giovedì 30 ottobre 2025

In memoriam (il reddito di transumanza)

Ho un'oretta per raccogliere le idee prima di andare a sentire lo slovacco Maroš Šefčovič, che forte della legittimazione conferitagli dall'essere espresso da un Paese che ha meno abitanti della Campania è incaricato di seguire in Commissione Europea il dossier del commercio internazionale. Potrebbe essere l'occasione per chiarire qualche equivoco. Un'altra occasione ce l'ho immediatamente a ridosso, perché alle 16:15 intervengo in questo convegno... da cui il titolo di questo post!

Qui abbiamo commemorato tante persone: di alcune non avete mai nemmeno sospettato l'esistenza, di altre, come Tony Thirlwall, o Alberto Alesina, o, per altri versi, Gustav Leonhardt, ci era capitato di parlare e avevano comunque una loro notorietà, quando non un ruolo centrale nell'elaborazione del nostro pensiero. Ma la cara memoria che celebrerò oggi, portando la mia solidarietà alle afflitte prefiche, è quella del green, perché, ove mai non fosse chiaro, che lu grìn s'ha mort ora l'ha detto anche il capo dei capi, in un post scritto un paio di giorni fa, da cui emerge un desiderio evidente di smarcarsi dal suicidio dell'occidente, con un minimo investimento di comunicazione volto essenzialmente a salvare la faccia.

Il vostro amico ci dice che la narrazione catastrofistica sul green è infondata:


raggiungendoci sulle nostre posizioni storiche. Quindi basta con idiozie come "il Pianeta in ebollizione" e simili. Ora, è purtroppo un dato che la narrazione sulla transizione o è catastrofistica o non è, per il semplice motivo che l'insieme di soluzioni che vengono proposte sono talmente irrazionali che solo la minaccia di uno stato di eccezione può costringere gli elettorati ad accettarle.

Sull'irrazionalità c'è poco da discutere, ma vorrei documentarvela con due elementi sufficientemente noti a tutti, non senza fare una premessa: l'attuale paradigma della climatologia, sostanzialmente articolato sull'effetto serra come unica spiegazione di quanto sta (forse) accadendo, farà la fine di tutti i paradigmi, quella di cui abbiamo parlato qui, ma a noi non serve contestarlo, per il semplice motivo che le soluzioni che vengono prospettate per abbattere la CO2 passano per una maggiore produzione di CO2. Il dato sulle emissioni dal 1990 (la data di riferimento) è questo:


Unione Europea e Stati Uniti sono già su un trend discendente, e sul trend di Cina e India le nostre fisime possono agire solo in senso peggiorativo, per il semplice motivo che rivolgersi a prodotti cinesi (i pannelli solari, le auto elettriche, ecc.) significa far girare a pieno regime una macchina in cui la produzione di energia ha un'intensità di emissioni doppia della nostra (se pure declinante):

Ai tanti imbecilli che ci parlano di una Cina "campione delle rinnovabili" va ricordato che per quanto le rinnovabili possano espandersi rapidamente in termini assoluti in un Paese la cui superficie è quasi 32 volte quella dell'Italia e la cui popolazione è circa 24 volte quella dell'Italia, in termini relativi il mix energetico cinese resta dominato da un caro, vecchio amico:


quindi averci spinto verso l'elettrificazione senza aver preventivamente fatto un ragionamento sulle filiere e sulle tecnologie significa averci spinto verso la carbonizzazione, non la decarbonizzazione.

Ma i due elementi che volevo offrirvi erano altri.

Primo, mentre un chilo di benzina contiene oggi, come un secolo fa, 43 MJ di energia chimica, corrispondenti a 12kWh, che con una macchina normale ti fanno fare 15 Km, un chilo di batterie al litio contiene 0.3 kWh di energia. Vi lascio trarre le vostre conclusioni. Tenuto conto della superiore efficienza del motore elettrico, ecc. ecc., alla fine la minore densità energetica delle batterie si traduce nella necessità di caricarsi un peso oltre dieci volte superiore per percorrere lo stesso tratto di strada. La densità energetica resta un elemento chiave, che poi è quello che spiega perché per certe esigenze (aerei di linea, veicoli off road, rimorchiatori, ecc.) la semplice idea della conversione all'elettrico fa sorridere, e quindi il dogma della decarbonizzazione deve necessariamente essere ossequiato in altro modo che mettendosi in mano alla Cina.

Secondo, l'energia elettrica va trasportata. Il rame per allacciare alla rete (e anche per costruire) una miriade di impianti di generazione "rinnovabile", nonché per disseminare di colonnine la rete stradale, ecc., pare non esiste in tutta la crosta terrestre, e in ogni caso la sua estrazione non è a costo zero.

Sono le cose che abbiamo appreso da Sergio Giraldo e da Gianclaudio Torlizzi: la cosiddetta transizione energetica non è necessariamente decarbonizzazione (quando consideri tutta la filiera) e non è semplicemente affrancamento dai "fossili", ma più correttamente transizione dai "fossili" a una diversa classe di materie prime: i minerali critici, la cui estrazione, raffinazione, ecc., è ampiamente inquinante (anche in termini di emissioni: e quindi non comporta necessariamente decarbonizzazione).

Sulla base di queste premesse fattuali possiamo rapidamente goderci insieme i tre chiodi che Gates pianta sulla bara de lu grìn.


L'umanità ha altri problemi rispetto a quelli di non morire di caldo domani, e il non morire di fame oggi, come umilmente sottolineato da chi vi scrive:


rientra a pieno titolo e con maggiore priorità fra essi. Se c'ero arrivato io un mese fa, un genio come Bill Gates poteva arrivarci anni fa, giusto?


La temperatura non è tutto, perché non ci informa sulla qualità della vita, che dipende dal progresso tecnologico e dalle misure prese per mitigare gli effetti del "cambiamento". Concentrarsi solo sul "raffreddamento" anziché sulla mitigazione è un tragico, grottesco errore (altra cosa che potreste averci sentito dire).


Come corollario, dopo aver finanziato il coro di Erinni bercianti che al grido di "bolliremo tutti!" ci hanno costretto a suicidare il nostro modello di sviluppo (l'unico al mondo che si stesse muovendo nella direzione giusta), ora il vostro amico viene a dirci che in effetti dovremmo avere a cuore la nostra prosperità, che, in ogni caso, è nodale, dato che per raffreddare o mitigare ci vogliono tanti dindi, e non è suicidando la nostra economia, come abbiamo fatto, che li metteremo da parte.

Peraltro, l'amico ci spiega che anche se continuassimo a suicidarci, dovremmo comunque fronteggiare un certo grado di riscaldamento. Per questo motivo le politiche che insistono solo sulla decarbonizzazione, assistita da una narrazione terroristica, sono fuorvianti.

Pensate un po'!

Lo dice lui ora, ma, come mi faceva notare l'amico Sergio, lo hanno sempre saputo persone come Warren Buffet, che "ha progressivamente aumentato la sua quota in  Occidental Petroleum fino a oltre il 28% del capitale mettendoci 15 miliardi. In più mantiene una quota robusta in Chevron (25 miliardi), che i fondi ESG avevano scaricato. Infine, non ha fatto nessun investimento significativo  in green tech né ne ha mai parlato", e lo hanno appreso da poco altri personaggi "de passaggio" come Larry Fink, quello di Blackrock, che "dopo aver gonfiato la bolla ESG, nella sua lettera annuale 2025 non ha usato le parole “net zero”, “sostenibilità”, “ESG”. Ha parlato piuttosto di «energy pragmatism», dicendo persino a marzo scorso che “il pendolo era oscillato troppo a sinistra”. «Fermiamoci un attimo. Chiariamo subito che il gas giocherà un ruolo importante negli Stati Uniti per decine di anni. Forse 50 anni»".

Pensa che a me lo aveva detto tre anni fa un amico che verrà al #goofy14...

Perché tanta simultanea resipiscenza?

Beh, per due fattori concomitanti: l'ondata di fallimenti delle aziende grìn, che ha fatto decine di migliaia di disoccupati diretti (cioè escluso l'indotto) negli ultimi due anni, e la fine del reddito di transumanza, cioè dell'illusione di poter gonfiare per sempre di sussidi la bolla grìn, come del resto si è dovuto dismettere l'illusione di poter gonfiare di sussidi la panza degli indivanados. La seconda cosa spiega la prima e la prima la seconda: se l'inefficienza è troppa, il sussidio diventa suicidio, e se il suicidio scompare, l'inefficienza chiede il conto.

Alla fine il conto è arrivato, e ora andiamo a divertirci con chi non vuole prenderne atto...

lunedì 27 ottobre 2025

Mettetevi d'accordo!

(...terminate le correzioni del disco inciso a Pizzoferrato nel novembre scorso: già due case discografiche si sono interessate, io non sono un buon giudice del mio lavoro, se pure per motivi opposti a quelli che si potrebbero presumere, cioè perché dopo averlo ascoltato e riascoltato lo odio, e sono quindi molto curioso di vedere che cosa ne penseranno orecchie terze. Una copia omaggio è per il noto operatore informativo, gli sarà recapitata in busta verde...)

(...anniversario di matrimonio, il secondo, perché il tempo passa, a Venezia. Gli sparuti italiani diluiti fra i turisti mi riconoscono. Alla cassa del nostro ristorante preferito il cameriere, molto giovane, mi fa: "Io sono cresciuto ascoltando la sua intervista su byoblu!" E io, serafico: "È ancora attuale, i problemi restano quelli e ci stiamo lavorando." La sensazione è che la bolla social, senza la quale non saremmo riusciti a ottenere certi risultati, sia ormai diventata uno specchio deformante e una zavorra. La vicenda dell'art. 68 è stata piuttosto istruttiva. Che da svariate decine di migliaia di follower non si siano riuscite a spremere più di un paio di mila firme credo abbia qualcosa da insegnarci, anche se non so bene su cosa: su quanto di fasullo ci sia nell'engagement social? Su quanto sia impossibile riavvolgere il nastro della storia per restituire agli italiani una Repubblica parlamentare come prevista dalla Costituzione del '48? Il fatto è che sono gli italiani a non volerla, e non si può andare in paradiso a dispetto dei santi, né fare il bene delle persone loro malgrado, contro la loro volontà. C'è un certo grado di mieloso paternalismo à la Padoa-Schioppa nell'accanimento terapeutico con cui si vorrebbe restituire agli italiani il senso di certe istituzioni. Se non lo capiscono, amen! Fatti loro! Non possiamo più di tanto farci carico del compito di farglielo capire, se non fosse che perché questo ci metterebbe in una postura sinceramente spiacevole di superiorità intellettuale. C'è un unico modo sano di condurre le persone ad amare la democrazia e le sue istituzioni, ed è metterle in condizione di averne bisogno. Normalmente solo una guerra in cui muoiano i figli dei ricchi realizza questo miracolo - le Trentes glorieuses non sono susseguite al Secondo conflitto mondiale per un accidente del destino, ma perché funziona così. La nostra aspirazione a impedire che la SStoria faccia il suo gramo ma indispensabile lavoro unisce al paternalismo stantio degli aguzzini fondatori un certo titanismo romantico del quale dovremo imparare a fare a meno. Le cose vanno come devono andare, l'individuo farà pure la differenza, ma c'è anche chi la pensa in un altro modo:

e non è detto che abbia torto, quindi, nel dubbio, evito di farmi il sangue marcio e tiro dritto ad accumulare capitale sociale e relazionale. La gente che ci ferma per strada per ringraziarci è più di quella mandata nella cloaca a infangarci, e, soprattutto, è gente che ha una vita. Questo, come incoraggiamento, è più che sufficiente, insieme al fatto che al #goofy saremo quanti eravamo nel 2016...)

Due giorni fa è successa una cosa divertente e istruttiva. In bella simmetria, mentre sulla carta stampata uno dei tanti monatti mi dava del "malpancista":


(io sarei uno dei "colonnelli" di via Bellerio che istigano il "Capitano" contro il generale Giorgetti, mi par di capire...), seguendo una linea ormai consolidata, come quella che due giorni prima aveva spinto un altro pregiato esponente della nostra stampa che il mondo ci invidia, che per una volta non avevo scansato (dopo la scorrettezza che mi aveva fatto nel 2018, in effetti, lo tengo lontano dalle mie narici, e vedo che devo ricominciare a non salutarlo...), a dire che dopo il discorso della Meloni:


mentre cioè la carta stampata mi sospendeva, come al solito, per eccesso di "sovranismo" (parola inutile e dannosa, ma non torno su questo), nella cloaca social un altro pregiato operatore informativo se ne usciva con l'argomento uguale e contrario:

secondo cui io sarei l'irrilevante e remissivo voltagabbana, subalterno a Giancarlo cui mi sarei consegnato, da sconfitto, vendendomi ai poterifortih! Una sorta di character assassination inversa, dove il velen dell'argomento sarebbe non che io (o Borghi) creiamo instabilità finanziaria, ma che non ne creiamo abbastanza (con il sottinteso grillino, che tanta presa ha sulle anime semplici, di voler restare attaccati alla poltrona - della quale sapete quanto me ne freghi!).

Questa seconda narrazione, a dire il vero più innovativa, era visibilmente coordinata. A uscirsene con lo spezzone di Inside24:

in cui spiego che abbiamo capito come funziona sono stati diversi simpatici influencer, che probabilmente pensavano di mettermi in imbarazzo, ma sono solo riusciti a far capire a chi può capirlo (escluderei quindi sabrysocialisti, filosofi grillini e "treider"...) qual è il nervo scoperto del potere (e soprattutto chi sta lavorando per il potere).

Quello che li manda in bestia è che, come loro sanno benissimo, l'antagonismo distruttivo fra me (che poi conto il giusto, quindi diciamo fra Salvini) e Giancarlo è una loro invenzione, che lavoriamo insieme, che abbiamo apprezzato le parole, peraltro superflue, con cui alla prima riunione dopo la formazione del Governo nel 2022 Giancarlo, che è una persona spiritosa, ci esortò scherzando a non fargli fare la fine di Liz Truss (persona con cui nel frattempo ho avuto il piacere di confrontarmi, apprendendo che tutto il mondo è Paese), e che quindi siccome né noi eravamo pazzi come ci dipingevano e speravano che fossimo, né Giancarlo conformista e subalterno come lo dipingono e sperano che sia, farci saltare per aria è difficile, e impedirci di cambiare le cose è molto complesso, perché le chiacchiere sugli incrementi di pensione di due euro, o sulla scarsa qualità dei posti di lavoro creati, o sulla svendita delle partecipate di Stato, o sulle mille altre cazzate con cui il sistema piddogrillino cerca di sabotarci, nonostante abbiano molto smercio sui social anche grazie a principi del pensiero come la strana coppia Becchi-Zibordi, alla popolazione non arrivano, perché gli italiani scemi non sono, vedono che il figlio, o, cosa ancora più strana, il padre un lavoro l'ha trovato, vedono che la pensione è aumentata, vedono che il Governo applica il golden power, ecc., e quindi da tanto allarmismo sorci e monatti altro non riescono a conseguire che un effetto rebound, quello che consolida il consenso attorno al Governo, e che li manda in frenetica ansia, perché loro, gli operatori informativi, quelli ufficiali e quelli informali, i monatti della stampa e i ratti della cloaca social, tutto possono permettersi, tranne una cosa: un altro Governo di destra, che si trovi in allineamento con altrettanti Governi di destra negli altri due principali Paesi europei.

Da qui il nice try di farmi perdere il supporto di chi già da anni me lo ha sottratto (a chiacchiere, come a chiacchiere me lo dava): le amanti tradite, come la povera Fiorenza, i famoerpartitisti, gli haitraditisti, e tutta questa schiuma più o meno maleodorante che galleggia sulla cloaca social.

Io ci rido sopra e prendo il buono, che è quello che vi ho detto: se ci accusano simultaneamente di essere sovranisti e giorgettiani, malpancisti e conformisti, due cose emergono nitide: la prima è che in tutta evidenza siamo andreottianamente nel giusto, dappoiché ci vengono mosse accuse simmetriche! La seconda è che gli stiamo finalmente facendo paura, e per fargli paura non era necessario berciare: bastava sorridere! Che il sistema non si regga in piedi è evidente forse anche a loro, e che la transizione gestirla toccherà a noi è il loro incubo peggiore.

Grande è la confusione sotto al cielo, la situazione è eccellente!

(...ci vediamo al goofy: sto svuotando l'agenda per preparare la relazione introduttiva e quella conclusiva. Ci divertiremo e impareremo, come sempre...)

Breve addendum

 (…inutile a chi sia in buona fede, ma anche a chi sia in cattiva fede…)

Visto che la Lega è un partito finito, e considerato che al suo interno io sono comunque irrilevante, e più in generale che come politico non valgo un granché, ma come intellettuale non valgo nulla perché ho rinnegato tutte le mie idee, ragion per cui ove mai questo blog esistesse nessuno lo leggerebbe, aggiungo una rapida postilla didascalica al post precedente, anche per far capire la differenza fra obiettivo tattico e strategico (e quindi per definire una strategia).

Premesso che come qui ben sappiamo noi siamo in una repubblica ultrapresidenziale (definibile come una repubblica presidenziale il cui Presidente è immune da qualsiasi responsabilità politica, cioè totalmente unaccountable, a norma di Costituzione), una e una sola cosa è determinante: che il prossimo presidente della Repubblica non sia organico al PD. Ricordo al colto e all’inclita che nel 2022 la maggioranza parlamentare era di sinistra (un pallottoliere vi aiuterà). Oggi è di destra ed è opportuno che tale resti nel 2027. Per conseguire questo scopo strategico ha ovviamente un senso tattico non affrontare donchisciottescamente quei poteri che hanno dimostrato di saper resistere al cambiamento. Basta girargli intorno, con eleganza. Quando vuoi estrarre un polpo da una buca non tiri: spingi, in modo che lui stacchi le ventose…

Facendomi un giro per la cloaca mi sono accorto che questo semplice principio non viene colto da un’accozzaglia quanto mai eteroclita di personaggi in cerca di editore, che coralmente accusano la Lega (o me) di aver tradito i propri elettori perché “hai detto che volevi uscire dall’euro e oggi dici che la stabilità aiuta”. 

Ora, premesso che io ho sempre detto che sarebbe stato l’euro a uscire da noi e non noi dall’euro, che la proposta cui ho aderito intellettualmente, perché più razionale, è quella del Manifesto di solidarietà europea, che prevede uno smantellamento dell’Eurozona “dall’alto”, in ogni caso io auspicavo il recupero di flessibilità nominale quando eravamo in B come Bagnai:


perché questo (con buona pace dei cretini che non l’hanno capito) sarebbe stato necessario oer evitare la macelleria sociale del PD, oggi tranquillamente ammessa da Draghi, che ci ha portato in D.

Ora però siamo in D, con una posizione competitiva invidiabile, con margine per dare un minimo di respiro ai cittadini (cosa che si sta facendo, anche se gli operatori informativi non ne prendono atto), e con nemici sull’orlo dell’implosione. Avrebbe senso ora creare instabilità finanziaria e quindi politica (perché oggi funziona così) aiutando i nostri nemici esterni e il loro alleato, il nostro nemico interno?

No!

Ecco perché difenderei la manovra di Governo se anche fosse quella che le fake news di piddini, grillanza e zerovirgolisti ci tramandano (ma non lo è).

Ovviamente la cloaca pullula di roditori che queste cose non le capiscono, o fanno finta di non capirle.

Fra i primi metterei senz’altro il filosofo Becchi, che sta alla politica come un capibara sta ai concerti di Vivaldi, e l’economista Zibordi, che sta alla macroeconomia come una nutria sta alla geometria differenziale, ma anche la leggiadra Sabrysocial, che sta a qualsiasi cosa come un cincillà sta alle corse di Wimbledon.

Fra i secondi qualche operatore informativo furbetto, che prima o poi farà un passo falso, e per ora si limita a cercare di farli fare a voi.

Noi sappiamo dove vogliamo arrivare, ve lo abbiamo detto, e vi abbiamo dimostrato di riuscire a far passi in quella direzione anche in un contesto complesso come quello dell’attuale legislatura: non solo il voto contro la ratifica del MES, non solo il rifiuto di aderire al Trattato pandemico, ma anche il voto di FdI contro la von der Leyen e la dichiarazione del premier contro il voto a maggioranza non ci sarebbero stati senza la pressione della Lega (che naturalmente ha preso queste decisioni contro la mia volontà, perché io ho tradito ma per fortuna sono irrilevante, come qualche cappone starnazza e troppi polli credono…).

Liberi voi di sostenerci, o di andare dietro al PD e alla sua corte dei miracoli di nani, ballerine… e trombettieri! Le cose andranno comunque come devono andare, con o senza di noi, ma soprattutto senza di loro!

Buonanotte!

sabato 25 ottobre 2025

L'indipendenza della Banca centrale dal Governo è dipendenza del Governo dal debito

Oggi Adam Tooze annuncia nella cloaca una cosa che qui sappiamo benissimo:

perché ne abbiamo parlato a più riprese, l'ultima volta qui: pare che l'Economist si sia accorto da alcuni giorni di una cosa di cui qui ci eravamo accorti da alcuni anni, cioè che l'indebitamento del settore pubblico nelle economie avanzate ha superato i livelli raggiunti alla fine della Seconda guerra mondiale, e viaggia verso quelli immediatamente successivi alle guerre napoleoniche. Tooze è fra i meno peggiori degli economisti "social", nulla a che vedere con la feccia nostrana, seguirlo è interessante ma non è gratis, e il fatto che dobbiate dargli l'obolo per sapere dopo (via Substack) quello che qui avete saputo prima (via Blogspot) rafforza l'argomento di Vladimiro a ogni riunione del comitato scientifico di a/simmetrie, quando io porto avanti l'idea di invitare qualche relatore estero.

La controdeduzione di Vladimiro è sempre la stessa: "Perché? Perché dovremmo spendere soldi per invitare qualcuno che al massimo può dirci dopo cose che sapevamo da prima?"

In effetti, non c'è (più) un perché.

All'inizio poteva anche avere una funzione di accreditamento scientifico, di consolidamento di una certa forma di prestigio intellettuale, ma l'esposizione politica sbriciola qualsiasi velleità di condurre un discorso rigoroso sul piano delle idee: all'interlocutore basta dire #quarantanovemijoni (o in alternativa: #haitradito) e il dibattito finisce lì! Se quindi vogliamo continuare il nostro percorso intellettuale possiamo farlo senza illuderci che brillare della luce riflessa di pubblicazioni o ospiti internazionali sia di qualche aiuto nell'affermare la validità delle nostre tesi presso un pubblico intellettualmente e culturalmente sprovveduto di mezzi, o più semplicemente in malafede (esempi nel post successivo, se me ne ricordo). Le nostre tesi prevarranno nel dibattito pubblico quando avremo la forza per farle prevalere o quando i nostri avversari si schianteranno contro il muro delle loro contraddizioni, ed entrambe queste soluzioni richiedono tempo. Fino a quel momento è piuttosto inutile sforzarsi di avvalorare con operazioni di consenso (come invitare l'economista o il commentatore prestigioso che dice dieci anni dopo quello che dicevamo dieci anni prima) tesi che sono comunque corrette perché radicate nella teoria economica e nell'evidenza empirica. In sintesi: se oggi qualcuno non ha ancora capito che cosa sia l'euro, il problema è suo e non nostro. L'idea che si sarebbe dovuto fare un grande sforzo divulgativo per costruire consapevolezza nella maggioranza dei cittadini e quindi procedere in modo democratico verso il Sole dell'avvenire dell'autodeterminazione dei popoli si è rivelata una scemenza. Questo blog è stato uno degli esperimenti di divulgazione più giganteschi e riusciti, almeno a giudicare dai risultati:


(qui), ma questo non è servito a evitare che quando si è andati a votare gli italiani abbiano deciso di dare forza a un partito di cui fin dal 2012 vi avevo spiegato la natura di gatekeeper e di cui nel 2016 vi avevo predetto che si sarebbe alleato col PD, il partito "decisivo" per l'elezione della von der Leyen! Solo per chiarirvi che la visione illuministica della "veritah" che si autoimpone e innesca un processo virtuoso, se e in quanto possiamo averla nutrita, possiamo tranquillamente riporla nel cassetto (o appallottolarla e gettarla nel cestino): semplicemente, non funziona così!

Proseguo quindi con chi c'è il discorso non perché mi aspetti che illuminare qualche coscienza possa in qualche modo alterare l'inevitabile corso degli eventi (che, come dissi dalla mia prima apparizione televisiva, prevede necessariamente una fine traumatica del progetto europeo e in particolare dell'euro), ma semplicemente perché può essere di conforto a qualche sparuto lettore, lo può aiutare a capire quando e come mettersi in salvo, e più in generale che cosa aspettarsi dal domani.

A questo proposito, vi dico (gratis, a differenza di Tooze) qual è il messaggio che il grafico dell'Economist (cioè il nostro grafico di qualche mese fa) convoglia: semplicemente, che l'indipendenza della Banca centrale dal Governo è in re ipsa dipendenza del Governo dal debito pubblico. Questo perché, come vi ho spiegato più dettagliatamente qui, il mondo delle banche centrali indipendenti è un mondo di alti tassi di interesse reali (per domare l'inflazione) e di alti avanzi primari, cioè di bassa crescita (per tenere sotto controllo il debito pubblico), cioè un mondo in cui il debito tende a crescere, o a non decrescere, per via del cosiddetto snowball effect:


Quando il tasso di interesse reale r è maggiore del tasso di crescita reale n la variazione del rapporto debito/Pil d è positiva a meno che non si abbia un avanzo primario a così elevato da controbilanciare la "palla di neve" data dal costo degli interessi (r-n)d. Ma se a cresce, n cala e il sistema si avvita ahimè su se stesso. Quello che la teoria economica ci dice è questo, e ci spiega perché la storia, a sua volta, ci racconta che picchi debitori come quello che abbiamo raggiunto possono essere superati solo in tre modi: default, iperinflazione (che è un'altra forma di default), o crescita moderatamente inflazionistica in un regime di cosiddetta "repressione finanziaria" (cioè dipendenza della banca centrale dal Governo, cioè finanziamento monetario della spesa per investimenti pubblici, e controllo dei movimenti internazionali dei capitali). Sono cose che qui abbiamo spiegato nel lontano 2013 e che, non ne dubito, presto verrà qualcuno dall'estero a spiegarci autorevolmente (con quindici anni di ritardo, verso il 2028).

A questa spiegazione del grafico riesumato da Tooze aggiungo tre considerazioni, di cui l'ultima si riaggancia all'ultimo post, quello sull'austeritah che questo brutto Governo fasheesta starebbe facendo (e non dico certo che stia facendo politiche espansive, ma...).

La prima è una considerazione di scenario: a noi che cosa toccherà fra default, iperinflazione e repressione finanziaria? Il default lo escludo, in mancanza di un conflitto di rilevanza mondiale (normalmente, la bancarotta viene imposta dai vincitori ai vinti), e la stessa cosa direi per l'iperinflazione. Quello che penso arriverà, a seguito della deflagrazione delle contraddizioni interne dell'Eurozona, è una seconda ondata di "repressione finanziaria" mascherata: una monetizzazione del debito più o meno accompagnata da una certa tolleranza verso un ambiente moderatamente inflazionistico, che è quello verso cui la transizione energetica naturalmente ci conduce. Insomma, una specie di quantitative easing rafforzato che consenta di diluire i debiti. Se invece si dovesse proseguire con la "cultura della stabilità", le tensioni del sistema crescerebbero oltre misura, e allora ci si avvierebbe all'esito traumatico.

Seconda considerazione: Trump sembra aver messo nel mirino l'indipendenza della Banca centrale. Questo ne fa "uno di noi"? No.

(...se interessa la risposta lunga, datevela o chiedetemela nei commenti...)

Terza considerazione, che parte da una potenziale obiezione: "Ma come! Ma se nel post precedente ci hai detto che l'avanzo primario non è correlato alla crescita per avvalorare la tua tesi che le querimonie dei piddini sull'austerità sono infondate! Ora invece, per avvalorare la tua tesi che è l'indipendenza della Banca centrale, con le politiche di rigore che comporta, a far crescere il debito, ci dici che l'effetto snowball aumenta perché imponendo alti avanzi primari la crescita reale si deprime! Ma non sei in contraddizione? Ma allora sei una banderuola e naturalmente #haitradito!"

Ecco, no, non è esattamente così! Quello che vi ho fatto vedere nel post precedente è che quanto sia restrittivo un avanzo (o espansivo un disavanzo) primario dipende anche dalla sua composizione. Per spiegarmi, uso i dati Eurostat, che vi appoggio qui:


e che potete recuperare qui. Da tutti questi dati credo che così, a prima vista, possiate trarre poco, ma vi fornisco una chiave di lettura molto semplice: andiamo ad analizzare come si sono mosse le variabili nei cinque anni successivi agli ultimi due picchi negativi del saldo di bilancio (il -5.1% del Pil nel 2009 e il -9.4% del Pil nel 2020).

La scomposizione è qui:


e con permesso vi guido nella sua lettura.

La correzione di bilancio nel quinquennio 2009-2013 fu di 2.2 punti percentuali di Pil, di cui 2 dovuti a aumento delle entrate e 0.2 dovuti a diminuzione delle spese totali. Attenzione però, perché le spese totali sono date da spese per interessi, più spese per investimenti, più altre spese correnti. Da questo derivano algebricamente due fatti. Il primo è che per controbilanciare l'aumento della spesa per interessi la correzione del saldo primario fu più grande di quella del saldo totale: 2.6 punti percentuali di Pil (2.2 + 0.4: se i conti non vi tornano, bussate e vi sarà aperto). Il secondo è che se gli investimenti diminuirono di -1.1 ma gli interessi aumentarono di 0.4, per avere una diminuzione di 0.2 della spesa totale le altre spese correnti devono essere aumentate di -0.2 - (-1.1+0.4) = 0.5.

Detto in sintesi, la stagione dell'austerità quella vera (come i #sovranistiquelliveri forse non sanno) fu caratterizzata da un aumento monstre dell'imposizione fiscale (ricordate l'IMU?), da una diminuzione fuori scala degli investimenti pubblici (ricordate il post precedente?), appena mitigata da una moderata espansione della spesa corrente. I 2.6 di saldo primario in più erano per quasi metà investimenti pubblici in meno.

La correzione di bilancio post-2020 ha una struttura (e anche un'entità) totalmente diverse. In particolare, e tenendo insieme tutti i Governi Conte II, Draghi e Meloni, la correzione di bilancio è stata di 6 punti, di cui 6.4 dovuti a riduzione di spese, mitigati da 0.3 di riduzione delle entrate, con un aumento della spesa per interessi di 0.5 che ha quindi significato una correzione di 6.5 punti del saldo primario. In tutto questo però gli investimenti pubblici sono aumentati di 0.8, e quindi sono le altre spese correnti (aumentate a dismisura nel 2020 per i vari sussidi, sempre insufficienti e intempestivi, ma comunque rilevanti, a mitigazione della pandemia) ad aver subito la correzione maggiore, pari a 7.7 punti.

Ora potrete leggere da voi quello che è successo nel primo biennio del Governo Meloni, considerando la variazione fra 2024 e 2022: una correzione di 4.7 punti del deficit complessivo, che durante il periodo di applicazione della clausola di sospensione generale, cioè fino al 2024, era stato oltre il 4%, causata per 4.5 punti da una riduzione delle spese totali e per 0.3 punti da un aumento delle entrate totali, determinato dall'aumento del tasso di occupazione e dal gettito fiscale conseguente (perché le aliquote sono sostanzialmente rimaste invariate o lievemente ritoccate al ribasso, come si è fatto per il cuneo fiscale e per l'accorpamento delle aliquote IRPEF), con una diminuzione della spesa per interessi di 0.2 e un aumento della spesa per investimenti di 0.6, e quindi una diminuzione delle spese correnti di 4.9.

Credo che si capisca la differenza fra una correzione di bilancio di 2.2 punti fatta per 1.1 da tagli di investimenti, e una correzione di bilancio di 4.7 punti, dove però gli investimenti aumentano di 0.6. Su quanto questo aumento dipenda dal pereperepere (poco) ci siamo intrattenuti qui e ci torneremo a conti fatti.

Quindi questo significa che va tutto bene? Ma no, naturalmente no: ho scritto due libri e 2715 post (con questo 2716) per spiegare che e perché non va tutto bene. Significa solo che dovreste evitare di dar retta alle spiegazioni dei piddini, degli zerovirgolisti, degli operatori informativi, delle amanti tradite di varia estrazione e provenienza, perché non vi aiutano a capire che cosa è successo. Certo che non va bene così! Certo che sarebbe meglio poter disporre di spazi di bilancio più ampi! Certo che quando l'euro imploderà avremo molti gradi di libertà in più e la Germania dovrà assumere su di sé, anziché scaricare su di noi, le sue contraddizioni! Questo è ovvio e resta sempre lì, nei libri di testi e nei dati.

Ma...

Ma se non siete dei piddini o dei "sabrysocialisti", credo possiate rendervi conto che fare casino come nel 2018 in un momento in cui i nostri fondamentali macroeconomici sono favorevoli, Francia e Germania non possono più nascondere le proprie vergogne, e all'orizzonte si intravede una gigantesca crisi debitoria, non ci aprirebbe, ma ci chiuderebbe spazi di bilancio! Vi immaginate una crisi dello spread, e quindi non un -0.2 ma un +0.4 di spesa per interessi (dati illustrativi), con ulteriori richieste e condizionamenti sulle nostre scelte per il proseguimento della procedura di infrazione, ecc.? Questo film lo abbiamo già visto, non ci è piaciuto, e sappiamo come cambiare canale: questo è quello che ai nostri nemici dà fastidio, non è sufficientemente chiaro? La strada che si sta tenendo è quella giusta, ed è per questo che i nostri nemici sono nervosetti: perché noi stiamo facendo meglio di loro e senza distruggere il Paese quello che loro hanno fatto in modo goffo e distruttivo: muoverci all'interno di un quadro che è assurdo e tale resta, ma che probabilmente non avremmo avuto la forza di sovvertire nemmeno se chi si lamenta non avesse votato (e non continuasse a votare) massicciamente per i gatekeeper.

Smettetela ordunque di farvi raccontare il mondo dai giornali: avete qui l'opportunità di leggere i dati! E quanto alla trollanza di varia estrazione, lasciatela ragliare. Sì, certo, io ho tradito: vi ho detto che vi avrei portato da solo fuori dall'euro in una notte e ora sono un vile giorgettiano che ha venduto l'anima a Soros e a Big Pharma! In realtà non è successa né l'una né l'altra cosa: queste cose sono successe solo nel racconto dei vostri nemici, ed è utile che vengano dette, perché così riuscite a individuarli meglio.

Tutto qua...

domenica 19 ottobre 2025

Il ritorno dell'austeritah?

La legge di bilancio è ormai definita, il testo ancora non l'ho visto ma so che c'è ciò su cui mi ero impegnato (e avendomelo detto una fonte autorevole non mi sono troppo sbattuto a cercare bozze: sufficit diei malitia sua), nel giorno stesso della conferenza stampa il Governo è stato promosso da una agenzia di rating, DBRS, che ci ha assegnato la A, riportandoci al rating antecedente alla crisi cosiddetta "dei debiti sovrani" (quella che noi qui nel 2011 e er Piroetta nel 2015 individuammo come una crisi di debito estero, ma lasciamo stare...).

Piddini e sovranistiquelliveri strepitano all'unisono: "è tornata l'austeritah!" I sovranistiquelliveri, a partire da Thelmo e Louiso, accompagnano questa sentenza uggiolando la piagnucolosa lamentazione della mulier derelicta: "Bagnai ha traditoh!"

Questa insolita corrispondenza di amorosi nonsensi fra i subumani (piddini e sovranistiquelliveri) non dovrebbe stupirci, atteso che i secondi sono gli (a giudicare dai risultati non troppo) utili idioti dei primi. Ormai lo abbiamo capito, almeno lo ha capito chi poteva capirlo. Quelli che "però Thelmo e Louiso dicono le cose come stanno!" li lasciamo al loro esito naturale (la pattumiera della storia), regolandoci come meglio ci aggrada sotto il profilo umano (o subumano). Alcuni sono miei amici cari, di cui capisco la frustrazione, e quindi li perdono. Altri non li ho mai cagati considerati, e non vedo particolari incentivi per cominciare a farlo proprio adesso.

Al netto di questo elemento soggettivo, prima di dormire vorrei scrivere due righe al volo sui profili oggettivi della vicenda. Che cosa ci dicono i dati? Dire che "l'austerità è tornata" e quindi "il governo sta uccidendo la crescita" è fare una coraggiosa testimonianza di impegno civile, o è dire una solenne stronzata?

Apro e chiudo una parentesi che sul coraggio civile di chi ha un brillante futuro politico dietro le spalle (Thelmo) o di chi non ha nessun futuro davanti a sé (Louiso) avrei qualcosa da eccepire: forse era un po' più coraggioso un certo docente di economia che sotto concorso prese di petto l'hidalgo de la Sierra e "er Piroetta": sicuramente aveva molto da perdere e poco da guadagnare, a differenza dei sullodati, che nulla hanno da perdere, e hanno visibilità da guadagnare (la visibilità che il sistema presta a chi ostacola chi vuole cambiare le cose), ma non entro in simili valutazioni (sarebbe veramente consolante non doverci entrare, non doversi addentrare nell'ovvio, ma se non dovessimo entrarci, probabilmente non saremmo entrati neanche nell'euro).

L'argomento dei gemelli diversi (i piddini e i sovranistiquelliveri) sembra essere: il Governo fascista farà l'austerità perché ha detto che farà avanzi primari, che com'è noto manganellano la crescita.

Può darsi, ma perché non andiamo a vedere che cosa è successo storicamente?

Questa è la serie della crescita reale e del rapporto fra saldo primario e Pil in Italia dal 1992 (Trattato di Maastricht e svalutazione della lira) a oggi:

(fonte: WEO), e sì, lo vedete anche voi: la correlazione fra le due serie, invece di essere robusta e negativa (cioè: quando l'avanzo primario va su, la crescita va giù, e viceversa), è debole e blandamente positiva, a 0.09, a indicare che quando l'avanzo va su, la crescita va pure lei un pochino su. Per capire meglio che cosa è successo filtrando le variazioni congiunturali possiamo analizzare le medie prese su periodi che abbiano un minimo senso economico:


dove i periodi sono 1992-1998 (stipula del Trattato di Maastricht e avvicinamento all'euro); 1999-2007 (dall'entrata nell'euro all'inizio della crisi finanziaria); 2008-2011 (crisi finanziaria); 2012-2019 (austerità); 2020-2022 (pandemia); 2023-2025 (fasheesmo). La correlazione in questo caso ha il segno giusto:


(negativa, non significativa), ma resterebbe da capire qualcosina. Ad esempio: come mai nel periodo di preparazione all'euro e nei primi otto anni di unione monetaria abbiamo avuto la stessa crescita (1.5%), nonostante che l'avanzo primario diminuisse dal 3.1% al 2.1% del Pil? E come mai nel periodo della pandemia con un saldo primario del -5.3% abbiamo avuto una crescita sostanzialmente identica a quella dei due periodi sopra menzionati (1.6%), anziché avere una crescita stellare? Ma soprattutto, come mai nel periodo dell'austerità, della crescita zero, l'avanzo primario era all'1.5%, cioè la metà di quello che avevamo negli anni '90 in cui però la crescita era all'1.5%?

Non sto dicendo, naturalmente, che una politica di bilancio più espansiva danneggi la crescita. Sto solo cercando di far capire che ci sono più cose fra il bilancio pubblico e la crescita di quante ne sogni la filosofia del piddino! Sto cercando di far capire, insomma, che nel ragionamento dei gemelli diversi mancano almeno due ordini di considerazioni: primo, la spesa pubblica primaria netta è solo una delle componenti autonome, esogene, della domanda aggregata (l'altra essendo, tipicamente, la spesa dei non residenti per l'acquisto di beni prodotti dal Paese, cioè le esportazioni); secondo, oltre al volume della spesa (netta) conta anche la sua composizione. L'argomento secondo cui "il Governo sta facendo macelleria sociale perché ha detto che porterà l'avanzo primario all'1,5% nel 2027" mi sembra un po' deboluccio, in ogni caso, atteso che con un avanzo primario doppio, intorno al 3%, il nostro Paese ha sperimentato una crescita doppia rispetto a quella dello scenario programmatico del DPFP:


Riflettiamo un attimo: qual è la componente di spesa che, come tutti sappiamo, contribuisce in modo più significativo alla crescita? Gli investimenti, cioè la formazione di capitale fisso, cioè l'acquisto di beni produttivi. Quelli delle imprese si rivolgono a macchinari, attrezzature, capannoni industriali e mezzi di trasporto. Quelli pubblici, viceversa, sono principalmente infrastrutture. La contabilità nazionale riporta queste spese al lordo e al netto degli ammortamenti di contabilità nazionale:


cioè della perdita di valore dovuta al deperimento dei beni capitali (usura, obsolescenza, ecc.). Ovviamente questo "ammortamento" non va confuso con quello quello finanziario/contabile dei bilanci aziendali, pur essendo strettamente affine ad esso. Nel caso del capitale fisso pubblico (le infrastrutture), l'ammortamento è il deperimento conseguente a mancata manutenzione, la distruzione di infrastrutture derivante dal fatto che non metti soldi nel loro mantenimento in efficienza. Un investimento pubblico netto pari a zero mantiene intatto lo stock di infrastrutture esistenti (tutti i soldi spesi in infrastrutture vanno in "ammortamento", cioè compensano il deperimento dell'infrastruttura), un investimento pubblico netto positivo aggiunge infrastrutture a quelle esistenti, un investimento pubblico netto negativo indica che nel Paese sono stata distrutte o ammalorate infrastrutture.

Ci siamo?

Allora diamo un'occhiata qua:


Questo è un grafico molto utile da far vedere ai cretini che "l'Italia non ha fatto austerità!". Nel nostro Paese fra il 2012 e il 2022 l'investimento pubblico netto (fonte: AMECO) è stato pesantemente negativo, unico caso fra i tre grandi dell'Eurozona. Ora, se ci fate caso, questo fatto stilizzato "fa scopa" con un altro fatto stilizzato rilevante, quello di cui abbiamo parlato tante volte a partire da qui:


Il periodo in cui la crescita italiana si stende corrisponde largamente a quello in cui l'investimento pubblico netto prima precipita verso lo zero e poi diventa negativo. Dal 2012 al 2022 (l'intervallo in cui l'investimento pubblico netto è stato negativo) il saldo di bilancio primario è stato in media di -0,3% del Pil (blando deficit), ma la crescita si è arenata totalmente.

Volendo quindi astrarre dalla complessità del reale per concentrarci su un unico indicatore della fiscal stance, direi che per quanto preoccupa noi (la crescita di lungo periodo) gli investimenti pubblici netti sono ovviamente una variabile di gran lunga più significativa: lo evidenzia l'allineamento fra due fatti stilizzati maggiori, ma soprattutto lo evidenzia il buon senso: un Paese senza infrastrutture (strade, scuole, ospedali) non cresce.

A titolo informativo, allargo un po' il quadro:


per farvi vedere chi ha fatto austerità (i PIGS), chi ne ha fatta di più (noi), chi non ne ha fatta per niente (la Francia, ma mo je tocca). Può essere utile, ai nostri fini, rappresentare questi dati in un altro modo, facendo la cumulata dell'investimento pubblico netto al tempo dell'austerità (2012-2022), e al tempo del fasheesmo (2023-2025):


Portogallo, Italia, Grecia e Spagna hanno tutti accumulato investimenti pubblici netti negativi (distruzione di infrastrutture pubbliche) nel periodo dell'austerità (2012-2022), ma solo in Italia questa distruzione di infrastrutture pubbliche ha raggiunto la cifra impressionante di 100 miliardi di euro di infrastrutture in meno!

Questa è la parte tragica della storia.

Poi c'è la parte comica: dall'avvento del fasheesmo (quindi nel triennio 2023-2025) l'Italia ha accumulato più infrastrutture pubbliche (cumulata degli investimenti pubblici netti positiva) di qualsiasi altro Paese europeo, incluso quello che finora si è bellamente fatto i cazzi suoi, e che ora ne pagherà il salatissimo conto (la Francia).

Voi direte: "Beh, ma questa evidenza statistica è rassicurante (relativamente, perché in tre anni abbiamo accumulato solo 70 miliardi di investimenti pubblici netti, cioè di nuove infrastrutture, quindi non abbiamo rimpiazzato tutte quelle distrutte durante l'austerità): perché dici che è comica?"

Perché non so voi, ma io trovo comico che le facce di merda bronzo che in dieci anni si sono fumati cento miliardi di capitale infrastrutturale pubblico per obbedire ai diktat dei bancarottieri seriali di Bruxelles vengano, ora che sono stati neutralizzati dal vostro voto,  a fare la lezioncina sui benefici delle politiche di bilancio espansive, vengano ora a puntare il ditino lanciando accuse di deriva neoliberista, a chi in soli tre anni ha realizzato nuove infrastrutture per 70 miliardi!

Voi no?

Si vede che non avete un senso dell'umorismo molto sviluppato, oppure, visto che molti di voi li conosco, e sono spiritosi, si vede che non sapete ancora abbastanza di contabilità nazionale da capire quanto vi prenda in giro la propaganda piddina.

Bene: da questa sera ne sapete un po' di più. Spero che questo vi aiuti ad apprezzare la comicità del momento, e a capire dove guardare per apprezzare l'intonazione espansiva o restrittiva di una politica di bilancio. Sempre che non abbiate ancora capito, dopo quindici anni di assidua e faticosa paideia, chi sia a mentirvi, perché ha interesse a farlo: Thelmo, Louiso, e il PD.


(...però Thelmo parla veramente bene! Pensate, l'altra sera ha perfino detto che l'euro è un problema per la crescita dell'economia europea!...)

(...ci sarebbe anche da fare un commento sulle parole miserabili di chi dopo aver messo su l'armata Brancaleone dei fact checker, relitti umani senza arte e con troppa parte, viene ora ad accusare il fasheesmo di aver represso la libertà di espressione. Ma quelle le affido per oggi a un giudice più giusto di noi...)

mercoledì 15 ottobre 2025

Quelli che...

Oggi intervengo all'assemblea delle due Confindustria di Lecco-Sondrio e di Como, con le conclusioni del presidente della Confindustria nazionale, Orsini.

In quattordici anni di dibattiti pubblici sono stato guidato da due principi ispiratori: divertirmi (e quindi, in particolare, non ripetere mai lo stesso discorso, e non leggere da un foglio di carta, con alcune notabili eccezioni), e essere utile agli altri. Si pone quindi la domanda di come sia possibile essere utili con delicatezza a una platea di 800 PMI del Nord, di come avvicinare queste imprese, senza strappi e senza forzature, a quel "Folagra moment":


da cui non potrebbero che trarre beneficio. L'unica certezza riguarda cosa non fare: esattamente quello che farebbe un Trombetta o un altro consimile zerovirgolista: rimproverare all'eletto consesso le evidenti cantonate prese nel corso degli ultimi quindici anni! Bisognerà pur tirare una linea e cominciare ad accompagnare, anziché continuare a recriminare, ora che la rapida evoluzione delle posizioni del mainstream ci suggerisce che certe lezioni sono state apprese, almeno da chi era in condizioni di apprenderle. Vale infatti sempre il principio secondo cui:


Il successo del nostro Paese, successo, s'intende, in termini relativi (tanto per chiarire subito un equivoco: non recupereremo mai lo sfregio fatto alla nostra crescita dalle politiche di Monti-Letta-Renzi), ha del miracoloso non solo per quelli che, imbesuiti dalla propaganda anti-italiana, hanno interiorizzato la solfa del "sistema Paese" inefficiente e improduttivo per colpa delle PMI che non vogliono crescere (fra questi, duole dirlo, molti imprenditori...), ma anche e soprattutto per chi, come noi, sa in quale quadro informativo sistematicamente distorto migliaia di imprenditori abbiano dovuto quotidianamente decidere come posizionarsi, quali scelte strategiche fare. Come siano riusciti a sopravvivere e a crescere tanti imprenditori sopraffatti da mitologemi privi di fondamento e significato resta per me un mistero! Le spiegazioni possono essere svariate, e quella vera forse è una loro combinazione convessa: forse alcuni imprenditori credono più ai loro occhi che ai loro giornali; forse, da macroeconomista, sopravvaluto l'effettiva rilevanza per le decisioni aziendali dell'avere un quadro macroeconomico corretto; o forse, se oltre ad avere istinto, la nostra classe imprenditoriale avesse avuto una visione equilibrata degli scenari macroeconomici, i risultati del Paese sarebbero migliori di quelli dei partiti "sovranisti quelli veri", cioè migliori dello zero virgola (abbiamo comunque visto che ex post l'ISTAT, il migliore amico dell'uomo che vuole informarsi sull'economia, ci ha confermato che nel 2023 eravamo arrivati all'uno virgola, e confido che ci torneremo).

Certo, esattamente come io da macroeconomista corro il rischio di enfatizzare la rilevanza dell'analisi macroeconomica, va da sé che chi produce (cioè offre) beni tenderà a focalizzarsi esclusivamente sul lato dell'offerta. Aggiungo che se io, da macroeconomista, posso avere (e ho dal 2011) un quadro equilibrato del contributo della Germania alla crescita europea e italiana (un rimorchio, non una locomotiva, e un capitalismo che avrebbe segato il ramo su cui era seduto, come oggi ognuno vede), è assolutamente ovvio che nell'ottica microeconomica della singola impresa del Nord che finora ha prosperato perché inserita nell'indotto di una azienda tedesca che ancora non si fosse suicidata le mie considerazioni sul ruolo complessivo della Germania sono, prima ancora che incomprensibili, eversive.

Come vi ho ricordato più volte, sopra la macchina da cucire di mia nonna Quartina era appesa una targa in legno su cui erano scolpite queste parole della principessa Maria: "Tutto comprendere è tutto perdonare!" Le rilessi con piacevole sorpresa parecchi decenni dopo, avendo deciso di tuffarmi nel flusso potente del Romanzo. Sta di fatto che la comprensione è soggetta a una singolare, sgradevole asimmetria: il cervello, o meglio il tempo per farlo funzionare, può mettercelo chi ce l'ha, il che costringe chi più sa a mangiare più spesso degli altri il metaforico cucchiaino di cioccolata. Vero è che non si può sempre abbozzare pro bono pacis, e che ogni tanto qualche sberla bisogna anche darla...

Per ingannare il tempo, e anche per fare un minimo lavoro di aggiornamento del blog, vorrei passare in rapida rassegna almeno alcuni dei tanti mitologemi che ci siamo dovuti sciroppare, e tuttora dobbiamo sciropparci, utilizzando il database dell'ultimo World Economic Outlook. Chissà, magari qualcuno di questi aggiornamenti di verità per noi ormai banali e ritrite mi tornerà utile più tardi...

Quelli che la Germania è la locomotiva d'Europa

Questa è la madre di tutte le stronzate lievi imprecisioni, ed è in sé una cosa molto tedesca, perché perfettamente conforme al principio di Goebbels: »Wenn man eine große Lüge erzählt und sie oft genug wiederholt, dann werden die Leute sie am Ende glauben.« 

Le cose in effetti stanno così:

Dall'ingresso nella moneta unica la Germania è terz'ultima per crescita, con una crescita media sostanzialmente indistinguibile da quella di un Paese assassinato come la Grecia. Vero è che noi abbiamo fatto peggio, per motivi su cui ci siamo spesso intrattenuti, ed è altresì vero che il contributo di un Paese alla crescita di un'area dipende non solo dalla velocità della crescita, ma anche dalla dimensione del Paese (con calma possiamo fare i calcoli), ma converrete con me che nell'immaginario collettivo la Germania tiene il posto che nei dati è dell'Irlanda! Questo valeva prima della grande crisi finanziaria:


quando la Germania era addirittura penultima (noi sempre ultimi), come era stato all'epoca notato dal saggio De Nardis, e vale ancor più ora che la Germania ha segato il ramo:


(e i terzultimi siamo diventati noi).

Quelli che la Germania cresce perché è competitiva grazie a elevati investimenti

Questa invece è la nonna (cioè la madre della madre) di tutte le puttanate lievi imprecisioni. In realtà, come qui ben sapete (ne parlammo fin dall'inizio), per tutto il periodo antecedente alla Grande crisi finanziaria la Germania è stata il fanalino di coda degli investimenti europei:


Vero è che dopo la scoppola della pandemia, grazie al cospicuo ricorso a fondi extra-bilancio e altre alchimie (o scorrettezze) contabili la Germania si è rimessa in carreggiata:


(noi però siamo sempre sopra), per cui nell'intera era dell'euro il risultato è questo:


Il punto è che nel periodo in cui si sono andati costruendo gli squilibri interni all'Eurozona (1999-2008) la Germania ha costruito il proprio vantaggio competitivo con una politica di repressione, non di promozione, degli investimenti. Si tratta di mera contabilità nazionale, a voi spiegata a suo tempo:

S - I = X - M

per cui se X supera M (esportazioni superiori alle importazioni, bilancia dei pagamenti in attivo) necessariamente I sarà inferiore a S, il che si può ottenere o con tassi di risparmio da società contadina, o con una repressione degli investimenti di cui ancora oggi la Germania paga il fio, come ci ha spiegato il più autorevole dei commentatori economici tedeschi al nostro convegno annuale del 2023:


(ma voi lo sapevate già)...

D'altra parte, è difficile che un eccesso di esportazioni (sulle importazioni) possa essere spiegato da un eccesso di risparmio (sugli investimenti) in un Paese in cui una politica di deliberata repressione salariale da noi più volte illustrata (a partire da qui) ha lasciato in tasca ai lavoratori poco reddito da destinare al risparmio, no? Oggi arriva Draghi lellero lellero a spiegarci che questa race to the bottom salariale è un fenomeno generalizzato dell'Eurozona, è il modo in cui "noi" abbiamo cercato di recuperare competitività (sarebbe la famosa "scossa" di Draghi, per noi che ne parliamo da quindici anni più soporifera che elettrizzante):


Dimentica però di spiegare perché qui da noi l'idea, invero non originale, di fare maggiori profitti pagando meno i lavoratori sia diventata un percorso obbligato: perché da quando l'unione monetaria ha precluso la rivalutazione della valuta dei Paesi in surplus (in particolare, del marco tedesco), l'unica strada percorribile per sopravvivere alle aggressive politiche dei redditi tedesche (le riforme Hartz) era svalutare i salari nei Paesi in deficit (in particolare, in Italia).

Eh già! L'euro lo fa...

Quelli che l'euro ci ha dato stabilità valutaria...

...e anche su questo ci sarebbe molto da dire, ma la cosa più semplice resta sempre accompagnare il vostro interlocutore in questo semplice esperimento concettuale: preso il grafico del cambio della valuta italiana (lira fino al 1999, poi euro) con il dollaro statunitense:

(come si costruisce ve l'ho spiegato qui), individui il candidato il momento in cui il Paese entra nella stabilità conferita dall'euro. Se non siete molto, ma molto del mestiere, individuare quel punto è praticamente impossibile, perché l'euro non è stato particolarmente più stabile della lira rispetto al dollaro. L'unica differenza è che da quando siamo insieme alla Germania, la nostra politica valutaria è soggetta alla necessità dell'industria tedesca di indebolire l'euro per promuovere le esportazioni tedesche (essendosi prima assicurata una fornitura di energia a basso costo dalla Russia). Quindi la volatilità è a spanne la medesima, ma non riflette le caratteristiche o gli interessi della nostra economia, bensì di un'altra...

Quelli che l'euro ha contribuito alla nostra crescita integrandoci nelle catene del valore tedesche

E anche qui qualcosa da dire ce l'avremmo, tant'è che abbiamo perfino creato la categoria del PISL (definita in questo post): il Piccolo Imprenditore Spaventato Lombardo, spaventato ovviamente da Borghi (l'uomo che sussurra allo spread, il volto becero del sovranismo), non dal mellifluo Bagnai (il mediocre clavicembalista, il volto presentabile del sovranismo). Ora, i dati raccontano un'altra storia: l'integrazione, è indubbio, c'è stata in re ipsa. Apro e chiudo una parentesi per evidenziare che i nostri imprenditori continuano a commerciare con Paesi rispetto ai quali il cambio della loro e nostra valuta continua a fluttuare a piacimento della Germania, e quindi non sono dei deficienti incapaci di utilizzare una calcolatrice o di coprirsi dal rischio di cambio! Fatto sta che mentre l'interscambio totale fra Lombardia e Germania è rimasto più o meno quello che era prima:


l'orientamento dei flussi commerciali è cambiato bruscamente:


con un drammatico sprofondamento del saldo commerciale fra Lombardia e Germania verso una posizione di deficit strutturale che sottrae, non aggiunge, alla crescita, non solo per il banale fatto contabile che:

Y = C + I + G + X - M

(per cui se la somma algebrica dei due ultimi addendi è negativa, il Pil Y è più basso di quanto potrebbe essere se fosse bilanciata), ma anche per il fatto economico che un deficit commerciale è domanda che si rivolge al mercato estero anziché a quello interno, e che quindi in quello, anziché in questo, genera crescita.

Segare il ramo

D'altra parte, che lo scopo del gioco non fosse l'integrazione lo si capisce anche da un altro grafico, che non credo di avervi mai fatto vedere: quello della composizione percentuale dell'export tedesco per destinazione:


Come ognuno vede, tranne chi non vuole vederlo, l'ingresso nella moneta unica non ha aumentato la percentuale di esportazioni verso l'Unione a 27. Viceversa, le politiche di austerità l'hanno fatta drasticamente diminuire. E per forza! La "strategia deliberata volta a ridurre i costi salariali gli uni rispetto agli altri, combinando ciò con una politica fiscale prociclica" ha distrutto la domanda interna del mercato unico, il che ha costretto la Germania a rivolgersi ad altri mercati, con una riduzione strutturale della quote europea nel suo export che dal 57% del 2007 scende rapidamente al 48% del 2013 e rimbalza poi lentamente per attestarsi attorno al 51% attuale. Il metaforico ramo su cui la Germania era seduta, per capirci, era l'area azzurra. L'area arancione comprende il Paese che sta reagendo coi dazi alla svalutazione competitiva dell'euro.

Concludendo

Vorrei sperare che questo sia patrimonio acquisito per la nostra bella d'elettori famiglia e di lettori, ma ci credo poco. Quelli che quando mi incontrano non sanno dirmi nemmeno come si chiamano difficilmente sapranno dire all'average Joe piddino come stanno le cose. L'importante, ricordate, è desistere. Non ha senso rovinare una cena in famiglia, più di quanto ne avrebbe rovinare un importante convegno. La pietà umana, e l'intelligenza tattica, comandano di lasciare che certe verità trovino da sole la propria strada e i propri evangelisti! Oggi Uva è uno di noi, e questo deve allietarci (oltre a esilararci). E ora rispondo ai messaggi che non saranno mancati, mentre mi concedevo questo breve momento di approfondimento e condivisione con voi...


(...il dato controintuitivo della settimana è che sono guarito in modo assolutamente inatteso dalla brutta contusione che mi ero fatto. Mi ero messo d'accordo con un pastore di Pizzoferrato per salire al Monte Lucino dal Culo dell'asino - toponimo che le carte pudicamente non riportano - scendendo dalla Cuccagna. Visto da giù sembrava abbastanza tranquillo. Fatto sta che abbiamo dovuto arrampicare per un centinaio di metri di dislivello, tant'è che all'imbocco del primo canalino a me era già passata la fantasia, ma avendo disturbato una persona non potevo dirgli: "Scusa, torniamo a casa perché ho le vertigini!" Mi sono quindi attenuto a due sagge massime: non guardare indietro, cioè giù, e arrampicare con le gambe, cioè privilegiando la spinta alla trazione. La cresta, poi, sottile e tutta sbreccata, mi ha regalato altre emozioni, sicché fino al momento di rimettere piede su qualcosa di simile a un sentiero a tutt'altro avevo da pensare che al mio costato. Che ero guarito me ne sono accorto poi, mettendomi a letto. Nessun dolore. Chissà se Lascienza ha una spiegazione per questo strano fenomeno? In ogni caso, come ho detto su FB: non andateci da soli!...)

martedì 14 ottobre 2025

476


(...ma c'è ancora - poco - posto...)

sabato 4 ottobre 2025

55 anni di salari italiani trimestrali

Dal mio letto di dolore proseguo l'operazione di spietramento delle mie calzature.

Oggi torno su un tema che qui abbiamo affrontato più volte, e che quindi voi, ma solo voi, in Italia conoscete bene: quello della dinamica salariale nel nostro Paese. La motivazione principale per tornare su questo argomento risiede nella lista di oscene stupidaggini che trovate in commento a questo mio post su Facebook. Non mi riferisco, sia ben chiaro, alle espressioni di dissenso rispetto alla mia valutazione politica, che dovrebbe esservi anch'essa ben familiare, e che in estrema sintesi potrebbe essere riassunta così: staremmo meglio se i sindacati facessero, e soprattutto avessero fatto, i sindacati (difendendo i salari), invece di fare i partiti politici (difendendo l'Unione Europea). Naturalmente per chi, come voi, capisce che questi due obiettivi (salari e Unione Europea) sono incompatibili (per i motivi ultimamente espressi anche da Draghi, cioè perché l'Unione Europea costringe a farsi concorrenza sui salari), questa mia affermazione è banale e scontata.

Si potrebbe portarla a un livello più sofisticato di approfondimento ragionando sul fatto che con la delegittimazione e lo smantellamento dei partiti politici, corpo intermedio di rilevanza costituzionale (art. 49), nei fatti i sindacati sono rimasti l'unico altro corpo intermedio di rilevanza costituzionale (art. 39) a mantenere una struttura organizzata e finanziata. Si può quindi sostenere che il fatto che ormai esercitino una funzione di supplenza rispetto ai partiti nel "determinare la politica nazionale" (art. 49) in senso complessivo, invece di concentrarsi sulla gestione del conflitto distributivo, è anche l'esito di dinamiche tanto perverse quanto oggettive, è anche il riempimento di un vuoto lasciato dall'antipolitica, oltre a essere certamente l'espressione delle velleità parlamentari di personaggi dello spessore di Landini (non questo, che di spessore ne aveva, ma questo...). Fatto sta che l'oblio dei diritti dei lavoratori è nelle cose, lo abbiamo visto (e fra breve lo rivedremo) nel tracciato dei salari, ed è sulle motivazioni di questa negligenza, non su quelle del concomitante impegno in politica, che ci si dovrebbe porre una domanda.

Questa però è materia politica e quindi aperta alla discussione: non ce l'ho con le povere pecore che per un motivo o per l'altro non capiscono che è stato il pastore a portarle al macello, non ce l'ho con chi ritiene di doversi occupare di battaglie altrui avendo rinunciato a combattere le proprie, o per giustificarsi del non averle combattute: va tutto bene! Quello che è veramente desolante è la disinvoltura (e la protervia) con cui chiunque si avventura in materia economica non avendo la benché minima idea di quali siano i concetti chiave, le unità di misura, le definizioni delle variabili, per non parlare della loro dinamica e delle interazioni fra esse previste dalla teoria economica, o semplicemente conseguenti dalla loro definizione! Mi sembra evidente che su queste basi una soluzione realmente democratica dei conflitti è preclusa (altro tema che qui ci è dolorosamente familiare). Di fatto, da molti commenti capirete che pochi sanno che cosa si intende per salario reale, e quindi che cosa ci racconti la sua dinamica: c'è chi chiede di depurarlo dall'inflazione (!), c'è chi sostiene che se il potere d'acquisto è rimasto costante dagli anni '80 non dobbiamo lamentarci (!), e via andare...

Lo scopo di questo post è duplice.

Da un lato voglio riprendere la "Breve ma veridica storia dei salari italiani" (che quindi vi consiglio di rileggere), per due motivi:

  • perché da quando l'abbiamo scritta, a maggio 2025, si sono aggiunti due punti dati (corrispondenti ai primi due trimestri del 2025), e voglio vedere se nel primo semestre di quest'anno si è mantenuto il trend di recupero del potere d'acquisto che avevano evidenziato, e se abbiamo recuperato i valori pre-pandemia;
  • perché voglio estenderla all'indietro, fino al 1970, utilizzando i vecchi dati di contabilità nazionale trimestrale (io non butto mai nulla), in modo da vedere se questi dati trimestrali di fonte ISTAT restituiscono lo stesso profilo visto in "La crisi dei salari e la produttività" (che quindi vi consiglio di rileggere), cioè una crescita lungo tutti gli anni '70 che si arresta all'inizio degli anni '80 su livelli sostanzialmente prossimi a quelli attuali.

Dall'altro, siccome sappiamo che la flessione dei salari (e quello che c'è a monte, cioè l'aumento della disoccupazione, e ancora a monte il taglio degli investimenti pubblici, cioè l'austerità) serve a recuperare competitività, cioè a migliorare la propria bilancia dei pagamenti e la propria posizione finanziaria netta sull'estero, voglio aggiornare l'analisi fatta in "La ricchezza esterna delle nazioni" (quando l'abbiamo scritto c'era ancora Draghi!), per vedere se il recupero dei salari si è già riflesso in una perdita di competitività e ha già cominciato a compromettere la nostra posizione debitoria netta nei confronti del resto del mondo.

Procederò quindi estendendo separatamente i due grafici e evidenziandone le principali caratteristiche. Per snellezza di trattazione, la metodologia (che trovate comunque nei post citati qua sopra) sarà descritta in appendice.

Breve ma veridica storia del salari italiani: aggiornamento

Il grafico aggiornato al secondo trimestre 2025 e esteso fino al primo trimestre 1970 è questo:


(dettagli tecnici in appendice). Elenco le caratteristiche più apparenti:

  1. la crescita dei salari reali sta proseguendo, dopo una pausa nel primo trimestre del 2025, il livello raggiunto nel secondo trimestre 2025 è 6822 euro a trimestre ai prezzi 2020 (rispetto ai 6791 dell'ultimo trimestre 2024), ma siamo ancora dell'1,5% al disotto del livello pre-pandemia (quello dell'ultimo trimestre 2019, pari a 6928. Quindi bene, ma naturalmente non benissimo (ci mancherebbe altro!), e il rallentamento dell'economia mondiale non aiuterà (ricordate? Per distribuire valore bisogna produrlo);
  2. il profilo dei dati trimestrali sui 55 anni considerati è quello che emerge dai dati annuali: crescita vigorosa fino all'inizio degli anni '80, poi un primo arresto, poi di nuovo crescita fino al 1992, poi una flessione, poi una stasi fino alla crisi finanziaria globale, poi una flessione, poi una stasi fino alla pandemia, poi un'altra flessione, e poi la ripresa di cui parlavamo. Diciamo però che il fasheesmo, cioè Giorgia, a occhio e croce con la stasi dei salari c'entra poco. Quando questa è iniziata, lei aveva quattro anni, e per quanto possa essere stata pestifera non credo che riuscisse a perturbare le variabili macroeconomiche.

Il massimo storico, pari a 7347, resta nell'ultimo trimestre del 2005.

Più avanti entriamo nel merito di tutte queste caratteristiche, mettendole in relazione con i cambiamenti strutturali dell'economia italiana, con i governi in carica, ecc.

La ricchezza esterna delle nazioni

Estendendo al 2024 il grafico (che qui si fermava al 2020) otteniamo:

In questo caso le cose vanno decisamente meglio. Nonostante la ripresa dei salari, nel 2023 e 2024 prosegue il deprezzamento reale (cioè l'aumento della competitività) del nostro Paese e conseguentemente migliora la sua posizione netta sull'estero, che è diventata creditoria (positiva) nel 2021 e che nel 2024 ha raggiunto il massimo da quando siamo entrati nell'euro (ma in effetti è il massimo storico, almeno dal 1970, come potreste verificare al solito posto). L'andamento a specchio delle due variabili, previsto dalla teoria economica, è assolutamente confermato dai dati. Si vede anzi che quando nel 2022 il deprezzamento reale si arresta per un anno, la posizione netta sull'estero peggiora lievemente.

Nota bene: siccome una diminuzione della disoccupazione, o un aumento dell'occupazione, fa aumentare i salari, quindi i prezzi, e quindi fa apprezzare il tasso di cambio reale (che è il rapporto fra i prezzi nazionali e esteri), e quindi diminuire la competitività, e quindi peggiorare la bilancia dei pagamenti, e quindi aumentare l'indebitamento estero (o diminuire l'accreditamento estero), non è per niente banale avere simultaneamente il massimo storico dell'occupazione e della posizione  (creditoria) netta sull'estero.

Non lo dico per fare i complimenti alla mia maggioranza, che secondo me nemmeno se ne rende conto (sentite mai qualcuno parlare del vero debito, quello estero?). Lo dico perché siamo qui per parlare di economia, e questa configurazione dei fondamentali macroeconomici è piuttosto inedita e merita di essere evidenziata.

Qualche commento

Partirei dai più ovvi.

Intanto, i salari reali sono i salari nominali depurati per l'effetto dei prezzi. A benefici dei piddini che mi commentano su FB, ricordo che "reale" in economia non è il contrario di "immaginario", ma di "nominale o a prezzi correnti". Il salario reale cioè misura il potere d'acquisto, la "quantità di cose" (res) che puoi comprare col tuo salario. 

Quindi:

  1. non ha senso chiedere di depurare dall'inflazione il salario reale, perché per definizione già ne tiene conto;
  2. non ha nemmeno senso dire che se rimane costante va tutto bene.

Il secondo punto merita un approfondimento.

No, non è corretto dire che se il potere d'acquisto dei salari resta costante allora siamo a posto, per il semplice motivo che per il lavoratore non è un gran vantaggio poter comprare la stessa quantità di cose in un mondo in cui ci sono più cose da comprare! In altri termini, non è detto che quando non crescono i salari reali (la parte di prodotto che va ai lavoratori) non cresca l'economia (e quindi il prodotto totale)!

Se calcoliamo il rapporto fra il monte salari e il prodotto interno lordo otteniamo un rozzo indicatore della quota salari (variabile di cui ci siamo occupati in diverse occasioni):


e constatiamo un altro dei "fatti stilizzati" che i lettori di questo blog conoscono bene, ma l'average Joe piddino non vorrà mai ammettere: al tempo dell'inflazione a due cifre negli anni '70 della liretta e della svalutazione (secondo l'immaginario distorto dei piddini), la quota salari si è mantenuta o è andata crescendo, mentre lungo tutti gli anni '80 e fino alla metà degli anni '90 la quota salari è andata diminuendo, questo perché a partire dagli anni '80, mentre la produttività continuava ad aumentare, la remunerazione reale del lavoro restava costante. Quello che vedete nel grafico soprastante, in altre parole, è la conseguenza di quanto vedete in questo grafico:


che forse ricorderete (ve lo avevo mostrato un anno addietro parlando de "La crisi dei salari e la produttività"). In estremissima sintesi, mentre la corsa dei salari reali si è arrestata con il divorzio fra Tesoro e Banca d'Italia (all'inizio degli anni '80), cioè con le politiche di disinflazione, quella della produttività si è arrestata con l'ingresso nell'euro, cioè con le politiche di deflazione, il che comporta che dall'inizio degli anni '80 alla metà degli anni '90 la quota salari sia diminuita, cioè il tenore di vita delle classi salariate non sia rimasto costante, ma sia arretrato in termini distributivi (la relazione fra produttività, salario reale e quota salari voi la conoscete perché ho dovuto spiegarla a un collega che non la conosceva), in concomitanza del resto con l'aumento della disuguaglianza.

Questo dibattito non è meramente teorico, è anzi dannatamente pratico! Quello che ci dice infatti è che se in termini di salario medio in termini reali oggi siamo tornati ai livelli del 2013, che poi erano quelli del 1988, in termini di quota salari siamo tornati ai livelli del 2010, che poi erano quelli del 1970! Questo spiega come nonostante una dinamica dei salari in crescita i lavoratori non percepiscano un effettivo beneficio, e naturalmente fa capire ancora meglio quanto sia lontana la radice del problema.

Ovviamente non mi fiderei troppo di questi calcoli fatti "sulla carta del prosciutto". Se però prendiamo la variabile "adjusted wage share" calcolata dal database AMECO, con riferimento a variabili diverse (AMECO rapporta i redditi da lavoro dipendenti nominali al Pil nominale e aggiusta ulteriormente per il rapporto fra occupati dipendenti e totale degli occupati) otteniamo una dinamica sostanzialmente simile:


con un declino lungo tutti gli anni '80 e '90 che sarà piuttosto difficile recuperare, in un mondo in cui il capitale ha decisamente più del solito il coltello dalla parte del manico.

In ogni caso, credo sia sufficientemente ovvio che né la mitologica "inflazzione a due cifre" né la temibilissima "svalutazzione" hanno un rapporto immediato e diretto con la dinamica della quota salari, o semplicemente dei salari reali. I salari reali, come qui vi ho fatto vedere fin dall'inizio, sono andati crescendo (e la quota salari è cresciuta o si è mantenuta comunque stabile) nel periodo dell'esecranda "inflazzione a due cifre", come mi pregio di farvi nuovamente vedere su dati trimestrali:


ma anche:


talché pare proprio che contrariamente a quanto credono i piddini, nel lungo termine l'inflazione sia piuttosto amica che nemica dei lavoratori, e sui motivi ci siamo dilungati (ma se qualcuno ha dubbi, sono qui per rispondere). Aggiungo che i salari reali sono diminuiti con l'austerità fra 2011 e 2014, ma non con la svalutazione competitiva dell'euro fra 2015 e 2020! Insomma, il meraviglioso mondo di Drindrin resta una fola per bimbi sciorni (ma rigorosamente col pieiccdì).

Conclusioni

In Italia la crisi salariale va avanti da decenni: la colpa non è del fasheesmo (nel senso di Giorgia), ma, come sappiamo, di un esito del conflitto distributivo per tanti motivi sfavorevole ai lavoratori, per via del quadro complessivo della terza globalizzazione, e, nel nostro contesto regionale, della necessità di competere al ribasso sui salari cui prima dell'euro costringeva anche il Sistema Monetario Europeo. Va da sé che poter trasferire sul mercato valutario una parte dell'aggiustamento macroeconomico aiuterebbe, ma, come del resto dimostrano anche i grafici che abbiamo visto (o rivisto) non è detto che sarebbe risolutivo. La discesa della quota salari, o, se volete, la stasi del salari reali, è iniziata infatti quasi venti anni prima della moneta unica, e se da un lato è vero che il vincolo esterno monetario era già in opera (attraverso il meccanismo di cambi fissi ma aggiustabili dello SME), è pur vero che all'epoca una parte dell'aggiustamento poteva ancora essere scaricata sui cambi (come accadde nel 1992). Nell'unione monetaria il sentiero che la politica economica può percorrere è particolarmente stretto, come ricordava il buon Pier Carlo. Credo converrete con me che lui questo sentiero lo ha percorso con minori risultati del Governo attuale, sia in termini di dinamica salariale, che in termini di assetto dei conti con l'estero. Avere al tempo stesso il massimo storico dell'occupazione e della posizione netta sull'estero non è senz'altro merito di questo governo: probabilmente è molto più merito del fiscal overkill messo su dal PD e dalla troika. Fatto sta che le accuse fatte a questo governo di aver causato la crisi salariale "perché non ha approvato il salario minimo" sono piuttosto ridicole, ne converrete. Non è questo che dicono i numeri.

Qualcuno potrebbe obiettare: "Certo, ma i numeri dicono anche che si potrebbe fare di più! In fondo abbiamo recuperato un buon margine di competitività, potremmo anche spingere di più sul meccanismo deficit-investimenti pubblici-crescita-occupazione-aumento dei salari, senza compromettere troppo i nostri conti con l'estero!" Questo argomento ha una sua tenuta logica ed è esattamente quello che farei anch'io da professore. C'è però un pezzo di complessità del reale che temo sfugga anche a voi. Nei modelli econometrici la spesa pubblica è una variabile, G, che si può far aumentare o diminuire con un clic. Nella realtà, ci sono di mezzo non solo la Ragioneria Generale dello Stato e le regole europee, ma anche il codice degli appalti, la Corte dei Conti, i bandi europei, gli uffici dei ministeri, delle regioni, delle province e dei comuni, dove il personale non c'è, o è troppo anziano, o non è abbastanza formato (perché c'è stato il blocco del turn over, ricordate?), o è troppo scojonato, perché solo l'anno scorso sono stati allocati dieci miliardi per un primo rinnovo dei contratti. Vi ricordate quando pareva crollasse il mondo perché avevamo proposto un deficit al 2,4%? Vi ricordate poi come andò a finire? Che si spese l'1,6%. Come mai? Perché la macchina amministrativa di cui disponiamo, logorata da anni di austerità a trazione PD, non è in grado di assorbire il carico di lavoro necessario per seguire la mole di spesa che astrattamente sarebbe necessaria per rimettere in piedi la baracca. Avrebbe senso far ripartire la solfa dello spread, attirare su di noi invece su chi se la merita (Francia e Germagna) l'attenzione dei mercati, per fare promesse di stimolo di bilancio che poi non saremmo in grado di mantenere? Varrebbe la pena di sostenere in anticipo il costo dell'incertezza sui mercati, senza poter incassare a valle il beneficio dello stimolo di bilancio, solo per far contento er sor Perepè, il compagno Rizzovich, e Foffoletta647827 su Twitter?

Può darsi che secondo voi questo sia essere keynesiano. Non credo che funzioni così, ma ove mai fosse, devo dirvi che preferisco, per me e per voi, essere giorgettiano, o semplicemente napoleonico: "Non bisogna mai interrompere un nemico mentre sta facendo un errore!". Ripeto: perché dovremmo schiantarci sui mercati noi, ora che stanno shortando gli OAT?

"Ma er popolo soffrono, laggente ci hanno fame!"

Beh, sì, questo credo di saperlo, ma è pur vero che siamo in democrazia, e quindi se ci troviamo su un sentiero stretto questo in qualche modo è avvenuto per scelta del popolo sovrano, cui a questo punto, nel suo interesse, dobbiamo sconsigliare di buttarsi di sotto (per questo basterebbe un PD qualsiasi, che ovviamente correrebbe in soccorso degli angioini)! Sapete benissimo che cosa penso di questo percorso: non l'ho scelto, lo trovo irrazionale, ve ne ho spiegato i limiti in lungo e in largo. Ma finché i commenti al grafico dei salari reali sono quelli che ho suscitato su Facebook, vi assicuro che non avremo (e infatti non abbiamo) la forza politica di fare una cosa che in questo momento tra l'altro è inutile: forzare delle regole che... stanno logorando i nostri nemici!

Quindi alle lamentationes de "er popolo" (che ha quello che desiderava) si provvederà, come è giusto, ma mantenendo un quadro ordinato e mantenendo margine di competitività. Ognuno di noi, istintivamente, tende a ragionare in modalità BAU (business as usual). Eppure dovreste sapere, perché è un po' che ne parliamo, che sono dietro l'angolo una guerra e una crisi finanziaria (whatever comes first).

Non è il momento migliore per farsi notare.

E se Foffoletta647827 ci toglierà il follow, ce ne faremo una ragione: non sapendo chi è, ignoriamo l'entità del lutto che dovremmo elaborare, ma possiamo precauzionalmente stimarla a zero e tirare dritto.

Dichiaro aperta la discussione generale (già immagino gli iscritti a parlare...).

Appendice

Per estendere fino al 1970 le serie di contabilità nazionale ho usato una vecchia versione della contabilità trimestrale dal 1970q1 al 1996q3 che avevo usato per un aggiornamento di questo modello. Naturalmente le serie erano in miliardi di lire anziché in milioni di euro. Inoltre la base dei prezzi era in quel caso il 1990 anziché il 2020. Ne consegue che rifacendo i calcoli separatamente sui due database veniva fuori una roba simile:


con una evidente soluzione di continuità, determinata dai due fattori sopra ricordati (diversa valuta, diversa base dei prezzi) e da una serie di revisioni minori, ad esempio nei criteri di revisione degli occupati. Per ottenere una serie relativamente uniforme ho convertito tutto in euro usando il noto cambio irrevocabile (666 lire per euro) e ho retropolato indice dei prezzi e occupati dipendenti utilizzando i tassi di crescita delle vecchie serie, applicati al primo valore delle nuove. Naturalmente all'ISTAT storcerebbero il naso, ma qualora desiderassero applicarsi loro al compito di ricostruire le serie di CN trimestrale fino al 1970 non credo che con metodi molto più sofisticati otterrebbero risultati particolarmente diversi, tanto più che qui quella che ci interessa è l'informazione "a frequenza zero", su cui le revisioni di cui vi parlavo non impattano (come non impatta la conversione in euro, che è semplicemente una moltiplicazione per una costante).

Quanto alla ricchezza esterna delle nazioni, i tassi di cambio reale vengono da qui e la posizione netta sull'estero viene da qui. Come ricorderete dal post del 2022, l'indicatore di competitività è dichiaratamente discutibile: si tratta del tasso di cambio bilaterale fra Italia e Germania, che quindi misura la competitività rispetto a un particolare partner commerciale, mentre la posizione netta è riferita all'intero resto del mondo. Fatto sta che per le caratteristiche strutturali della Germania e per il peso che ha nel nostro commercio questo indicatore è molto esplicativo delle vicende del nostro indebitamento estero, con un coefficiente di correlazione attorno a -63%.