni economiche del paese, e anche, perché no, dai colleghi che intervengono nel dibattito.
Nel corso di questa discussione il Panizza faceva un'altra affermazione discutibile, anzi: diffamatoria. Questa:
Dopo un pianterello di autocommiserazione sul fatto che i "privilegi" della politica mi permetterebbero di insultare impunemente gli avversari (cosa che non avevo fatto, limitandomi a manifestare una certa delusione per il fatto che anche Panizza, come tanti altri colleghi, dicesse nel dibattito pubblico una cosa, e nelle segrete stanze della letteratura scientifica - inaccessibile ai più, compresi i colleghi scienziati di discipline non affini - un'altra), Panizza mi accusava di aver teorizzato l'uso degli insulti come strumento per aizzare le folle (non si sa a quale scopo, forse per riscuotere consenso politico).
Un'accusa violentemente e, come vedrete, bassamente diffamatoria, nel merito (perché quelle parole non sono mai state dette) e nel metodo (perché la riservatezza della corrispondenza mi risulta essere, fino a prova del contrario, un diritto costituzionalmente garantito, tant'è che quando pubblico vostre lettere vi chiedo sempre il permesso, e le rendo comunque anonime).
Dato che non mi ricordavo di aver mai espresso un concetto simile, perché non mi interessa né insultare né aizzare (né mi interessava farlo quando avevo più tempo libero!), gli chiedevo di mandarmi l'email, se l'aveva ancora. Avendola ricevuta, la condivido con voi, chiarendo il contesto, che ha una sua importanza. Il 21 maggio del 2014 Panizza mi aveva inviato, per un mio commento, un suo lavoro sul debito pubblico italiano, avvertendomi che probabilmente non sarei stato d'accordo, ma ci teneva ad avere un mio parere. Rispondevo il giorno stesso chiedendogli il permesso di farlo circolare fra altri colleghi (La Malfa, Gawronski, ecc.), perché questo vuole la cortesia accademica (vuole che si chieda il permesso), e offrendogli di pubblicare il suo contributo su a/simmetrie, per renderlo accessibile al dibattito italiano, dato che personalmente mi sembrava corretto dare voce a tutte le posizioni. La risposta fu che Panizza preferiva di no, perché a/simmetrie era associata a un certo lato del dibattito sull'euro, col quale Panizza preferiva non essere a sua volta associato (scelta comprensibile).
E qui viene la mia lettera, che nella mia qualità di autore e di persona offesa pubblico per le vostre valutazioni, dopo aver rimosso i nomi di persone che ritengo non debbano essere citati in questo contesto che oscilla pericolosamente fra il puerile e il penale:
Il 21/05/2014 12:09, Alberto Bagnai ha scritto:
Come desideri. In realtà in a/simmetrie abbiamo Xywsxhj che
credo la pensi esattamente come te. Il mio scopo è quello di creare
occasioni di dialogo, però mi rendo conto che siccome per dare voce
a una parte conculcata da 30 anni di informazione one way ho dovuto
usare mezzi non sempre ortodossi, qualcuno possa nutrire
perplessità. Non lo ho fatto, però, nel contesto di asimmetrie, ai
cui eventi ho invitato personaggi assolutamento ortodossi come
YwtHsfgd o Khywghwq.
Allora continuiamo così: lavoce.info non pubblicherà me, e io non
pubblicherò te!
A lavoce.info questo non ha portato molto bene (stesa in termini di
letture), ma questo non c'entra. Però se hai una versione postata da
qualche parte alla quale posso comunque dare più visibilità, fammelo
sapere.
A presto.
A.
Nota bene: la mia lettera, molto esplicitamente, si riferiva, come tutti possono capire, al fatto che per portare nel dibattito argomenti che né le riviste scientifiche, né i media tradizionali desideravano discutere, mi ero dovuto servire di mezzi non ortodossi ai fini della divulgazione scientifica, come i
social, e di forme non molto ortodosse ai fini della divulgazione
tout court, come la novella (ad esempio,
Il romanzo di centro e di periferia, o la
triste storia del re di Ruritania). Punto. Nessun accenno al fatto di insultare chicchessia né di aizzare chicchessia a qualsiasi fine.
Quindi quella di Panizza tecnicamente è diffamazione.
Questa storia, di per sé infima, mi riempie di tristezza. Una volta avrei lasciato perdere. Ma ora, purtroppo, non sono più da solo, sono in una squadra, e non posso accettare che il nome della squadra venga infangato da chi accusa un suo elemento di teorizzare l'insulto come forma di strategia politica. Queste accuse non hanno fondamento se non in una lettura faziosa, al limite dell'allucinato, di quanto da me scritto. Non avrei mai immaginato che colleghi stimabili si riducessero così, e tuttora non capisco come, né perché, né a quale scopo. Solo
La messa per la città di Arras, secondo me, offre una chiave di lettura valida di questa degenerazione tanto abominevole quanto sconcertante, che è senz'altro il frutto più amaro di decenni di scelte radicalmente sbagliate - come sa meglio di me chi quelle scelte le difende ancora oggi contro ogni ragionevole evidenza, e per questa ottusa ostinazione è stato rasato via dal panorama della politica italiana.
Sed de hoc satis.