giovedì 16 febbraio 2012

Premiata armeria Hellas: saldi di fine stagione (1° parte)

(Post lungo, noioso e difficile. Forse vi conviene pensare che la colpa è dei greci e che i tagli li salveranno: fate prima...).


Le mirabolanti liberalizzazioni del governo mi hanno suscitato un moto di allergia: rash cutaneo, edema della glottide... Il mio allergologo, il prof. Santarelli (PhD in allergologia finanziaria comparata) mi ha interdetto la lettura dei giornali per qualche giorno, e quindi non so se nelle mirabolanti liberalizzazioni è stata poi ricompresa anche quella dei saldi. Nell’ipotesi che lo sia stata, mi accingo a parlarvene, per la gioia dell’amico istwine. Laddove non lo fosse stata, pagherò la multa (o proverò a corrompere il vigile, a seconda di quello che costa meno). I saldi mi servono a farvi capire bene la storia della Grecia. Userò semplici formule. Chi è allergico alle formule si legga l’ultimo fondo di Scalfari e continui pure a credere che senza l’euro saremmo come l’Argentina e che la Grecia deve fare i compiti a casa. Del resto, ci sarà pure un motivo se la distruzione dell’università è correlata all’avvento di regimi autoritari. Ogni riferimento a ex-comunisti nostrani è puramente intenzionale. Non è un caso che fra le poche persone in grado di esprimere un pensiero libero in questo paese si trovino tanti matematici. Ma per quello che devo dirvi io non occorre scomodare la matematica. Basta l’aritmetica. E siccome ognuno di voi è più bravo di me a controllare il resto della spesa (che è appunto un saldo), se non arrivate in fondo a questo articolo siete dei piddini. Chi desiderasse poi approfondire è rinviato al mio manualino di economia internazionale applicata. Suggerisco di stampare il post: all’ecologia ci pensiamo la prossima volta.



Saldo
In economia un saldo è la differenza fra due voci di segno opposto. Normalmente i soldi che entrano hanno un segno più, quelli che escono un segno meno (chissà perché?).

Il risparmio è un saldo: entra un reddito, escono dei consumi, quello che rimane è appunto il risparmio. Quindi, se chiamiamo Y il reddito, C i consumi, e S il risparmio (con la S di savings, risparmi, in inglese), avremo:

S = Y – C

Siete sopravvissuti? Esempio: guadagno 100, spendo 70, risparmio 30. Non vi sto prendendo in giro. Purtroppo, dopo il 3+2, siamo costretti a insegnare così per farci capire. Senza riuscirci. Ma non fatemi prendere questa tangente, altrimenti divento come il Giacomo Poretti quando parla delle guerre puniche.

Una nazione, però, il proprio reddito non può consumarlo tutto: una parte dovrà essere spesa per acquistare beni capitali, cioè macchinari, attrezzature, insomma: beni che permettono di produrre altri beni, beni che ti permetteranno di consumare anche domani. Oltre alla spesa per consumi, quindi, in una nazione abbiamo anche quella per investimenti, e il reddito può essere destinato all’una o all’altra. Se chiamiamo gli investimenti I (con la I di investments), allora avremo:

Y = C + I

che significa: quello che guadagni o lo spendi in beni di consumo, o lo spendi in beni di investimento. E significa anche che il reddito nazionale coincide con le spese effettuate per gli acquisti di beni di consumo e di investimento: quello che tu spendi, è il reddito di qualcun altro, cosa che i pasdaran dell’austerità sembrano trascurare, forse perché non è sufficientemente “controintuitiva”. E poi, questo è il nucleo del modello reddito/spesa (income expenditure model), cioè dell’esecrando modello keynesiano... Anatema sit!


La finanza
Dice: e il risparmio? Bravo! Infatti guarda un po’ che succede se porti i consumi a sinistra dell’uguale?

Y – C = I

Torna su a controllare... Esatto! Y – C (reddito meno consumi) è uguale a S (risparmio). Quindi? Quindi:

S = I

I risparmi sono uguali agli investimenti. Cosa vuol dire? Vuol dire che in un’economia capitalistica, normalmente, chi risparmia non mette i soldi sotto il materasso, ma indirizza i propri fondi verso il mercato finanziario, che a sua volta non tiene questi fondi nei propri forzieri, ma li indirizza verso gli imprenditori per finanziare le loro spese di investimento. Se non finanziasse, che sistema finanziario sarebbe? E nota: un finanziamento è ovviamente un debito per chi lo riceve. Quindi, sorpresa! (ma solo per alcuni commentatori molto beceri e assolutamente di passaggio su questo blog). L’economia capitalistica si basa sul debito, che quindi di per sé non può essere considerato cattivo, a meno di non essere bolscevichi (come tanti economisti neoclassici: gli estremi, sa sa, si toccano. Ma il toccarsi è un'operazione, per quanto piacevole, generalmente poco feconda). Se il debito è cattivo o buono dipende dal perché ti indebiti.


Comunque, riassumendo, in un sistema chiuso il flusso di risparmio si traduce in un flusso di investimento. A fine anno l’offerta di fondi (S) sarà necessariamente uguale alla domanda di fondi (I). Attenzione: questa è un’uguaglianza contabile, non un equilibrio economico. In altre parole, esprime il fatto che se qualcuno si è indebitato, necessariamente qualcun altro deve avergli prestato i soldi. Ma non afferma che chi domandava fondi ha avuto esattamente l’ammontare di finanziamento che desiderava, e quindi non afferma (Goofynomics) che chi aveva fondi disponibili è riuscito a collocarli tutti come avrebbe desiderato. In altre parole, S = I ci dice quello che è successo, non quello che gli agenti economici avrebbero desiderato che succedesse.

Il fatto che spesso non succeda quello che si desidera non devo spiegarvelo. Il fatto che avere troppo di una cosa che si desidera possa essere un problema... forse deve essere spiegato ai più giovani.


Primo avviso ai lettori “esperti”: attenzione: sto parlando di contabilità nazionale: la contabilità nazionale funziona così: qualsiasi sega mentale su come dovrebbe funzionare verrà immediatamente cestinata come off topic. Per lo stesso motivo cestinerò in questa sede qualsiasi sega mentale su come funziona e/o dovrebbe funzionare il sistema finanziario. Qualsiasi cosa intelligente abbiate da dire (e so che ce ne avete molte) può essere ricondotta a questo schema, aggiungendo solo molto noise al signal. Poi il noise lo aggiungeremo: ma prima viene il signal. E sul mio blog io sono arbitro unico e insindacabile del signal/noise ratio. Bene intendenti pauca.



Ricapitolando: il reddito può essere consumato o investito:

Y = C + I

o, il che è lo stesso, consumato o risparmiato:

Y = C + S

visto che la “cerniera” del sistema finanziario convoglia i risparmi delle famiglie verso le imprese:

S = I



Open your mind
Apriamoci. Una famiglia non è un sistema chiuso. Quasi nessuno autoproduce il latte che beve a colazione, e da queste parti sicuramente nessuno produce il suo naturale complemento, il caffè (e, come ahimè sapete, a chi invece lo produce di soldi per consumarlo ne restano molto pochi, ma questa è ancora un’altra storia).

Il fatto è che... famiglie e nazioni hanno scambi con l’esterno, che per le nazioni si chiama “estero”. Se vendono beni ad altre unità, quella è un’esportazione: sono soldi che entrano, segno più. Se acquistano beni da altre unità, quella è un’importazione, sono soldi che escono, segno meno. Facile, no? Scriviamolo.

Y = C + I + X – M

dove X sono le esportazioni e M le importazioni.

Voi direte: ma scusa, brutto fesso, non vedi che hai messo dalla stessa parte due cose diverse? I consumi sono una spesa (per una famiglia o per una nazione), le esportazioni sono un reddito. Bravi. Il fatto è, però, che la contabilità nazionale considera l’economia divisa in settori, e che l’estero, per convenzione, è considerato come un settore dell’economia nazionale. Quindi quello che questa relazione ci dice è che in effetti il reddito Y di una nazione coincide con le spese delle famiglie per consumi, C, con quelle delle imprese per investimenti, I, e con quelle del settore estero, X, che sono acquisti di beni di consumo o di investimento fatti da non residenti, cui sottraiamo le nostre spese effettuate all’estero, M, cioè le importazioni. Le importazioni M evidentemente si sottraggono perché sono spesa che va a costituire reddito nel resto del mondo (i paesi dai quali importiamo): se acquisto una BMW chi guadagna è tedesco.



Open your mind a bit more
Scambi... Ma le nazioni non si scambiano solo merci. No. In effetti si scambiano anche fattori di produzione: lavoratori e capitali. E questi scambi hanno un risultato economico, cioè producono dei redditi, che quindi, ovviamente, devono entrare nel conto del reddito. Cerchiamo di capirci.

Se un lavoratore italiano va a lavorare in Francia, restando però italiano (quindi senza traslocare, cambiare residenza, ecc.), verrà pagato in Francia, ma di norma porterà in Italia (dove vive) i soldi che guadagna. Questi soldi, dal punto di vista italiano, sono redditi da lavoro attivi (perché entrano). Per la Francia sono passivi (perché escono). Se invece è un francese che viene a lavorare in Italia, succede la cosa uguale e contraria (siate Goofynomisti, per una volta in vita vostra!).

E se invece è un capitale italiano che va a “lavorare” in Francia? Esempio: un risparmiatore italiano acquista un’obbligazione emessa da Total (società petrolifera francese). Total si prende i soldi, li fa fruttare oculatamente (ad esempio corrompendo qualche governante della zona franco CFA), e poi paga gli interessi al risparmiatore italiano. Quando Total paga gli interessi, questi sono redditi da capitale attivi per l’Italia. Altro esempio: un risparmiatore tedesco acquista un Btp italiano. Quando lo Stato italiano gli paga gli interessi, questi sono redditi da capitale passivi per l’Italia.


Secondo avviso ai lettori esperti: attenzione: sto parlando di quello che succede di norma e in media. Non cominciate con le domande del tipo “e se i capitali sono esportati clandestinamente? e se il risparmiatore si appoggia su un conto alle Cayman intestato a una società con sede a Vaduz?”. Ragazzi! All’inizio bisogna capire dov’è. Poi eventualmente studiare il Kamasutra (mi scusino le ragazze per questa improvvisa deriva sessista, ma sapete, i ragazzi altrimenti non capiscono: voi avevate già capito, lo so...). Fatevi prima spiegare dov’è.


Insomma: in un paese entrano ed escono soldi sia come risultato dello scambio di merci, che come risultato dello scambio di fattori di produzione. Alla fine quello che conta è il saldo. Il saldo degli scambi di merci è X – M e si chiama “bilancia commerciale” o “saldo commerciale” o “esportazioni nette”. Il saldo dei redditi da lavoro e da capitale si chiama “redditi netti dall’estero”, per gli amici RNE.


La variabile più importante
Occhio! L’esperienza, e una cospicua produzione scientifica (in parte la vedremo dopo), dimostrano che la variabile più importante per valutare le condizioni di salute finanziaria di un paese è data dal saldo delle partite correnti. Per gli amici CA, dall’inglese current account (balance). Come è fatto? Semplice: è la somma (algebrica) dei saldi commerciale e dei redditi, cioè:

CA = X – M + RNE

Esempio: un paese esporta 10, importa 5, ma siccome ha molti debiti con l’estero paga all’estero 7 di interessi sui suoi debiti. Risultato?

CA = 10 – 5 + (– 7) = -2

cioè un deficit delle partite correnti. Perché 7 ha il meno davanti? Perché abbiamo ipotizzato che il paese paghi interessi all’estero: quindi i soldi escono dalle “tasche” del paese e il segno è meno. Notate che il saldo commerciale è positivo: 10 – 5 = 5. Il paese è un esportatore netto. Ma il saldo commerciale, sul quale tanto ci si sofferma, racconta solo una parte della storia. Una parte che approssima bene il tutto, se il paese ha pochi debiti/crediti esteri netti, come non è il caso oggi. Con i livelli di debito/credito estero netto che stiamo sperimentando, non considerare i RNE fornisce un’approssimazione molto imperfetta. In altre parole, un paese può trovarsi a dipendere dall’estero, pur essendo competitivo in termini commerciali, semplicemente perché si è indebitato troppo in passato (cioè: oggi dipende finanziariamente dall’estero perché ieri era dipeso commercialmente dall’estero).

E se oltre a quanto abbiamo visto accade anche che i lavoratori transfrontalieri riportano a casa 4? In questo caso i redditi netti dall’estero sono RNE = 4 – 7 = - 3 (quattro di redditi da lavoro in entrata e sette di redditi da capitale in uscita). E il CA cosa diventa?

CA = 10 – 5 – 3 = 2

cioè un surplus delle partite correnti. Il paese se la cava perché anche se importa capitali, esporta lavoratori. Ma... attenzione: la remunerazione dei capitali è più volatile di quella dei lavoratori (gli stipendi non raddoppiano in un anno come i tassi di interesse!). Quindi forse questo paese tanto bene non sta...

Al Fondo Monetario Internazionale sono iscritti 187 paesi, e ognuno è in surplus o in deficit a modo suo. Le partite correnti non sono come le famiglie di Anna Karenina: quelle sono tutte felici allo stesso modo, e ognuna infelice a modo suo. L’economia per una volta è più complicata. Ci sono molti modi di essere felice (in surplus) e molti modi di essere infelici (in deficit).

Ma una cosa è chiara: il saldo delle partite correnti CA sintetizza la dipendenza di un’economia dal resto del mondo. Infatti, se è negativo, ciò significa che:

1)      il paese dipende troppo dalle merci del resto del mondo (cioè importa più merci di quelle che esporta); oppure che:

2)      il paese dipende troppo dai fattori produttivi del resto del mondo, e quindi paga più stipendi, profitti, interessi all’estero di quanti non ne riceva dall’estero; oppure che:

3)      entrambe le cose (importa troppe merci e troppi fattori produttivi).

Ora, si dà il caso che quando una famiglia, o un paese, non ce la fanno con le proprie forze, fatalmente devono indebitarsi... Sì, ci stiamo avvicinando, piano piano... Perché CA ha anche un’altra interpretazione. Ma prima apro e chiudo una parentesi.


Interno e nazionale
In cosa differisce il prodotto INTERNO da quello NAZIONALE? Semplice. Il prodotto INTERNO fa riferimento a un concetto geografico: redditi prodotti/percepiti all’interno di territorio, indipendentemente dalla nazionalità/residenza di chi li ha prodotti/percepiti. Il prodotto NAZIONALE fa riferimento a un concetto di residenza: redditi prodotti/percepiti dai cittadini di una nazione indipendentemente da dove li hanno prodotti/percepiti.

E la differenza qual è? Proprio RNE, i redditi netti dall’estero. Vale cioè la relazione:

YN = Y + RNE

ovvero il reddito nazionale (dei cittadini) è uguale al reddito interno (nel territorio), più i redditi guadagnati all’estero dai fattori residenti (capitale e lavoro), meno i redditi pagati ai fattori non residenti.

Qual è la sintesi di questo bel ragionamento?

Semplice: che di norma i paesi con redditi nazionali minori di quelli interni sono piuttosto sfigati. Un valore negativo dei RNE indica una dipendenza dai fattori di produzione esteri (lavoro e soprattutto capitale), che devono essere remunerati. Il fatto è che, so che non ve ne eravate accorti, ma, come dire: quando chi vuole muoversi è il lavoro, spianiamo le mitragliatrici (come nel canale di Sicilia). Quando chi vuole muoversi è il capitale, stendiamo il tappeto rosso. Come diceva Kutuzov, “a nemico che arriva ponti d’oro”. Come dite? Mi sono sbagliato? Aspettate che controllo... Dunque, “Guerra e pace”, libro quarto, parte seconda, capitolo 19... Cazzo, avete ragione! Voglio sempre scoattare con la mia cultura, e poi guarda che figuracce. Già, è al nemico che fugge che bisogna facilitare il compito. Sarà per questo che i russi di solito le guerre le vincono... Ma scusate, se è così, perché i nostri Kutuzov ci dicono che sarebbe un problema se i capitali stranieri non arrivassero?

Comunque: siccome il lavoro praticamente non si muove, e il capitale si muove troppo, i RNE generalmente sono redditi da capitale, in massima parte. E quindi, in pratica, nella stragrande maggioranza dei casi, quando sono negativi indicano pagamenti netti di interessi e profitti al capitale estero (interessi pagati all’estero, cioè interessi sui debiti contratti con l’estero, cioè interessi sul debito estero).

Dai, ci stiamo avvicinando...



L’equazione più importante
Ma non eravamo partiti dal risparmio?

Oh! Qui il discorso si fa interessante. Perché... dunque, se il reddito nazionale, YN, si ottiene sommando al reddito interno Y i redditi netti dall’estero RNE:

YN = Y + RNE

e se il reddito interno è la somma di consumi, investimenti e esportazioni nette:

Y = C + I + X – M

allora il reddito nazionale è la somma di consumi, investimenti e saldo delle partite correnti:

YN = C + I + X – M + RNE

cioè

YN = C + I + CA

Attenzione, stiamo per arrivare a quello che pochi capiscono. State per entrare nella cerchia degli happy few... Pochi, poi... Effettivamente pochi, direi nessuno (fra un po’ ve ne renderete conto) di quelli che intervengono nel dibattito sui media italiani. Ma chi studia economia internazionale quello che sto per dirvi lo sa benissimo. Il fatto è che oggi nel dibattito intervengono pochissimi esperti di economia internazionale. Direi nessuno.

Dunque: se nella relazione precedente portiamo a sinistra consumi e investimenti abbiamo

YN – C – I = CA

Prendete fiato... Sì, a sinistra il segno cambia... Avete metabolizzato? Allora infierisco: ricordate che il risparmio è reddito meno consumo, vero? Quindi avremo anche SN = YN – C, ovvero: il risparmio nazionale è uguale al reddito nazionale meno il consumo. Bene, allora succede che:

SN – I = CA

Fermiamoci prima qui. Il saldo delle partite correnti, CA, è uguale alla differenza fra risparmio nazionale e investimento. Cosa vuol dire?

In economia chiusa, abbiamo visto sopra, risparmio e investimento coincidono: S = I. Se una nazione vuole comprare macchinari o costruire capannoni industriali deve risparmiare abbastanza da poterselo permettere. Ma in economia aperta no! I soldi possono venire da un altro paese (se sono troppo pochi) o andare in un altro paese (se sono troppi)! È la globalizzazione, bellezza!

Esempio: se una nazione risparmia 20 ma effettua investimenti per 15, il suo saldo delle partite correnti sarà:

SN – I = 20 – 15 = 5

Questo surplus di 5 indica che la nazione ha risparmiato più di quanto le occorre e corrisponde quindi alla capacità di finanziamento o accreditamento estero netto della nazione, cioè ai soldi che la nazione ha reso disponibili alle altre attraverso i mercati finanziari internazionali-

Facciamo il caso contrario: una nazione che ha speso 20 per investimenti, ma aveva risparmiato solo 15. Come ha fatto a spendere, se non aveva? Semplice: ha chiesto in prestito. Da cosa si vede? Dal saldo delle partite correnti, che in questo caso è:

SN – I = 15 – 20 = -5

Questo deficit (-5) indica che la nazione ha avuto necessità di ricorrere a finanziamenti esteri e corrisponde quindi all’indebitamento estero netto della nazione, cioè ai soldi che la nazione ha chiesto ai mercati finanziari internazionali.

Sì, proprio così: CA, quella che ho chiamato la variabile più importante, quella che vi ho detto sintetizzare la dipendenza relativa di un paese dalle merci e dai fattori del resto del mondo, è anche quella che misura il suo indebitamento (se negativa) o accreditamento netto (se positiva). Bene: CA = SN – I è l’equazione più importante. Perché ci fa capire che la dipendenza di un paese dal resto del mondo, accanto alla dimensione economica (compro troppi beni), ha necessariamente anche una dimensione finanziaria: dipendo dagli altri anche se, quando e perché genero poco risparmio rispetto alle mie necessità (SN piccolo), o voglio finanziare troppi progetti rispetto alle mie possibilità (I grande).



Stock e flussi: cos’è il debito estero
Attenzione! Quando presto soldi all’estero, ovviamente aumentano le mie attività finanziarie sull’estero: succede se presto soldi a un’azienda estera comprando una sua obbligazione, succede se presto soldi a un governo estero comprando un suo titolo, succede se faccio credito a un fornitore estero... In ogni caso, le mie attività finanziarie sull’estero (AFE) aumentano: ho più crediti verso l’estero, che poi significa che sono nella gradevole, ma lievemente incerta, posizione, di chi i soldi deve riaverli indietro. Viceversa, se i soldi me li faccio prestare (cioè se vendo un’obbligazione privata o un titolo pubblico all’estero, se compro beni esteri a credito, ecc.) aumenteranno le mie passività finanziarie sull’estero (PFE): ho più debiti verso l’estero.

Il debito estero cos’è? Salvo espressa menzione del contrario, si parla di debito estero quando un paese ha una posizione netta sull’estero (PNE) negativa. Cosa significa? Significa ad esempio che se un paese ha 100 di crediti verso l’estero (AFE=100) e 120 di debiti verso l’estero (PFE=120), la sua posizione netta sarà:

PNE = AFE – PFE = 100 – 120 = -20

Attenzione: PFE è il debito estero lordo (120). Ma in effetti avrebbe poco senso soffermarsi su questa misura. Perché? Perché il problema del debito è capire se hai risorse per ripagarlo. Ora, se hai 120 di debiti, ma 100 di crediti (AFE), è chiaro che questi 100 generano risorse (redditi da capitale attivi) e al limite possono essere liquidati (più o meno facilmente) per ripagare parte dei 120 (PFE). Quindi in molte analisi ha effettivamente più senso considerare il netto. Va da sé che giornalisti, politicanti, e amatori, se vogliono farvi paura, vi parleranno del lordo. Come diciamo noi, c’est de bonne guerre, che poi significa che è loro diritto provarci, e vostro dovere non farvi fregare.

Ovviamente la posizione netta, in quanto saldo fra due stock, può anche essere positiva, e del resto se al mondo ci sono dei debitori, è perché ci sono dei creditori. Goofyfinance.

Facile, no? Qualcuno mi ha chiesto: “non capisco perché i crediti esteri si compensano coi debiti”. Ma il fatto è, carissimo, che non devi pensare a livello individuale. Chiaro che se tu hai acquistato un Bund tedesco, quelli sono soldi tuoi e se la Merkel te li restituisce nessuno te li toglie. Cioè: non è perché un tedesco ha acquistato un Btp che tu non rivedrai i tuoi soldi. Ma a livello aggregato quello che conta è quanta valuta è entrata o uscita dal paese in termini netti durante l’anno. Quindi se il tuo Bund costava 10 euro e il Btp ne costava 8, al momento della restituzione Angela a te da 10, Mario al tedesco da 8, e al netto l’Italia (non te) ha incassato 2 = 10-8. Il contrario sarà successo al momento dell’acquisto. Tranquillo: i tuoi soldi li rivedi (forse)! Non è che Mario ti dà solo 2 perché deve restituire 8 a Hans. Ma rimane il fatto che a livello macroeconomico in Italia è entrato 2.

Chiaramente se il paese risparmia, riesce a ridurre il proprio debito o ad aumentare il proprio credito. Se invece spende troppo, aumenterà il debito o si ridurrà il credito.

Quindi?

Quindi il saldo delle partite correnti sta al debito estero come il fabbisogno pubblico sta al debito pubblico.

Esempio: nel 2010 hai una PNE2010 = -30 (valutata a fine anno). Durante il 2011 risparmi 20 e investi 15, quindi CA2011 = 20 – 15 = 5. A fine anno la tua PNE migliora: sarà PNE2011= -30+5=-25. Passi da un debito estero di 30 (cioè da una PNE di -30) a un debito estero di 25 (cioè a una PNE di 25), e hai meno debiti con l’estero perché hai risparmiato.

La formula più importante, quindi, diventa:

CA = SN – I = PNE – PNE-1

Il saldo delle partite correnti coincide con la differenza fra risparmio e investimento, cioè con la variazione della posizione netta con l’estero. Se è positiva, il nostro debito netto si riduce o il nostro credito netto aumenta. Se è negativa, il contrario.

L’equazione più importante. Dobbiamo ancora affinarla, ma intanto cominciamo a usarla per guardare un po’ di dati. Ora abbiamo uno schema che ci consente di uscire dal livello amatoriale dei talk show. E vedrete che a livello professionale ci si diverte molto di più. Mi scuso per la fatica. Comincia il divertimento (si fa per dire).


Cosa è successo in Grecia: il dato aggregato
Allora: l’accreditamento/indebitamento estero CA è dato dalla differenza fra risparmi e investimenti. Quindi diciamo che ci si indebita con l’estero se si risparmia troppo poco (cioè se si consuma troppo) o se si effettuano troppe spese per investimenti (si comprano troppi macchinari, si costruiscono troppi capannoni). In Grecia cos’è successo?



La Fig. 1 riporta i dati su risparmi (in rosso), investimenti (in blu) e saldo delle partite correnti (in verde) riferiti alla Grecia. La fonte è il database del World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale (edizione di settembre 2011). In questa edizione i dati riferiti a 2011 e 2012 sono stimati, quelli riferiti al 2010 sono provvisori (giusto per farvi notare che la gente spesso parla di dati che ancora non sono consolidati, ma ovviamente non ve lo dice. La prossima edizione uscirà a aprile e sarà interessante confrontarla con la precedente. Potrete farlo voi, perché io vi spiego dove sono i dati e come si usano. Rifuggo cioè dal modo di argomentare squadrista di chi dice “le cose stanno così perché lo dico io che sono bravo”. Del resto, questo blog non riflette né il mio pensiero né i miei interessi, ma solo i pensieri di persone più interessate all’economia di me. Goofynomics, diffidate delle imitazioni).

Cominciando dalle partite correnti, si vede bene che nel periodo considerato la Grecia ha sempre chiesto soldi all’estero (nel 1994 solo per lo 0.1% del Pil). Questo significa che gli investimenti (in blu) sono sempre stati superiori ai risparmi nazionali disponibili per finanziarli (in rosso), per cui la Grecia si è sempre indebitata con l’estero. Attenzione: la Grecia, non lo Stato greco (cioè il settore pubblico greco). La Grecia nel suo complesso, “er sistema paese”, come dicono i “ggiornalisti”. Chi, in Grecia, si sia indebitato verso l’estero, se i governi corrotti o i cittadini cicale, i dati non ce lo dicono ancora. Restate in ascolto, poi ve lo dico... Ma sappiate fin da ora che questa informazione è sempre interessante, ma quasi mai determinante. Sì, avete capito bene: nella genesi di un default chi i soldi (risparmiatori nazionali o esteri) è più importante di chi li prende (settore pubblico o privato). E questa non è l’opinione di un blogger stralunato e antagonista, ma il risultato di un importante studio scientifico, che vedremo fra breve.

Intanto osservate un paio di cose.

L’indebitamento estero netto scende con due bruschi scalini, molto evidenti. Il primo è fra il 1998 e il 2000, quando passa da -3 a -8 punti di Pil, con una diminuzione di 5 punti. Il problema, in quel caso, sembra essere più con gli investimenti, che salgono di 3 punti, che con i risparmi, che scendono di 2. Ma lo scivolone più grosso è fra il 2005 e il 2007. In due anni l’indebitamento estero raddoppia rispetto al Pil, passando da -7 a -14, e questa volta la colpa è decisamente di un calo dei risparmi, che scendono di 5 punti, mentre gli investimenti salgono solo di due.

Due considerazioni.

Un indebitamento estero fra il -7% e il -8% del Pil, come quello greco nel periodo dal 2000 al 2005, è qualcosa di enorme. Manasse e Roubini (2005), analizzando 54 crisi debitorie (default pubblici) in 47 paesi dal 1970 al 2002, arrivano a molte interessanti conclusioni. Ve ne segnalo due che per voi non saranno sorprendenti:

1)      la variabile più importante per prevedere il manifestarsi di una crisi del debito pubblico è il debito estero totale (pubblico e privato); vedete la prima riga della loro Table 6;

2)      il livello di indebitamento estero (saldo delle partite correnti, current account balance) sperimentato nell’anno precedente a quello di esplosione della crisi è in media del -4%.

Capito? L'indebitamento estero diventa pericoloso quando raggiunge poco più della metà di quello che si stava sperimentando in Grecia al tempo in cui questo studio è stato pubblicato.

Chiaro? No? Ve lo chiarisco io, allora: che la Grecia sarebbe andata in crisi era chiaramente iscritto nei dati fin dal 2000, e diciamo che a partire dal 2005 non c’erano scuse per ignorarlo.


Questo tanto per tornare sul solito concetto: lo screening dei prestiti deve farlo il creditore. Vedete, è esattamente come dice un mio collega simpatico di Pescara ai suoi studenti prima dello scritto: “voi avete il diritto di provare a fregarmi, e io ho il dovere di non farmi fregare”. Bene. Il minimo che si possa dire è che nel caso della Grecia i creditori questo dovere non lo hanno esercitato o non lo hanno saputo esercitare. E questo lo si vede molto bene, perché fra 2005 e 2007 l’indebitamento praticamente raddoppia, passando a un incredibile 15% del Pil, senza che nessuno mostrasse particolare allarme (o almeno io non me lo ricordo). Ma perché i tedeschi, che sono così efficienti, produttivi, solerti, che si comportano bene alle riunioni aziendali, che non si mettono le dita nel naso alle assemblee degli azionisti, che hanno uffici studi dove si studia, che hanno analisti che analizzano, che investono tanto in ricerca, prestavano di più a chi già si stava indebitando troppo? Va bene, questa domanda è stupida, la cancello. Direi che adesso dovremmo averlo capito, no? Facciamone un’altra: perché i greci si stavano indebitando troppo?

Poco risparmio o troppo investimento?
Abbiamo visto che il primo scollamento fra risparmi e investimenti in Grecia sembra determinato da una lieve impennata degli investimenti, e il secondo da uno scivolone del risparmio. Un modo per analizzare la situazione è confrontare la dinamica degli investimenti e dei risparmi greci con quella di altri paesi europei. Non è detto che fare quello che fanno gli altri sia sempre una strategia ottimale. Spesso è esattamente il contrario, e ognuno di voi potrebbe farmi mille esempi. Ma siccome la grande saggezza dei nostri illuminati governanti (qui, in Francia, in Grecia, in Spagna, ecc.) si riconduce al dirci che dovremmo fare come i tedeschi, per ossequio e spirito patriottico mi conformo a questo modo di “ragionare”. Analizzo quindi risparmi e investimenti greci prendendo per semplicità due soli termini di riferimento: i primi della classe (quelli che dovremmo imitare secondo i nostri governanti), e la media dell’eurozona.



Cominciamo dagli investimenti (Fig. 2). Diciamo che fino al 2008, anno in cui le cose si mettono male per tutti (ma per la Grecia senza rimedio), non si notano differenze, se non fisiologiche. Diciamo che una volta entrata nell’euro, la Grecia ha innalzato il livello dei propri investimenti (spezzata blu), e questo, se volete, è fisiologico: è cioè fisiologico che un paese relativamente arretrato, nel momento in cui accede a un mercato finanziario integrato come quello europeo, possa finanziare (con prestiti esteri) il proprio sviluppo e quindi permettersi un livello di investimenti più sostenuto. In teoria. Fisiologico anche che un paese più avanzato (la Germania, spezzata rossa) abbia meno bisogno di incrementare la propria dotazione di capitale e quindi abbia investimenti sotto la media. Ma perché quel salto verso il basso di 4 punti fra 1999 (che coincidenza!) e 2002? Certo che i tedeschi sono proprio bravi. Perché su, confessiamolo: noi siamo maligni e invidiosi! Non è vero che la loro competitività si basa su una scelta di politica sociale suicida, che di fatto esclude dal mercato del lavoro una massa di sussidiati che costituiscono disoccupazione nascosta, come in Europa tutti vedono (a partire dall’ILO). No, no! Loro sono più produttivi. E il miracolo, come mostra la Fig. 2, è che essi sono riusciti a diventare più produttivi... investendo di meno! Ma...



Parliamo del risparmio. La situazione è descritta in Fig. 3, ed è molto, ma molto, ma molto diversa da quella dell’investimento, sia per le dimensioni che per il timing del fenomeno. Intanto, qui la Grecia si scolla notevolmente dalla media europea, soprattutto a partire dal 2004. I suoi risparmi, che prima avevano oscillato fra il 15% e il 18% del Pil, precipitano. Ovviamente, quelli della Germania schizzano verso l’alto. L’anno è quello delle riforme Hartz. Fra 2004 e 2007 il risparmio greco scende di 10 punti di Pil. Dall’altra parte qualcuno è lieto di prestare.

Ora: cosa significa che i risparmi sono calati? Semplice: dato che i risparmi sono reddito meno consumi, se i risparmi calano vuol dire che o il reddito cresce di meno, o i consumi crescono di più (o entrambe le cose). Ma la Grecia cresceva! Quindi lo scivolone dei risparmi è stato determinato da una accelerazione dei consumi (ancora non sappiamo se privati o pubblici).

Putting things together
Vi ho mostrato che il saldo delle partite correnti è la differenza fra risparmi nazionali a investimenti nazionali: CA = SN – I. Un dato contabile incontrovertibile, che ci permette di analizzare l’indebitamento estero di un paese in termini molto intuitivi come differenza fra quanto risparmia e quanto spende in beni capitali.


Ma vi avevo anche detto che il saldo delle partite correnti coincide con la somma algebrica di saldo commerciale e redditi netti dall’estero: CA = X – M + RNE. Anche questo è un dato contabile incontrovertibile, una pura e semplice definizione da manuale, che nessun professionista si sognerà mai di contestare. Come del resto nessuno contesterebbe la precedente.

Ne deriva quindi che il saldo delle partite correnti può essere visto in due modi complementari:

CA =  SN – I = X – M + RNE

E qui qualcuno si perde, o fa finta di perdersi, e chiede: cosa c’entra il saldo commerciale (X-M) con il risparmio, e quindi con l’indebitamento di un paese? Se la crisi è del debito, cosa c’entrano le esportazioni.

Eppure non è difficile capirlo, e nel caso della Grecia direi meno che in altri.

Vi faccio un esempio. Supponiamo che i consumi aumentino. Non necessariamente quelli privati, attenzione! Pensiamo, ad esempio, ad un aumento di consumi pubblici. La Grecia compra 3000 fucili per il suo esercito. Sono consumi intermedi dalla pubblica amministrazione, rientrano in C, il risparmio diminuisce (perché C è aumentato), e quindi CA ceteris paribus diminuisce. Ma la Grecia i fucili li produce? No! Li compra in Germania! Quindi anche M è aumentato, e quindi CA diminuisce. È esattissimamente lo stesso fenomeno, visto in due ottiche diverse.

Vi faccio un altro esempio. Un turista va in vacanza in Grecia. In bilancia dei pagamenti figura come una esportazione di servizi di turismo (turismo attivo): X aumenta, quindi CA migliora. Ma, scusate, i soldi del turista sono reddito per i greci, no? Quindi YN aumenta, e ceteris paribus aumenta SN, il che spiega (in un’altra ottica) perché CA aumenta.

Possiamo fare mille esempi: sicuramente qualcuno mi chiederà ulteriori spiegazioni, e io gliele darò, ma il principio è estremamente semplice: le esportazioni (in generale) producono reddito nel paese, quindi aggiungono al risparmio, e fanno migliorare CA. Le importazioni (in generale) corrispondono a consumi del paese, o a investimenti, quindi o sottraggono risparmio, o aggiungono investimento, ma comunque fanno peggiorare CA.

Dato che CA (l’accreditamento/indebitamento netto) in massima parte è spiegato dal saldo commerciale, questo spiega cosa c’entra il commercio con i debiti esteri: un paese si indebita con l’estero quando consuma o investe troppo, cioè quando importa troppo, ma anche quando esporta poco, cioè guadagna poco. Ma è veramente così difficile? Ma non è quello che, con le ovvie e dovute differenze, accade in ogni famiglia? Ma potete veramente credere voi che sia in buona fede chi non lo capisce? Ripeto: io ho fiducia nell’uomo. Quindi preferisco ritenere che sia in cattiva fede piuttosto che (così tanto) ottuso. Ma, come dire: non poniamo limiti alla Divina Provvidenza...

Chiarito questo punto, andiamo a vedere l’indebitamento netto della Grecia nell’ottica della bilancia di pagamenti.


Cosa è successo in Grecia (2): saldo commerciale e saldo redditi


La Fig. 1 fa vedere CA come SN – I. La Fig. 4 lo fa vedere come X – M + RNE. CA è sempre in verde, ed ha ovviamente sempre lo stesso profilo. In Fig. 4 il dato allarmante, per l’occhio esperto, è l’andamento dei RNE, cioè, in buona sostanza, del servizio del debito estero. Questo parte già male, intorno a -2 punti di Pil. Non è poco, considerando che si tratta di interessi netti sul debito (quelli che entrano meno quelli che escono). Il fatto è che nel 1991 la Grecia aveva un debito estero piuttosto cospicuo, intorno al 20% del Pil (poco meno del nostro attuale), e ovviamente i tassi di interesse erano quelli dei primi anni ’90.


Nel processo di avvicinamento all’euro, fino al 1999, il carico di interessi si riduce, per effetto della riduzione dei tassi. Poi, a partire dal 1999 e fino al 2008, l’onere del debito aumenta con una progressione sinistramente regolare. Ma come, direte voi, e “er dividenno der l’euro”? Il fatto che i tassi di interesse si sono abbassati? Non ha procurato sollievo alla Grecia? Mica tanto. Il motivo lo vedete sempre in Fig. 4 (ma anche in Fig. 1): fra 1998 e 2000 l’indebitamento estero (CA) aumenta di 5 punti (da -3 a -8). Quindi è vero che i tassi di interesse sono calati... ma... paga più interessi chi ha un debito di 10 al 10% o chi ha un debito di 200 al 5%? Così è la vita.

Ora, considerate ad esempio il periodo prima dell’ultimo scivolone. Dal 2000 al 2004 il saldo delle partite correnti migliora (CA aumenta) di 2 punti. Ma le esportazioni nette sono migliorate (X-M è aumentato) del doppio: 4 punti! Certo: solo che metà di questo miglioramento è mangiato dai redditi netti: il carico di interessi aumenta di 2 punti (RNE diminuisce di due punti).

In altre parole, già nel 2004 si poteva vedere abbastanza chiaramente come la Grecia fosse avvitata nella spirale del debito estero: metà del miglioramento conseguito sui conti esteri veniva erosa dal pagamento di interessi all’estero. Un effetto dell’accelerazione che l’indebitamento aveva subito all’inizio del decennio: più debiti, più interessi. Un indebitamento, ricordiamolo, in teoria virtuoso, fisiologico, perché dovuto più a un aumento degli investimenti che a una diminuzione del risparmio (Fig. 1).



Conclusioni
Direi che possiamo cercare di tenere a mente alcune cose:

1)      il saldo delle partite correnti è la variabile più importante per controllare lo stato di salute finanziaria di un paese;

2)      le sue tre definizioni

CA =  SN – I = X – M + RNE = PNE – PNE-1

ci consentono di analizzarlo sotto tre diversi aspetti: come scostamento fra offerta e domanda di fondi sui mercati finanziari nazionali, come scostamento fra offerta e domanda di beni sui mercati internazionali, come variazione della posizione netta sull’estero di un paese. I legami fra queste definizioni sono stati chiariti nel testo.

3)      nel caso della Grecia la situazione si è deteriorata in due passi successivi: il primo fra 1998 e 2000, quando un aumento degli investimenti (Fig. 1) ha innescato la spirale del debito estero, ponendo RNE su un trend negativo (Fig. 4); il secondo fra 2004 e 2007, grazie a uno scivolone del risparmio (Fig. 3).

4)      che la situazione greca fosse insostenibile era chiaramente iscritto nei dati fin dal 2000, dato il livello eccezionalmente elevato di indebitamento estero, pari a circa il doppio di quello che la letteratura scientifica internazionale indica come premonitore immediato (l’anno precedente!) di una crisi debitoria.


Questo credo chiarisca intanto come la crisi debitoria greca dovrebbe essere un problema dei creditori quanto e più che dei greci, perché in tutta evidenza i creditori non hanno esercitato alcuna diligenza nel valutare il merito di credito del paese.

Rimangono alcune domande:

1)      chi si è indebitato con l’estero? I cittadini cicale o lo Stato corrotto?

2)      perché lo ha fatto?

3)      e perché i mercati, che dovrebbero, secondo la visione omodossa e panglossiana, fungere da “istituzione complementare” che surroga lo Stato nel compito di indirizzare correttamente i flussi di risparmio, glielo hanno lasciato fare?

Sono tre belle domande, con tre brutte risposte. Per le quali vi invito a restare in contatto. Ma intanto imparate l'arte e mettetela da parte. Se vi andate a vedere i dati dell'Italia...


P.S. del 17/2/2012, ore 11:44: un fulmine di guerra, che ovviamente non vuole essere nominato e non nomino, mi ha fatto questo commento: laddove io dico:

"Il fatto è che nel 1991 la Grecia aveva un debito estero piuttosto cospicuo, intorno al 20% del Pil (poco meno del nostro attuale)"

in effetti avrei dovuto dire "intorno al 100% del Pil" (secondo lui).

Ci ho messo due giorni a capire cosa cavolo volesse!

Capito l'errore? Poverino, non è colpa sua. Se lui dice debito, subito gli urlano PUBBLICO: debito PUBBLICO, debitPUBBLICO, dePUBBLICO, dPUBBLICO, PUBBLICO, PUBBLICO, PUBBLICO (immaginate il bravograzie di Petrolini).

Prima che lui possa pensare, gli sparano subito in vena il concetto che il debito, tutto il debito, è sempre e comunque e solo pubblico, perché il debito è male e lo Stato è male e quindi se il debito è male e lo stato è male allora il debito è pubblico.

La Corea del Nord, in confronto, è la scuola di Atene di Raffaello.

Ma amico caro! Io sto parlando di debito estero, cioè del debito che un residente (lo Stato, ma anche e SOPRATTUTTO un privato) contrae con un non residente. E questo in Grecia nel 1991 era al 20% (vai, caro, accomodati a vedere il database EWN), e oggi da noi un po' di più: ma non il 100%: quello succede in Grecia, Spagna e Portogallo. Noi siamo diversi.

Non è vero, il nostro debito è oltre il 100% del Pil!

Certo: il nostro debito pubblico lordo, tesoro caro, che è detenuto, guarda caso, per due terzi da italiani, ancora, se Dio vuole. Ma io sto parlando (e nel post non te lo ho nascosto) del debito estero netto, che secondo me, e secondo Roubini, è più pericoloso. E questo è al 20% o poco più del Pil.

Non è vero, il nostro debito è oltre il 100% del Pil!

Vabbe', allora sei piddino. Pe' malati c'è la china...

67 commenti:

  1. 1) I cittadini.

    2) Perché conveniva.

    3) Perché dal loro punto di vista non era razionale impedirlo.

    Giuste, sbagliate o apodittiche?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma sai che non lo so nemmeno io? Questo è un romanzo d'appendice... solo che i personaggi fanno come gli pare. Resta connesso, le prossime puntate saranno più brevi...

      Elimina
  2. ...quando vedo questi suoi lunghi post, che felicità!
    So che imparerò qualcosa e che sarà una bella lettura, meglio se non breve.

    Nabokov da qualche parte ha descritto questo piacere, con l'immagine di un lettore che, il libro tra le mani, mentre gusta la pagina considera con il pollice della mano destra la misura delle pagine che verranno, felice di scoprire che, sì, manca ancora molto alla fine del libro!

    antonino

    (e ora a leggere!)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ...mi pare in La difesa di Luzin e Luzin in effetti un po' masochista era

      (ma non sono sicuro della citazione)

      antonino

      Elimina
    2. invece a me che non sono masochista mi è preso un colpo. Ma superato lo sgomento un po' per curiosità un po' per la minaccia (chi non arriva in fondo piddino è) piano piano l'ho letto due volte. Solo su un punto vorrei interrogarla. "quando qualcuno spende, spende il reddito di qualcun altro" Non capisco.....non vorrei che qualcuno stesse spendendo il mio sua Contessa

      Elimina
    3. Cara Elvira,

      la quinta di Beethoven inizia con un noto sol sol sol mi(bemolle). Se invece solfeggi do re mi do è fra Martino campanaro. Io non ho detto quello che mi attribuisci, ma una cosa ben diversa, che mi permetto di riportare:

      "quello che tu spendi, è il reddito di qualcun altro"

      Visto che non è chiaro, faccio alcuni esempi in ordine crescente (secondo me, poi non si sa mai) di difficoltà.

      Quando vai al mercato di Porta Nuova e compri tre chili di patate di Avezzano, i soldi che tu spendi per il contadino sono un reddito, no? O come vogliamo chiamarlo? Regalo no, perché tu in cambio vuoi le patate. Emolumento? Guiderdone? Vedi un po' tu...

      Quando vai in banca e ti hanno accreditato lo stipendio, quello, come il mio, in contabilità nazionale rientra nella voce "consumi collettivi". Quello che lo Stato chiama "consumi" comprende anche i soldi che ci dà. Tu come li chiami? Nel mio caso parlerei di guidrigildo (pecunia doloris). Ma comunque è un reddito.

      Più chiaro? Devo fare ulteriori esempi?

      Il reddito tuo lo spendi tu, e a seconda di come decidi di spenderlo (o di non spenderlo) a valle qualcuno guadagnerà o non guadagnerà...

      Elimina
    4. no profe è tutto chiaro è l'italiani che è una lingua imprecisa, molto più della moseca

      Elimina
    5. Avrei potuto dire "diventa" il reddito di qualcun altro. Ma da quando su questo blog è stato evocato Hegel la mia allergia per il "divenire" si è manifestata in tutta la sua virulenza.

      Elimina
  3. 1) Entrambi

    2) Perché no?

    3) Perché hanno ovviamente sbagliato.*

    * Col senno di poi, of course. E le agenzie di rating, dov'erano? Qui è lampante che ci sono delle lacune nei movimenti finanziari che pure un bambino capirebbe, eppure non si fa nulla per impedirlo: ma non mi stupisce. Stupisce invece che si permetta che un fallito (la Grecia) sia spremuto come un limone pur di non far perdere i soldi delle banche. Non so se "i greci" hanno fatto i furbi, sicuramente dei fessi gli hanno prestato i soldi, senza capire che li infilavano in un pozzo senza fondo.

    E comunque professore, ci dia i grafici dell'Italia!!!!
    PS: complimenti per i post. Bellissimi. Continui così.
    Marco (Milano)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Le agenzie di rating (cioè Porfirj) stavano salendo le scale, parlando del più e del meno. Ma l'eurodelitto era già stato perpetrato.

      Elimina
    2. Scusa: il grafico più importante, secondo me, lo avevo dato ai miei studenti nel novembre 2010, e a lavoce.info nel luglio 2011. Si tratta dei RNE italiani. Vedi che belle figure? Le vuoi commentare?

      Elimina
    3. Allora professore, sono andato a vedermi il grafico 2.... eh, non è una bella situazione: i greci nel rapporto tra i redditi e l'RNE sono andati sotto nel 95, noi ci siamo andati nel 2004 (in percentuali ridotte, ma quello è). Quindi cosa devo commentare? Mi viene invece da domandarmi/domandarle: è iniziata la spirale anche per noi? La speranza dovrebbe essere l'ultima a morire ma chi vive sperando...
      Ma a me sta a cuore anche un'altra domanda: secondo lei quello che sta facendo Monti invertirà l'andamento delle curve (stante la situazione complessiva costante) o no? Perché ho il sospetto che (come dice Crozza) il cetriolo è pronto, ma la beffa è che sarà tutto inutile. Ovvero si sfrutta la situazione di emergenza per far passare quello che in condizioni normali non passerebbe mai, anche se non è funzionale al raddrizzamento della situazione. Lo chiamiamo "un favore agli amici"?
      L'altra domanda è: allora che si fa? Nel senso noi "gente comune".... si portano i risparmi in Svizzera? Si aspetta? Si comprano BOT? (l'ultima è ironica...).
      Spero di non aver detto troppe cavolate...
      Attendo trepidante.
      Marco (Milano)

      Elimina
    4. Ma la spiegazione è nell'articolo. La crisi non scoppia quando Berlusconi o chi per lui scopa. La crisi scoppia quando il paese si avvita nella spirale del debito (privato) estero. Succede sempre così.

      Elimina
    5. ... capito... anche se siamo lontani dai livelli greci la discesa sembra iniziata. Ci tenga aggiornati coi grafici.... Saluti.
      Marco

      Elimina
    6. Ma scusa, allora l'articolo sullo spettro del 1992 non era chiaro? Perché è iniziata questa estate la crisi? Certo, non per una causa sola. Ma fra le tante, quella alla quale attribuisco maggior peso è il fatto che dai conti con l'estero risulta chiaramente come l'Italia si stesse (e si stia) avvitando nella spirale del debito ESTERO (di origine PRIVATA e pubblica): oltre metà del suo indebitamento netto coincideva (e dopo l'impennata dello spread coincide ancora) con il pagamento netto di interessi ai capitali esteri.

      Chiaro, no?

      Elimina
    7. Chiedo venia, vedo di attaccare il cervello... ma è venerdì!
      Dunque, vediamo le correlazioni: nel 92 (come dal 2006 al 2010) c'è stato un peggioramento dell’onere del debito estero. Notavo però che subito dopo il 92 ci siamo ripresi con una forte esportazione (non lo ricordavo, ma ne ero certo: allora abbiamo svalutato!). Anche adesso la situazione è in discesa, ora però l'euro ci frega, la svalutazione è impossibile (ARGH!) Il grafico nell'articolo si ferma al 2010 e mi piacerebbe veramente molto vedere come progredisce nel 2011 (si ecco così mi rovino il w.e.)...
      Saluti
      Marco (MI)

      Elimina
    8. Come vuoi che vada? Visto che da sei mesi ci puntano lo spread alla tempia per farci fare la cosa giusta (per loro), ovviamente i nostri interessi netti verso l'estero (segno meno) aumenteranno. Vogliono tutto e subito, perché sanno che fra molto poco non ci sarà più niente.

      Elimina
    9. Comunque, vedi: vale sempre la pena di fare un piccolo sforzo... per rovinarsi il we! E che cazzo! Mica posso sempre rovinarmelo da solo! Roviniamocelo in compagnia...

      Elimina
  4. Professore, ma la bilancia commerciale e le partite correnti di gennaio positive?

    sono emozionato, non accadeva da secoli di avere gennaio positivo, è l'inizio della rimonta, siamo (quasi) invincibili!

    Segnalo:

    http://www.tradingeconomics.com/italy/balance-of-trade

    http://www.tradingeconomics.com/italy/current-account

    Crollo delle importazioni, diminuiscono ma tengono le esportazioni.

    Per una volta possiamo essere pensare positivo?

    Grazie

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma tesoro mio... Perdonami, se vuoi essere ottimista ascoltati una sonata di Mozart! Il crollo delle importazioni, come giustamente lo chiami, altro non è che una conseguenza del crollo dei redditi.

      Mettiamola così: vuoi che l'Italia abbia i conti esteri sempre in equilibrio? Il sistema è semplice: tienila sotto l'acqua per 15 minuti...

      Chiaro, no?

      O mi stavi prendendo in giro?

      Elimina
  5. Aspetto la seconda parte, perché ho voglia di ragionare in laboratorio. ma attendiamo un po', male non fa.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La colpa è dello Stato che ha truccato i conti, ovviamente... Debito sovrano, debito sovrano, debito sovrano... Il drone della Bce ha colpito, Tabellini è alla tastiera...

      Elimina
    2. Buono... sono tornato... buona notte!

      Senti, ma vuoi farti due risate? Vai un po' a vedere sul sito OCSE, http://stats.oecd.org/Index.aspx, sezione Finance, sottosezione Households' financial and non financial assets and liabilities, come è andata sviluppandosi la posizione netta delle famiglie greche (asset - liabilities).

      Ma che sorpresa! Ma che sorpresona! Ma che sorpresissima! Ma che cosa originale che non è mai successa da nessuna parte in nessuno di tutti gli altri paesi che hanno avuto crisi fotocopia, come quella che ora tocca a noi, ma tutte uguali uguali uguali TRANNE quella greca...

      O no?

      Del resto, perché mai un impresario (il capitale finanziario) dovrebbe cambiare un copione (la crisi "mynskiana") che gli garantisce sempre degli ottimi incassi? Io non lo farei! Dai, che dopo la terza puntata i piddini nemmeno li vedrete più: volerete troppo alti...

      Elimina
    3. ostia se fa ridere, e vuoi vedere che in questi anni, a parte gli anni della crisi, il deficit della Grecia non è stato così fuori controllo come millantano i mantraboys? vuoi vedere che tutto torna e la Grecia ricorda tanto, in termini di saldi contabili, quel paese a cui tutti guardiamo perché da lì tutto arriva (no non la Germania)?

      Elimina
    4. Esatto... ma non rovinarmi la suspense...

      Elimina
    5. Sono andato a vedermi il sito dell'OSCE.
      Ho notato però che alcuni valori non sono presenti, mi chiedevo quindi che affidabilità abbiano.
      Ad esempio, guardando la Grecia, noto che mancano gli asset non finanziari, mentre li trovo per altri paesi.
      Oppure sbaglio io qualcosa?

      Elimina
    6. No, non sbagli. Non ci sono informazioni sulle case (il grosso degli asset non finanziari).

      Elimina
    7. Aggiungo una cosa. L'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, che i giornalisti confondono con l'OSCE, Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) controlla e armonizza i dati. Quindi se li vedi pubblicati vuol dire che sono OECD tested and approved. Se non trovi dati sugli asset immobiliari vuol dire che o non esistono statistiche nazionali, o non sono state ritenute confrontabili con quelle di altri paesi.

      Guarda il lato positivo: almeno i greci non possono essere presi in giro con la storia che sono ricchissimi perché i prezzi delle case sono raddoppiati! Chi ci crede è... giornalista!

      Elimina
    8. Un'altra cosa prof. Bagnai.
      Nella parte relative alle Pensions - Pensions indicators, ho visto questo in Employers’ contributions as a % of total contributions... un dato carino (se non ho capito male).
      Mi pare che gli imprenditori italiani piangano miseria, soprattutto sul lato contributi che loro devono versare, però andando a vedere questi dati, sembra che gli italiani siano quelli che in percentuale contribuiscano meno in tal senso.
      Italia - 22.77 (2010) in netto calo nello storico
      Grecia - 46.50 (2010)
      Germania - 54.22 (al 2006 dopo non ci sono dati)
      Danimarca - 62.12 (2010)
      Francia - niente dati
      Tra tutti i presenti (con dati al 2010) mi pare che solo la Finlandia ci batta.

      E per fortuna che il nostro sistema non è competitivo.

      Perché anche andiamo a vedere gli altri parametri sempre relativi alle pensioni, non mi pare che gli altri paesi "ricchi" dell'eurozona (e non) brillino molto.

      Alla fine mi pare di capire che la ricetta sia spostare tutto sul versante della previdenza privata, e poi i lavoratori che si attacchino al tram.

      Ho capito male?

      Elimina
    9. Non me ne intendo. Occhio che quelle sono le percentuali a carico di... Bisogna vedere percentuali di quanto!

      Però in effetti l'ipotesi che lo scopo del gioco sia appunto quello di smantellare la previdenza pubblica e i sistemi a ripartizione, per liberare fondi da convogliare di fatto verso il mercato azionario, all'americana, è quella alla base del lavoro, che mi sembra molto sensato, di Julie Froud e dei suoi coautori (citato in Crisi finanziaria ecc.).

      Elimina
  6. C'è un aspetto del quale non si tiene generalmente conto quando, in periodi di crisi, aumentano le esportazioni.

    La ragione può essere questa, tutt'altro che positiva. Gli acqquirenti italiani non pagano o c'è il rischio grave che non paghino. E allora l'imprenditore comincia ad esportare, pur ricavando meno di quanto avrebbe ricavato se avesse venduto agli italiani.

    Io conosco un produttore di lana lavorata che si è trovato proprio nella situazione descritta. L'anno scorso ha esportato in Cina; mentre quest'anno in Germania e soprattutto in Inghilterra: gli acquirenti si recano presso la sua impresa, caricano e pagano.

    Più in generale la professione mi porta a conoscere molti imprenditori italiani, che in ragione dell'oggetto dell'attività non possono esportare, e che hanno capito che bisogna ridurre il fatturato, perché in Italia la gente non paga e se prendi "la botta" non ti rialzi più.

    Alberto, trova la spiegazione tecnica. Io da avvocato ti annuncio che nel 2012 non avremo semplicemente un meno 2,2%, come sostiene il FMI. Avremo un meno 4%. Sono pronto a scommettere.

    Stefano D'Andrea

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Stefano, molto interessante l'aneddoto, che sicuramente esprime una fattispecie piuttosto generale. In termini di quanto dico nel post (in "Putting things together") direi che una riduzione dei consumi italiani (quindi un aumento del risparmio) in questo caso si traduce in un aumento delle esportazioni. CA aumenta quindi perché S aumenta (nell'interpretazione finanziaria) e perché X aumenta (in quella economica).

      Sono sicuro che questo esista, ma è un fatto che in presenza di recessioni si vede sempre un "dente" più marcato nelle importazioni (come è ovvio che sia), il che naturalmente non toglie interesse e rilevanza alla tua osservazione.

      Elimina
    2. A volte è che in Italia il mercato non c'è proprio più... quindi chi ha la possibilità cerca di esportare.
      Marco (Milano)

      Elimina
    3. E cerca di esportare per sopravvivere.
      Se non ha più domanda interna, guarda lontano e cerca la domanda li dove c'ė

      Elimina
  7. comunque c'è un aspetto interessante di questo post. è ovvio e sicuramente colto da tutti, ma lo sottolineo. le identità di contabilità nazionale non ti dicono nulla di speciale riguardo a quello che è avvenuto, ma l'interpretazione di quello che è avvenuto non può (in nessuna maniera) discostarsi dalle identità di contabilità nazionale.

    ecco perché il 90% degli articoli degli economisti del momento sono totalmente ridicoli. e mi faceva ridere tempo fa quando lessi su un sito base dei mortidisonno che deridevano chi lavorava e analizzava con identità contabili, semplicemente dimostrando l'ovvio. così ovvio che loro però non l'hanno ancora capito.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Risposta sintetica: "l'umirtà nun è male che s'attacca" (GGB). La risposta analitica è nel post seguente.

      Elimina
  8. Scusatemi, sono andato nel sito dell'OCSE indicato dal professore ma cosa dicono tutti quei numeri sulla Grecia? Non ci capisco molto.
    Forse che la posizione netta delle famiglie greche è identica a quelle degli altri Piigs?
    Grazie.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Gianni, hai ragione, sono troppi numeri. Se rispondo alla tua domanda però perdo lettori, perché ti dico subito chi è il colpevole! La tua risposta va nella direzione giusta. Secondo me c'è anche qualche altro piccolo dettaglio. Resta in linea.

      Elimina
  9. buongiorno prof, che bel post ! altro che le chiacchiere sul nulla che si leggono in giro. seguo da tempo il suo blog ma questa volta voglio intervenire per farle i complimenti. finalmente dei dati e una spiegazione ragionata (anche se ho fatto un pò di fatica, soprattutto sui grafici).grazie.
    Alberto Pierpaoli

    RispondiElimina
  10. Grazie. Lo so, si fa fatica all'inizio, ma meglio abituarsi. Lei preferisce:

    "La verità vi renderà liberi" (Veritas liberavit vos)

    o

    "Il lavoro rende liberi" (Arbeit macht frei)?

    Purtroppo per arrivare alla verità bisogna lavorare un po'...

    RispondiElimina
  11. Alberto, la seconda la conoscevo, per cui, in controtendenza con "Quelo" ....... la prima che hai detto.
    Alberto Pierpaoli

    RispondiElimina
    Risposte
    1. In effetti, meglio lasciare la via vecchia per la nuova. Comunque mi hai dato un'idea, aggiungo le tabelle coi dati.

      Elimina
  12. Ottimo post, complimenti!
    ma quindi per noi italiani non c'è speranza??
    cosa puo' risollevarci??
    liberalizzazioni?
    Riforma del lavoro?
    ...O il mare di liquidità della BCE??

    quanto anni ci rimangono di "vita"??
    saluti

    furio

    RispondiElimina
  13. Non capisco la relazione
    CA=PNE-PNE'
    cioè mi è chiaro che CA essendo la somma algebrica del saldo commerciale e dei redditi netti dall'estero, dentro CA, l'estero ci sta. Ma nella uguaglanza CA=PNE-PNE' ci sta solo la variazione della posizione netta sull'estero.
    Questa uguaglianza spunta un pò dal cilindro perché è correlata solo logicamente con quanto la precede nel post, mentre le altre uguaglianze sono tutte concatenate.
    Spero di non aver fatto grande confusione, cosa molto probabile.
    Edoardo

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Allora: se Sn è maggiore di I il paese ha generato nell'anno risorse finanziarie in eccesso rispetto ai propri progetti di investimento, e le ha necessariamente prestate al resto del mondo. Se Sn è minore di I il paese non ha generato risorse sufficienti per finanziare i propri investimenti, e quindi si deve esser fatto prestare soldi dal resto del mondo (visto che gli investimenti li ha fatti).

      Di conseguenza

      Sn - I = PNE - PNE(-1)

      cioè la ricchezza estera netta di un paese (che se è negativa è un debito) aumenta se il paese è un risparmiatore netto (Sn maggiore di I), diminuisce se il paese ha un risparmio netto negativo (Sn minore di I).

      E naturalmente Sn - I è sempre l'accreditamento/indebitamento netto CA.

      Del resto, mi scusi, ma lei in banca non ci mette la differenza fra quanto le entra e quanto le esce? E se in banca ha soldi non si sente un po' più ricco? E se invece deve comprarsi una casa, non chiede soldi alla banca (perché quello che "entra" non basta - credo - a perfezionare l'acquisto)? Siamo lì...

      Sono tutte definizioni, il cilindro non è quello di un prestigiatore ma quello della contabilità nazionale. Capisco benissimo che all'inizio le cose sembrino un po' difficili, ma non voglio spiegare cose facili. Per quello c'è Bruno Vespa!

      Può darsi che non si capisca perché è troppo semplice (non scherzo: succede spesso!) e in questo caso suggerisco l'analisi più dettagliata contenuta nel capitolo 14 del manuale della bilancia dei pagamenti.

      Elimina
    2. è molto diversa dalla versione precedente (mi pare 1993)? a prima vista il manuale è quantomeno organizzato un po' diversamente, anche dalla versione rilasciata da bankitalia.

      Elimina
  14. scusi professo', da quanto ho capito andando a spulciare e se non sto prendendo una cantonata - considerata la mia inettitudine con l'economia -, l'IMF stima un livello di indebitamento estero per l'Italia del -3,29% per il 2010, e un - 3,48% per il 2011...
    ci si avvicina al - 4% dello studio di Manasse e Roubini insomma?
    m.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Claro que si (ti rispondo in spagnolo da Buenos Aires). Il problema, tra l'altro, è che queste stime non tengono conto del fatto che il Pil è crollato nell'ultimo trimestre. Questo ha contribuito anche alla riduzione delle importazioni, come giustamente notava "Voci dalla Germania", ma quale possa essere il risultato netto non è chiaro, considerando che nel frattempo lo spread è è stato fra 400 e 500 per un trimestre (altra cosa che l'Imf non considera), e che i rapporti, si sa, sono lineari per chi sta sopra e iperbolici per chi sta sotto... (un rapporto cresce linearmente nel numeratore, ma cala iperbolicamente nel denominatore, e in certe circostanze conta di più quello che succede sotto - in altre di meno, lo so...).

      Lo strombazzamento del risultato commerciale, che forse ha un po' tratto in inganno (mi permetto affettuosamente di notarlo) Voci dalla Germania, non ha proprio senso, non solo perché indica che i nostri redditi stanno andando a picco, ma anche perché da tre anni il nostro indebitamento estero è dominato dai pagamenti di interessi all'estero.

      Ora, non è perché tu tagli il tuo reddito che poi devi pagare meno interessi! Sarebbe bello licenziarsi, poi andare in banca e dire che la rata del mutuo è scesa del 50%. Non è così: la rata è quella, e se ti licenziano, per la banca, sono fatti tuoi. Chiaro perché le politiche di "austerità" sono suicide?

      Ma del resto, scusa: in crisi ci siamo già, non è evidente? L'evento del default pubblico potrebbe anche non esserci, ma solo perché noi siamo molto più sotto tutela di quanto non lo fosse l'Argentina "illo tempore". Che poi è quello che Caselli ci viene a dire in faccia. E se lo dice lui dobbiamo credergli, come dobbiamo credere a Prodi se ci dice (lui) che l'euro ha fatto comodo soprattutto ai tedeschi. Pensa, se non me lo avesse detto non me ne sarei mai accorto! Io, da buon piddino, pensavo che fossero bravi... Ma allora... Perché truccare le carte... Ma! Mistero! Certo, noi non saremo mai così bravi... o bravi così!

      Elimina
    2. P.s.: quando dico "non considera" intendo "l'Imf non considerava a settembre". A aprile esce la prossima edizione del WEO. Sarà interessante confrontarla con la precedente, perché loro sanno bene come prendere in considerazione quello che è successo...

      Elimina
  15. Professore,se non ci sara' una terza parte,e se me lo permette mi metto a tradurre l'articolo.

    Un suo articolo: L'uscita dall'euro prossima ventura,tradotto in greco da me,si puo' trovare nel blog: http://youpayyourcrisis.blogspot.com/2011/10/blog-post_02.html.

    Nikos

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sei stato tu! Grazie, lo avevo visto, mi ha fatto molto piacere. La terza parte ci sarà, ora sto scrivendo la seconda. Certo che puoi tradurlo: riguarda voi. E puoi anche dirmi se quello che dico somiglia o no a quello che è successo. Io conosco pochissimi greci: un mio collega di Coimbra (pro-euro), e uno che vende l'olio (buono) al mercato di Rouen (direi abbastanza anti-euro)... Ma della Grecia so molto poco, anche perché in Italia ce ne parlano poco. Ne parlano molto più qui in Francia. Oggi hanno lungamente intervistato al telegiornale di France 2 quel partigiano che sta facendo una campagna perché la Germania paghi i suoi debiti di guerra. Pare che solo la Grecia non abbia avuto somme per riparazioni. Il venditore di olio era piuttosto incazzato. E ci credo!

      Elimina
  16. Prof. tutto quello che scrive e' molto vicino alla realta' che viviamo.Il Trattato di Maastricht il tipo dell'economia greca e l'euro hanno avuto,secondo me un ruolo prepoderante.

    L'ex partigiano si chiama Manolis Glezos ed e'tra i pochi che si batte per i risarcimenti di guerra da parte della Germania,cosa che la Germania si rifiutta di fare.
    Nikos

    RispondiElimina
  17. Sono andata a vedere le risposte... ho sbagliato tutto. Sono la somara del blog, eppure mi sono anche impegnata. L'economia non fa proprio per me, sono un po' demoralizzata. Mi scusi, le sto solo facendo perdere del tempo, tanto resterò una zuccona. Non stia neanche a rispondere.
    Silvia

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Dividiamoci il lavoro: tu studia, e io ti boccio. Direi che in autostima hai un 18 politico, ma in economia penso che tu stia meglio di quello che credi!

      Elimina
  18. Bè una cosa giusta in effetti l'ho fatta: scegliere il miglior professore.

    GRAZIE

    Silvia

    RispondiElimina
  19. Buonasera Professor Bagnai,
    stavo esaminando il database del FMI da quale ha estrapolato i dati per i suoi grafici. Tuttavia non trovo nè le serie storiche per i RNE (in % GDP) nè le serie storiche per (X-M) sempre in % del GPD.
    Ha per tali serie esaminato un altro database ? In caso affermativo, quale ?

    Grazie
    Ronnie

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Benvenuto, Ronnie: hai perfettamente ragione, scusa la svista. Il "trade balance" (X-M) lo ho estratto dai World Development Indicators della World Bank. Non ci sono particolari problemi di disomogeneità, perché la fonte comune dei WDI e del WEO sono le IFS dell'IMF. Attenzione: ho messo in X-M anche i "net current transfers", semplicemente perché così sottraendolo da CA quello che resta sono solo i NFI (che era quello che mi interessava mettere in evidenza). Quindi in effetti lo X-M che vedi è il balance on goods, services and transfers. Questo non cambia di molto il profilo temporale dei saldi, perché i transfers non hanno molta varianza. Tutto chiaro? Buon lavoro!

      Elimina
    2. Buonasera Professor Bagnai,

      Purtroppo anche prendendo i dati della World Bank da lei indicati nel post precendente, non riesco a calcolarmi i corretti X-M e NFI. Mi spiego meglio: guardando i dati del database per la Grecia nel 1991 in %GDP, export (17.4%) - import (29.4%) = -12% GDP, lontano dal quasi 0% mostrato nella Fig.4. Sottraendo i "net current transfer" (calcolati come: "Net current transfers from abroad -constant LCU" / GDP-constant LCU = 2.6% del GDP)la situazione si distanzia maggiormente dalla figura 4. Mi potrebbe gentilmente indicare dove sto sbagliando?

      Inoltre le vorrei chiedere qual'e' la differenza tra i net current transfer from abroad e il net income from abroad (situato poche righe piu' sotto nel DB). Come puo' vedere i valori per le 2 voci sono identici.

      Grazie mille per l'aiuto e complimenti per l'interessante blog!

      Elimina
  20. Buona sera Senatore. Sono nuovo del blog. Dovrò rileggere con calma per metabolizzare tutto. Considerando che la crisi greca si poteva già prevedere quando l'indebitamento estero era al 20% del pil, si può considerare almeno come una buona notizia che il nostro indebitamento estero (spero di aver visto bene 2,6% nel 2019. Grazie
    Daniele Ranucci

    RispondiElimina

Tutti i commenti sono soggetti a moderazione.