martedì 9 settembre 2025

Cosa (non) sta succedendo in Francia (ma succederà).

Fedele a uno degli aforismi di Flaiano che mi sono più cari (e che vi ho citato qui), potrei dire: "Io della crisi francese ne parlavo nel 2012, ora ne parlano anche gli operatori informativi!", e tirare dritto. Questo atteggiamento blasé e autoreferenziale non sarebbe però compatibile con il mio codice deontologico di insegnante. Per quanto io sia consapevole dell'inutilità dei misi sforzi, mi permetto di insistere con voi su un punto, che non è inedito, perché lo avevo esplicitato già preparando l'intervento del 5 marzo al convegno del Dipartimento Economia della Lega (in questo post). Per evidenziarvi quello che (non) sta succedendo in Francia (ma dovrà succedere), prendo questo grafico di quel post:


e lo modifico leggermente, togliendo la Spagna (di cui ci interessa il giusto), e prendendo come base dell'indice il 1999 (l'inizio dell'età dell'euro):


Ecco, così si capisce molto bene, purché si ricordi che stiamo lavorando con indici, e che quindi prendere come base il 1999 non significa che nel 1999 i salari di Germania, Francia e Italia fossero uguali, ma che vogliamo vedere sinteticamente in che modo sono variati da allora.

Nel 2004 inizia la svalutazione interna (deflazione salariale) tedesca, che nel 2008 porta l'indice un po' sotto 94 (quindi con il famoso calo dei salari reali del 6% di cui il governo menava vanto, come ricorderete). È il crollo della spezzata azzurra.

Nel 2011 (e quindi sì, lo so bene, già con il Governo Berlusconi) l'Italia comincia a seguire, ma solo nel 2012 si vede un deciso e protratto crollo dei salari reali italiani, sostanzialmente analogo. È il crollo della spezzata grigia, reso necessario per recuperare competitività rispetto alla Germania.

E i salari reali francesi, cioè la spezzata arancione?

Non sono ancora crollati. Stanno sì flettendo, ma lentamente, molto lentamente, troppo lentamente, e quindi la Francia non recupera competitività, e continua ad accumulare debito estero, come abbiamo detto parlando dello sprofondo rosso:


Arriverà prima il sudden stop, o se volete il current account reversal, o arriverà prima la Fornère?

Rispondere a questa domanda è piuttosto difficile ma anche piuttosto futile: che siano i mercati a smettere di rifinanziare il debito estero francese (con conseguente necessità del Governo francese di tirare i remi in barca tagliando salari e pensioni), o che sia il Governo francese a tirare i remi in barca tagliando pensioni e salari (con conseguente recupero di competitività e rimborso dei debiti esteri), in ogni caso quello che si osserverà sarà il ritorno del saldo delle partite correnti in territorio positivo, e una massiccia esplosione di disordine sociale.

Quello che non è ancora successo, ma succederà, quindi, è il crollo della spezzata arancione. Ma la spezzata arancione potrebbe anche "slittare" (verbo che di questi tempi si applica in contesti nautici). Come detto mille e una volta: se i salari "slitteranno" (come stanno in parte facendo), l'accumulazione di debito estero e di debito pubblico rallenterà, ma il problema non si risolverà, resterà lì. Se crolleranno, il problema del debito estero si risolverà e quello del debito pubblico si accentuerà.

Chi è qui da un po' sa già perché, chi è qui da poco può chiedere, e gli sarà dato. A me interessava fissare una volta di più questo punto, nella mia umile qualità di persona che ha capito nel 2012 che cosa (non) sarebbe successo nel 2025, e che quindi ha interesse a restare ahead of the curve dicendovi quello che potrebbe succedere nel 2026. Va da sé che se fa il botto la Francia noi potremmo trovarci di fronte a scenari inediti, e che quindi, naturalmente, si farà di tutto per non farglielo fare, questo botto, cercando magari di tenere lo spread in caldo per una eventuale ascesa di un governo lepenista.

Fosse così, non sarebbe il 2026 ma il 2027 (o il 2028).

In ogni caso, auguri!

#tuttoqua

domenica 7 settembre 2025

Il reale spread

Lo spread per antonomasia è lo scarto fra il rendimento dei titoli di stato decennali italiani (BTP) e quello dei corrispondenti decennali tedeschi (Bund). Lo trovate in tanti posti, ad esempio qui, e oggi si presenta così (i mercati sono chiusi, quindi i dati arrivano a l'altrieri): 

Senza negare l'importanza di questo indicatore, vorrei però segnalarvi un altro scarto, cioè spread: quello fra la crescita della Germania e la nostra. Qui metto prima la Germania, e sottraggo l'Italia, per avere omogeneità di lettura: così come è negativo che il rendimento del titoli italiani sia di molto superiore a quello dei corrispettivi titoli tedeschi (perché questo significa che i mercati finanziari percepiscono il debito italiano come più rischioso), altrettanto sarebbe negativo se la Germania crescesse molto più rapidamente dell'Italia, quindi costruendo così lo spread "reale" (quello fra i due tassi di crescita) possiamo leggerlo come lo spread "finanziario" (quello fra i due tassi di interesse).

Naturalmente il Pil non si misura ogni giorno, quindi lo spread "reale" può essere misurato solo a cadenza annuale o trimestrale.

Quello annuale è qui:


e ci vedete quello che sapete (la Germania è cresciuta più dell'Italia solo quando ha fatto dumping salariale a partire dal 2003 e quando ci ha imposto via sorrisetti la funesta austerità a partire dal 2012), mentre quello trimestrale ve lo fornisco per gli ultimi tre anni ed è qui:

Da quando ci sono i fascisti questo spread è nullo o negativo (insomma: quando le va bene la Germania cresce come noi, altrimenti di meno), e questo per gli antifascisti è un bel problema, perché se osserviamo la serie su un periodo più lungo:

magari isolando il periodo pre-pandemico, per evitare che i picchi della pandemia schiaccino troppo il profilo dei dati:

constatiamo che al glorioso ma ormai tramontato tempo dell'antifascismo lo spread fra tassi di crescita era per lo più positivo, a indicare che mentre la sinistra macellava i lavoratori l'Italia, stranamente, arrancava.

Questo lo dedichiamo a quelli che "ma la produzzzzione industriale sta diminuendo!"

E grazie... tante! Con Germania e Francia in recessione da un paio d'anni (e in calo di produzione industriale da quasi dieci, nel caso tedesco) che cosa volete che succeda al nostro Paese, dopo che voi gli avete legato il macigno europeo al collo?

Fra l'autunno 2022 e oggi abbiamo fatto quasi tre punti di crescita cumulata in più rispetto alla Germania: se per i tassi di interesse si usa la Germania come benchmark, usiamolo anche per la crescita reale, altrimenti il discorso è falsato! Dire che nel 2024 siamo cresciuti poco perché abbiamo fatto solo 0.7 sarebbe come dire che oggi i tassi di interesse sono bassi perché sono al 3% o negli anni '80 alti perché erano al 15%. Alti o bassi rispetto a cosa?

Il fatto è che nel 2024 la Germania ha fatto -0.2, quindi noi eravamo sopra di 0.9 (aiutatevi con la calcolatrice). Questa è la valutazione da fare, la variabile da controllare, e quella su cui riflettere. La affido quindi alla vostra riflessione.

sabato 30 agosto 2025

Premiata armeria Hellas: tredici anni dopo

Antonomasia ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Premiata armeria Hellas: saldi di fine stagione (1° parte)":


Chiarissimo Professore,

Sto preparando una proposta di progetto di ricerca in Diritto del'Unione Europea finalizzata a problematizzare alcuni passaggi della transizione verso la moneta unica a partire dall'Atto Unico Europeo.

Tuttavia, ritengo sia piuttosto velleitario rapportarsi in modo critico a questi temi senza aver maturato una coscienza critica delle storture economiche connaturate alla moneta unica.

Pertanto, ho deciso di ripercorrere dall'inizio i passaggi della Sua preziosa attività, che, del resto, fu la ragione per la quale, ormai quattro anni or sono, ho cominciato ad interessarmi di euro.

L'intento di questa premessa non è certo un goffo tentativo di captatio benevolentiae, quanto piuttosto una giustificazione che spero sia suscettibile di rendere un po' meno inappropriata la tardività del mio intervento sotto questo post, che ho trovato illuminante a tal punto che ho deciso di rivolgermi al database del WEO dell'aprile 2025 per costruire un grafico, sulla base dei dati riportati nella Figura 1 e 2, che constasse anche dei numeri relativi agli ultimi dodici anni, in modo da prendere coscienza degli sviluppi più recenti.

Ebbene, ho selezionato le voci "Total Investment", "Gross National Savings" e "Current Account Balance", tutte espresse in punti di PIL ma mi sono trovato innanzi a risultati diversi da quelli che Lei riporta nel post:


- Per quanto riguarda il primo balzo dell'indebitamento estero (biennio 1998-2000), mi risulta che le partite correnti in punti di PIL aumentano dal 2,7% al 6,1% (3,4 punti di PIL anziché 5).

- Per quanto attiene al secondo scalino (biennio 2005-2007) mi risulta che effettivamente l'indebitamento estero raddoppia (o quasi, dal 7,5% al 14,1%), ma che sia l'aumento degli investimenti (di circa 4,5 punti di PIL) a fungere da traino, anziché il calo del risparmio nazionale (circa 2,2 punti di PIL).


Ovviamente, parto dal presupposto che l'errore è mio - presumo sia legato alla scelta delle voci del database - ma le sarei grato se me lo potesse indicare.

Con immensa stima,

Valerio

Pubblicato da Antonomasia su Goofynomics il giorno 14 ago 2025, 15:20



Per chi si fosse messo in ascolto solo ora, nel post "Premiata armeria Hellas" ho mostrato in dettaglio la relazione fra risparmio nazionale, investimento nazionale, e saldo della bilancia dei pagamenti, cioè l'identità di contabilità nazionale:

CA = S - I

secondo cui se in un Paese il risparmio nazionale S supera gli investimenti nazionali I l'eccedenza viene prestata all'estero determinando un saldo positivo delle partite correnti (CA>0), cioè un accreditamento netto verso l'estero, mentre di converso se S è minore di I il saldo CA è negativo, cioè indica un indebitamento estero, conseguenza del fatto che gli investimenti nazionali vengono in parte finanziati con risparmio estero.

Questa relazione non è negoziabile: è così e basta, per definizione. Non ci possono essere errori: i soldi che vengono spesi da qualche parte devono arrivare, la partita doppia sconti non ne fa.

Con questa premessa, osservo che a me troppi complimenti e troppa modestia urtano subito i nervi, quindi ho aspettato un attimo a rispondere (anche perché qui il campo è poco e quindi prezioso). Il punto di metodo che a me sembra ovvio (ma io coi dati ci lavoro da sempre) è che prima di pronunciare la parola "errore" ci si dovrebbe accertare di usare il medesimo set di dati, altrimenti la parola da usare è un'altra. Errore mio o tuo (o suo, o nostro, o vostro, o loro) ci sarebbe se usando il dataset che usavo nel post del 2012 si ottenesse un risultato diverso da quello che mostravo nel post, cioè da questo:


Per scrupolo, ho rifatto il grafico con la stessa fonte (questa) e ho ottenuto gli stessi risultati:


Se però uso la fonte citata dal cerimonioso amico, senza sorpresa alcuna ottengo i risultati che dice lui:


come potrà esservi più chiaro se rappresento questi dati in forma tabellare, concentrandomi in particolare sulle variazioni fra 1998 e 2000 e fra 2005 e 2007:


Quindi, ossequioso Tommaso, errori non ce ne sono: coi miei dati la formula (che non può sbagliare) dà i risultati che dico io, e con i tuoi dà quelli che dici tu. Non si tratta pertanto di errore, ma di revisione. Ci deve essere stata una revisione delle statistiche, e per vederlo basta raffrontare i dati del 2011 con quelli più recenti (che rappresento con tratteggio):


La cosa che salta all'occhio è che la revisione ha avuto un impatto pressoché impercettibile sul saldo (grigio), perché i flussi sono entrambi traslati verso l'alto di qualcosa fra uno e quattro punti di Pil, a seconda delle circostanze. Il messaggio complessivo non è cambiato molto (ci torno dopo), ma intanto segnalo che questa revisione è relativamente recente ed è stata analizzata in dettaglio da un nostro amico:


le cui conclusioni sono che il lodevole tentativo di armonizzare le statistiche nazionali greche con quelle degli altri Paesi europei abbia portato ELSTAT a produrre dati di qualità, diciamo, migliorabile (chi mi segue sa che cosa significa: "ci sono ampi margini di miglioramento").

Non entro nei dettagli tecnici del ragionamento (chi vuole approfondirli potrà farlo sul paper di Gennaro), ma uno dei problemi riscontrati è col deflatore degli investimenti e questo ovviamente impatta sulla relazione CA = S-I.

Fatta questa precisazione, che serve anche a ricordarci come i dati macroeconomici non siano incisi nel marmo (nessun dato lo è, nemmeno nelle scienze sperimentali), ma siano il risultato di stime, per cui riscritture più o meno involontarie della storia sono sempre dietro l'angolo, possiamo porci la domanda di come questa particolare riscrittura impatti sulla nostra lettura della crisi greca, basata sul modello "centro-periferia" (ciclo di Frenkel). Direi non moltissimo: l'indebitamento estero resta tutto lì (la riscrittura non altera l'andamento del saldo estero), e il fatto che dopo questa revisione dei dati esso sembri attribuibile un po' di meno alle famiglie e un po' di più alle imprese non cambia la sostanza delle cose, che è che se l'ingresso nell'euro non avesse distorto pesantemente il mercato dei capitali in Grecia, portando il costo del denaro molto lontano (verso il basso) dal suo valore di equilibrio, nessuno, né le famiglie, né le imprese, avrebbe avuto un incentivo così forte a indebitarsi (con banche estere).

Direi quindi che nel dubbio se la revisione effettuata da ELSTAT sia effettivamente valida, possiamo continuare a prendere per buona la nostra analisi del 2012. Certo, ora le cose sono andate avanti, e quindi possiamo toglierci la curiosità di vedere questa sfaccettatura del miracolo greco:


che così miracoloso non è: la correzione del 2011-2012 è evidente ed è in parte determinata da un aumento del risparmio e in parte da una diminuzione degli investimenti, che poi procedono pari passu fin quanto la pandemia non sconvolge il quadro, determinando prima una diminuzione del risparmio, e poi un aumento degli investimenti, che entrambi riportano il saldo estero verso le due cifre. Come di consueto, il Fmi ci rassicura: le previsioni (a destra della retta verticale rossa) ci dicono che il saldo estero migliorerà perché aumenterà il risparmio nazionale. Fra altri tredici anni sapremo che cosa pensare di queste previsioni (o meglio: avremo la certezza che quanto ne pensiamo ora - tutto il male possibile! - era corretto).

Spero che questo ripasso sia servito, e che se qualcuno, arrivato dopo, si era perso quel post, si sia incuriosito e sia andato a recuperarlo, perché è in effetti uno dei post "fondanti" del blog.

E con questa esortazione, vi auguro buona notte!

La triplice e i trilemmi

Ieri sono sceso a Roma per un incontro con i sindacati metalmeccanici. La richiesta veniva dalle tre sigle FIM-CISL, FIOM-CGIL e UILM ed era rivolta ai capigruppo parlamentari. Il capogruppo Molinari ha delegato me in quanto vicecapogruppo più vicino ai temi economici (gli altri sono Iezzi, in Commissione Affari Costituzionali, Bruzzone, in Commissione Agricoltura, Coin, in Commissione Affari Esteri, e Furgiuele, in Commissione Trasporti). L'incontro è stato molto costruttivo e le preoccupazioni espresse dai sindacati sostanzialmente condivisibili. Il punto tecnico, che credo conosciate, è che la "decarbonizzazione", cioè il passaggio a forni alimentati con energia elettrica prodotta emettendo CO2 (perché alternative per il momento non ce ne sono!), comporta la necessità di produrre "preridotto" (il cosiddetto DRI, che in qualche modo possiamo immaginare come l'alternativa alla ghisa prodotta nel ciclo tradizionale in altoforno), gli impianti per il preridotto richiedono altra energia, da produrre usando altro gas e quindi producendo altra CO2, e quindi per farla breve il piano dei commissari di governo prevedeva lo stazionamento a Taranto di un rigassificatore che però il sindaco di Taranto, interpretando l'opinione dei suoi elettori, non vuole assolutamente. L'alternativa sarebbe fare il preridotto da un'altra parte (Gioia Tauro?), il che comporterebbe, oltre alla perdita di posti di lavoro a Taranto, il simpatico paradosso che per decarbonizzare si dovrebbe trasportare il preridotto da Gioia Tauro a Taranto, ovviamente via nave, e quindi, altrettanto ovviamente, producendo altra CO2. Il dato positivo è che i sindacati trovano congruo il piano del Governo, il dato spinoso è che il problema ce l'hanno a sinistra, non a destra, perché che io sappia il sindaco di Taranto leghista non è. Va da sé che le elezioni imminenti non aiutano un ragionamento razionale, e vedremo quindi come andrà a finire.

Avrete comunque capito, da questo breve resoconto, che la CO2 è esattamente come l'altro idolo polemico dei piddini, erdebbitopubblico: tutte le strategie proposte per combatterla la fanno aumentare, o almeno non diminuire quanto si dice, il che pone la questione del perché mai un Paese che conta per lo 0,83% delle emissioni globali:


dovrebbe innescare bombe sociali come quella di Taranto e condannarsi all'irrilevanza, considerando che i rimedi proposti se non peggiori, non sono molto migliori del male. Ma su questo so che siete d'accordo con me (tranne il Comico, che però ci ha prematuramente abbandonato lasciando un vuoto colmabile dal buonsenso).

Ovviamente io ho ascoltato con rispetto e non ho polemizzato su nulla, anche perché non ne vedevo sinceramente il motivo, evitando qualsiasi tipo di sottolineatura politica tranne una, necessaria, al fatto che il partito in cui mi onoro di militare era stato il primo e l'unico fra quelli italiani a opporsi a tutte le follie del Green Deal per esattamente gli stessi motivi per i quali chi ce le ha proposte ora ci sta ripensando (fra cui, appunto, l'impatto sociale).

Resta il fatto però che mentre svolgevo rispettosamente il mio ruolo con la triplice, non potevo togliermi dalla testa il trilemma.

Quale?

Non quello di Mundell e Fleming, che gli economisti conoscono:

secondo cui non puoi avere contemporaneamente libertà dei movimenti di capitale, tassi di cambio fissi e controllo della tua politica monetaria, ma devi rinunciare a una di queste tre cose:

a) se hai tassi di cambio fissi e libertà dei movimenti di capitale, non puoi controllare il tuo tasso di interesse, perché se lo fissi a un livello inferiore a quello prevalente sui mercati finanziari internazionali subirai una fuga di capitali che renderà insostenibile il cambio fisso, forzandone il deprezzamento (questo è in qualche modo il mondo dell'euro, e prima quello del gold standard);

b) simmetricamente, se hai libertà dei movimenti di capitale ma manovri il tuo tasso di interesse, ovviamente devi lasciare che fluttui il tuo tasso di cambio (questo era in qualche modo il mondo dello SME, con la sua fluttuazione controllata);

c) quindi, per controllare il tuo tasso di cambio e il tuo tasso di interesse, devi controllare i movimenti di capitale (questo era in qualche modo il mondo di Bretton Woods).

Non pensavo nemmeno al trilemma "aumentato" di Rodrik, che trovate qui e che conoscono (spero) anche i politologi:



nella parte inferiore della figura (quella superiore riporta il trilemma standard di Mundell-Fleming), secondo cui non puoi avere simultaneamente completa integrazione economica (vista come sviluppo dell'integrazione dei mercati finanziari, cioè della mobilità dei capitali), stati nazionali, e democrazia, ma puoi solo avere due di queste cose (una spiegazione esauriente la fornisce Orizzonte48):

a) se vuoi integrazione economica mantenendo gli Stati nazionali devi accettare che questi siano ingabbiati da una camicia di forza che circoscriva l'ambito delle loro politiche (e questo è lo stato attuale dell'UE), rinunciando quindi alla democrazia in favore delle "regole";

b) puoi avere integrazione economica e democrazia se rinunci allo Stato nazionale e ti sposti verso una prospettiva federale come quella statunitense (qui da noi impraticabile per ovvi motivi storici e culturali): a tendere si avrebbe un mercato mondiale governato dagli Stati Uniti del Mondo (ma resta da chiedersi quale sia il significato che Rodrik dia alla democrazia in assenza di demos: questo non mi è affatto chiaro...);

c) poi, naturalmente, puoi avere (come in qualche modo, imperfettamente, avevamo) democrazia e Stati nazionali se rinunci alla piena integrazione economica, e questo è ovviamente il compromesso di Bretton Woods, in cui i vincoli ai movimenti di capitali (e quindi la libertà dal ricatto dei mercati) dava qualche grado di libertà in più ai governi nazionali.

No, io pensavo a un trilemma analogo, ma di tipo diverso, un trilemma di Bagnai che sostanzialmente dice che non puoi avere insieme Europa, decarbonizzazione, e posti di lavoro (posto che queste tre cose prese singolarmente abbiano un senso, e secondo me lo ha solo l'ultima), ma puoi avere solo due di queste cose:


Come potrete constatare qui, questo trilemma non ha tantissimo a che vedere con il "nuovo trilemma" proposto da Rodrik nel 2024, che si riferisce alle prospettive di sviluppo dell'economia mondiale, ma ha un significato molto più circoscritto, facilmente sintetizzabile:

a) la "decarbonizzazione" proposta dall'"Europa" col green deal distrugge posti di lavoro (e produce CO2), quindi se vuoi "Europa" e "decarbonizzazione" devi rinunciare al lavoro (prova ne sia che la Germania sta pensando di creare posti di lavoro nell'esercito!);

2) l'"Europa" potrebbe tornare a produrre occupazione solo se adottasse un approccio pragmatico, che comporterebbe il rinunciare all'obiettivo ideologico della "decarbonizzazione" (lanciato per favorire la riconversione dell'automotive tedesco, ma sostanzialmente fallito);

3) un vero balzo in avanti tecnologico (chiamiamolo "decarbonizzazione", per capirci) compatibile con la creazione di posti di lavoro richiederebbe livelli di investimenti pubblici incompatibili con le regole europee (fiscali e monetarie) e quindi con l'"Europa".

Per me è abbastanza chiaro da che parte dovremmo stare in questo grafico: da quella del "Bretton Woods (compromise)" e quindi della rinuncia alla cosiddetta "Europa", che in un modo o nell'altro ci condanna a un progressivo e inarrestabile slittamento verso l'irrilevanza economica, tecnologica, politica. La mia sensazione, che ovviamente mi sono tenuto per me, è però che qui in Italia i sindacati vogliano tutto, e tutto non si può avere, né secondo Mundell-Fleming, né secondo Rodrik, né secondo quanto abbiamo sotto gli occhi, di cui vi ho offerto una personale e discutibile sintesi.

Voi a che cosa rinuncereste?

domenica 24 agosto 2025

Post scriptum sul libro delle facce

Come vi dicevo nel post precedente, il libro delle facce è una piattaforma agile di cui mi servo in questi giorni sia a fini di perculatio stultorum, che a causa della sua relativa rapidità di gestione (preziosa ora che ho pochissimo campo). Certo però che resta una piattaforma per certi versi incredibilmente orientata! Guardate ad esempio cosa ho trovato nella dashboard per professionisti:


Visto che potrebbe essermi capitato di bullizzare qualche coglione, di quelli che hanno dedicato la loro inutile esistenza a trollare me, ma consapevole d'altra parte del fatto che io non condivido praticamente mai contenuti (perché questo scoraggia l'algoritmo), mi sono incuriosito e sono andato a verificare. Sapete per che cosa il libro delle facce mi accusa di essere un bullo? Per aver condiviso questo:


Ora, va bene tutto, ma che qualche faccia di merda censuri un parlamentare della Repubblica perché vuole condividere la gioia di vedere assolto in via definitiva un amico, mentre su qualsiasi piattaforma (compreso il libro delle facce) chiunque getti sterco sui miei compagni di partito viene lasciato indisturbato, ecco, questo, sinceramente, a me tanto bene non va!

Scorrendo la dashboard apprendo che:


e mi viene in mente l'amica Kitty (i romani capiranno). Scendendo ulteriormente scopro che:


Un profluvio di condizionali. Ovviamente vorrei richiedere un altro controllo, ma se clicco su "Esegui azione" vengo rinviato alla pagina di gestione degli amministratori. A differenza di Google, quindi, Pan di zucchero mi dice sì che mi consente di oppormi alle sue censure, ma poi non me ne offre la concreta possibilità. Per me può andarsene affanculo e la chiudiamo qui: poi mi informerò se hanno qualche rappresentante in Italia e nel caso passerò direttamente alla causa civile. Il danno che una decisione simile mi procura è quantificabile in parecchie decine di migliaia di euro: per loro non sono nulla, del resto, quindi se si vogliono divertire, che paghino il biglietto! Ma qualcosa mi dice che qui non avranno nulla e che inseguirli a casa loro sia praticamente impossibile.

Certo che ormai siamo nel vero fascismo: quello dei buoni, quello woke, in cui ai cattivi come me viene perfino impedito di gioire perché un amico esce da un incubo immeritato.

Come può finire?

La Bastiglia sembrava imprendibile, o almeno così veniva ritenuta, ma cadde.

Cadranno anche loro, soggetti come sono, al pari di tutti gli altri, a quel principio della fisica sociale secondo cui a ogni violenza corrisponde una violenza uguale e contraria. Se Trump ripristina e difende il voto cartaceo e abolisce quello postale, riducendo l'estensione dei brogli dem, avremo fatto un passo nella direzione giusta. Non a caso ai nostri nemici le sue allusioni a queste misure appaiono sinistre... ma io tenderei a vederle destre!

Andando, vedendo...

Informazzioni di servizzio

Scusate, nel nido del falco non c'è tanto segnale. Abbondano i segnali d'antan: lo stridore del falco, l'allerta della ghiandaia, il chiocciare delle taccole, il latrare dei cani, di notte perfino l'ululato del lupo. Ma le onde elettromagnetiche mal convivono con gli speroni rocciosi che circondano questa casa dalle pareti di pietra. Quindi non ho l'agio che vorrei avere di condividere con voi qui. Il post precedente mi è costato un pomeriggio intero, per scaricare i dati che mi servivano e inserirli nel testo, dopo di che ho lasciato che del de cujus si occupasse il compagno Borghi, cosa che sta facendo con vostra e mia soddisfazione. Io sono ripiegato temporaneamente sulla cloaca e sul libro delle facce. La prima è una piattaforma rapida: posso controllarla e animarla quando scendo in paese a prendere il pane. Il secondo è lo strumento con cui persone che nulla sanno del nostro lavoro e di questo blog amano scambiarsi pizzini, e mi diverte utilizzarlo per render loro la pariglia (il giochino sulle "assenze dal territorio", che forse qualcuno di voi avrà constatato, va in questa direzione, quella dell'innocente sfottò verso i poveracci che parlano di un Bagnai "assente" dal territorio: inutile dire, ai più perspicaci di voi, da dove vengano queste strampalate dicerie: diciamo che non sono dei leghisti autentici...). Mi stupisce sempre constatare quanto riscontro abbia, qui in provincia, una piattaforma che in città diamo per morta, ma va anche detto che ogni tanto il libro delle facce si rivela uno strumento comunque efficace per togliersi qualche innocente soddisfazione con un certo riscontro:


(numeri che qui non si vedono più: una volta potevo affidarmi alla passione civile e alla volontà di approfondire, ora devo affidarmi all'algoritmo)! Fra pochi giorni tornerò ad avere una connessione decente, e recupereremo su parecchi fronti il tempo perduto.


(...vi ricordo che sono aperte le iscrizioni al #goofy. Da settembre vi darò più notizie, e a ottobre avremo il programma definitivo...)


venerdì 15 agosto 2025

Cartabellotta in cifre

Il dott. Antonino Cartabellotta è stato audito dalla "Commissione COVID" (Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dell'emergenza sanitaria causata dalla diffusione epidemica del virus SARS-CoV-2 e sulle misure adottate per prevenire e affrontare l'emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2) in data 3 dicembre 2024. Qui il resoconto sommario, qui il video dell'audizione:


Una Commissione d'inchiesta parlamentare non né una corte d'assise né un circolo di tresette: se da una parte non ha i poteri requirenti e giudicanti della magistratura, e quello che risulta dal suo rapporto conclusivo è un giudizio esplicitamente politico (quindi, in questo senso, potenzialmente più onesto dal punto di vista intellettuale di certe sentenze che pur essendo manifestamente politiche si rifugiano sotto l'ombrello della pretesa imparzialità "tecnica" dell'ordine giudiziario), dall'altra parte è un'istituzione, non la prosecuzione di un parterre televisivo (o di una lite condominiale, o di una disputa sull'accuso) con altri mezzi. Per questo motivo, ad esempio, ho trovato fuori luogo che alla fine dell'audizione il dottor Cartabellotta venisse a stringere la mano ai commissari. Quello che si era appena svolto non era un incontro di tennis da tavolo, dove un gesto di fair play fra avversari può avere un senso e una sua eleganza, così come in ogni altro contesto sportivo e quindi antagonistico. Noi (almeno noi commissari di maggioranza) non eravamo lì per sport, ma per accertare le verità dei fatti, e in un contesto simile il fair play è drammaticamente fuori luogo, proprio perché presuppone un play fra due parti antagoniste, che in una Commissione d'inchiesta non dovrebbe esserci, essendo auspicabile che chiunque partecipi ai suoi lavori sia interessato all'accertamento della verità, cioè che non ci sia antagonismo, ma cooperazione. Aggiungo che il gesto era doppiamente fuori luogo perché il dottor Cartabellotta si era espresso con toni velatamente diffamatori nei riguardi di alcuni commissari, verosimilmente allo scopo di screditare e delegittimare un organo parlamentare.

Getterebbe altresì discredito sull'istituzione qualsiasi forma di "lite delle comari" in arene di per sé degradanti come i social, e sospetto che sia esattamente questo lo scopo di alcune provocazioni di questo genere:

quello di suscitare una reazione che consenta di giocare il ruolo della vittima di una persecuzione politica a chi deve ancora molte spiegazioni alla Commissione di inchiesta.

Peccato che con me non attacchi, e quindi non risponderò in rima baciata (cosa che, lo so, nella vostra inguaribile - e dopo quattordici anni anche insopportabile - ingenuità voi preferireste), ma mi limiterò a evidenziare, con alcuni semplici indicatori bibliometrici da un lato, e ricordando alcuni principi di epistemologia dall'altro, quanto la pretesa del dott. Cartabellotta di dare lezioni di metodo sia, per i veri addetti ai lavori, più esilarante di alcuni suoi aoristi fortissimi.

Bibliometria

Ripartiamo da un nostro vecchio amico, l'indice di Hirsch o h-index. Ve ne avevo spiegato il funzionamento al tempo della mia abilitazione scientifica nazionale, poi ne avevamo riparlato varie volte, ad esempio intrattenendoci sui professoroni e sui coNpetenti. Pur con tutti i suoi noti limiti (discussi ad esempio in Piddopedia), questo indice ha avuto il merito di riconciliarci con una visione olistica dell'essere umano: gli abissi di miseria umana su cui le vicissitudini del dibattito ci costringevano ad affacciarci erano estremamente correlati ad altrettali abissi di pochezza scientifica.

Recentemente, in una mia lezione sul concetto di paradigma in Kuhn (e poche altre cose) che trovate qui:

vi ho anche fornito evidenza di una delle distorsioni caratteristiche dell'h-index, ovvero del fatto che esso tenda a "enfatizzare il lavoro proveniente da grandi collaborazioni" (Piddopedia dixit), ovvero, che esso sia più alto in discipline in cui i paper hanno di norma un elevato numero di coautori. Chi c'era ricorderà infatti questa slide:


che commentando una tabella tratta da Malesios, C. C., & Psarakis, S. (2014). Comparison of the h-index for different fields of research using bootstrap methodology. Quality & Quantity, 48, 521-545 illustra come di norma l'h-index dei medici sia circa il triplo di quello degli economisti. L'arcano si spiega con un noto fatto stilizzato della sociologia scientifica: mentre gli economisti sono animali solitari, come l'orso, i medici operano in branchi, come le iene, o, per chi volesse xenofobicamente confinarsi alle nostre latitudini, i lupi. Fuor di metafora zoologica, il dato è che mentre il numero medio di coautori di un economista è attorno a 0,6, quello di un farmacologo, ad esempio, è attorno a 2 (circa tre volte tanto; qui). Il fenomeno è resistente a quella espansione continua e universale (cioè estesa a tutti gli ambiti) del numero di coautori di cui parlano Mike Thelwall, Nabeil Maflahi; Research coauthorship 1900–2020: Continuous, universal, and ongoing expansion. Quantitative Science Studies 2022; 3 (2): 331–344.

In altri termini, i coautori dei medici sono sempre stati più o meno il triplo di quelli degli economisti, e continuano a esserlo anche ora che il numero di coautori degli economisti è in crescita. Non è quindi strano che in media l'h-index dei medici sia il triplo di quello degli economisti: un gruppo di ricerca più numeroso incrementa le autocitazioni, le citazioni reciproche, il traino che colleghi più eminenti (i team leader del gruppo) offrono ai colleghi più irrilevanti (perché se almeno uno degli autori di un paper è rilevante, chi scrive una ricerca lo citerà, per evitare di sembrare disinformato, ma così facendo alzerà l'h-index di tutti i coautori, fossero anche delle perfette fetecchie), eccetera.

Fatta questa doverosa premessa metodologica, il dato bibliometrico è questo:


e sì, lo capite da voi: per potermi dare lezioni di metodo scientifico, per poter essere considerato mio pari come ricercatore, il dott. Cartabellotta, essendo un medico, dovrebbe avere un h-index triplo del mio, e quindi pari a (lo aiuto) 10 x 3 = 30 (cioè sostanzialmente uguale a quello di Burioni, che comunque, come vi ho mostrato a Venezia, ha un h-index piuttosto scarso per un docente del suo settore). Lo dice la scienza (in particolare, quella scienza che va sotto il nome di scientometria), e quindi suppongo che un idolatra della scienza come Cartabellotta non possa contestare questa asserzione. Invece, purtroppo, il suo h-index è inferiore al mio (lo aiuto: 9<10), a testimonianza del fatto che nonostante che lui abbia scritto più di me (38 documenti Scopus invece di 23), forse anche perché da sette anni io purtroppo non posso fare ricerca, o perché oltre ai paper ho pubblicato anche qualche CD, quello che ha scritto interessa ahimè a ben poche persone, anche se tecnicamente vale ad accreditarlo come "ricercatore", né è mia intenzione contestargli questo titolo, ci mancherebbe!

Del resto, parlando dei professoroni constatammo che c'erano ordinari del mio settore che pensavano di avere qualcosa da insegnarmi dall'alto di un h-index che era la metà esatta del mio: professori si diventa in tanti modi e ricercatore vuol dire tante cose...

Entrando un po' più nel dettaglio, constatiamo che Cartabellotta ha avuto 107 coautori, mentre chi vi parla solo 13, la mia pubblicazione più citata è questa, che ho scritto da solo, mentre la sua pubblicazione più citata mi pare sia il Sicily statement on evidence-based practice, una pubblicazione che non è un research paper ma una dichiarazione, e il cui corresponding author ha un h-index di 44, il secondo autore un h-index di 50, e così via (si capisce quindi da dove vengano in questo caso le citazioni del dott. Cartabellotta). Se c'è altro, sarò lieto di apprenderlo: sinceramente, non ho troppo tempo a disposizione e col poco campo che ho in montagna queste ricerche sono troppo impegnative. Sarei stupito, con queste premesse, di trovare contributi di ricerca originali (cioè descrizioni di risultati scientifici innovativi conseguiti) e significativi (cioè con molte citazioni) del dott. Cartabellotta, ma non sto dicendo che non ce ne siano. A settembre cercherò meglio (se non avrò di peggio da fare).

D'altra parte, Sicily statement è un titolo eloquente, non trovate? La Sicilia è una terra meravigliosa! Se già persone del calibro di Belton Fleisher, Joe Brada, Gary Jefferson, Tony Thirlwall, Roberto Frenkel e tanti altri si estasiavano nell'umile e misconosciuto Abruzzo (ma non per questo mi o gli è venuto in mente di essere miei coautori!), pensa Dawes e Summerskill in quale brodo di giuggiole saranno andati nella rutilante Trinacria!...

Menschliches, Allzumenschliches.

Epistemologia

Le banalitudini di Cartabellotta sulla scienza come metodo (ovviamente rigoroso, perché il metodo è rigoroso come le riforme sono strutturali e le olive greche) anziché come challenge del "pensiero unico" (cioè, nel linguaggio di Kuhn, del paradigma dominante) manderanno sicuramente in estasi le tante Marie Barbise di sinistra, le demi-vierges semicolte, tutte possedute dalla smania di ingollare e vomitare, in una lurida bulimia intellettualoide, frasi fatte da cartina del cioccolatino. Peccato che il mondo sia un po' più complesso di come piace vederlo a loro, che non vi sia alcuna teoria epistemologica seria che imposti il discrimine fra scienza (qualunque cosa essa sia) e non-scienza in questo modo, e anzi, come vi ho spiegato a lungo a Ca' Sagredo, in quel luogo altamente simbolico, il lavoro della "scienza normale" (nel senso di Kuhn), cioè di quella che chiameremmo "ricerca scientifica" è in realtà esattamente quello di confermare il paradigma (il pensiero unico), ma proprio da questo lavoro di raffinamento del paradigma emerge il suo superamento, cioè la rivoluzione scientifica, elemento di progresso, di un progresso che avanza per discontinuità (e non per "metodo rigoroso").

Ma qui forse qualcuno si è già perso: sicuramente si sono persi i SDHIC (single-digit h-index colleagues), e magari si è perso anche qualcuno di voi (ma non credo).

Conclusioni

Esorterei alla prudenza.

In Commissione COVID abbiamo avuto pasdaran della "medicina basata sulle evidenze" (traduzione maccheronica, ma d'altra parte, come ricorderete, tradummo...) trasformarsi in gattini bagnati di fronte alla richiesta di fornire alla Commissione persino la più banale delle evidences, cioè l'ordine di grandezza del tasso di letalità del COVID, o altri che, addirittura, con un'ingenuità sconcertante, confessavano di aver preso decisioni di non piccolo momento non sulla scorta delle evidences, ma sull'onda emotiva di filmati inviati loro da colleghi cinesi (#DAR), senza porsi il problema di eventuali lievissimi conflitti di interesse di varia natura che avrebbero potuto inficiare l'attendibilità di simili "fonti scientifiche". La mia personale impressione, dopo oltre un anno di lavoro in Commissione COVID e dopo cinque anni di confronto con ricercatori di statura internazionale (cioè di medici con h-index da medici) è che le posizioni del mainstream siano in rapida evoluzione. Suggerirei quindi di mantenere un signorile distacco, o quantomeno di dedicare agli attori di questa tragicommedia un'attenzione direttamente proporzionale al rapporto fra il loro h-index e le medie di settore, e di lasciar lavorare il Parlamento.

Il signal arriverà presto.

Tutto il resto è noise, cioè noia.

Tanto dovevo a voi e agli "scienziati".

martedì 12 agosto 2025

#goofy14: don't panic

Bonjour!

Ho pochissimo campo, per cui vi rifilo un rapido post di servizio. In due giorni siamo già un pezzo avanti con le prenotazioni, e considerando che ancora non sapete chi verrà e che molti "follower" in realtà passano il tempo a menarselo nella cloaca (quindi nemmeno sapranno che le prenotazioni sono partite) direi che va tutto come al solito, cioè meglio del solito. Per motivi che non riesco a spiegarmi, nonostante tutto quello che potrebbe nel tempo avervi allontanato (e che in effetti ha fatto disamorare alcuni: ma forse è proprio la qualità di queste amanti tradite, petulanti e rancorose, a tenervi attaccati al progetto, vista la qualità delle millantate alternative!), l'evento cresce. Probabilmente ci sarà una qualche sostituzione di goofysti con leghisti, sicuramente c'è una sostituzione di sciroccati con manager e professionisti, ma insomma, l'UE non avrebbe nulla da rimproverarci: se c'è qualcosa di resiliente è la community, che sicuramente le sopravviverà.

Ciò posto, vorrei segnalare che se le istruzioni vengono date, poi devono essere seguite. Le istruzioni sono qui e prevedono che inviate un modulo di prenotazione. Noi poi abbiamo da qualche parte un contratto dove è scritto che la struttura per noi sarà aperta l'8 e 9 novembre (un gesto di disponibilità che apprezziamo, anche se, naturalmente e giustamente, non è gratis!). Quindi se succede questo:


"mi verrebbe da" (cit.) pensare che non sia stato inviato il modulo di prenotazione (come da istruzioni diligentemente redatte dall'ottima Sara immune da biasimo).

Don't panic! Siamo lì, e c'è posto. La struttura è grande e non riusciremmo a riempirla nemmeno se fossimo CL. Ma, per fortuna, siamo Goofynomics!

Valgono insomma le solite raccomandazioni: se mi seguite, seguitemi, e se mi chiedete un consiglio, seguitelo (e quindi se vi fornisco delle istruzioni, seguitele).

Pax et bonum!



(...e ora salgo in montagna, poi scendo per tuffarmi nel rutilante caleidoscopio della politica di territorio: gente che molto spesso del nostro lavoro nulla sa, gente cui questa foto:


nulla dice (ancora ricordo le bestemmie con cui la accolsi!), persone le cui motivazioni sono spesso distanti dalle nostre, qualche volta addirittura opposte - il grillismo ha avvelenato anche i nostri pozzi, come sapranno quelli che di voi hanno fatto una scelta di militanza. Ma va bene anche così. Il partito perfetto è quello con un solo iscritto: peccato che non arrivi mai in parlamento. Avanzare separati per colpire uniti!...)

domenica 10 agosto 2025

#goofy14: Quod Erat Demonstrandum

Ci siamo!

Le prenotazioni per il #goofy14 sono online su Eventbrite, con un titolo che è tutto un programma.

Negli ultimi due anni abbiamo visto venire al pettine una quantità impressionante di nodi, molti (ma non tutti) dei quali erano stati anticipati su questo blog, tutti comunque da a/simmetrie e dalla community di Goofynomics, in scarsa (ma eletta) compagnia. Non bisognava leggere gli astri per capire che qualcosa sarebbe andato storto: bastava leggere la realtà alla luce della teoria più standard (che fosse economica, fisica, o di altra disciplina). Bastava, insomma, un po' di cultura generale, che, non a caso, è la nemica del piddino (vedi lo smantellamento scientifico della scuola dell'obbligo) e anche del cretino (che oggi è specializzato, come ci ricordava un grande abruzzese, per me il più grande, fatto salvo Ovidio). Dobbiamo anche riflettere su quale sia il valore dell'essere dalla parte della ragione, o forse, in un'ottica diversa: su come trasformare in un valore politico l'essere sempre stati dalla parte della ragione. La riflessione più ovvia è che il principale ostacolo alla corretta attribuzione delle ragioni e dei torti, cioè al funzionamento della democrazia, è dato dal sistema dei media, corrotto fino al midollo da interessi economici e da una postura faziosa che  conferisce autorevolezza (agli occhi degli stolti) in assenza di una pur minima capacità di lettura dei dati più elementari:


L'annuncio che negli anni '80 e fino ai primi anni '90 ci sembrava un paradossale espediente letterario, quello dell'aumento della razione di cioccolata a 20 grammi dai precedenti 50 grammi, è diventato il nostro pane quotidiano, per motivi che tanto bene spiega Giraldo nel suo L'impero minore (e ne parleremo). Peraltro, credo resti valida la definizione che Stendhal dava del romanzo (uno specchio che viene trascinato lungo una strada...), tant'è che, se studiassimo meglio la storia, probabilmente scopriremmo che Orwell, più che un profeta, era un notaio, più che antivedere un ipotetico futuro, registrava semplicemente quella che già al suo tempo era la realtà dei rapporti di forza e dei relativi meccanismi di gestione.

Strano come una "profezia", vista dal futuro, somigli a un QED.

A fronte di un sistema così ben congegnato e preponderante per forze e per mezzi, un sistema che non può fallire, non dobbiamo illuderci che le nostre limpide ragioni possano avere la forza del paradossale e del controintuitivo (l'austerità che fa crescere, la razione che aumenta da 50 a 20...), soprattutto se questa forza è sostenuta dalla potenza di fuoco di chi è disposto a buttare un pozzo di soldi nell'impresa fallimentare dei media, per consolidare assetti di potere che gli garantiscono rendite multiple della ciotola di pappa gettata agli operatori informativi! Non dobbiamo quindi fare l'errore di pensare di poter convincere i nostri interlocutori: il dibattito, lo abbiamo visto spesso, crea hype, ma la conversione dell'hype in consenso, in atti concreti (che sia mettere il nome altrui su una scheda o il nome proprio in calce a un foglio) è sorprendentemente bassa, nonostante che da un lato noi si cresca numericamente sempre di più (il percorso politico un po' di visibilità l'ha aggiunta, forse un po' di più della credibilità che ha tolto), e che dall'altro l'hype sia utile perché, nel mondo autoreferenziale della decisione politica, serve a dimostrare di essere influenti (basta farsi un giretto per la cloaca per vedere che tweet su materie di assoluta rilevanza scritti dagli agguerriti e ben pagati staff di comunicatori di leader prominenti non sempre arrivano alle 39.220 visualizzazioni della mia modesta considerazione qua sopra: e Claudio fa molto meglio)! Quest'ultimo dato non è irrilevante, ma la sua rilevanza non è quella che pensate voi (creare la fantomatica maggioranza del 51%), ma è diversa: influenzare le decisioni dei leader, che anche quando esortano a non leggere i giornali, vivono comunque "in bolla" come tutti noi che facciamo parte del business (tutti, o quasi tutti...), e sono quindi soggetti a confondere l'egemonia del divano con l'egemonia gramsciana...

La sondaggiocrazia è in re ipsa Likecrazia (come ci aveva ammonito a suo tempo Daniele), quindi tutto fa. Ma... la maggioranza ce l'ha solo chi controlla il flusso informativo: è quantità, e si fa con la quantità, non con la qualità. Per controllare le sorgenti e impedire che vengano avvelenate occorre tempo, e solo voi potete vendercelo, insistendo a sostenerci.

Il senso del nostro incontro è quindi, come tutti gli anni, quello di difendere la qualità perché non vada spersa, di custodire sotto le ceneri del buonsenso una brace di speranza e di verità da cui possa un giorno rianimarsi la fiamma della prosperità e della giustizia sociale. Un compito determinante che ci è stato tramandato da quando, come qualcuno ricorderà, lanciai il mio grido di allarme. Era l'agosto del 2011, e da allora molti di voi sono con me. Sarebbe ridicolo attribuire a quel grido, che pensava di sperdersi nel vuoto della disattenzione generale, un potere risolutivo nel destare le coscienze, ma sarebbe altrettanto e più ingiusto non riconoscere quanto esso abbia, per la sua parte, e attraverso il caleidoscopio dell'eterogenesi dei fini, contribuito a influire sul corso degli eventi. La forza di quel grido era la forza stessa dei fatti, la cui concatenazione non poteva che condurre a un quod erat demonstrandum, alla Canossa degli arroganti cialtroni che tutto hanno fatto per impedirci di parlare, senza riuscirci, per poi venire oggi a proclamare sui media ufficiali quello che qui è patrimonio comune da anni, ormai da decenni. Quindi, il nostro compito non è meramente difensivo e conservativo: la valutazione della nostra opera dipende, ovviamente, dalle metriche che si adottano, e in questa riflessione la saggezza di Claudio è illuminante: i "venti anni di sovranismo" (che non sono venti e non sono di sovranismo...) sono una imprescindibile lezione di metodo, e anche di questo, naturalmente, si parlerà.

Ci vediamo a Montesilvano l'8 e 9 novembre!

giovedì 7 agosto 2025

Meno tre al #goofy: appunti per Marcinelle

Nel liber scriptus in quo totum continetur ne abbiamo già parlato, come qualcuno ricorderà. Parlato di cosa? Ma di Marcinelle, appunto. Domani parteciperò a una commemorazione di quell'evento, uno dei tanti fatti tragici dell'Abruzzo di cui una certa parte politica si è appropriata a dispetto dell'evidenza storica. Lo stesso racconto del Protocollo italo-belga che viene fatto dal più subdolo organo di piddopropaganda non riesce a dar conto in modo completamente coerente delle motivazioni sottostanti al disastro. Se era vero che gli italiani venivano chiamati per fare "i lavori che i belgi non volevano più fare", come mai su 262 vittime il 36% era belga? La verità è che gli italiani venivano chiamati per fare i lavori che i belgi non potevano più fare perché già occupati altrove. L'accordo "minatori-carbone" era un accordo fra un Paese con disoccupazione all'8,8% (l'Italia) e un Paese con disoccupazione all'1,2% (il Belgio). Esattamente come in Italia non c'era lavoro per le persone che emigravano, e non c'era lavoro perché mancavano i capitali (quei capitali che poi sarebbero stati ricostituiti in parte anche con le rimesse degli emigrati), in Belgio non c'erano persone per sostenere lo sforzo produttivo che il Paese stava affrontando.

Nella direzione di questi flussi c'era quindi una logica economica e geopolitica: il lavoro andava dove occorreva, e ci andava per rinsaldare rapporti che il conflitto aveva compromesso, e per contribuire con risorse finanziarie e materie prime alla ripresa del nostro Paese.

Non credo che oggi si possa dire la stessa cosa dei flussi che riguardano il nostro Paese, ma di questo abbiamo già parlato in tante occasioni. Intanto, vi segnalo che fra tre giorni partiranno le prenotazioni per il #goofy: si torna all'antico, alla notte di San Lorenzo. Anche quest'anno impareremo e ci divertiremo. Anticipazioni non ne do: sono pur sempre il deputato del collegio dove riposa quello che si sentì dire:

QVIA VIDISTI ME THOMA CREDIDISTI BEATI QVI NON VIDERVNT ET CREDIDERVNT!

Non sarò certo io a frustrare la vostra aspirazione alla beatitudine!

Ci vediamo domani...

Breve nota tecnica sull'impatto dei dazi

Premesso che chi si è esibito in performance simili:


forse farebbe meglio a lasciar passare qualche secolo in dignitoso silenzio, nella speranza di farsi dimenticare, ma riconosciuto altresì che un minimo di imbonimento da fiera paesana è comunque connaturato alla rappresentazione degli interessi ed è da considerarsi fisiologico, voglio fare ammenda su una mia valutazione errata riportata in questo post. Il delitto mio non è, direbbe Leporello, ma è dei soliti noti, dei nemici della democrazia, degli operatori informativi. Sono loro ad aver titolato:


e questo mi ha indotto a pensare che al CSC avessero seri problemi col concetto di elasticità al prezzo (che con ordini di grandezza simili sarebbe stata del 200%: una cosa mai vista in natura, come spiegavo appunto nel post sull'impatto dei dazi).

In realtà, la valutazione del modello CSC (pubblicato dove?) è coerente con quella del modello di Bagnai et al. (2017) (pubblicato su Economic Modelling), perché, come spiegato da una civile & resiliente esponente della nota associazione di categoria nel corso di questo pacato & costruttivo dibattito:


l'impatto di 23 miliardi è calcolato tenendo conto anche della rivalutazione nominale dell'euro, stimata al 15%, e quindi è riferito a un incremento complessivo del 30% sul tasso di cambio reale. A incremento doppio, impatto doppio, e pari elasticità (sempre intorno a 1).

Tuttavia qualcosa mi lascia supporre che questi impatti siano sempre sovrastimati, e pesantemente, e se volete vi spiego subito perché. Il fatto è che i tassi di cambio reali (che sono il prezzo relativo dei beni nazionali rispetto a quelli esteri) sono costruiti con riferimento a due classi di indicatori: o gli indici dei prezzi al consumo, o il costo del lavoro per unità di prodotto. Lo vedete ad esempio qui, nel database dell'Eurostat, che vi consente appunto di scegliere l'indicatore che preferite:


Non entro ora nella ratio di questa scelta, cioè nel perché si usi l'uno o l'altro indicatore e su quale sia preferibile per quale analisi (a richiesta ve lo spiego). Voglio solo far notare che quello che riusciamo a misurare econometricamente è la reazione dei volumi venduti alla variazione del prezzo finale, quello al consumo. Ora, il fatto è che, come sa chiunque abbia un minimo di cervello, il famoso 15% non si applica allo scaffale, ma in dogana. Per capirci, con qualche approssimazione: non si applica al prezzo al dettaglio (che è quello che confluisce nella valutazione del tasso di cambio reale e quindi nella stima dell'elasticità di prezzo), ma al prezzo all'ingrosso, con riflessi proporzionalmente inferiori sul prezzo al dettaglio.

Credo capiate dove voglio arrivare, anche perché è sempre la stessa storia. Quelli che oggi dicono che all'aumento dei dazi del 15% conseguirà un apprezzamento del cambio reale del 15% sono della stessa pasta marrone (che non è cacao) di quelli che dicevano che a un deprezzamento reale del 20% sarebbe conseguita un'inflazione del 20% (ne abbiamo parlato qui, come ricorderete, analizzando le leggende metropolitane bipartisan - perché il non cacao è assolutamente trasversale, c'è in versione socialisteggiante e c'è in versione #verolibberale...). Ci vuole più di un neurone per capire che l'attività economica è fatta di tanti snodi, e che fra ognuno di questi c'è un pass-through: esattamente come un deprezzamento di x% non comporta una inflazione del x%, e esattamente per gli stessi motivi (perché il pricing in regimi oligopolistici o imperfettamente concorrenziali si basa sull'applicazione di mark-up sui costi, mark-up che possono essere ridotti per assorbire shock di prezzo allo scopo di mantenere quote di mercato), un dazio di x% non comporta un aumento del prezzo finale di x% e quindi un apprezzamento del cambio reale misurato sul prezzo finale di x%.

Morale della favola?

Dopo tanto stracciavestismo e espertonismo un tanto al mazzo (di cui fra un po' avrete un esempio all'Aria che tira) non è escluso che, come già accadde nel primo mandato Trump, e prese tutte le debite cautele rispetto al fatto che qui si parla di un dazio generalizzato e comunque il clima internazionale è improntato a una maggiore conflittualità, alla fine le esportazioni italiane verso gli Usa possano in realtà crescere, se l'effetto reddito (maggiore crescita negli Usa) prevarrà sull'effetto prezzo (minore competitività del prodotto europeo), tanto più che il prodotto italiano è solo italiano, e quindi in re ipsa difficilmente sostituibile.

Quindi calma!

Il vero problema è un altro: il fallimento industriale europeo del green deal, e il nostro fallimento politico nel realizzare quella che è e resta una nostra legittima ambizione: essere arbitri del nostro destino sganciandoci da chi regolarmente ci porta a combattere battaglie in guerre che non sono la nostra guerra. Sì, finora non siamo riusciti a renderci indipendenti, ma qualche passo lo abbiamo fatto (vedi riforma MES) e continuiamo a spingere in quella direzione. Ci vediamo fra un po' in TV con chi lo desidera...

Dal nido del falco

Sono arrivato. Domattina collegamento a l'Aria che tira, non in Zoom ma con lo "zainetto" (mandano una troupe, il che mi consacrerà definitivamente come personaggio qui in paese). Dopo pranzo riunione col coordinatore provinciale. Dopodomani (ma in realtà ormai domani, cioè venerdì) sveglia prestissimo, perché bisogna essere dalla parte opposta della gigantesca montagna, a Manoppello, all'ora in cui qualcosa andò storto a Marcinelle. Poi gommista, poi due incontri coi militanti, poi si torna in quota. Dopodomani (cioè sabato) per ora è previsto solo un concerto d'organo a Carunchio, ma andrò almeno un'oretta prima per fare due chiacchiere col sindaco, e poi non so se tornare al nido del falco, o proseguire verso un non luogo che non esiste.

Non che siano proprio vacanze, ma almeno ci sono dodici gradi.

Il primo giorno libero è domenica, ma è il giorno libero di tutti, e quindi dovrò scegliere bene la montagna in cui andare da solo (e un'idea ce l'ho, ma... non la dico, per restare solo!).

Il problema più serio, quello del collegamento Internet, alla fine mi sembra risolto. Ora, per tre settimane, guarderò il mondo da questo oblò:


(sì, quello che vedete è Roio del Sangro, a sud della linea Gustav).

Se non esagererò coi grafici riuscirò anche a restare in contatto con voi. Di cose da dire ne avrei, e magari cominciamo domani, dopo la riunione di coordinamento, a meno che lo spirto guerrier ch'entro mi rugge non mi spinga verso il bosco o verso l'alto, in cerca di altri animali asociali.

Intanto, buona notte! Domani si parlerà di dazi. La cronaca ha più fantasia dei cronachisti, ma essere in squadra significa anche cercare di rendere divertenti delle cose noiose. Il gap che separa chi è qui da chi guarda la TV è incolmabile, temo, e sinceramente fra divertire voi e tentare di istruire chi nel 2025 ancora non ha capito non ho esitazioni! La vita è troppo breve per annoiarsi. Le vacanze, poi, sono brevissime (per chi ce le ha) e quindi scusandomi per aver abusato del vostro tempo mi congedo.


(...nella migliore delle tradizioni, il 10 partono le iscrizioni al goofy...)

mercoledì 30 luglio 2025

Dalla Slesia con furore

La mattinata è iniziata con una vivace discussione nella chat della Community abruzzese, discussione originata da un aggiornamento di questa notizia:


Pare che non siano 400 ma 600, ecc. Il dato, lo immaginate bene, è catastrofico per la valle (del Sangro), per la provincia (di Chieti) e per l'Abruzzo. Il giochino sappiamo qual è e purtroppo sappiamo anche dove porta:

ma nelle pieghe del discorso è emerso che il game changer, secondo alcuni, risaliva a tre anni fa:


In realtà, non è che le cose in Polonia vadano benissimo, ma non entro in questo. Il punto è che, come vi ho detto spesso, dà un po' ai nervi che ci venga fatta concorrenza interna da chi non solo ha mantenuto e usato la flessibilità del proprio cambio nominale, ma soprattutto beneficia in modo sproporzionato dei fondi che escono dalle nostre tasche!

Questa cosa la sapete bene, anche Claudio ve la ricorda spessissimo, ma vorrei farvela vedere in dettaglio (impegno preso con gli amici abruzzesi). Per comodità, non partirò dal tempo di Checco e Nina, ma dall'inizio del secolo, in modo da avere tutti i dati in un unico foglio, questo, che trovate alla pagina EU spending and revenue 2021-2027. Vi fornisco i flussi al netto delle operazioni straordinarie (cioè escludendo gli esborsi del PNRR, che sono debiti da rimborsare), ma se volete avere il quadro di cassa completo potete tranquillamente riprodurvelo coi dati. Quello che ci serve quindi, anno per anno, sono le "national contributions" (soldi che gli Stati membri danno al bilancio, i contributi al bilancio dell'Unione), le "total expenditures" (fondi che l'UE attribuisce agli Stati membri perché li spendano, e quindi i fondi che provengono dal bilancio dell'Unione), e naturalmente il Pil (per fare un rapporto).

Con un po' di santa pazienza (purtroppo oggi sono influenzato e quindi me ne sto alla scrivania a lavorare), l'impianto dei calcoli è questo qui:


la rappresentazione grafica del contributo (valori negativi) o beneficio (valori positivi) netto in valore assoluto è questa qui:


e in rapporto al Pil nazionale è questa qui:


I dati si commentano da soli, ma sentitevi pure liberi di esprimervi. Della sproporzione ero a conoscenza, ma certo che vederla rappresentata così, sapere che un Paese in cui delocalizziamo le nostre produzioni viene sussidiato a botte del 2% del Pil e oltre, ovviamente non fa piacere, anche se intuiamo l'astratta e nobile motivazione di creare un level playing field...

A differenza di Dostoevskij, che avrà avuto i suoi buoni o cattivi motivi, io non sono sospettabile di animosità verso il nobile popolo polacco, che mi ha dato tanto. Sono cresciuto ascoltando questo ripetuto e ripetuto dalla mia mamma:

(non so se adesso mi chiuderanno il sito); per motivi che non saprei nemmeno spiegarvi e sui quali è comunque inconferente dilungarsi questo:

ha cambiato significativamente il mio rapporto col pianoforte e col romanticismo (cosa di cui gli sono grato); mi piacciono i pierogi e i tramonti lunghi. Sono anche uno poco attaccato ai soldi. Però l'idea che questi qui ci fottano coi nostri soldi a me dà un pochino fastidio, forse un po' di più dell'idea che con i nostri soldi la UE, in cambio del bel servizio che ci rende, si faccia pubblicità, deturpando le nostre scuole con le sue placche infami.

Tutto qua.

martedì 29 luglio 2025

L'impatto dei dazi: ordini di grandezza

Premesso che sapete bene che cosa pensi del Fmi e delle sue previsioni, segnalo che mentre sui media italiani imperversa la narrazione terribilista e stracciavestista sui dazi di Trump, dalle istituzioni internazionali ci perviene questo messaggio:


e quindi la domanda, oggettivamente, si pone: ma com'è possibile che se siamo finiti, se il disastro dei dazi ci travolgerà, il Fmi innalzi le stime di crescita? Dov'è l'errore, se c'è?

Per mettere un po' di ordine nel caos volevo darvi qualche ordine di grandezza utile a valutare l'impatto di questa contromisura. Come punto di partenza prendo il mio modello dell'economia italiana, quello pubblicato nel 2017 con Brigitte Granville e Christian Mongeau-Ospina su Economic Modelling (la versione working paper, accessibile a tutti, è qui). Questo modello ci è utile intanto perché è pubblicato con peer-review (non mi risulta che i pronostici di altri centri di ricerca più o meno prestigiosi siano tutti passati da quel vaglio) e poi perché il suo blocco del commercio estero rappresenta il commercio estero dell'Italia disaggregandolo per i principali blocchi dell'economia mondiale, e quindi prevede una funzione delle esportazioni specifica per gli Stati Uniti, questa:

dove vi ho evidenziato il parametro che ci serve, l'elasticità delle esportazioni al tasso di cambio reale, che è sostanzialmente pari a -1. Una elasticità di -1 significa che un aumento del 15% del tasso di cambio reale verso gli Stati Uniti, come quello astrattamente causato da un aumento dei dazi del 15%, dovrebbe determinare una variazione del -1x15% (cioè una diminuzione del 15%) del volume delle esportazioni verso gli Stati Uniti.

Ora, secondo le statistiche di bilancia dei pagamenti le esportazioni italiane nel 2024 erano così configurate:


720 miliardi di euro, di cui 341 al di fuori dell'UE, di cui 74 verso gli Stati Uniti. Il 15% di 74 è 11.1, quindi i dazi al 15% causerebbero una diminuzione delle esportazioni italiane di 11 miliardi, che sono il 15% delle esportazioni verso gli Usa, e siccome le esportazioni verso gli Usa sono il 10% di quelle totali, la diminuzione delle esportazioni totali sarebbe pari all'1.5%, e siccome le esportazioni sono un terzo del Pil:


l'impatto sarebbe ceteris paribus pari a circa lo 0.5% del Pil, che non è poco.

Undici miliardi, per capirci, è una roba tipo la stangata che Monti ci diede nel 2011 con l'IMU:


Vi dico subito che queste valutazioni (di cui mi fido per ovvi motivi) sono all'interno del range delle valutazioni effettuate dagli altri (in appendice vi metto un riassunto fatto dall'amico intelligente), i cui valori vanno dai 7.5 miliardi di Unimpresa ai 22 miliardi di Confindustria. 

Va però aggiunto che si tratta di valutazioni di lungo periodo, di equilibrio parziale, e che non considerano il livello attuale dei dazi.

Partendo dalla fine, i dazi prima dell'arrivo di Trump non erano a zero. Una valutazione macroeconomica non è facile da fare, perché l'imposizione dei dazi è molto granulare, colpisce le singole merci, con percentuali differenziate, ma insomma quelli bravi ci dicono che prima di Trump la media si avvicinava di molto al 5%:


L'incremento non sarebbe quindi di 15 (da zero a 15) ma di 10 (da 5 a 15), e conseguentemente l'impatto totale sarebbe ridotto di un terzo: il 10% di 74 è 7,4 che corrisponde appunto al 10% delle esportazioni verso gli Usa, cioè all'1% delle esportazioni totali, cioè allo 0,3% del Pil.

Circa il tema breve-lungo periodo, nel nostro modello in effetti le due elasticità sono sostanzialmente identiche, a testimoniare che gli aggiustamenti di prezzo sostanzialmente hanno luogo all'interno dell'anno (i dati hanno cadenza annuale). L'elasticità di breve periodo infatti è:


-0.92, sostanzialmente pari a uno (volendo fare i precisetti, dovremmo dire che la variazione delle esportazioni è data dal 0.102 x (-0.929) = - 9.4758%, pari a 7 miliardi di calo delle esportazioni nel breve periodo, ma insomma siamo lì, anche se più vicini al limite inferiore del range calcolato da Unimpresa).

Il vero tema però è un altro, cioè il fatto che queste sono valutazioni di equilibrio parziale, cioè non tengono conto di una serie di altri effetti indotti, fra cui:

1) l'effetto reddito negli Stati Uniti (se Trump riesce a spingere l'economia Usa, è vero che il vino costerà di più, ma è anche vero che gli statunitensi, soprattutto quelli in grado di apprezzare il vino italiano, avranno più soldi in tasca);

2) l'effetto reddito negli altri paesi (se #idazzidiTrump scatenassero una recessione mondiale, cosa che il Fmi smentisce:


allora avremmo un calo generalizzato delle esportazioni, cioè avremmo un problema non solo col 10% che va verso gli Usa, ma anche col 90% che va altrove);

3) l'effetto sostituzione (c'è chi è stato "dazziato" più di noi, ad esempio, e sicuramente le misure di Trump un po' di trade diversion la causano: non è detto che non ci facciano guadagnare qualche cliente).

Naturalmente il discorso non si esaurisce qui e va fatto filiera per filiera, prodotto per prodotto, mercato per mercato. Questi però sono gli ordini di grandezza macroeconomici, e in appendice, come vi ho detto, trovate una rassegna fatta dall'amico intelligente, nella quale credo che dopo questo esame sarete in grado di orientarvi meglio.

Buona lettura (ora ho una riunione organizzativa del #goofy14, dove ovviamente si parlerà anche di questo...)!



Appendice: l'amico intelligente

L’imposizione di dazi al 15% sulle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti, come previsto dall’accordo USA-UE annunciato il 27 luglio 2025, avrà un impatto significativo sull’export italiano, con stime che variano in base a fonti e metodologie. Di seguito, sintetizzo le informazioni disponibili da studi recenti, riportando i dati in miliardi di euro e, dove possibile, in percentuale, con riferimento alle fonti consultate.

### Stime del Calo delle Esportazioni
1. *Confindustria e Centro Studi Confindustria*:
   - *Stima del calo: Secondo il Centro Studi Confindustria, i dazi al 15% potrebbero causare una contrazione delle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti di circa **22,6 miliardi di euro, pari a circa un terzo (circa **33%) delle vendite totali verso gli USA, che nel 2024 ammontavano a circa **65-66 miliardi di euro. Tuttavia, parte di questa perdita (circa **10 miliardi di euro*) potrebbe essere compensata da un aumento delle esportazioni verso altri mercati.[](https://www.panorama.it/attualita/economia/dazi-usa-ue-cosa-cambia-per-litalia-dopo-laccordo-trump-von-der-leyen)
   - In uno scenario con dazi più alti (30%), Confindustria aveva stimato una riduzione di *38 miliardi di euro* (58% delle vendite negli USA), ma con i dazi al 15% l’impatto è più contenuto.[](https://www.startmag.it/economia/confindustria-impatto-dazi-trump-italia/)[](https://www.confindustria.it/pubblicazioni/da-dazi-e-dollaro-svalutato-piu-incertezza-e-meno-fiducia-frenano-export-consumi-e-investimenti/)
   - *Impatto sul PIL: L’effetto netto sul PIL italiano è stimato in una riduzione di circa **0,5-0,8%* entro il 2027, mitigato dalla capacità di reindirizzare l’export verso altri mercati.[](https://www.startmag.it/economia/confindustria-impatto-dazi-trump-italia/)[](https://www.confindustria.it/pubblicazioni/da-dazi-e-dollaro-svalutato-piu-incertezza-e-meno-fiducia-frenano-export-consumi-e-investimenti/)

2. *Unimpresa*:
   - *Stima del calo: Un’analisi del Centro Studi di Unimpresa prevede un impatto più contenuto, con una perdita di esportazioni compresa tra **6,7 e 7,5 miliardi di euro, significativamente inferiore alle stime iniziali di **10,5 miliardi di euro*. Questo grazie a esenzioni parziali o totali per settori strategici come le tecnologie avanzate.[](https://benessereconomico.it/esportazioni-italiane-e-nuovi-dazi-usa-ue-impatto-ridotto-ma-ancora-pesante-per-le-imprese/)
   - *Percentuale: Considerando che le esportazioni italiane verso gli USA nel 2024 sono state di **66-70 miliardi di euro, il calo stimato da Unimpresa rappresenta circa il **10-11%* dell’export totale verso gli Stati Uniti.

3. *Confimi Industria*:
   - *Stima del calo: Secondo il presidente di Confimi Industria, Paolo Agnelli, i dazi al 15% potrebbero portare a una perdita di fatturato di circa **12 miliardi di euro, equivalente a una riduzione del **20%* delle esportazioni italiane verso gli USA.
   - Questa stima tiene conto anche del differenziale del cambio euro-dollaro (circa 15%), che aggrava l’impatto economico.

4. *Centromarca*:
   - Per i beni di largo consumo, il calo delle esportazioni è stimato in *767 milioni di euro, corrispondente a una riduzione del **7,7%* a valore.

5. *ISPI*:
   - Secondo l’ISPI, un dazio del 15% potrebbe causare una contrazione delle esportazioni europee verso gli USA del *25-30%. Per l’Italia, considerando un’esposizione di circa **64-66 miliardi di dollari* (circa *55-57 miliardi di euro* al cambio attuale), ciò potrebbe tradursi in una perdita di *14-17 miliardi di euro. Tuttavia, l’impatto sul PIL italiano sarebbe limitato a circa **0,2%*.[](https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/dazi-di-trump-al-15-limpatto-su-europa-e-italia-214963)

6. *Altri studi*:
   - Un’analisi riportata da lavoce.info stima un impatto di breve periodo più contenuto, con una contrazione delle esportazioni di circa *6 miliardi di euro* nei principali settori, grazie alla bassa elasticità di sostituzione dei prodotti italiani di alta qualità nel breve termine.[](https://lavoce.info/archives/107491/lexport-italiano-di-fronte-ai-dazi/)
   - Per il settore agroalimentare, che vale circa *8 miliardi di euro* di export verso gli USA, si stimano perdite di circa *500 milioni di euro per il vino, **240 milioni per l’olio d’oliva, **170 milioni per la pasta* e *120 milioni per i formaggi*.[](https://www.avvenire.it/economia/pagine/tutto-sui-dazi-ecco-cosa-rischia-l-economia-globale)

### Fattori che Influenzano l’Impatto
- *Esenzioni e settori colpiti*: Alcuni settori beneficiano di esenzioni parziali o totali, come i farmaci generici e alcune tecnologie avanzate, riducendo l’impatto complessivo. Tuttavia, settori come agroalimentare (vino, olio, salumi, formaggi), farmaceutico (non generici), meccanica, e moda sono particolarmente vulnerabili.[](https://www.corriere.it/economia/finanza/25_luglio_28/cosa-cambia-made-italy-dazi-esportazioni-usa-4c15e916-98c2-4f5d-8fb6-b85545991xlk.shtml)[](https://benessereconomico.it/esportazioni-italiane-e-nuovi-dazi-usa-ue-impatto-ridotto-ma-ancora-pesante-per-le-imprese/)
- *Cambio euro-dollaro: La svalutazione del dollaro (circa -13% rispetto all’euro dall’insediamento di Trump) aggiunge un “dazio implicito” che porta l’onere complessivo per gli esportatori italiani a circa il **21%*, riducendo ulteriormente la competitività.[](https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/dazi-di-trump-al-15-limpatto-su-europa-e-italia-214963)[](https://www.confindustria.it/pubblicazioni/da-dazi-e-dollaro-svalutato-piu-incertezza-e-meno-fiducia-frenano-export-consumi-e-investimenti/)
- *Capacità di assorbimento*: Le imprese italiane di grandi dimensioni, che rappresentano oltre il 50% dell’export verso gli USA, sono più resilienti grazie a margini più alti e diversificazione geografica. Le PMI, invece, sono più esposte.[](https://www.unimpresa.it/dazi-terzo-aziende-italiane-esporta-usa/66365)
- *Compensazione su altri mercati: La capacità di reindirizzare l’export verso mercati in crescita come Emirati Arabi, Arabia Saudita, Turchia, Brasile, India e Messico potrebbe mitigare le perdite. Secondo ICE, questi mercati valgono già **25 miliardi di dollari* di export italiano.[](https://www.quotidianopiu.it/dettaglio/11090627/nuovi-dazi-usa-impatti-sul-commercio-internazionale)

### Sintesi
- *Range di calo atteso*:
  - *Valore assoluto: Le stime variano da **6 miliardi di euro* (lavoce.info, breve periodo) a *22,6 miliardi di euro* (Confindustria). Una stima media ragionevole si attesta tra *7,5 e 12 miliardi di euro*, con possibilità di compensazione parziale (circa 10 miliardi) su altri mercati.
  - *Percentuale: Il calo delle esportazioni verso gli USA è stimato tra il **7,7%* (beni di largo consumo) e il *33%* (Confindustria), con una media probabile intorno al *10-20%*.
- *Impatto settoriale*: I settori più colpiti saranno agroalimentare (soprattutto vino, olio, pasta, formaggi), farmaceutico (non generici), meccanica, e moda. L’automotive beneficia di una riduzione dei dazi dal 25% al 15%.[](https://www.corriere.it/economia/finanza/25_luglio_28/cosa-cambia-made-italy-dazi-esportazioni-usa-4c15e916-98c2-4f5d-8fb6-b85545991xlk.shtml)[](https://www.panorama.it/attualita/economia/dazi-usa-ue-cosa-cambia-per-litalia-dopo-laccordo-trump-von-der-leyen)
- *Studi di riferimento*: Le analisi più dettagliate provengono da Confindustria, Unimpresa, ISPI, e lavoce.info, con stime basate su dati Eurostat, World Bank-WITS, e modelli macroeconomici.[](https://www.startmag.it/economia/confindustria-impatto-dazi-trump-italia/)[](https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/dazi-di-trump-al-15-limpatto-su-europa-e-italia-214963)[](https://benessereconomico.it/esportazioni-italiane-e-nuovi-dazi-usa-ue-impatto-ridotto-ma-ancora-pesante-per-le-imprese/)

### Conclusione
Il calo delle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti a causa dei dazi al 15% è stimato tra *7,5 e 12 miliardi di euro* (circa *10-20%* delle esportazioni totali verso gli USA), con perdite maggiori nei settori agroalimentare, farmaceutico, e meccanica. Tuttavia, esenzioni per settori strategici e la possibilità di reindirizzare l’export verso altri mercati possono mitigare l’impatto. L’effetto sul PIL italiano è previsto tra *0,2% e 0,8%* nel medio-lungo periodo. Per dettagli su specifici settori o prodotti, posso approfondire ulteriormente se richiesto.