...oggi è tutto un gran parlare di Grignudyl: Grignudyl di qua, Grignudyl di là, Grignudyl risolverà tutti i nostri problemi, Grignudyl ci darà la pace e la prosperità.
Forse influenzato dalle inquietanti apparizioni della bambina scandinava "che i potenti la temono" (tant'è che la invitano ai loro convivi, forse per riavvicinarsi alla consapevolezza della propria caducità, un po' come Erodoto racconta che nei loro banchetti gli antichi egizi lasciassero circolare l'immagine di una mummia...), fuorviato dalle treccine, istintivamente associavo Grignudyl a qualche personaggio della mitologia norrena: Grignudyl...
Grignudyl...
Mi ricorda qualcosa...
Ma certo!
Grignudyl, il figlio di Gautrekr e di Ingibjörg, cioè il cugino primo di Pdor...
Quanta poesia!
Ma la realtà è più prosaica. Pare che il Grignudyl di cui si grugnisce (rectius: si grignudisce) in giro sia un Green New Deal, cioè una versione green del noto New Deal.
A cosa serva la sverniciata di green credo lo abbiate capito: a far digerire al popolo bue (che sareste voi) una bella scarica di tasse, perché c'è la crisi climatica, signora mia, dobbiamo fare presto (tanto per cambiare), e quindi... Avendo capito a che cosa servirà il green da qui in avanti (sintesi: a riorientare i profitti verso le aziende tedesche, questa volta del manifatturiero, ma sempre a spese vostre), resta una domanda che può apparire superflua se non inopportuna: ma che cosa fu il New Deal?
Cosa sapete, voi, del New Deal?
La vulgata
Quello che tutti voi credo sappiate del New Deal potrei riassumerlo più o meno così: in America nel 1929 c'era stata una crisi per colpa della "finanza speculativa bbrutta". Purtroppo il presidente era un repubblicano, cioè uno "de destra", quindi un cattivo, non un buono come sono i democratici, quelli "de sinistra". Il presidente, che si chiamava come un aspirapolvere (non Folletto: Hoover), essendo cattivo, cioè non essendo "de sinistra", fece ovviamente la cosa sbagliata, cioè l'austerità, trasformando la crisi in una profonda depressione. Ma poi, per fortuna, a testimonianza del fatto che gli Usa sono la più grande democrazia del mondo, ci furono le elezioni, e a fine 1932 gli americani elessero un democratico, cioè uno bravo, in quanto "de sinistra": Franklin Delano Roosevelt (FDR). Questi, dotato di quel talento tutto particolare che si ha solo a sinistra per apprezzare la libertà di pensiero e ascoltare pensatori originali (qui più volte sperimentato e descritto), si fece ispirare da Keynes, e appena prese il potere, nel 1933, fece le politiche giuste, cioè tanta spesa pubblica, invece dei tagli di Hoover, perché Keynes è quello che dice che se l'economia è in depressione allora lo Stato può anche far scavare buche per poi farle riempire, giusto? Ah, e naturalmente bisognava anche regolamentare le banche brutte e cattive, per impedir loro di fare nuovamente del male. E così, quello "de sinistra" rimise in piedi il paese, appena in tempo per farlo entrare, secondo la migliore tradizione democratica, in un devastante conflitto (il quale, a sua volta, derivava non dalle dinamiche del capitalismo europeo, ma dal fatto che Adolfo era tanto cattivo perché la sua mamma, come quella di Proust, gli negava il bacino della buona notte).Questo è quello che sapete voi, anzi, quello che sanno tutti, della storia del XX secolo, ed è una storia che si capisce, che tutti capiscono: i buoni fanno la cosa giusta, i cattivi fanno la cosa sbagliata, e sono cattivi per il più ovvio dei motivi: perché la mamma non gli voleva bene da piccoli.
Se sei di sinistra, oggi tutto quanto oltrepassi questa articolata analisi rientra nell'hic sunt leones del complottismo, un terreno sul quale, come si sa, è meglio non avventurarsi. L'amore della mamma, o la sua mancanza, a sinistra sono diventati causa efficiente di ogni processo storico: ma questo gliel'ho già detto in faccia in aula, e siccome non possono capirlo non glielo ripeterò più...
Voglio rassicurarvi: se non ne sapete molto di più, del gnudyl, non è colpa vostra. Sapete quello che dovete sapere, di questa, come di tutte le altre cose che, se sapute in modo diverso, potrebbero consigliarci di indirizzare diversamente la nostra società.
Un buon riassunto di questa vulgata, cioè di quello che i miei colleghi vogliono sentirsi dire a proposito del New Deal, lo trovate su studenti.it (e dove se no?): controlli (non meglio specificati) alle banche, e sostegno della domanda interna, cioè aumento della spesa pubblica e diminuzione delle imposte. Del resto, in qualsiasi testo di macro il New Deal, o comunque la Crisi del 1929, vengono evocati proprio quando si introduce il modello keynesiano standard (che non è il modello di Keynes, ma non vi voglio portare oggi su questa strada), per argomentare su quanto sia importante, ma solo in circostanze eccezionali, si badi bene!, la domanda aggregata...
Il New Deal è descritto così anche nel blog del Keynes redivivo (un nostro vecchio amico): e "l'avidità dei banchieri", e "il capitalismo accecato dal profitto", e i risparmiatori tranquillizzati con una frase: "Nothing to fear but fear itself" (una specie di "whatever it takes" ante litteram)... Poi, esaurita questa liturgia, daje de spesa pubblica: Emergency Relief Administration, Civilian Conservation Corps, ecc.
Anche la fonte delle fonti, se la leggete un po' distratti, vi lascia con la stessa impressione: Hoover (il presidente, non l'aspirapolvere) sarebbe stato una specie di Monti dei tempi suoi, e per ripararne i danni Roosevelt avrebbe fatto il keynesiano, da intendersi ovviamente secondo la migliore dottrina gianniniana come quello che spende e spande ad libitum (per essere corretti)...
Ma Keynes era questa roba qui? E Hoover era veramente un folle sadico? E nel New Deal ci fu solo questo?
Big debt crises
Un altro nostro vecchio amico, che voi conoscete solo col suo nome de plume: Charlie Brown, mi ha fatto recapitare agli Staderari un libro molto interessante: Big Debt Crises, di Ray Dalio, uno "de passaggio" che amministrando Bridgewater ha messo da parte diciotto miliardi di dollari. La caratteristica spocchia "de sinistra", eredità del mio recente passato, in un primo momento mi aveva portato a dire: "Ma che cosa vuoi che io abbia ancora da imparare su come un'economia entra in una crisi di debito...".Ma la Divina Provvidenza vegliava su di me: tre giorni a letto con trentotto di febbre, ed ecco che Dalio mi è toccato leggerlo, e la lettura, vi assicuro, è stata molto istruttiva.
Intanto, mi sono trovato subito in sintonia con l'impianto generale del testo, col suo principio metodologico, che è sostanzialmente quello di insistere sul fatto che stiamo vedendo un film già visto: le crisi di debito sono fenomeni ciclici ricorrenti, il cui schema si ripete in modo sostanzialmente identico nelle varie repliche. Qui lo abbiamo chiamato ciclo di Frenkel, e descritto come romanzo di centro e di periferia, Dalio lo chiama il template, altri lo chiamano instabilità minskiana (di cui in effetti il ciclo di Frenkel è un caso particolare), altri parlano di esuberanza irrazionale: insomma, è quella roba lì. Quindi, non è vero che "Questa volta è diverso!". Non c'è niente di particolarmente nuovo sotto il Sole, quello che ora si fa col computer una volta si faceva col telegrafo, ma era sostanzialmente quella stessa roba lì, dal che consegue che se sappiamo com'è andata (e com'è finita) le altre volte, abbiamo anche buone probabilità di prevedere come andrà a finire questa volta. Lo testimoniano, nel caso di Dalio, i diciotto miliardi che si è messo in tasca vedendo quello che gli altri non vedevano.
Poi, ci sono i dettagli, che, come sempre, fanno la delizia dell'intenditore.
Come potete facilmente immaginare, il libro considera come caso da studiare quello della crisi del 1929. Vediamo allora in dettaglio come si comportò il malvagio Hoover, l'hayekiano liberista della vulgata per animucce belle. Dalio lo segue praticamente giorno per giorno dal giovedì nero in poi, assistendo al sua ricostruzione con una serie di estratti dai giornali e dai bollettini della Federal Reserve (la crisi del 1929 è studiata a pag. 49 del secondo volume, cioè a pag. 117 del pdf che vi ho linkato).
Dunque...
Il 13 novembre (cioè quindici giorni dopo il martedì nero), Hoover ridusse di un punto percentuale le aliquote di tutti gli scaglioni dell'imposta sul reddito, approvò un piano di spesa per costruzioni pubbliche dall'importo di 175 milioni di dollari (non un'enormità: lo 0.1% del Pil, ma non un taglio!), e incoraggiò la Fed a ridurre il costo del denaro (dal 6% al 4.5%). L'economia ripartì in tromba, ma poi un nuovo precipizio... Nel 1930 approva un incremento della spesa sociale di circa un miliardo (più dell'1% del Pil), in modo tale che nel 1931, considerando anche il calo del gettito, il deficit arriva al 3% del Pil (noi non potremmo arrivarci). I mercati reagirono positivamente, ma anche questa volta durò poco... Nel 1932, col Banking Act (il suo, non quello di Roosevelt), Hoover inaugurò di fatto un quantitative easing ante litteram (vi ho detto che è un film già visto), consentendo alla Fed di emettere moneta per acquistare titoli di Stato. Ne vennero rapidamente acquistati quasi due miliardi, i tassi scesero, l'economia ripartì, ma poi un nuovo tonfo...
Insomma: se ragionassimo secondo la vulgata (Keynes = deficit), dovremmo concludere che Hoover era anche lui un keynesiano, se pure timido, se pure con ripensamenti (che del resto, com'è noto, ebbe anche Roosevelt nel 1936). Ma allora perché ogni volta che Hoover faceva una cosa giusta, e l'economia ripartiva, poi arrivava un nuovo tonfo che portava un po' più giù, sempre più giù, in una spirale inarrestabile?
La ragione non ve la dico: non posso mica fare tutto il lavoro io! Chi vuole leggerla se la trova scritta in grassetto a p. 132 del pdf.
Io invece vorrei dirvi un'altra cosa, quella che nessuno vi dice, e che spiega perché dopo il 1933 i tonfi verso il basso si fermano. So che i più svegli l'hanno già capita, ma ci tengo a dirvela io. Insomma: se la spesa era stata aumentata, le imposte abbassate, i tassi di interesse anche, ecc., se tutto le cose "keynesiane" erano state già fatte con i risultati che vedete sopra (un nuovo giro di vite), ma come fece Roosevelt a spezzare la spirale della depressione?
La storia
Domenica cinque marzo 1933, il giorno dopo aver assunto il suo incarico, Roosevelt chiuse le banche per quattro giorni e sospese le esportazioni di oro, uscendo dal gold standard: questo fu il New Deal, questa la nuova partenza di cui l'economia americana aveva bisogno.Il danno politico ormai era fatto (vedi la notizia di spalla a sinistra): ma i risultati sull'economia si videro subito:
Come dice Dalio: "Leaving the gold peg was the turning point; it was exactly then that all markets and economic statistics bottomed... Leaving the gold standard, printing money, and providing guarantees were by far the most impactful policy moves that Roosevelt made" (p. 154 del pdf, con i grafici che dimostrano questa asserzione). Provate a tradurlo in italiano (o anche in dauno), e vedete se somiglia alla vulgata che "Roosevelt salvò la situazione con la spesa pubblica"...
La morale (anzi, il moralismo)...
Ecco: il gnudyl fu quella roba lì, quel dettaglio che tutti omettono e che quando non viene omesso passa inosservato nella retorica giornalistica del "Keynes=spesapubblica" (dettaglio che, leggendo bene, trovate anche nella fonte delle fonti): leaving the gold standard. Naturalmente non ci fu iperinflazione, i tassi di interesse scesero, il debito (complessivo) scese di quasi 60 punti percentuali di Pil in tre anni, ecc.Non credo che occorra aggiungere molto altro. Lo sganciamento dalla parità consentì alla Fed di emettere moneta e di ricapitalizzare le banche stabilizzando il sistema. Tutta roba che noi "moderni", oggi, ci sogniamo, perché siamo ancora nella fase del moralismo, quella in cui ci si preoccupa di punire i banchieri cattivi e i loro comportamenti avidi o negligenti (il moral hazard), quella in cui si stabilisce una distinzione del tutto incongrua fra contribuente e risparmiatore, ecc.
Cose che sapete.
E quindi?
E quindi niente, qui tutto è già stato detto.
Abbiamo trasformato quella che era l'area più prospera e pacifica del mondo nel buco nero della domanda mondiale, creando un sistema più rigido del gold standard e che può sostenersi solo con la deflazione competitiva, per qualche anno siamo andati avanti a dire che non era colpa nostra, che c'era stata la grande moria delle vacche, cioè la secular stagnation, ma ormai non ci crede più nessuno, ormai è chiaro che è stato il riportare al XIX secolo la zona più prospera del pianeta a porre una seria ipoteca sulla crescita mondiale, e tuttavia proseguiamo a vele spiegate sulla medesima strada, e va bene così, i motivi li capivo da fuori, e li capisco anche meglio da dentro. La storia ci insegna che prima o poi le correzioni arrivano, e il buon senso suggerisce che questa sarà particolarmente drastica. Uno dei motivi che la renderanno tale è proprio la natura particolarmente irrazionale dell'ordinamento che ci siamo dati. Qui non c'è una persona che da sola possa decidere, come FDR, e questo credo che dovreste sempre tenerlo presente (ma so che per molti è impossibile).
Proprio per questo, vi faccio una domanda semplice semplice, cui vi prego di rispondere anche alla luce del lieve scarto fra "fatti" e "narraFFione" che il resoconto appena fatto credo evidenzi (fra aumento della spesa pubblica - che aveva fatto Hoover - e uscita dal gold standard - che si evita di attribuire a Roosevelt - c'è una differenza, no!?): ma secondo voi, in tutta onestà, sapendo che deve succedere quello che non può non succedere, vale proprio tanto la pena di prendersene la responsabilità politica, per essere "narrati" come gli egoisti, incoscienti, nazixenofascioleghisti truci e barbari? Noi stiamo semplicemente dicendo che le cose non funzionano molto bene, e sfido chiunque a dimostrare il contrario alla luce dei numeri. Qualcuno sa come migliorare le cose continuando a seguire regole procicliche? Siamo qui per ascoltarlo e cooperare (collaborare no: quello lo fa il PD). Ma poi, non ce n'è nemmeno bisogno: ora quelli che sanno, gli ottimati, i buoni, i democratici, gli onesti, sono al Governo: lasciamo che ci stupiscano con effetti speciali!
Certo, purtroppo noi sappiamo come andrà a finire (cioè come non può non andare a finire), e lo abbiamo detto in tutte le possibili sedi, e siamo anche abbastanza svegli da capire quando le cose cominceranno a mettersi male. Non sarà certo per colpa nostra: dieci anni senza recessione negli Usa sono un unicum: non credo che dovremo aspettare molto. La cosa importante è che di questo inutile sperpero di risorse, di questo episodio particolarmente cupo della nostra storia, si prenda la responsabilità (come sta facendo con un'incoscienza che non è onestà intellettuale), e paghi il costo politico, chi questo sistema lo ha voluto e difeso contro ogni ragionevole evidenza, non chi come noi non lo ha voluto e ne ha argomentato scientificamente l'irrazionalità.
Paesi più accorti, meglio governati, più democratici, stanno ragionando su ogni possibile scenario, e discutono apertamente i rischi degli attuali assetti. I nostri governanti se lo impediscono, e vorrebbero impedircelo. La loro dolorosa elaborazione del lutto è ancora nella fase del rifiuto, della negazione psicotica della realtà, cui vorrebbero che ci associassimo. Ma allora la cosa migliore da fare è lasciarli lavorare e seguire le regole. Dureranno poco, per motivi oggettivi. Il resto sono chiacchiere da bar e di chi ignora i fondamentali sapremo fare facilmente a meno.
Il mondo è fuori, ed è con noi...
(...il libro leggetelo, ne vale la pena: ci trovate tutto quello che sta succedendo oggi, e quindi, insisto, anche quello che succederà domani...)