lunedì 16 settembre 2024

#goofy13: l’unione può farcela?

Ieri ero a spasso per i Monti Pizzi con uno di voi (Bagnai concede sempre una seconda possibilità). Si parlava del più e del meno, e in una piega del discorso lui mi chiede: “A proposito: Carmelina [nome di fantasia] vuole sapere qual è la data del #goofy…”.

…e lì ho pensato che questa guerra la perderemo!

Sono settimane e settimane che la data era pubblicata lì dove era naturale aspettarsi che lo fosse: nel sito di a/simmetrie, dove da oggi trovate anche i moduli di iscrizione! Allo staff lo avevo detto: “Fate come vi pare, tanto figuratevi se un’informazione su a/simmetrie vanno a cercarla sul sito di a/simmetrie! Sono troppo abituati ad avere la pappa scodellata da mamma Albertina…”.

Giudizio parzialmente ingeneroso: mentre vi scrivo, fioccano le notifiche di iscrizione di quelli che evidentemente a partecipare ci tengono e quindi hanno deciso di tenersi informati (e farlo è facile: basta iscriversi al profilo Eventbrite dell’associazione per avere una notifica sugli eventi attivi…). Avete sei settimane per iscrivervi. Se il preavviso non vi appare congruo, sapete con chi prendervela

Io il convegno non volevo nemmeno farlo!

Ma se vi interessano le riflessioni di Carlo Galli sull’attuale contesto storico, se vi incuriosisce l’indagine di Lucio Baccaro sulle mappe eoncettuali delle élite tedesche, se volete ascoltare l’analisi di Vladimiro Giacché su motivi e conseguenze dell’incapacità di pensiero strategico in Europa, se può appassionarvi un dibattito fra un membro del Copasir e il generale Boni sul tema dell’esercitone unicone, se il tema della libertà di espressione, e quello della censura (facciamo ciao ciao con la manina all’amico Thierry Rosicon), non vi appaiono irrilevanti, se un dibattito fra Savino Balzano e Pasquale Tridico sul tema del salario minimo (e della deflazione salariale) può stuzzicarvi (la lista potrebbe continuare), allora vedrai che in sei settimane riuscirete a organizzarvi!

Bene.

E ora aspetto fiducioso il prossimo rompicoglioni che chiederà a me o allo staff: “Ma quest’anno il #goofy quand’è?” E questo incauto, ovviamente, resterà fuori, perché la sua domanda, dopo questo post, segnalerà che a lui il #goofy non interessa. Se gli interessasse, mi seguirebbe. E allora perché sottrarre il posto a un vero interessato?…

(Non) ci vediamo al #goofy13!

giovedì 12 settembre 2024

Contrordine, compagni! Ascesa e caduta dell'educhescion digitale

Mi scrive una persona informata dei fatti, commentando questo ritaglio di giornale:



Spettacolare! Vent'anni di sinistra al governo con i pochi che osservavano che forse troppo digitale non faceva bene alla scuola irrisi perché ritenuti antiquati e adesso che un ministro di destra fa qualcosa di reale in tal senso, "ce ne vuole di più"! 

Ma quando la 7° del Senato ha pubblicato gli esiti dell'indagine sull'impatto del digitale sugli studenti, nel giugno 2021, chi era Ministro dell'Istruzione?

Uno De Passaggio


All'ultima domanda di Uno De Passaggio (lontano cugino di Uno Normale, l'entità mitica di cui vai in cerca quando devi occuparti di nomine, ben sapendo che nella fisica quantistica delle nomine vale il principio di indeterminazione di Bagnai: "Poiché nominare significa interagire, ciò preclude l'integrità psichiatrica del soggetto nominato"), all'ultima domanda, dicevo, è facile rispondere. Il documento fu approvato il 9 giugno 2021, e quindi il ministro dell'istruzione era lui, l'allievo di Prodi e Quadrio Curzio (e se io che sono del mestiere me lo sono dovuto andare a cercare su Google un motivo ci sarà).

Quelli (pochi) che osservavano che troppo, ma anche poco, digitale non fanno benissimo all'insegnamento, non solo primario, non solo secondario, ma anche terziario, chi è del mestiere se li ricorda, e uno è qui:


e vi spiegava perché e per come aveva voluto tenere quello che poi sarebbe stato il suo ultimo corso di dottorato (ma a settembre 2017 mai avrei pensato di scrivervi un giorno da San Macuto, di cui ignoravo l'esistenza...) utilizzando una lavagna di ardesia, faticosamente inseguita per le aule della D'Annunzio: erano oggetti rari già nel 2017, prima che i barbari dei banchi a rotelle scagliassero dalle finestre delle nostre scuole i pochi esemplari rimasti, mandandoli in frantumi, per obbedire agli scellerati ordini dei loro padroni cinesi.

Che cosa voleva allora il PD? Ve ne ricordate? Voleva ovviamente la modernità e il progresso, coerentemente con l'afflato progressista di cui si sente interprete unico e solo. E naturalmente la modernità era cchiù pilu, pardon: più digitale per tutti, e a tutte le età. Ce ne ha parlato distesamente Giorgio Matteucci, con altri, in questo convegno organizzato da a/simmetrie in Parlamento, ma insomma l'andazzo credo che ve lo ricordiate. Il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD: come potremmo fare a meno di un acronimo? E che acronimo sarebbe, se non fosse impronunciabile?), quel "pilastro fondamentale de La Buona Scuola" (legge 107/2015)", come lo definisce il sito del ministero, era stato licenziato da un altro ministro di cui il ricordo è labile, ma l'appartenenza indelebile: Stefania Giannini, pregiato componente del governo Renzi (#DAR)!

Come avrebbe potuto la mela cadere lontano da cotanto albero?

Lo trovate riassunto qui in appena 35 punti, fra cui troviamo il BYOD (cioè: portati il telefonino in classe!), il registro elettronico (cioè: deresponsabilizzati e disimpara a scrivere), gli standard minimi per la didattica online (cioè: lì volevano andare a parare e non gli è parso vero di avere un motivo cogente per accelerare su quel percorso), insomma: lammerda de lammerda de lammerda (senza offesa per le feci), il tutto proposto da chi? Ma è chiaro: dai referenti politici degli intellettuali engagé che oggi si "indinniano" e perché? Perché qualcuno ha detto basta, ma non l'ha detto abbastanza, tant'è che bisogna colpirlo come la Morte Nera!

Ma come?

Quando il ministro era vostro propugnavate il BYOD, e ora che il nostro ministro si oppone al BYOD di Renzi, mi diventate supinamente (stavo scrivendo suinamente) e subalternamente contro il BYOD anche voi? Così, de bbotto!? Sembrerebbe paradossale, ma il paradosso si spiega se ci si ricorda che qualsiasi cosa facciate, voi la fate, e soprattutto la raccontate, in modo più migliore, il che legittima i vostri più acrobatici voltafaccia (basti pensare al wannabe PdR che con scioltezza è passato dall'austerità agli ottocento miliardi - anzi: mijardi - di investimenti)!

Perché al telefonino in classe aveva aperto la Fedeli nel 2017 (quando io mi dannavo per trovare una vera ardesia e del vero gesso: la mia personale crisi delle materie prime era appena iniziata!), ma voi, cari intellettuali, muti! Tanto, la via di fuga era già pronta: se tutta questa digitalizzazione (che non poteva funzionare) non avesse funzionato, la colpa sarebbe stata degli insegnanti, non vostra o dei vostri strategòi! Esattamente come l'insuccesso dell'euro, che non poteva funzionare, è in tutta evidenza colpa del popolo bue, mica dei raffinati intellettuali che lo concepirono (uno lo abbiamo menzionato)!

E anche questo, in qualche modo, è un QED...

martedì 10 settembre 2024

La prova del moribondo

Sì, so che il titolo vi lasciava presagire un post sull'UE, ma per chi come me ha una mentalità anticipante quella di "moribondo" non è una categoria applicabile a cotanto progetto politico! No, è solo una rapida comunicazione di servizio. La prova è questa qui e, per la cronaca, da quest'estate la supero in scioltezza. Merito di un po' di disciplina, quella richiesta dalla necessità di durare un giorno più dell'avversario per vedere come andrà a finire. Lo dico a beneficio chi ogni tanto si propone di accompagnarmi in montagna: siccome finora per un motivo o per un altro mi siete esplosi tutti (tranne uno, a dire il vero: ma è un trentenne), a me la compagnia fa senz'altro piacere, ma vi prego di pensarci prima, anche perché è sì vero che il nostro motto è quello dei marines, ma è altrettanto vero che non ci piace perdere tempo, soprattutto ora che le giornate si sono accorciate...


(...la settimana prossima si parte col click day, tenetevi connessi, sarà un bel convegno...)

(...l'UE non è moribonda: non è mai nata. Quindi come andrà a finire lo sappiamo: non è mai cominciata...)

domenica 8 settembre 2024

I cretini e il saprofita d'Europa

Ogni tanto in questo blog ci siamo dovuti occupare del cretino, quell'essere sulla cui nefasta prevalenza Fruttero&Lucentini ci avevano ammonito nel 1985, e dalla cui tendenza alla specializzazione Flaiano ci aveva messo in guardia nel lontano 1956, nel prefigurare l'avvento del "medioevo degli specialisti" (ma era solo uno sconosciuto scrittore di provincia, no? Eppure, col senno di poi...).

Sulla prevalenza ci siamo esercitati anche noi e l'argomento pare stia tornando di moda. Dei cretini invece ci siamo occupati l'ultima volta un annetto fa a proposito della Brexit, ma credo sia d'uopo un supplemento, per sostanziare, o meglio, risostanziare, il contenuto di questa diretta breve ma intensa:


Dico: risostanziare, perché del tema (la pretesa funzione di "traino" esercitata dalla Germania sull'Eurozona) ci eravamo già occupati in modo tombale nel febbraio 2012, cioè oltre dodici (12) anni fa, in due post che suggerisco di rileggere (perché va bene "il giorno della marmotta", ma credo sia vostro interesse crescere culturalmente):

1) Reichlin vs tutti, ovvero Germany vs Eurozone;

2) La locomotiva d'Europa e le locomotive della Germania

Bene. Quindi ora rileggeteli, visto che stamattina ho perso una mezz'oretta a restaurarli reinserendo grafici e tabelle originali (ho deciso di non combattere la battaglia con gli informatici del mio ateneo: perché affrontare un ostacolo quando gli si può girare intorno?). Buona lettura.












































































Avete fatto?

















































































No?












































































Sentite: io mi sono rotto i coglioni di ripetere sempre le stesse cose, per cui quando vedete un link, cioè una porzione di testo evidenziata in questo modo, dovete farmi il cazzo di favore di cliccarci sopra e leggere, perché il Dibattito non è un testo: è un ipertesto, e a chi non lo ha capito verranno le doppie punte, l'alitosi, e ogni notte apparirà in sogno un Padre fondatore per ricordargli quanto sia dolce e decoroso morire per Maastricht. Va bene così? Adesso rileggete quei due cazzo di post e andiamo avanti.



























































Bene. So che a molti non era chiaro che il Dibattito è ipertestuale, ma sono lieto di avere avuto un'occasione per chiarirlo pacatamente, e altrettanto pacatamente ve ne illustro i vantaggi, che poi sono ovvi: non ricominciare sempre da zero, e quindi procedere più avanti sulla strada della conoscenza.

Perché vedete: il fatto che un Paese che ha fatto del mercantilismo, cioè del vivere di esportazioni, cioè di campare sulla domanda (capacità di spesa) altrui, cioè del sottrarre ai propri partner commerciali domanda interna per rivolgerla verso i propri beni (indebolendo la crescita dei suddetti partner), non possa essere una "locomotiva" dei Paesi cui sottrae domanda, cui vende beni, da cui non compra beni, è piuttosto semplice da capire (e infatti chi non lo capisce è un cretino, e ogni tanto questo gli andrebbe detto, per mera carità cristiana, cioè per evitare che si faccia delle illusioni). Non può essere una "locomotiva" (non può trainare i Paesi dei quali non sostiene la produzione, mi sembra ovvio: non sono così tanto cretino!), e non può nemmeno essere, conseguentemente, una credibile potenza imperiale. Lo sono gli Stati Uniti, che infatti sono strutturalmente compratori netti dei beni altrui, anziché venditori netti dei beni propri, anche perché questo, come spiegato in innumerevoli sedi, comprese quelle scientifiche, è il modo più ovvio per far circolare nella propria area di influenza la propria moneta (scambiarla con gli altrui beni). Ma dei risvolti finanziari potremo parlare (cioè riparlare, da brave marmotte) più diffusamente quando ci saremo scrollati di dosso i fastidiosi cretini!

Tuttavia (e qui si vedono i benefici dell'ipertestualità - per chi vuole approfittarne - e del riprendere i discorsi da dove si erano lasciati, anziché cominciare ogni volta da capo), nonostante che questo dato sia ovvio (un Paese mercantilista esporta deflazione, non crescita), nei dodici anni da cui abbiamo affrontato l'argomento qualcosa potrebbe in effetti essere cambiato. Che so? Magari la Germania potrebbe essere andata in deficit nei riguardi dell'Eurozona, sostanziando così il proprio ruolo di "locomotiva", cioè di acquirente netto? Oppure potrebbe essere andata in surplus nei riguardi della Cina (scemenza sostenuta autorevolmente in uno dei due post che vi ho chiesto di rileggere e che senz'altro avete riletto), avvalorando la tesi di quelli secondo cui grazie all'elevato livello dei suoi investimenti e della sua ricerca la Germania è in grado di competere con la Cina, e di riflesso consente, esportando in quel Paese lontano, a tutti noi di beneficiare dello sbocco su un mercato così importante?

Ecco: a distanza di dodici anni un tagliando a quei due  post può valere la pena di farlo, aggiornando gli stessi grafici e le stesse tabelle. Ci servirà a vedere se magari siamo diventati noi cretini, grazie alla nostra proverbiale adorabile supponenza, o se i cretini sono rimasti tali, a causa della loro proverbiale disprezzabile ottusità. La risposta penso di saperla, perché dell'andamento dei surplus tedesco abbiamo già parlato in lungo e in largo (una delle ultime volte nel post sui banchieri filantropi), ma mi dispongo con animo sereno e laico a riscoprirla con voi.

Partirei quindi dal grafico su cui Lucrezia Reichlin aveva spudoratamente costruito una fake news: quella secondo cui "il suo surplus commerciale [della Germania, NdCN] si è accresciuto soprattutto grazie all’export verso i paesi extra Unione: Cina, Paesi del Centro ed Est Europa e Paesi Produttori di Petrolio":


La fonte della Reichlin era il Fmi (che poi vuol dire tutto e niente: nel WEO ad esempio non ci sono i dati per origine e destinazione). All'epoca verificammo sul Data Explorer dell'OCSE, che nel frattempo ha cambiato struttura, diventando meno intuitivo da usare, ma nel frattempo è diventato più intuitivo da usare (ed è espresso in euro) il Data Browser dell'Eurostat, quindi utilizzo lui.

Per prima cosa vediamo se replicando oggi il grafico che sputtanava sbugiardava l'esimia collega, cioè questo:


dodici anni dopo e su un diverso database otteniamo cose diverse:


e no, spiaze (poco), ma quella della Reichlin si dimostra, con poca sorpresa, una fesseria assolutamente resistente alla prova del tempo: si conferma che il suo ponzoso editoriale confondeva le esportazioni extra-Eurozona con quelle mondiali, e che nel periodo da lei considerato le esportazioni verso l'Eurozona erano state sistematicamente superiori a quelle verso l'esterno dell'Eurozona, confutando l'assunto che la Germania crescesse prevalentemente a spese altrui: cresceva invece prevalentemente a spese nostre! Era il noto gioco di prestare (via banche franco-tedesche) ai PIIGS i soldi con cui comprare le automobili e i sommergibili tedeschi (e quest'ultimo dettaglio mi sa che non ve lo ricordavate: pensa che risate si sono fatti i turchi!).

Possiamo quindi fiduciosamente estendere il grafico per vedere se poi le cose sono cambiate in qualche modo e come, cioè se la Germania abbia smesso di crescere a spese nostre, e se magari abbia addirittura contribuito alla nostra crescita, diventando un importatore netto dall'Eurozona per sostenerne le economie, come più o meno in quegli anni chiedeva tanto appassionato quanto inascoltato il partigiano Joe!

Il grafico esteso è qui:


(non si riesce ad andare oltre al 2021), e ci dice quello che già sappiamo e che avevamo visto, ad esempio, qui (dove però consideravamo il saldo delle partite correnti, quindi non esattamente gli stessi dati):

Dopo aver assassinato i suoi mercati di sbocco interni, la Germania è stata costretta a rivolgersi a mercati di sbocco esteri, da cui una esplosione del surplus merci extra-zona e un relativo smorzamento del surplus merci intra-zona.

Ma... vuol dire che la Germania ha cominciato a sostenerci con la sua crescita?

Prima di rispondere togliamoci subito un altro sassolino-ino-ino dalla scarpa. Sarà veramente vero, come dicono i cretini, che la Germania è in surplus con la Cina a causa della sua leadership tecnologica? Ci eravamo esercitati anche su questo, facendo vedere all'epoca che no, non era proprio così:


La Germania era (abbastanza ovviamente) in deficit con la Cina, in quanto principale hub di smercio, via Amburgo, di quella che all'epoca era paccottiglia cinese (magari ribrandizzata Made in Germany) e che oggi sono prodotti a sempre maggior valore aggiunto. Ma le cose sono cambiate? Cerrrrrto che no! In effetti, replicando quel grafico coi dati Eurostat otteniamo questo:


I numeri sono drammaticamente gli stessi, per cui rinvio al commento che feci qui, e prolungando il grafico approdiamo su un #sevedeva:


I tedeschi hanno sì provato a diventare esportatori netti verso la Cina, ma non ci sono mai riusciti, e la greendemia che ci hanno inflitto ha dato loro una bella botta dalla quale difficilmente si riprenderanno, con un decollo delle importazioni associato a un declino delle esportazioni.

Chiara la lezione?

Ma torniamo sull'idea che la Germania ci sostenga con la sua crescita.

Intanto: quale crescita?

Forse conviene aggiornare anche questa tabella:


cioè quella che chiariva qui (cioè in uno dei due post che avete riletto, vero!?) come la Germania avesse sostanzialmente sottoperformato a partire dal Trattato di Maastricht fino al 2010 (quindi locomotiva de che, se andava più lenta dei vagoni?).

Utilizzando i World Development Indicators (cambiati anche loro, ma relativamente agevoli da consultare per chi sa che cosa cerca) la situazione è questa:


I dati medi annui sul sottoperiodo 1992-2010 confermano (e anzi accentuano) il fatto che nel post-Maastricht la Germania ha corso meno del resto dell'Eurozona, e quelli sul sottoperiodo 2011-2023 (da Monti in poi) sostanzialmente non smentiscono. Possiamo immaginare che con le prossime rettifiche della contabilità nazionale quell'1.3% di crescita media annua fra 2011 e 2023, sostanzialmente identico all'1.2% del resto dell'Eurozona, diventi un 1.2% piuttosto che un 1.4%! Non è la prima volta che la Germania evita di dichiarare una recessione truccando le carte, come qui abbiamo evidenziato (chi se lo ricorda)?

Quindi, la Germania non può aver sostenuto l'Eurozona con la sua crescita perché al più è cresciuta quanto l'Eurozona (quando non l'ha ostacolata), cioè perché... non è cresciuta! Vedete che chi parla di locomotiva tedesca è un cretino? Come fa a "tirare" una macchina che non cammina? Ma i dati li guardano, questi imbesuiti, o no?

Indipendentemente dalla sua crescita, che resta asfittica, la Germania non può comunque aver sostenuto l'Eurozona perché è stata venditore, non acquirente, netto dei prodotti dei suoi partner. Ce lo dice il fatto che la Germania è rimasta comunque in surplus nei riguardi dell'Eurozona, anche dopo averla devastata con l'austerità, e per avere un'idea più accurata possiamo spacchettare questo surplus nelle sue principali componenti:


Sopra a tutto avete la linea rossa della Figura 1 e successivi aggiornamenti (cioè il saldo commerciale della Germania verso l'Eurozona) e sotto avete i saldi dei principali Paesi. Non sarete sorpresi di constatare che mentre Spagna, Italia, e tutti gli altri hanno ridotto dopo il 2008-2009 il loro deficit verso la Germania (qui lo vedete come riduzione del surplus della Germania nei loro confronti, che tuttavia resta positivo!), la Francia se n'è andata dritta per la sua strada: il surplus tedesco nei confronti della Francia (deficit francese nei confronti della Germania) lo vedete in grigio, e in effetti... la vedrei grigia (se fossi in loro, come per fortuna non sono)...

Sintesi in dieci minuti, perché tanti ne ho.

1) la Germania non ha mai avuto una performance di crescita tale da giustificare per lei l'appellativo di locomotiva;

2) ove mai l'avesse avuta (ma non l'ha avuta) dal nostro punto di vista avrebbe tirato nella direzione sbagliata, come diceva De Nardis anni prima del partigiano Joe, perché è sempre stata venditrice, non acquirente netta dei nostri beni, e questo vale in particolar modo per la Padania, come abbiamo avuto modo di approfondire in altra sede;

3) l'aggiustamento macroeconomico determinato dall'aver segato il ramo su cui sedeva (la domanda interna dei paesi dell'Eurozona) non ha cambiato in nulla queste circostanze: la Germania ha tentato di campare per un po' sui soldi dei Paesi extra-Eurozona (lo si vede dall'esplosione del surplus merci e anche di quello delle partite correnti nei riguardi dell'extra-Eurozona) ma questo periodo è terminato, perché gli USA si sono seccati (vedi Dieselgate e esplosione dei gasdotti), la Russia è diventato un mercato precluso per motivi geopolitici, la Cina non è mai stato un mercato di sbocco, e gli altri emergenti guardano altrove;

4) più in generale, la Germania ha campato sempre e solo di dumping: fece dumping energetico negli anni '70, quando in risposta allo shock petrolifero si buttò sul proprio carbone, causando un grave danno ambientale a sé e agli altri (ricordate le piogge acide? Ricordate la fiatella tedesca?) ma evitando le conseguenze inflattive dell'aumento dei prezzi del petrolio; fece dumping salariale con le riforme Hartz a inizio secolo, senza che questo la aiutasse a crescere né a farci crescere; ha fatto dumping valutario con l'euro, con l'unico risultato di far incazzare gli Stati Uniti (vedi Dieselgate); ha rifatto dumping energetico concludendo una pace separata con la Russia, senza voler vedere o capire quale strategia l'Alleanza Atlantica stesse perseguendo (eppure non era difficile: l'avevano capito tutti!), e trascinandoci nelle conseguenze della sua hybris.

Questo paese saprofita ci è stato dipinto per decenni da coorti di pisciapenne prezzolati come una potenza che investiva in ricerca e tecnologia (solo qui avevate potuto vedere i dati) e che in quanto tale aveva un vantaggio competitivo che le permetteva di crescere più degli altri (?) grazie al rilevante flusso di esportazioni, quando in realtà il vantaggio competitivo era determinato esclusivamente da una riforma del mercato del lavoro che le consentiva di tenere il tasso di crescita dei salari reali sotto quello della produttività, come altresì vi avevo fatto vedere qui, nel post su Lampredotto:


(l'analisi della tabella la trovate qui).

E quindi, cari amici, di che cosa vogliamo parlare? Con cotanta locomotiva è ovvio che non andremo da nessuna parte. L'euro è irreversibile? Certamente, e chi ha mai detto il contrario!? La prima volta che andai in televisione dissi che non saremmo usciti noi da lui, ma lui da noi, perché il suo essere irreversibile non oblitera, ma anzi rafforza, il suo essere insostenibile!

Quindi calma: ora noi siamo in relativa sicurezza: lasciamo che si divertano fra loro i carolingi, i lotaringi, e i germani (o quel che ne resta).

Il nostro problema non sono loro. Il nostro problema sono i cretini, e quello sì che, come avrete capito, è un problema irrisolvibile, ma meno grave di quanto possa apparire, perché per quanto vogliano ripetersi che la Terra è piatta e la Germania è una locomotiva, la curvatura si vede a occhio nudo, a differenza della crescita tedesca (che non c'è mai stata). I fatti hanno la testa dura, e possiamo tranquillamente lasciare che i cretini li prendano a capocciate. Noi teniamo la barra dritta e non lasciamoci distrarre.



(...la prossima settimana vi annuncio il click day: Giacché, Balzano, Borghi, Galli, Gaiani, ecc....)

(...ah, lo so che tu, che ti credi più fregno degli altri, non hai riletto i due post del febbraio 2012: questa notte ti apparirà in sogno Canne, cioè, scusa: Spinelli! Io ti avevo avvertito...)

giovedì 5 settembre 2024

Il sorpasso (a futura memoria)

Bonjour!

Riprendo e applico un'osservazione del post precedente ("la bussola che ci ha condotto fino a qui, cioè fino al punto in cui la Germania ha segato il ramo su cui è seduta (come prefigurato nel 2011 sul manifesto), può essere usata per guardare oltre l'orizzonte"), e guardo con voi oltre l'orizzonte:

"Secondo me in cinque-sei anni la Francia ci supera" (al minuto 17:06, il tema era il debito pubblico).

Il verbale del Dibattito è questo blog, non i parterre televisivi, e nemmeno le auguste aule parlamentari: ci tenevo quindi a mettere a verbale questa affermazione fatta in una sede autorevole, ma non formale. L'affermazione, che ribadisco, è questa: nell'arco di poco più di un lustro il rapporto debito pubblico/Pil della Francia potrebbe superare il nostro.

Spendo due parole (in realtà le avevo già spese: ma adeguiamoci per un istante al modello "giorno della marmotta" caro al collega Borghi - che quando parla o suggerisce qualcosa lo fa a ragion veduta!), spendo due parole, dicevo, per chiarire perché questo non è un guess, ma un educated guess, per chiarire cioè quali teorie e quali evidenze empiriche pongo a supporto di questa mia congettura. Lo faccio non solo a edificazione vostra, ma anche a tutela mia. Del doman non v'è certezza: ogni congettura ha un margine di errore, e affinché l'errore sia fecondo, aiuti cioè a migliorare il modello analitico sottostante, occorre che questo modello sia esplicitato, così da mettere in evidenza quale rotellina dell'ingranaggio logico si è (eventualmente) inceppata.

Il primo elemento ve lo ripropongo qua: se osserviamo la dinamica del debito pubblico nominale (il numeratore del rapporto debito pubblico/Pil) constatiamo come essa in Francia sia stata molto più sostenuta che in Italia e Germania, subendo una ulteriore accelerazione post-Covid:


Fatto 100 il debito nel 2000, quello italiano e tedesco nel 2022 erano raddoppiati, quello francese più che triplicato (350). In questo grafico non consideravo il 2023 perché quei dati a febbraio non erano ancora consolidati quindi l'Eurostat non li riportava (sotto vi fornisco un aggiornamento).

Abbiamo poi visto che l'incremento del rapporto debito pubblico/Pil in Italia è dovuto interamente all'effetto denominatore: la ridotta crescita del Pil nominale. Se si ipotizza che dal 2009 in poi la crescita italiana fosse proceduta al tasso medio realizzato fra 2000 e 2008 oggi avremmo infatti un rapporto debito/Pil inferiore a quello del 2008:


Purtroppissimo (per loro) in Francia le cose non stanno così:


Nello scenario controfattuale, immaginando cioè che la Francia avesse mantenuto dal 2009 in poi lo stesso tasso di crescita del Pil nominale realizzato dal 2000 al 2008, il rapporto debito pubblico/Pil sarebbe oggi comunque consistentemente più alto di quello del 2008 (86% invece di 68%).

Quindi in Francia l'effetto "numeratore" (cioè la crescita del debito pubblico nominale, molto più rapida che da noi) spiega una parte significativa, se pure non preponderante, dell'incremento del rapporto debito pubblico/Pil del Paese dopo il 2008: 17 punti percentuali di Pil su 42 complessivi. Questo evidenzia una fragilità strutturale della finanza pubblica francese, da noi più volte constatata sulla base di considerazioni inoppugnabili, a partire dal numero di violazioni della regola del tre per cento (17 in Francia contro 11 in Italia), di cui parlammo qui:


Ciononpertanto, le previsioni dei previsori, quelli che nel caso della Brexit tante soddisfazioni ci hanno dato (toppando sempre) sono comunque favorevoli alla Francia.

A ottobre 2023 il Fmi la vedeva in questo modo:


con un rapporto debito pubblico/Pil italiano superiore di 29 punti a quello francese nel 2028, ad aprile 2024 la vedeva così:


con uno scarto di addirittura 30 punti al 2029 a causa di un innalzamento del rapporto italiano superiore a quello francese (che a ottobre 2023 veniva invece dato per stabile).

Può anche darsi che le cose vadano così (nel qual caso avrei platealmente sbagliato), ma intanto aggiungiamo un'altra informazione: che cosa succederebbe se il rapporto debito pubblico/Pil dei due Paesi si comportasse da qui in avanti come durante il periodo di sospensione delle regole (2020-2023)? Succederebbe questo:


cioè, appunto, nel 2029 (fra cinque anni) saremmo tornati sotto la Francia (102% invece di 103%).

Intendiamoci bene! Questo controfattuale non ha alcun significato se non, forse, quello di darci un ordine di grandezza molto approssimativo di quale sia il "costo delle regole" per un'economia come la nostra, un'economia che è stata massacrata dal taglio degli investimenti pubblici voluto da Bruxelles e perpetrato da Monti, come abbiamo dettagliato qui:


(anche in Francia, che partiva da un volume più alto di investimenti pubblici, c'è stato un taglio, ma di entità proporzionalmente minore e sostanzialmente recuperato a fine 2022).

Non mi aspetto quindi che le cose vadano in quel modo. Quello che mi aspetto, invece, è che le cose vadano in Francia peggio di come il Fmi le vede, e direi anche lievemente peggio di come andarono con Hollande (dal 2012 al 2017 il rapporto debito/Pil aumentò in Francia di circa otto punti), e simmetricamente che in Italia vadano meglio di come il Fmi le vede, e direi anche lievemente meglio di come andarono prima della crisi finanziaria globale (dal 1995 al 2000 il rapporto debito/Pil italiano calò di 10 punti). Un recupero del genere colmerebbe in cinque anni 18 dei 26 punti di distacco che davamo alla Francia nel 2023. Non sarebbe un sorpasso da parte della Francia, ma ci andrebbe vicino, e attenzione: ci sono due elementi di rischio politico che vanno inseriti in questo ragionamento: uno favorevole all'ipotesi del sorpasso, uno di lettura più incerta.

Il primo è quello su cui attiro la vostra attenzione da ormai dodici anni: la Francia è (perennemente) a un bivio che gli accorti previsori del Fmi caparbiamente si ostinano a non voler prendere in considerazione! Ricordate l'esaltazione dei piddini domestici e 'ndernescional per la vittoria di Hollande? Qui ce ne facemmo beffe (in uno dei post essenziali del blog), i fatti ci diedero quasi subito ragione. La popolarità di Hollande crollò immediatamente a picco, come, ma molto più, quella di tutti i presidenti eletti da quando il mandato è quinquennale, cioè dal 2000, cioè più o meno da quando la Francia è nell'euro, cioè da quando anche un Presidente francese non può fare per i francesi molto più di quanto un Primo ministro italiano possa fare per gli italiani:


(fonte: interessante leggere le loro considerazioni sull'"effetto quinquennio" alla luce di quello che noi sappiamo dell'effetto euro). Ne avevamo parlato fra l'altro qui, a proposito del consenso di cui sembrava godere Conte dopo lo scoppio della pandemia, e che altro non era che un fisiologico effetto di ricerca di rassicurazione da parte dell'elettorato, come quello sperimentato da Hollande nei due casi Charlie Hebdo e Bataclan (visibili nel grafico).

Col senno di poi, però, possiamo apprezzare anche un'altra sfumatura di questo fallimento annunciato (annunciato all'epoca solo da noi, ma comunque annunciato)! I previsori, all'epoca, si aspettavano che il nuovo governo francese avrebbe risanato i conti pubblici. Per darvi un'idea, qui confrontiamo con la realtà le previsioni Fmi dell'autunno 2011 (prima dell'elezione di Hollande):


(nel 2016 il rapporto debito pubblico/Pil fu superiore di dieci punti a quello che il Fmi si aspettava nel 2011), e qui quelle dell'autunno 2012 (dopo l'elezione di Hollande):


(alla fine del quinquennio, nel 2017, prevedevano quasi dodici punti di rapporto debito pubblico/Pil in meno di quelli che poi Hollande realizzò, tenendosi ben al disopra delle previsioni).

Ora, prima di andare sul politico vi faccio una sottolineatura tecnica: un errore attorno al 10% in uno scenario di previsione macroeconomica a cinque anni potrebbe anche essere tranquillamente compatibile con l'incertezza del modello. Le previsioni, in effetti, andrebbero sempre formulate come intervalli e accompagnate da un valore di probabilità. Dire: "nel 2017 il rapporto debito pubblico/Pil sarà 86%" non è come dire "nel 2017 il rapporto debito pubblico/Pil si situerà fra 80% e 92% con una probabilità del 95%" (metto cifre a caso: per metterle giuste dovrei avere lo scarto quadratico medio delle previsioni del modello del Fmi, se esiste e se è usato in modo neutro e trasparente, cioè senza interventi "redazionali", per effettuare queste previsioni). Fatto sta che le previsioni intervallari non interessano a nessuno, i politici capiscono solo quelle puntuali, e quindi i previsori forniscono quelle puntuali, pensando che tanto i politici hanno memoria corta, e le loro castronerie verranno dimenticate.

E in effetti tutti le dimenticano, tranne uno: io.

Questa sottolineatura vale a evidenziare che l'ordine di grandezza dell'errore potrebbe anche essere scusabile, ma la sua sistematicità un po' di meno! Era evidente il tentativo del Fmi di alimentare aspettative positive su un governo "amico" (l'antagonista essendo l'antieuropea Marine Le Pen), a dispetto di una semplice considerazione di ordine politico: per non infiammare la polveriera sociale delle banlieues, Hollande non aveva che una possibilità, quella di spendere. Altro che rientro del debito! Questo era prevedibile, i risultati li vedete, e i problemi sono ancora tutti lì, ma amplificati: c'è più debito pubblico, ma c'è anche più debito estero, ma c'è anche meno crescita economica (perché la Germania non tira giù solo noi: tira giù anche i francesi, considerando che le esportazioni verso la Germania contano per il 12,7% delle nostre, ma contano anche per l'11,7% di quelle francesi!), ma c'è, anche e soprattutto, molta più tensione sociopolitica, come evidenziato dal risultato delle elezioni, dalla difficoltà di formare un Governo, dai continui, incresciosi fatti di cronaca.

Aggiungo che l'esperienza italiana ha una lezione importante per quella francese. Anche la Francia, infatti, ora ha un rapporto debito/Pil superiore al 100%. Questo significa che per la Francia c'è una cosa peggiore del non riuscire a fare austerità onde evitare rivolte di piazza, ed è riuscire a farla! Nel primo caso, infatti, avremmo uno scenario Hollande, e quindi, per capirci, le previsioni a cinque anni andrebbero tirate su di almeno una dozzina di punti, ma nel secondo caso, ove mai veramente la Francia decidesse di suicidarsi seguendo leRegoleTM, il potenziale upside della previsione è analogo a quello che si ebbe qui da noi con Monti, e sapete quanto fu? Questo:


(quasi 14 punti percentuali in cinque anni, ma con un decorso iniziale molto più rapido). Se il problema è "battere" la previsione Fmi, diciamo che siamo in una posizione win-win: al competitor andrà male rispetto alle previsioni se non fa austerità, e peggio se la fa.

In questo quadro, invece, noi dobbiamo (e politicamente possiamo) solo stare fermi, e mandare gli altri a schiantarsi: esattamente come le previsioni francesi sono imbellettate dagli amici del Fmi, le nostre sono imbruttite, ma i fatti hanno la testa dura.

Resta il secondo elemento di incertezza, quello che invece potrebbe giocare a nostro sfavore, nelle condizioni attuali, e che comunque rende un po' futili (per quanto servano a fissare le idee) esercizi come quello compiuto in questo post. Prima o poi una crisi finanziaria arriverà, temo. Non mi metto qui e ora a ricordarne e analizzarne gli indicatori, non posso dedicarvi un'intera giornata e già metà è andata dispersa, ma sarei molto, molto, molto sorpreso se nell'arco dei prossimi cinque anni non arrivasse una schicchera come quella del 2001 o del 2007. I presupposti ci sono: tanta liquidità immessa nel mercato, e indirizzi di politica industriale sorretti da un boderoso (cit.) ottimismo della volontà! Lu grìn potrebbe essere il nuovo dot-com, per dire, ma non mi interessa qui entrare nella granularità delle cause. Per quanto gli autorevoli banchieri centrali si sciacquino la bocca con le macroprudential policies, la regulation, ecc., il primo e più caratteristico segno di un idiota è quello di pensare di essere nel 2024 più furbo di tutti quelli che lo hanno preceduto nei lunghi millenni decorsi da quando qualcuno (Gurz, come ricorderete) decise di comprare qualcosa a credito! Questo libro è un gigantesco monumento alla stupidità umana, una forza che potrebbe lottare a nostro favore, come a nostro sfavore.

Qui si aprono vari dilemmi, che non esploriamo tutti.

Nonostante che noi si sia ancora il Paese messo peggio rispetto all'indicatore fuorviante che i mercati osservano maniacalmente (il debito pubblico), lo scoppio di un casino generale (traduzione di global financial crisis) oggi, con il Paese creditore netto verso l'estero e in surplus di bilancia dei pagamenti, con un Governo tutto sommato stabile (a parte i noti fatti di cronaca), difficilmente potrebbe portare a un'aggressione come quella del 2011, anche perché attaccando noi è chiaro oggi più che mai che rischierebbero di venir giù anche loro. Quindi si potrebbe andare verso uno scenario general escape clause (formale o informale), e comunque verso un atteggiamento accomodante delle banche centrali. Scenari che tutto sommato ci favoriscono, come in parte abbiamo documentato sopra. Se così non fosse, salterebbe tutto per aria, ma alla fine siamo sicuri che questo scenario (che abbiamo analizzato qui) sia il peggiore degli scenari possibili? Dopo aver vissuto la recessione da COVID, quello che sappiamo della recessione da ridenominazione ci sembra ampiamente sopportabile!

Per fortuna la decisione non spetta a noi. La decisione spetta ad altri, e alcuni si sono già chiaramente espressi, giungendo alla conclusione giusta, se pure per un percorso sbagliato!

Quindi calma!

Tornando alla previsione da cui siamo partiti: il mio "secondo me" è dichiaratamente un po' avventuroso, ma molto meno di quanto i benpensanti possano credere, ed è già molto che oggi, a differenza di dodici anni fa, certe cose si possano dire in TV senza suscitare risolini di scherno: in parte è merito nostro, dell'autorevolezza che abbiamo saputo conquistare, e in parte loro, dell'assurdità del sistema che hanno costruito, le cui crepe sono sempre più evidenti.

Au revoir!


(...sintesi: i previsori mandateli a cagare, e aiutateci a tenere sui binari il Paese. Solo questo può sbriciolare i nostri avversari esterni e strozzare nella loro bile i nostri nemici interni. Il resto seguirà...)

martedì 3 settembre 2024

Costi e benefici del teloavevodettismo

Torno lasso e di contraggenio a svolgere l'ingrato ruolo di ecclesiarca: è uno sporco lavoro, ma... siamo proprio sicuri che qualcuno debba farlo?

Una cosa è certa: a me non va più tantissimo, e per lo stesso motivo per cui mi ci sono dedicato toto corde quando mi andava di farlo, non vedo perché dovrei forzarmi ora che non mi va. La vita è troppo breve per viverla di controvoglia, e alla mia età passeggiare per i boschi è attività indubbiamente più salutare dell'incollarsi a un monitor per lavare la testa agli asini.

Già questo basterebbe a spiegare perché la frequenza dei miei interventi si è diradata, ma qualche domanda ulteriore sulle ragioni del mio disamoramento per questo progetto, che ha avuto una sua importanza non solo nella vita politica del Paese:


ma anche nella mia vita personale, me la sono posta, e qualche motivo l'ho trovato, di natura oggettiva e soggettiva.

Il motivo oggettivo è ovvio, il vincolo di tempo, determinato da due elementi: l'opportunità di pensare alla salute (ho rimesso un po' di attività fisica e sto rimettendo un po' di attività musicale nella mia vita), e la necessità di svolgere i miei compiti istituzionali. L'impegno politico, che in questa legislatura sto vivendo anche e soprattutto nel mio collegio, per motivi su cui tornerò qua sotto, assorbe tempo. Non me ne resta quindi per condurre il Dibattito, come non me ne resta per alimentarlo con la mia ricerca, di cui il Dibattito, questo blog, era sostanzialmente uno spin-off. Quello che volevo dire dell'Eurozona l'ho comunque detto in particolare qui, qui, e qui, ce n'è più che abbastanza per sostanziare dal punto di vista scientifico la tesi dell'insostenibilità dell'Eurozona e per mettere a fuoco le aporie politiche dell'Unione Europea. Di questo nella mia attività politica tengo conto, cerco di aiutare gli altri a farlo, senza essere petulante, ovviamente ci sarebbero tanti punti di dettaglio da approfondire, ma il mio contributo sento di averlo dato e la ricerca scientifica non mi manca particolarmente.

Quindi se non sto qui più spesso è oggettivamente perché non posso starci: devo essere altrove.

D'altra parte, nihil difficile volenti: se veramente volessi stare qui, il modo lo troverei, come ho trovato modo di riempire la mia vita di tante cose oltre a questa (i concerti, i paper, i figli, la montagna, ecc.). Vi devo quindi qualche riflessione sul perché, in effetti, non son più tanto vago di stare in vostra compagnia, in questo luogo che ho creato e che vi ha creato come community, fornendovi un bagaglio culturale, dandovi un'arena di confronto, un lessico, un senso di appartenenza...

Vediamone qualcuno, in no particular order.

Intanto, ad aprile avete deciso di rompere il patto, disertando un evento importante. Ne ho preso atto con dignità, come avrete notato, non potendo però eludere una domanda, la domanda fondamentale: ma chi me lo fa fare di sbattermi tanto per persone che evidentemente non lo apprezzano? La risposta la immaginate.

Poi c'è il fatto, in qualche modo complementare, che l'attività politica territoriale mi dà accesso a un pubblico nuovo rispetto a quello che mi sono creato con la divulgazione scientifica, un pubblico che mi mostra apprezzamento, e che comunque mi sollecita su temi nuovi, su cose che mi divertono più del ripetere l'ovvio, cose che a modo loro mi arricchiscono culturalmente, e che comunque fanno parte dei miei doveri istituzionali. Un arricchimento culturale, ve lo concedo, fatto per lo più di acronimi (BIM, CIG, PNIISSI, PNIEC, CER, FSE, SNAI... devo continuare?); un divertimento, lo ammetto, fatto anche di infinite rotture di coglioni, di contatti con persone che mai e poi mai avrei incontrato né voluto incontrare se fossi rimasto nel mondo incantato della mia narrazione, quella che tanto vi affascinava e alla quale loro sarebbero assolutamente impermeabili; un dovere istituzionale del quale molti colleghi fanno allegramente a meno (e in effetti nei ministeri si stupiscono nell'incontrare un parlamentare che si occupa del territorio a un simile livello di consapevole granularità) e che continuamente mi espone al rischio di essere incriminato da quelli che aspirano a essere, e nei fatti sono, i gelosi detentori unici e soli dell'indirizzo politico. Fatto sta che la vita vera è fatta anche di altro: io che conosco e vi ho descritto i principi primi, provo un sottile e divertito compiacimento nello scoprire in quanti infiniti e inesauribili rivoli si declini il primo dei principi primi: Europa = PD = cose che non si nominano a tavola. Mi diverte molto più scoprire la centomillesima cosa ovvia e utile che non si può fare perché c'è l'UE di traverso, e provare a girarle intorno, che non ripetere inutilmente per la centomillesima volta che finché ci sarà l'UE di traverso non si potrà fare nulla (anche perché il ripeterlo non porta a grandi risultati: vedi al capoverso precedente). È più utile far riparare un chilometro di strada che sta franando a valle, è più utile inseguire e sbloccare presso un ministero i fondi per l'adeguamento sismico di una scuola, è più utile far parlare due amministrazioni che hanno deciso entrambe di fare una cosa ma continuano a inciampare l'una sull'altra, o dare all'ennesimo cucciolotto uterino e narcisista l'illusione di aver capito che cosa sia la bilancia dei pagamenti e perché essa domini la nostra esistenza terrena? E anche in questo caso la risposta la immaginate.

Incidentalmente, e mi sovviene in questo momento, ascoltando il suono del silenzio che mi circonda nel luogo in cui mi arrocco durante le mie permanenze in Abruzzo, luogo che fino a pochi giorni fa era villeggiatura di popolazioni particolarmente estroverse (ora resta solo il brontolio del cielo in lontananza e i campanacci delle marchigiane al pascolo fra le case abbandonate dai loro chiassosi inquilini), incidentalmente un altro motivo di disamoramento è che non solo la vita politica ti sottrae tempo, ma ti impedisce, nei brandelli di tempo che ti lascia, di ritrovare quel silenzio interiore da cui solo può scaturire una prosa, o una musica. In questo senso, fra i motivi che mi hanno allontanato dalla scrittura c'è anche quello che mi ha allontanato dalla musica: l'impossibilità, nel frullatore quotidiano, di ritrovare qualche momento di stasi, di vuoto, di silenzio, appunto, da cui far scaturire un qualche logos. Me ne rendo conto mentre torno indietro a rileggere e rendere più (o meno!) scorrevoli certe frasi.

Ma c'è un ulteriore, e forse più decisivo e irrisolvibile, elemento soggettivo del mio scoramento. Il tema lo ha posto un raffinato intellettuale di sinistra, che non a caso era particolarmente caro al nostro Marco Basilisco (principe degli zerovirgolisti frazionisti):


Certo, il teloavevodettismo ha nobili origini, ma è altrettanto incontestabile che esso sia uggioso e iettatorio (basta pensare alla povera Cassandra)!

Questo mi pone davanti a un dilemma di non facile soluzione, né in termini pedagogici, né in termini letterari. Potrei argomentare facilmente (e alcuni di voi, quattro o cinque, possono farlo meglio di me e quotidianamente lo fanno su Twitter) che tutto ciò cui assistiamo in questi giorni (Sharon Verzeni compresa) sia una conseguenza diretta, esplicitata e annunciata, di quanto affermato e prefigurato nei lunghi anni in cui mi andava di scrivere (ma in realtà di quanto chiarito nell'articolo del 24 agosto 2011 sul manifesto e nella mia prima apparizione televisiva del 20 giugno 2012: il resto sono state 2448 - con questa 2449 - variazioni sul tema). Il dilemma che si pone, in termini sostanziali e in termini narrativi, è quindi questo: insistere sul fatto che quanto accade è conseguenza annunciata di fenomeni già analizzati (il "teloavevodettismo"), o riproporre ogni volta ex novo una spiegazione autocontenuta di questi fenomeni? Cassandra, o Il giorno della marmotta? Enfatizzare che, appunto, qui non c'è nulla da aggiungere se non una interminabile serie di QED, o riscoprire ogni giorno l'acqua calda, come mi sembra auspichi Claudio, spiegando l'ovvio ai nuovi avventori, in un conato per certi versi comprensibile, ma per altri insensato, di allargare la base del consenso da zero virgola a zero virgola?

Un dilemma fra due alternative entrambe poco allettanti.

Il "teloavevodettismo" è, indubbiamente, un registro espressivo che questo blog ha fatto consapevolmente proprio, come hanno notato anche i sociologi che se ne sono occupati. Lo attestano i 104 QED: post scritti per attestare che un determinato accadimento (esempio: il fallimento di Hollande) qui era stato previsto perché era prevedibile sulla base di fatti stilizzati o di teorie economiche (esempio: l'analisi dei saldi settoriali). Il vantaggio di questa scelta narrativa è chiaro: per quanto il predittivismo sia lecitamente oggetto di disputa in epistemologia, la capacità di una teoria di anticipare gli eventi resta un elemento ragionevole e comprensibile di valutazione della sua affidabilità intrinseca, e in qualche modo contribuisce alla reputazione di chi, applicando quella teoria, ha tratto per tempo conclusioni che, pur essendo all'epoca contrarie alla communis opinio, si sono poi rivelate corrette alla prova dei fatti. Ma il "teloavevodettismo" può anche suscitare un effetto paradosso: per apprezzare la capacità predittiva di una teoria bisogna essere in grado di comprenderla, cioè di ragionare in termini astratti, facoltà preclusa alla melma piddogrillina che continua a lordare il dibattito social. A questi figli di un'ortografia, di una sociologia, e di un'antropologia minore, il fatto che uno rivendichi la correttezza di certe previsioni appare come l'esternazione estemporanea di un guru squinternato. Certo, di questa feccia possiamo anche non occuparci: se il mio scopo non era convincere voi, figuriamoci convincere loro, considerando anche che sono minoritari! Resta il punto che il "teloavevodettismo" è petulante e letterariamente pone nella spiacevole alternativa fra annoiare chi ha già capito (o crede di aver capito), e stare sui coglioni a chi non ha capito, con l'aggravante che questa, forse, non è nemmeno un'alternativa: il conseguimento simultaneo di questi due obiettivi è infatti a portata di mano, tanto che il primo a rompersi i coglioni sono stato io!

Va da sé che i rimedi ci sono.

Intanto, la bussola che ci ha condotto fino a qui, cioè fino al punto in cui la Germania ha segato il ramo su cui è seduta (come prefigurato nel 2011 sul manifesto), può essere usata per guardare oltre l'orizzonte. Ma vogliamo veramente farlo? Quello che sappiamo è che unioni monetarie che non siano un'area valutaria ottimale non sono sostenibili, e che la loro fine è generalmente decretata da un conflitto. Sappiamo anche (QED!) che l'UE che non voleva spendere per scuole e ospedali vuole spendere per armarsi. Questo ci conduce a una scomoda conclusione, che non vi ho mai nascosto, che certamente non vi sorprende, ma sulla quale mi chiedo se veramente vogliamo esercitarci. E anche qui la risposta la lascio a voi: fra guardare un TG e finirci dentro la differenza è un attimo. Sappiamo che presto dentro lo schermo ci saremo noi: è lì che ci condurrà l'ottuso negazionismo, la pervicace volontà di negare l'evidente fallimento di un progetto che andrebbe (e andrà) solo liquidato. Ma esplicitare questa conseguenza inevitabile che cosa ci dà in cambio, se non lo scherno dei negazionisti, che, non dimentichiamolo, pur essendo minoritari, hanno il controllo manu militari di tutti gli strumenti di distruzione della reputazione altrui (redazioni, social e procure). Meglio che questa resti una consapevolezza circoscritta, e se c'è una cosa che mi ripaga della fatica dedicata a questo progetto è la certezza di aver indotto persone che se lo meritavano a precostituirsi una via di fuga dall'orrore che ci attende.

Certo, nel frattempo le conseguenze pratiche dei principi teorici possono presentare un interesse concreto: i tanti di voi che mi ringraziano per non aver contratto mutui a tasso variabile nel 2020 (quando vi avevo spiegato che l'inflazione era dietro l'angolo, mentre tutti si preoccupavano della deflazione!) sono un buon esempio di quanto intendo dire. Ma questo blog nasce con altre finalità, sostanzialmente frustrate dalla impossibilità di far nascere una coscienza dei problemi reali in una sinistra antifascista in assenza di fascismo, e di convivere coi simmetrici riflessi pavloviani di una destra anticomunista in assenza di comunismo.

D'altra parte, con buona pace di Claudio e col massimo rispetto per la sua saggezza tattica e strategica, non credo sia molto più efficace e certamente è ancor meno divertente ricominciare ex novo il discorso ogni volta, scoprendo nel 2024 le aporie dell'Unione Europea come un Caracciolo qualsiasi! La forza di questo blog, la forza del Dibattito, è stata di essere anticipatore. Cantare in coro coi conformisti di sistema, con chi fino allo stremo ha negazionato non solo l'esistenza di rilevanti criticità di ordine economico (l'unione monetaria), ma l'idea stessa che l'economia potesse offrire chiavi di lettura valide e feconde, sinceramente lo eviterei, non tanto perché non mi va proprio di assimilarmi a questa compagnia di opportunisti ritardatari, quanto perché essi hanno con sé tutti i media di regime, che gli riservano lo spazio di antagonisti "nobili", di rango e di qualità, quando nel loro lavoro non c'è né la qualità, né il rango (credenziali accademiche in alcuni casi sul gianniniano andante), né la nobiltà, che presuppone il coraggio, qualità incompatibile col conformismo.

Non avrebbe quindi particolare senso, sotto nessun profilo, né quello del divertimento, né quello dell'efficacia, abiurare totalmente al "telavevodettismo": ci si ritroverebbe in compagnia di menti deboli assistite da un apparato mediatico forte, con l'ulteriore svantaggio tattico di essere derubricati a voce poco credibile perché partitica. Il fatto che l'articolo genetico sia stato pubblicato sul "manifesto", invece, mette in difficoltà chi lo constata.

Come sempre, quindi, con buona pace della desinenza in "etta", la soluzione sta, o meglio starebbe, in un compromesso, ma questo compromesso è faticoso e dispendioso in termini di tempo, e così la voglia, inevitabilmente, inesorabilmente, passa. Meglio cercare di evitare che una provinciale se ne cali a valle (i simpatici sindaci e amministratori locali non lo sanno, ahiloro!, che quanto dico inevitabilmente accade - qui un esempio - ma impareranno a darmi retta).

Concludo con un'informazione di servizio (volevo parlarvi di altro, ma tant'è): il convegno annuale comunque si farà, nel weekend del 26-27 ottobre (e già qui ci sarebbe molto da dire, o anzi niente, perché il fatto che alcuni di voi stiano pittimando lo staff per avere un'informazione che è pubblicata da tempo dove deve essere pubblicata dice tutto).

Sarà un'edizione nazionale, non internazionale, per due ordini di motivi: intanto, perché per quanto possa essere prestigiosa la loro presenza, forse anche no di buttare soldi per viaggi e traduzione simultanea di ospiti internazionali che nel migliore dei casi dicono un po' peggio e un po' dopo quello che noi abbiamo detto meglio e prima. Per carità: la loro presenza  agli occhi degli stolti accresce il prestigio delle nostre iniziative. Ma a noi basta la coscienza di quello che siamo e abbiamo capito per tempo. L'altro motivo è semplice: dopo la rottura del patto, al convegno potreste essere in 400, come lo scorso anno e come dieci anni fa, come 100, come 600. Non ne ho idea. Il mio scenario è 100, quello dell'ultimo incontro, e su uno scenario 100 non si raggiunge il break even per una traduzione simultanea decente, quindi vi attaccate.

Sarà al Serena Majestic, come è é stato in tutti gli anni, tranne che nell'ultimo. Sarà anche l'ultima edizione, in tutta probabilità, perché sinceramente di assumermi da solo il carico di tutta questa sbatta ne ho anche le tasche piene. L'anno prossimo se vorrete farete voi: metteremo così alla prova le magnifiche sorti e progressive del "movimento dal basso", il movimento intestinale sul quale tanti fini politologi si sono esercitati nei commenti a questo blog.

Quest'anno avremo con noi Carlo Galli, Savino Balzano, Vladimiro Giacché, Carlo Magnani, Gianandrea Gaiani, e altri, per una riflessione sull'Europa: l'Europa può farcela?

E anche qui, che barba, che noia...

La risposta è dentro di noi ed è giusta: tralasciando una rumorosa minoranza di imbecilli vulnerabili alla pacchiana propaganda di regime, la maggioranza silenziosa delle persone senzienti ha ormai chiaro che in Inferno nulla est raedemptio. Il problema si sposta su un altro piano: quello di influenzare i colleghi convinti che nelle sterminate praterie del centro pascoli il 50% di astenuti. Noi sappiamo che quel tipo di animale alligna sulle alture, non nella Palude, sulla Montagna. Ma è difficile, per un politico che ritiene di doversi sottoporre al giudizio degli operatori informativi (cioè, sostanzialmente, per tutti), sottrarsi alle lusinghe della Weltanschauung che gli operatori informativi impongono. Uscire dal frame, ahimè, si sa, è anche uscire dall'occhio della telecamera. E questo per molti è un grande sacrificio (non per chi non ha avuto bisogno di un ruolo per attirare su di sé l'attenzione).

L'anno prossimo vedremo. Io un'idea ce l'avrei, e una decina di voi credo la immagini: sì, andremo lì...

E per oggi è tutto: ora mi aspetta Zapping (altra cosa che faccio di malavoglia, ma quel lavoro, ahimè, sono certo che qualcuno debba farlo...).