(...
benvenuti alla decima puntata del ciclo "keynesianesimo per le dame". Allacciate le cinture, state decollando verso la frontiera della ricerca post-keynesiana...)
(...sono esausto.
L’editore mi ha mandato un contratto e mi chiede che ne penso. E che ne devo
pensare? Tu sei onesto, sei un professionista, sei pure simpatico: il contratto
sarà fatto bene. Il problema non è il contratto: sono io. Vi avevo detto che
sarebbe stato un anno lungo e a me non passa veramente più. Tante
soddisfazioni, per carità, ma il mio corpo non mi segue. Sto anche entrando in
un mood un po’ più buddista: cerco di seguirlo io, il mio corpo, solo che poi mi incazzo
perché lui vuole stare fermo! Esempio: tre sere fa ho avuto il classico collasso da
congestione. Divinibus preceptibus formato – la parola di Rockapasso – sono
riuscito a non svenire. Dai, è andata bene. Qualcuno sopra ha commentato che
posto alle 5:35. In effetti, se mi sveglio alle 4 con dolori abbbbominevoli,
poi ci rimetto un po’ a prendere sonno. Alle 9 però il
Bagnai prussiano ha prevalso sul buddista: corsa sotto il sole sulla pista ciclabile. Il Bagnai buddista
non sarebbe andato in palestra. Prometto che stasera comincio a leggere Thich
Nath Hanh – lui sa chi è ecc.
Non so però se mi darà la forza di non prendere
altri impegni. Forse quest’anno per la prima volta da tre anni riesco a fare
una vacanza!
Comunque, essendo
esaurito, per sfogare la mia rabbia impotente esaurisco voi con un post
“tecnico”. A me rilassa, a voi non so...)
Riprendo l’argomento del vincolo esterno così come viene
espresso dalla legge di Thirlwall, cioè come vincolo sul tasso di crescita di
lungo periodo:
Ricordo brevemente il senso. La premessa è che un aumento del tasso di
crescita normalmente manda in deficit la bilancia dei pagamenti (o ne riduce il
surplus), perché un maggior reddito implica una maggiore spesa, e una maggiore
spesa implica maggiori importazioni. Di conseguenza la crescita compatibile nel lungo periodo con
il mantenimento dell’equilibrio esterno è:
1) direttamente proporzionale alla crescita delle
esportazioni (se le esportazioni crescono in fretta il paese ricava molta
valuta estera e quindi può permettersi maggiore crescita perché ha di che
pagare le maggiori importazioni che ne conseguono);
2) inversamente proporzionale alla elasticità delle
importazioni al reddito, che misura la dipendenza strutturale del paese dai
beni esteri (se il paese dipende molto dai beni esteri, un aumento del reddito
provocherà un aumento relativamente più sostenuto delle importazioni rispetto a
quello che si avrebbe in un paese che invece sovviene da sé alla maggior parte
dei propri bisogni).
Quindi: [1] più crescono le tue esportazioni, più puoi
permetterti di crescere senza rischio di crisi di bilancia dei pagamenti; [2] più
dipendi dai beni esteri, meno puoi permetterti di crescere (senza rischio
ecc.).
Semplice, no? E, come abbiamo visto, funziona (nel senso che
spiega bene gli scarti nei tassi di crescita di lungo periodo fra le diverse
economie mondiali).
(...parentesi: come sapete, questo è esattamente il punto che non
viene colto dagli utili tsiprioti e in generale dagli appellisti: quelli che
“tenemose l’euro ma famo ‘a politica fiscale espansiva a casa nostra”. Una
politica fiscale espansiva in cambi rigidi ovviamente determina un immediato
peggioramento dei conti esteri, e siccome noi siamo, come sapete bene (voi) in
una crisi di bilancia dei pagamenti e non di bilancio pubblico, ecco che la
soluzione proposta aggraverebbe il vero male. I colleghi lo sanno, sono in
cattiva fede per lo più per motivi politici, ed è per questo che non sono in
buoni rapporti con loro, e sapete anche questo, quindi è inutile ribadirlo.
Chiunque di voi apra un manuale di economia mi capirà...)
Nel mio ultimo lavoro ho provato a vedere se il vincolo
esterno funzionasse anche come spiegazione dell’evoluzione temporale della
crescita di un singolo paese, il nostro. Prima di farvi vedere i risultati, vi
do qualche altro approfondimento (scusandomi per le eventuali mancate risposte
sotto al post precedente: eventualmente ripostatele qui).
Intanto, tenete presente che il vincolo per definizione si
applica alla crescita
di lungo periodo.
Che vuol dire, cos’è il lungo periodo? Questa domanda non ha una risposta
univoca in economia. Nel contesto dell’analisi che stiamo facendo, diciamo che il
problema può essere posto in questi termini: per quanto riuscirà, un dato
paese, a farsi finanziare dai mercati uno sbilancio esterno? Nei termini che
qui ci sono consueti (anche se in questo contesto forse sono un po’ riduttivi)
potremmo chiederci: quanto può durare un ciclo di Frenkel? Diciamo che se va
avanti sei-sette anni è molto. Questo significa che se effettui un’analisi
prendendo la crescita media su un periodo di una ventina d’anni, puoi
immaginare, a grandi linee, di aver “livellato” il risultato economico di un
paese su almeno due o tre cicli, cioè di avere una stima del tasso di crescita “di
lungo periodo”, quello attorno al quale il paese ciclicamente oscilla.
Normalmente quindi le analisi del vincolo esterno (compresa
la mia
precedente su Applied Economics)
procedono così: prendono un campione di paesi (io ne consideravo 22) e un
campione di osservazioni abbastanza lungo (il mio andava dal 1960 al 2006), lo
usano per stimare l’elasticità delle importazioni, e poi applicano la legge usando
le medie campionarie dei tassi di crescita delle esportazioni e del reddito
sull’intero campione.
Per dire, io nel mio lavoro precedente facevo una cosa del
genere:
Leggiamo il primo rigo, che riguarda l’Australia. Dal 1960
al 2006 la crescita media delle esportazioni è stata del 6.05%, a me veniva un’elasticità
stimata pari a 1.45, quindi il tasso di crescita compatibile con l’equilibrio
di bilancia dei pagamenti è 6.05/1.45=4.17, e la crescita media effettiva nei
46 anni considerati è al disotto di questo vincolo, al 3.64%. Non notate niente di strano? Pare che l'Australia rispetti il vincolo esterno. Sicuri?
Nel caso dell’Italia il modello funziona
particolarmente male: il tasso di crescita vincolato è vicino al 5%
(4.96), mentre la media storica della crescita sul campione considerato è di circa 2 punti
inferiore: 2.98%. Questi risultati, presi così, indicherebbero che anche l’Italia non
è stata vincolata dal lato della domanda (estera): con un tasso di crescita
delle esportazioni superiore al 6% e un’elasticità delle importazioni al
reddito relativamente bassa avremmo potuto crescere di più senza andare in crisi di bilancia dei pagamenti. L’interpretazione
standard, se i risultati fossero
statisticamente corretti, sarebbe: "Fateskifen! Se non siete riusciti a
crescere non è per un vincolo di domanda estera, ma per un vincolo di offerta
nazionale (corruzione, casta, cricca, tempi della giustizia, costi della politica,
e via micugineggiando...)".
In realtà le cose non
stanno come gli offertisti pensano. La crescita italiana è stata vincolata
pesantemente dal vincolo esterno, ma nell’articolo del 2010 questo non
risultava a causa di un problema statistico che affrontavo, ma non ero riuscito
a risolvere nel caso dell’Italia: il problema dei cambiamenti di struttura.
Qui la domanda è: ma siamo sicuri che in 46 anni la
dipendenza strutturale di un paese dai prodotti altrui rimanga invariata? E la
risposta è: abbastanza no. Nell’articolo del 2010 andavo a vedere se c’erano
cambiamenti in questo parametro strutturale, e la risposta era ovviamente sì. I
risultati erano questi:
Anche qui, prendiamo il caso dell’Australia: una analisi
statistica più accurata (sui cui dettagli non mi soffermo) mostra che c’è un
cambiamento di struttura alla fine degli anni ’60. Se lo si prende in
considerazione, si ottengono stime mediamente più alte dell’elasticità delle
importazioni al reddito, che invece di essere pari a 1.45 (come risulta nelle
stime su tutto il campione della Table 4), passa da 2.15 prima del 1969 a 1.71 dopo il 1969.
Ovviamente con una elasticità delle importazioni più alta (se pure decrescente
nel tempo) il vincolo esterno australiano risulta più stringente, e in effetti
con questi calcoli si vede che l’Australia lo ha violato praticamente sempre (nel
secondo sottoperiodo in effetti di pochissimo). Questo risultato è più coerente
con quello che sappiamo dell’Australia, paese che è classificato come
persistent net external debtor dai soliti
Lane e Milesi Ferretti
(1999). Certo: se un paese viola il vincolo esterno, ovviamente sarà un
debitore estero (importa “troppo”, viva "al disopra dei suoi mezzi"), e altrettanto ovviamente, se lo fa è perché
può farlo, cioè perché qualcuno ci mette i soldi (ad esempio gli USA?).
Notate che nella Table 5 (quella che considera possibili
break strutturali) l’Italia manca. Perché? Perché in quel lavoro non ero
riuscito a ottenere stime statisticamente valide dell’elasticità delle
importazioni al reddito (dipendenza strutturale dell’Italia dai beni esteri) né
su tutto il campione, né considerando cambiamenti di struttura (per i tecnici:
la nulla di non cointegrazione non veniva respinta).
Nel mio ultimo lavoro ho ripreso in considerazione il nostro
paese, apportando due o tre migliorie all’analisi. Intanto, ho considerato i
flussi commerciali bilaterali (quindi non le importazioni complessive, ma
quelle dai sette gruppi principali di partner: centro dell’Eurozona, periferia
dell’Eurozona, altri paesi dell’Unione Europea, Stati Uniti, OPEC, BRICS e
resto del mondo). Poi, ho preso in considerazione l’ipotesi che ci potesse
essere, in ognuna di queste sette relazioni, più di un cambiamento di
struttura. Con questi approfondimenti, ho ottenuto dei risultati statisticamente validi.
Il
succo del discorso riassunto da questa figura, che riporta l’evoluzione di
numeratore (tratteggiato) e denominatore (puntinato) della legge di Thirlwall,
insieme al valore del tasso di crescita vincolato (rapporto fra numeratore e
denominatore, linea continua, scala di sinistra).
Si notano alcune cose.
La prima è che il tasso vincolato è andato costantemente
diminuendo nel tempo, con tre scalini abbastanza evidenti: uno intorno al 1975
(dopo il primo shock petrolifero); uno intorno al 1986 (SME credibile); uno
intorno al 1996 (rivalutazione e aggancio all’ECU/EUR). L'Italia è stata progressivamente soffocata dal vincolo esterno. Per constatarlo, basta rappresentare insieme il vincolo esterno e la componente di lungo periodo del tasso di crescita italiano:
(estratta con un filtro di Hodrick-Prescott o di Christiano-Fitzgerald: qui si va sul relativamente complicato e non mi metto a spiegarvelo, anche se prometto che ci divertiremo con gli spettri abbastanza presto).
La componente di lungo periodo del tasso di crescita (indicata con HP o CF: in sostanza, una specie di media mobile del tasso di crescita, calcolata in modo da trascurare i movimenti di breve periodo, da un anno all'altro, cogliendo solo l'evoluzione "fondamentale" della crescita) presenta alcune oscillazioni, che seguono però la generale tendenza ribassista del vincolo esterno, con un accostamento abbastanza significativo.Notate anche che prima di crisi di bilancia dei pagamenti l'Italia cresce a tassi superiori al vincolo. I conti tornano.
La seconda è che la dipendenza dell’Italia dai prodotti
altrui (l’elasticità alle importazioni, espressa dal parametro al denominatore
della legge di Thirlwall) è andata sempre aumentando (è la linea a puntini),
con un forte incremento in occasione della effettiva
entrata nell’euro (cioè dal 1996 in poi). Notate che il precedente scalino
verso il basso del tasso di crescita vincolato (linea continua) era stato
determinato non da un aumento del denominatore, ma da una diminuzione del numeratore (cioè del tasso di crescita delle esportazioni, linea tratteggiata) dopo il 1986. In
quel caso erano peggiorati i nostri mercati, in qualche modo (i nostri prodotti
erano diventati meno appetibili? La domanda estera era diminuita?). Nel 1996 invece
succede una cosa diversa: da lì in avanti aumenta la nostra dipendenza dai
prodotti esteri.
La terza è che data la sua struttura e quella del commercio
internazionale in cui è inserita, allo stato attuale l’Italia non può sostenere
un tasso di crescita superiore allo 0.75% senza che i suoi conti esteri ricomincino
a deteriorarsi. Ho appena ricevuto un report di Oxford Economic Forecasting che
per quest’anno prevede 0.5% (quindi i conti esteri non peggioreranno, o non di
molto), e per l’anno prossimo prevede 1%. Notate anche come la mettono:
("la crescita è stata frenata dal saldo commerciale ma la crescita delle importazioni riflette il miglioramento dell'economia interna", dove vanno apprezzate due cose: (1) la prima è la solita, ovvero che tutti sanno che una accelerazione della crescita peggiora il saldo estero; gli appellisti non lo sanno perché non vogliono saperlo e infatti nel mio libro scrivo che con loro l'economia ha perso la propria dignità; (2) la seconda cosa è il meccanismo keynesiano di stabilizzazione del saldo estero... ma se non lo vedete non preoccupatevi: intanto, Monti lo vedeva benissimo, e poi comunque se riparleremo...)
La quarta è che la mia analisi pubblicata nel 2015 (uscirà
in autunno) utilizza dati solo fino al 2010 (l’avevo fatta nel 2013 e
sottoposta all’editore nel 2014). Nel frattempo il mondo è andato avanti, e
ovviamente non in meglio, per noi.
Qui la domanda è: la deindustrializzazione determinata anche
dal crollo della domanda interna (austerità), oltre che dalla penalizzazione
sui mercati esteri (apprezzamento del cambio reale determinato dall’euro), che
effetti ha sul vincolo esterno? E la risposta è abbastanza ovvia. Meno cose
riusciamo a fare da noi, e più dovremo comprarne all’estero. In altre parole, l’elasticità
delle importazioni al reddito, se prosegue il processo di sfaldamento dell’industria
italiana, non potrà che aumentare, rendendo ancora più stringente il vincolo, e
ancora meno sostenibile per noi una crescita sostenuta che non sia finanziata
dai capitali esteri (i quali, per definizione,
dopo un po’ si stancano e se ne vanno, lasciando dietro di sé macerie, come abbiamo
visto accadere tante volte dal 1980 in poi).
Ovviamente questo rimane qui fra noi (e per i lettori della International Review of Applied Economics).
I nostri politici o
sono traditori, o non ci arrivano, ma per noi cambia poco: l’interesse del paese è in ogni caso leso, e
in ogni caso loro non sono disposti nemmeno a far finta di prendere in
considerazione il problema, che poi è sempre il solito, e non è quello di
uscire dall’euro (perché tanto dall’euro usciremo), quanto quello di uscirne in
fretta, per limitare i danni.
Si apra la discussione (ma io dormo, o almeno ci provo: il monaco buddista mi terrà sveglio?).
(...per leggere un monaco buddista devo stare parecchio male, e in effetti sto parecchio male, non nel senso di provare dolore, ma spossatezza sì. Che dite, sarà il caldo?...)