mercoledì 24 maggio 2023

Quanto dovremo sporcare ancora per arrivare a un mondo pulito?

 (...la mia relazione introduttiva al convegno Le materie prime nella transizione ecologica, organizzato da a/simmetrie col patrocinio della Camera dei Deputati - il video prima o poi apparirà qui...)

Intervengo in questa sede come presidente del comitato scientifico di a/simmetrie, un think tank che svolge da dieci anni un’attività di riflessione, ricerca e divulgazione sul tema delle asimmetrie economiche.

La transizione ecologica, che in termini strettamente merceologici può essere vista innanzitutto come transizione da una classe di materie prime (gli idrocarburi) ad un’altra (i metalli e i semimetalli), in termini economici più ampi è una delle tante ramificazioni del tema delle asimmetrie. Le asimmetrie della transizione sono molte e vistose: asimmetrie nella dotazione delle risorse naturali, asimmetrie nello sviluppo tecnologico dei diversi Paesi, asimmetrie dimensionali fra i diversi Paesi, i loro apparati produttivi, le loro emissioni (in termini assoluti e in termini pro capite), asimmetrie regolatorie e legislative fra diversi ordinamenti nazionali e sovranazionali.

Un po’ tutti questi temi verranno toccati nella quattro relazioni, e qui sottolineo qualche loro implicazione politica.

L’asimmetria nella dotazione delle risorse pone due ordini di problemi.

Uno, ormai evidente, è quello geopolitico: chi controlla le filiere di approvvigionamento dei metalli e dei semimetalli? Siamo ormai tutti consapevoli, in buona parte grazie al meritorio lavoro di Gianclaudio Torlizzi, che di a/simmetrie è anche socio, del fatto che queste filiere sono controllate da una potenza emergente che si sta caratterizzando sempre più come antagonista del blocco atlantico: la Cina. Dobbiamo allora chiederci: quanto è compatibile una sempre maggiore dipendenza dalle materie prime cinesi con la vocazione atlantica del nostro Paese? Una domanda aperta cui dobbiamo rispondere al meglio, evitando di cadere da una dipendenza politicamente scomoda in un’altra dipendenza altrettanto scomoda.

Ma c’è anche un altro problema su cui probabilmente non si riflette ancora a sufficienza, quello geologico: indipendentemente dalla loro geografia politica, le dotazioni di risorse naturali necessarie per una compiuta transizione ecologica (intesa, banalizzando, come elettrificazione) sono fisicamente disponibili, in tempi rapidi, sulla crosta terrestre? Derivano da qui due ulteriori ordini di problemi, che devono entrare nel radar della politica: un problema ambientale e uno distributivo.

Intanto: quale impatto ambientale, quale violenza alle viscere della Madre Terra determina, il procurarsi a tappe forzate ingenti quantità di questi materiali? In altre parole, quanto dovremo sporcare ancora prima di arrivare a un mondo pulito? Quanta CO2 emetteremo per ridurre le emissioni di CO2?

Le riflessioni di Roberta Benedetti sulla filiera del fotovoltaico ci aiuteranno a mettere a fuoco questi aspetti con esempi concreti.

E poi c’è il problema distributivo: quali impatti inflazionistici, e con quali conseguenze redistributive e quali impatti sul conflitto sociale, avrà la scarsità indotta di questi materiali? La riflessione più immediata è quella sui costi dell’auto elettrica e su chi se la potrà permettere, ma il tema è molto più pervasivo e riguarda il costo dell’energia e della vita in generale: quanto e chi dobbiamo impoverire prima di avere abbondanza di energia pulita a basso costo per tutti?

Ho detto scarsità indotta, e lo sottolineo, a ragion veduta, per evidenziare un problema che è al tempo stesso concreto, politico, e astratto, intellettuale: forse dovremmo riconciliare il lessico con la realtà e riflettere sul fatto che quella che ci viene proposta non è una transizione ma una cesura ecologica. Le scadenze rigide, le tappe forzate proposte (o imposte) per un processo di questa pervasività, determinano oggettivamente una cesura. In questo modo decretano la scarsità di una ampia classe di materie prime, causandone un incremento di prezzo che rischia di diffondersi attraverso tutte le filiere economiche. Occorre riflettere su quanto questo modus operandi sia funzionale rispetto al raggiungimento di un obiettivo verso il quale tutte le forze politiche ovviamente tendono, salvo prova contraria: ma penso che sia difficile trovare un partito che abbia fatto campagna elettorale proponendo ai propri elettori un mondo più sporco, bollette più salate, e, agli elettori più raffinati, minore autonomia strategica! 

Il problema non è se, ma come arrivarci, e l’ottimismo della volontà, o peggio ancora quello della propaganda, può non essere il metodo corretto.

L’immediata abiura al fossile e a tutte le sue tentazioni, ad esempio, è realmente sostenibile? La concentrazione di energia che le fonti fossili assicurano, quella concentrazione da cui dipende in buona parte il benessere conseguito negli ultimi due secoli, come illustra con dovizia di dettagli Massimo Nicolazzi nel suo “Elogio del petrolio”, risulta ancora oggi difficilmente sostituibile in scenari critici come quelli bellici o quelli emergenziali (carrarmato elettrico o ruspa elettrica sono ancora di là da venire), e in ogni caso le fonti rinnovabili sono per lo più caratterizzate da intermittenza, un’intermittenza che a tendere potrà essere gestita senza il ricorso alle fonti fossili, ma che nel breve periodo verosimilmente richiederà ancora il loro impiego. Questo richiede un forte investimento in tecnologie, e ci apre a un contesto in cui il vero elemento strategico della transizione sono le reti e la loro intelligenza, cioè la loro capacità di gestire l’intermittenza. Simona Benedettini ci introdurrà questo tema, di fondamentale importanza.

Non mi dilungo oltre e ringraziando ancora tutti i presenti cedo la parola alla dottoressa Capozzi perché conduca con la sua garbata efficacia il seguito dei lavori.

(...è andato tutto molto bene e ripeteremo l'evento: grazie a tutti quelli di voi che hanno partecipato...)

lunedì 22 maggio 2023

Zooming out: la storia del Pil italiano

 (...un aggiornamento di questo post, per darvi un'idea degli ordini di grandezza...)

Dilettissimi fratelli e sorelle (versione più risalente e nobile del "tutti e tutte", da pronunciarsi rigorosamente tuttetùtte, à la Schlein, con Sforzando sulla seconda "u"...), torno a intrattenervi sulla nostra storia, il cui ruolo, in questo blog, è quello consueto di insegnarci lezioni che nessuno impara, nemmeno noi.

La storia del Pil italiano, ad esempio, è molto, molto istruttiva, e la sua lezione sarebbe anche facile da apprendere. Peccato che pochi la raccontino e ancor meno la ascoltino. Oggi mi recherò all'università di Salerno a raccontarla agli studenti di Preterossi, insieme a un protagonista di spicco di questo blog: Stefano Fassina. Metto qui due appunti che potrebbero servire.

Partiamo da un controllo di routine: a che punto è la notte? Siamo tornati almeno a dove eravamo prima della crisi finanziaria (subprime, Lehman, austerità,...)? La risposta è dentro l'ISTAT ed è "sbagliata":


No. Siamo ancora del 2,8% sotto al livello del 2007, il che significa che da oltre 15 anni siamo letteralmente al palo. Segue disegnino:


(i più attenti  noteranno che l'ordine di grandezza dei due grafici è diverso, semplicemente perché sono diversi i prezzi base: nell'ultima edizione dei Conti nazionali ISTAT sono quelli del 2015, nelle serie che userò per i grafici sono quelli del 2010. Ovviamente nulla cambia in termini di variazioni percentuali: anche la serie a prezzi 2010 nel 2022 è del 2,8% sotto al livello del 2007).

Chi non sa che cosa sia il Pil potrebbe anche trovare normale un andamento di questo tipo. Chi crede di saperlo, cioè i decrescisti e gretineria cantante, viceversa, potrebbe trovarlo auspicabile. Fatto sta che con un po' di prospettiva ci rendiamo conto del fatto che esso è alquanto anomale. Non basta, tuttavia, allargare lo zoom fino all'inizio dell'Unione monetaria:


Bisogna fare uno sforzo in più, tornare fino a "O partigiano, portami via!", per capire quanto ci è costato tradire lo spirito di indipendenza che aveva animato la Liberazione, quanto ci è costato mettere la nostra politica in mano ai nostri avversari di allora, per alimentare l'illusione che essi non siano i nostri avversari di oggi (se pure in forme meno cruente):


Tanto per essere chiari: siamo passati attraverso crisi energetiche con quadruplicazione del prezzo del petrolio:


(non le cazzatine che stanno facendo sclerare quelle pappemolli del millennials), attraverso autunni caldi (non Landini bolliti), attraverso shock finanziari con aumenti del tasso di interesse reale dell'ordine di svariati punti percentuali:


(tratto da un articolo che chi non ha letto dovrebbe leggere), attraverso gli anni di piombo, quando come è noto l'odio non c'era, o almeno certi senatori non lo vedevano dai loro appartamenti in centro, ma se eri vestito in un certo modo e passavi per la strada sbagliata non tornavi a casa, o ci tornavi molto malconcio (altro che la vernice "lavabile" sui monumenti, fregnoncini miei...), ne abbiamo passate di ogni e di più, andando sempre dritti come un fuso attorno a una tendenza lineare di circa 27 miliardi di euro in più all'anno. Siamo proprio sicuri che poi sia bastato un crack negli Stati Uniti (peraltro, non il maggiore che la storia registri) a determinare tutto questo casino?

Ovviamente non è plausibile: quello che ha inciso è la mancanza di un meccanismo di aggiustamento agli shock esterni (l'aggiustamento del cambio nominale) e la presenza di regole fortemente procicliche. Può venire (ed è giusto che venga) la curiosità di vedere dove saremmo ora se avessimo proseguito la nostra traiettoria, che non è stata perturbata da un grande shock, ma da una grande (e sbagliata) riforma della nostra modalità di reazione agli shock. Saremmo qui:


cioè saremmo su del 30% rispetto a dove siamo (a spanne, saremmo su di quasi 500 miliardi di euro).

Vi propongo un controesempio basato su uno scenario fatto tre anni fa e dichiaratamente paradossale: il calcolo degli anni che sarebbero occorsi per risalire la china del COVID se avessimo mantenuto la crescita registrata dall'inizio dell'Eurozona (escludendo dal computo, ovviamente, lo shock del COVID):


Lo avevamo fatto qui commentando il decreto "Rilancio", e se andate a rileggere troverete questa frase: "in realtà, penso che le cose andranno un po' meglio, ma solo se ci libereremo delle regole europee".

Il 10 maggio 2020, quando facevo questo esercizio, le regole erano sospese da 58 giorni. Un po' poco per vedere il benefico effetto della loro sospensione. Ora possiamo vederlo bene:


Invece che nel 2050, il ritorno al livello del 2007, usando le previsioni del DEF aggiornate con gli ultimi risultati dell'ISTAT, è previsto per il 2025. Buttare al cesso pseudoregole fondate unicamente sulla diffidenza verso il nostro Paese di un popolo di bancarottieri ci ha consentito di recuperare 25 anni di vita economica (ovviamente questa analisi spannometrica andrebbe validata con modelli più raffinati, e gli ordini di grandezza probabilmente cambierebbero: ma anche avessimo recuperato solo 10 anni, questo renderebbe più sensato perderli sulla base di verità sciamaniche?).

Aggiungo i soliti caveat: il grafico in unità naturali poco ci dice delle dimensioni percentuali dei diversi shock. Messo così, sembra che il COVID sia stato uno shock superiore alla Seconda guerra mondiale. Invece no, ma per apprezzarlo occorrono i logaritmi:


Si vede bene che la Seconda guerra mondiale è stata una schicchera più forte della psicopandemia, e la cosa non dovrebbe stupirci: il piombo ne ha fatti fuori più del virus.

Prevengo anche il solito gnegnegnè di quelli che Luciano chiama "gli espertologi", quelli che dicono "Ma la crescita si stava esaurendo fin dagli anni '60, l'Italia era un paese già malato, perché la cricca, la casta, la corruzione, le auto blu, le piccole imprese familiari, la tabaccaia scalabile e il camion di faldoni...". Come vi ho spiegato, il grafico spesso usato dai cialtroni del declino:


nulla ci dice del nostro Paese (anche perché si riferisce a un altro Paese, ma questo non cambia nulla, dato che in ogni Paese è stato così per via della convergenza neoclassica).

Un conto è la fisiologia economica della crescita, che tende allo stato stazionario, un conto la patologia psichiatrica della decrescita, un conto la cialtroneria politica delle regole.

Ma ora devo lasciarvi: fra un po' sono di scena, e devo raccogliere le idee...

sabato 20 maggio 2023

Tremate, tremate, le streghe son tornate!

...ma non possiamo bruciarle: produrremmo CO2.

"Quindi è cambiato tutto!", esclamerà il lettore ingenuo.

"No, quindi non è cambiato niente...", concluderà con amarezza il lettore smaliziato.

Tenderei a sposare quest'ultima tesi: l'atmosfera di isteria collettiva che ci circonda è decisamente da caccia alle streghe. Eppure, pensandoci meglio, devo concludere che non è nemmeno così. Dai bei tempi del Malleus maleficarum qualcosa è cambiato, qualcosa di molto importante: abbiamo imparato a lavarci le mani.

"Grazie alla scienza!", dirà il lettore piddino.

No.

Nonostante la scienza.

Perché Semmelweis oggi sarebbe De Donno, e Virchow un Burioni qualsiasi.

Quindi sostanzialmente nulla cambia, eppure, miracolosamente, impercettibilmente, episodicamente qualcosa cambia, spesso in meglio (posto che lo scopo del gioco sia vivere più a lungo). Su questo fragile e precario equilibrio si fondano le granitiche certezze degli uni e degli altri, ignari del fatto che potrebbe andar peggio.

"Ma come?" dirà il lettore boomer: "Se piove già!"

Beh, il peggio non è mai morto...


(...avete fatto caso? Quelli che "la scienza non è democratica" sono anche quelli che "devi stare zitto, questo è necessariamente vero perché lo dice il 99% degli scienziati!" Quindi la scienza non è democratica, ma decide a maggioranza, motivo per cui Galilei o Semmelweis e tanti altri hanno avuto torto, ai tempi loro. La reductio ad Hitlerum a loro non poteva applicarsi, ma solo per mancanza di materia prima. Del resto, se Copernico per esprimersi ha aspettato di essere sul letto di morte, evidentemente aveva capito quello che molti di voi non vogliono capire...)

giovedì 18 maggio 2023

Ancora sull'aritmetica del debito pubblico

Gigi ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "La Marattineide, ovvero il glitch. Dramma tragicomico in un atto impuro.":

Ma quindi per ridurre il rapporto debito/PIL dobbiamo continuare a fare saldi primari negativi?

Pubblicato da Gigi su Goofynomics il giorno 16 mag 2023, 13:20


Mi rendo conto che orientarsi nel tanto materiale presentato da questo blog è piuttosto complicato. Il tagcloud in fondo alla pagina (su PC, non su mobile) può aiutare fino a un certo punto, le pagine introduttive vanno riscritte perché non ci ho più messo mano da anni, ecc. Comunque, la formula che governa l'andamento del rapporto debito/Pil l'abbiamo illustrata qui ed è questa:


dove d è il rapporto debito/Pil, r il tasso di interesse reale ex post sui titoli del debito pubblico (costruito come rapporto fra la spesa per interessi al tempo t diviso per lo stock di debito al tempo t-1 cui viene sottratto il tasso di variazione del deflatore del Pil), e a è l'avanzo primario (il saldo primario di bilancio, che se positivo è un avanzo e se negativo un disavanzo).

Prima osservazione: visto che a (come avanzo) entra nella formula col segno meno, a parità di altre condizioni un avanzo primario farà diminuire la variazione del rapporto debito/Pil, portandola verso il territorio negativo. Un fatto conforme al senso comune.

Seconda osservazione: un saldo primario positivo non è una condizione necessaria né sufficiente perché la variazione del debito pubblico sia negativa. Non è necessaria perché la variazione del debito pubblico può essere negativa anche se il saldo primario è negativo. Non è sufficiente perché non basta che il saldo primario sia positivo per avere una variazione del debito pubblico negativa.

Per attenerci agli ordini di grandezza correnti, quelli che risultano dal DEF (che trovate al posto suo, cioè qui), e senza particolare pretesa di precisione, considerando come tempo t il 2023 (e quindi come tempo t-1 il 2022), il tasso di interesse nominale nel 2023 è pari al 2.71% (risulta dal flusso di spesa per interessi nel 2023, pari a 74.67 miliardi, diviso per lo stock di debito a fine 2022, pari a 2756.9). Sottraendo il tasso di variazione del deflatore del Pil, pari a 4.8, otteniamo un tasso di interesse reale del -2.1%. Con un tasso di crescita reale dello 0.9%, il coefficiente r-n quindi è uguale a -0.03 (il 3%). Il prodotto fra il rapporto debito/Pil in t-1 e questo coefficiente è pari a -4.32% (0.0432). Su questa base puramente algebrica è quindi perfettamente possibile che il debito diminuisca anche con un deficit primario attorno al 4%.

Naturalmente il limite di questo approccio puramente contabile è che non tiene conto delle relazioni intercorrenti fra le variabili in gioco. Un altro limite di questo esercizio astratto è che il costo del debito viene stimato in modo approssimativo: il MEF ha modelli di microsimulazione che tracciano l'andamento di ogni titolo emesso. Però, se il senso della domanda era: "è necessario fare deficit per far calare il rapporto debito/Pil?", la risposta è no. Se invece il senso era: "dobbiamo fare surplus per far calare il rapporto debitp/Pil?", la risposta è ancora no. Ci aiuta l'inflazione, e ci aiuterebbe la crescita reale, come più e più volte illustrato.

(... per favore rifate voi i conti perché questo è stato un post interruptus: prima son dovuto andare in XIV per votare un parere, poi al pranzo di compleanno der Palla, poi al Mef dal mio ministro, poi in VI per votare il testo base della delega fiscale: facile che mi sia perso per strada. Ma insomma: qualsiasi cosa chiediate, la risposta è no!...)


#sevedeva

 


Solo un piccolo promemoria che non è nemmeno un QED, ma un #sevedeva, con un affettuoso saluto a chi si barcamena in appassionanti (per lui) equilibrismi dialettici sul capzioso discrimine fra mitigazione e adattamento, e un avvertimento ai ggiovani, come il simpatico Leone da Maccarese incontrato ieri dalla Merlino (quello che si preoccupa degli altri perché ha intuito che è un buon modo per promuovere se stesso: buca il video e Elly - se dura - se lo prenderà): chi vi racconta che il normale è eccezionale lo fa per indurvi a considerare normale l’eccezionale. So che non la capite, cari ggiovani, ma non ci sono free lunch: la ggioventù ha tanti vantaggi, qualche svantaggio dovrà pure averlo, e uno è quello di capire le cose dopo. Posto che sia uno svantaggio, beninteso: molti di quelli che sono arrivati qui mi hanno poi detto di essere stati meglio prima, quando vivevano in beata inconsapevolezza.


mercoledì 17 maggio 2023

La Francia, i consumi, e micuggino...

(...pei malati c'è la china...)

(...aggiungiamo anche questi alla sterminata lista dei temi dove siete venuti qui a cascettare, salvo poi vederveli sbattuti in faccia dalla stampa autorevole - e dire: "avevi ragione tu!" mai, eh, non sia mai ne venisse leso l'onore di chi, da dilettante, si prende il rischio di confrontarsi con un professionista...)

Hocpoc ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Tirare la cinghia":

https://www.insee.fr/fr/statistiques/fichier/6795076/27_IR_Biens.xlsx

Credo che la fonte dei dati di quel grafico possa essere questa.

Pubblicato da Hocpoc su Goofynomics il giorno 10 mag 2023, 23:05

Confermo, è questa:

ma forse, visto che qui siamo dei professionisti, potremmo anche rappresentarla così:


Valerio Santoro ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Tirare la cinghia":

1. Secondo Numbeo, il salario medio netto mensile in Francia si avvicina ai 2.266€, le spese mensili per una persona sola arrivano 886,9*€ (3.151,8*€ per una famiglia di 4 persone). In Italia, il salario netto medio mensile tocca i 1.556€ , le spese mensili per una persona sola arrivano 803,8*€ (2.798,5*€ per una famiglia di 4 persone). Ora, le metodologia di Numbeo sono poco trasparenti e discutibili, ma fotografano una realtà dell'Italia come un paese in cui si spende 11% meno che in Francia ma dove si guadagna un salario del 43% più un basso. Possiamo discutere se l'11 sia davvero 11 oppure 10 o 12 e se il 43 sia davvero sopra o sotto 40, ma rimane l'ordine di grandezza, confermato a livelli ufficiali.

2. In Francia non protestano perché nongnafanno. Protestano contro un aumento dell'età pensionabile di un paio d'anni. Roba per cui, qui in Italia, non si sarebbe neanche bofonchiato. Dal 1980 sono passate 5 grandi riforme del sistema pensionistico italiano, che lo hanno profondamente modificato e ristrutturato. Rendendolo, tra parentesi, meno sostenibile, quando, a parole, l'intenzione era l'opposto. Le proteste francesi vedono i giovani in prima linea, mentre qui in Italia i giovani protestano contro le pensioni e - naturale evoluzione - contro qualsiasi forma di benessere diffuso.

3. Il governo ha dovuto evitare il passaggio in Assemblea Nazionale, perché i parlamentari avevano paura - e non dei mercati.

4. I sindacati francesi non sono meglio di quelli italiani. Ma in Francia le manifestazioni si fanno lo stesso. E la polizia non scherza.

Mia ipotesi: se sei più ricco hai più da perdere e quindi protesti di più (1) anche se l'ambiente non ti invoglia a farlo (4) ma c'è più consapevolezza diffusa (2). E se la controparte può subire un danno (3) ha più voglia di trattare.

*escluse spese per mutui o affitti

Pubblicato da Valerio Santoro su Goofynomics il giorno 15 mag 2023, 10:49


La colpa è mia.

Sotto ai miei post, come sotto alle pubblicità in cui certe automobili si esibiscono in performance spericolate, dovrei aver cura di scrivere: non provateci a casa! Sì, perché soprattutto dopo che ho avuto l'insigne onore di diventare vostro rappresentante (e quindi di entrare a far parte di quell'associazione a delinquere nota come #aaaaabolidiga), i sopravvenienti ignorano, e i preesistenti hanno dimenticato, che qui siete a casa di un professionista. Uno che ha il suo h-index, niente di stellare, ma superiore a quello di molti "egonomisti" che vi infliggono in TV, uno che, forse ve lo siete dimenticato, ha lavorato in Francia, quindi ha fatto la spesa nei loro supermercati, ha frequentato le loro case, in particolare le case di quelli di loro che stanno bene perché sono élite (universitaria).

Quindi non capisco tutta questa fregola di dimostrare a me, e per di più utilizzando una versione particolarmente squinternata di micuggino che è Numbeo, che "li francesi sò più ricchi de noi, guadambieno più dde noi", a me che i dati li conosco e li frequento per mestiere da quando voi vivevate sereni e spensierati, perché non avevate ancora capito che prima l'economia, e poi, molto dopo, la punturina, si sarebbero occupati di voi. Non la capisco, ma la colpa è mia: evidentemente come profeta dell'appostismo ho fallito: lo pratico, ma non riesco, col mio esempio, a indurre altri a farlo. Peggio per gli altri: io al posto mio ci sto tanto bene, gli altri verranno rimessi al posto loro dalla forza degli eventi, e intanto cerchiamo di capire che cosa sta succedendo e che cosa sto cercando di spiegarvi (chi l'ha capito può saltare la spiegazione).

Sto cercando di spiegarvi questo:


E non venite, cortesemente, a spiegare a me perché sono incazzati ora i francesi, ragionando sulla base dell'ultima prima pagina di Repubblica. I francesi si sono incazzati cinque anni fa per l'aumento delle imposte sul carburante e più in generale per protestare contro l'elevato costo della vita: un quadro molto più coerente con il rallentamento della curva dei consumi esattamente in quel periodo che con le farneticazioni di micuggino numbeo. Certo che ora non gli fa piacere che la loro età pensionabile cresca! Certo che i loro sindacati non sono gialli come i nostri! Ma questa è una goccia che cade in un vaso già traboccato, anche se apparentemente non ve ne siete accorti (ma anche qui la colpa è mia: ve lo avevo detto con sei anni di anticipo e ve ne siete dimenticati).

Le famiglie francesi consumano una percentuale del loro Pil inferiore e decrescente rispetto a quella degli italiani:


Se mi dite che il loro Pil è superiore al nostro e che questo divario è aumentato nel tempo:


con uno scarto che è passato dal 3,4% nel 2011 al 6,2% nel 2022 (niente di quanto dilettantescamente affermato dal buon Valerio e dal divertente Marco, peraltro), vi ringrazio (qui c'è stata l'austerità, lì no), anche perché rafforzate il mio punto: perché mai chi guadagna di più dovrebbe consumare di meno (i volumi li abbiamo visti in questo post: una percentuale minore di un volume maggiore può essere, ovviamente, un volume maggiore, ma come ricorderete il volume dei consumi francesi si sta avvicinando rapidamente a quello dei consumi italiani).

Si può discutere (cioè si potrebbe, se ci fosse qui un minimo di quella raffinatezza che per anni abbiamo profuso, raccogliendo in cambio numbeo) sul fatto che il Pil è una misura meno accurata della capacità di spesa delle famiglie del reddito disponibile. Eccovelo qui, a parità dei poteri d'acquisto:


L'austerità ha divaricato lo scarto, ma... non siamo il 43% sotto.

Dopo di che, siccome voi siete migliori economisti di me, non escludo che possiate raccontarmi che i francesi sono scesi in piazza nel 2018 perché le loro aspettative razionali gli indicavano che nel 2023 le loro pensioni sarebbero state riformate. Le mie me lo indicavano nel 2012, ma le loro, ve lo posso garantire, non glielo indicheranno nemmeno nel 2052!

Anche sull'idea che #aaaaabolidiga si spaventi de "er popolo" avrei molto da dire, ma credo di averlo già detto (anche questo).

Qui il punto è uno, e uno solo: quando giochiamo ad armi pari, cioè senza "le regole", facciamo meglio degli altri, e agli altri per sclerare basta molto meno che a noi, perché non è vero che stiano sideralmente meglio di noi.

Basterebbe saperlo.

Ma è chiaro che dei rappresentanti di un popolo che non vuole capire le proprie potenzialità, se vogliono essere veramente rappresentativi, devono essi stessi per primi ignorare queste potenzialità.

E siccome siamo in democrazia, mi arrendo!

(...buona notte!...)

domenica 14 maggio 2023

La Marattineide, ovvero il glitch. Dramma tragicomico in un atto impuro.



Premessa prima

"Oggi abbiamo deciso di dedicare questa puntata alla giornata dell'Europa, però in maniera diversa, non celebrativa...".

Ottima idea!

Peccato che io avessi ricevuto un input diverso: sarei dovuto intervenire per pochi minuti sul patto di stabilità, non mi erano stati annunciati interlocutori, della giornata dell'Europa non ne avevo proprio sentito parlare (ignoravo e ignoro che esista e continuerò a ignorarlo finché non sarà più necessario farlo), e avrei dovuto cominciare alle 18:30.

Intendiamoci: io non ho nulla contro gli interlocutori, esattamente come un ghepardo non ha nulla contro gli impala, un'orca non ha nulla contro le otarie, o Alberto Sordi non ha nulla contro i maccaroni. Loro mi provocano, e io me li magno. Fair enough. Che vita sarebbe senza un po' di divertimento?

D'altra parte, però, visto che entrando in una squadra ho abdicato alla libertà, che non posso fare esattamente come mi pare, e che ho accettato di entrare in un circuito controllato di rapporto coi media, allora però le cose devo saperle, devo averle sotto controllo anch'io, per il semplice motivo che cedendo "sovranità espressiva" ho ristretto i miei margini di azione, e lavorando dentro margini più stretti forse ho bisogno di una completa informazione per capire come recuperare impatto.

Detto in un altro modo: non ho nulla contro gli interlocutori, ma ho molto contro le cose fatte a cazzo.

In una vita con incastri serratissimi come la mia, immaginate la mia gioia quando alle 18:22 è arrivata la telefonata dal numero anonimo mentre avevo sotto non so più se Matteo o Edoardo. Ovviamente li tronco, mi richiamano, li ritronco, ecc., fino a che non mi spiccio e li richiamo io su Wapp, e si parte (in anticipo rispetto alle 18:30).

Tutta la parte introduttiva (l'esposizione delle nuove regole europee, l'intervento di Marattin, ecc.), recuperabile dal podcast per chi ci tenga proprio tanto, me l'ero quindi persa. Come unico appiglio per orientarmi in una trasmissione diversa da quella cui mi ero aspettato di partecipare (una trasmissione sostanzialmente co-condotta da Marattin) avevo quanto ero stato in grado di captare: il riassunto fatto dal conduttore di una parte di quanto detto da Marattin.

Inutile dire che hanno cominciato a ruotarmi vorticosamente gli ellissoidi, come si capisce bene dal mio esordio, ma tranquilli: ho già dimenticato tutto...

(...forse...)

Premessa seconda

Forse sarebbe anche il caso, prima di entrare nel vivo, di richiamare alla vostra attenzione i dati. Voi li conoscete, ma insistere male non fa:


dove i dati Eurostat sono tratti dal MIP Scoreboard, e la quelli Imf dal World Economic Outlook Database. Teneteli da parte, vi torneranno utili. Ah, ne vedete uno solo perché i dati Imf ricoprono esattamente quelli Eurostat. C'è una sola verità statistica sull'andamento del rapporto debito/Pil in Italia. Poi ci sono infinite balle: ci siamo già occupati di quelle della De Romanis, oggi ci occupiamo di quelle di Marattin.

Canto primo

Avanza Alberto, il massacratore, amato da Zeus, e al conduttor volgendo le parole: "Sono lieto di partecipare a questo dibattito fresco e assolutamente inedito sulle regole fiscali... Noi stiamo prestando molta attenzione alla piega che il discorso prende, al di là dei dettagli "inseriamo o non inseriamo questa posta di bilancio", perché di fatto in Italia il debito è sceso rapidamente quando le regole sono state sospese, questo è poi il succo della questione, e dal 1995 al 2007 il debito è sceso a più di un punto l'anno, quasi due punti l'anno, in un momento in cui le regole c'erano ma non erano state applicate con tutta questa rigidità".

(...nei tre anni di sospensione delle regole per cui siano disponibili dati, cioè dal 2020 al 2022, il rapporto debito/Pil italiano è sceso di 10,5 punti, da 154,9 a 144,4. Negli anni dal 1995 al 2007 il debito è sceso di 15,5 punti, a una media di 1,2 punti l'anno, da 119,4 a 103,9...)

Risponde Marattin: "Ma non è vero! Guardi il primo Governo Prodi, dal 1996 al... e seguenti... al 2000! Il debito arrivò dal 120, dal 125, al 100% del Pil, poi ricominciò a crescere..."

(...il primo tragico Fantozzi durò dal 1996 al 1998. In quegli anni il debito scese di 5 punti, ovvero di 1,6 punti all'anno, poi continuò a scendere...)

Canto secondo (il glitch)

Conduttore imbarazzato: "Io ho qui la curva, Marattin, e devo dire che non è così. Però, ehm...".

Marattin smarrito: "Il debito, il debito quando risale?".

Alberto chirurgico: "Il debito risale dal 2008".

Conduttore tombale: "Esatto".

Brevi considerazioni

Il resto ce lo risparmiamo, come l'assurda tesi che l'unica spesa buona è quella morta, cioè che siccome non si può dire che tutte le spese per investimenti siano migliori di quelle correnti, allora (?) non facciamo spese correnti, ma nemmeno spese per investimenti. Teorie simili hanno l'eleganza, ma anche l'importanza, di chi le pronuncia: voi, elettori, ispirati da Atena, avete avuto il buon senso di collocare tanta scienza nella pattumiera della Storia, e lì la lasciamo.

Non dedicheremo altro tempo agli atti impuri mentali del giovane collega, perché non è su simili scipitaggini che volevo intrattenervi, ma sulla vera novità, sul vero glitch della Matrix: per una volta un giornalista, anziché mentire spudoratamente e vergognosamente sui dati, come qui abbiamo visto fare in innumerevoli occasioni, ha citato dei dati corretti; anziché conculcare con atteggiamento squadristico chi cercava di ricondurre il dibattito nell'ambito della verità storica, è intervenuto ad adjuvandum.

Non so se voi abbiate altri esempi da produrre, ma sinceramente in questo blog che non esiste, e che è il Dibattito, non se ne ricordano (salvo vostra prova del contrario), il che promuove tante domande.

Perché lo ha fatto? Come gli è venuto in mente di farlo? E poi: li aveva veramente, quei dati, a disposizione, o ha semplicemente applicato a Marattin la tecnica discriminatoria che per tanti anni è stata applicata invece a noi, quella di citare dei dati che non si conoscono e di cui non si dispone per dare torto a uno degli interlocutori? Ma soprattutto, direte voi: e che ce ne importa?

Eh, no, un pochino ci importa!

Non è del tutto indifferente, ai fini tattici e strategici, appurare se l'emersione casuale, inaspettata (un glitch) di un dato vero sia frutto di scrupolo professionale o di opportunismo politico. Non ho motivi per credere che si tratti del secondo caso, e non so però nemmeno se preferire il primo, che pure mi sembra più plausibile dati gli accenti di costernata veridicità del conduttore (che forse avrebbe preferito non dare torto a un suo ospite, o che questo non si fosse messo in condizioni di farsi dare torto, ma poi si è ricordato di lavorare per il servizio pubblico regolandosi di conseguenza).

Ve lo dico con grande franchezza: forse preferirei il secondo. Preferirei cioè che gli operatori informativi, visto che il vento sta cambiando, smettessero di parteggiare senza se e senza ma per la parte soccombente, magari a patto di sostenere acriticamente la nuova parte prevalente (che, se incarnata da chi vi scrive, dati fasulli non ne cita: e quindi sostenendola non si fa brutta figura). Preferirei questo, per il semplice motivo che mentre io, che sono un professionista e ho studiato scientificamente il tema del debito pubblico, a differenza di certi economisti specializzati in altro, i numeri li ho ben chiari, e quindi mettermi in difficoltà è compito arduo (lo è in generale: mi dicono che ci abbia provato Lilli Gruber, ma non me ne sono nemmeno accorto. A proposito, la sua trasmissione c'è ancora!?), magari non tutti i miei colleghi, provenendo da altre esperienze, sarebbero in grado di fronteggiare la spavalda tracotanza di certi sinistri parolai. E in circostanze simili ricevere noi il sostegno che vediamo prestare da anni ai suddetti sinistri ciarlatani verosimilmente contribuirebbe a ristabilire un level playing field.

Ma insomma, sia quello che sia, sia un cambiamento di vento (mi piacerebbe poterlo credere), che ci conduca a un mondo in cui il conduttore non sia un avversario politico implicito che sostiene gli avversari politici espliciti da lui invitati, o sia una felice eccezione in un mondo che ha profonde responsabilità nel degrado della nostra democrazia, in ogni caso è stato un momento godibilissimo, ed è per questo che tenevo a condividerlo con voi.

Altra domanda, se vogliamo complementare e duale a quella che ci siamo posti sopra è: ma è veramente possibile che un economista che per di più fa il politico (e lo fa con un'attenzione feticistica al debito pubblico, con un'accanimento monomaniaco, con una psicotica reductio ad unum della complessità dei parametri e delle variabili che possono e dovrebbero essere usati per valutare lo stato di salute di un sistema economico), è veramente possibile che un economista per cui l’economia è il debito pubblico sappia meno di un terzo della metà di un cazzo di nulla di quello che è successo al debito pubblico del suo Paese? Detto in altri termini: lo stimato e autorevole collega credeva veramente alle abominevoli fregnacce lievi imprecisioni che stava profferendo sull'andamento del rapporto debito/Pil in Italia (per non parlare della sua conoscenza alquanto approssimativa della storia dei nostri ultimi illuminati governi)? E poi, anche qui: che ce ne frega?

Dunque.

Come sapete, ho sempre (cioè sempre) sostenuto che la buona o cattiva fede di certi figuri, da Prodi in giù, non fosse tema di dibattito, per almeno due ordini di motivi: perché gli elementi soggettivi non possono essere accertati (non è possibile leggere il pensiero altrui né lasciarne traccia), e perché se uno fa del male a me o al mio Paese il mio ultimo pensiero sono le sue motivazioni: il primo è neutralizzarlo. Ed è qui, però, che sapere se quella di Marattin e di tanti altri come lui è malizia o ignoranza aiuterebbe. Perché se fosse malizia, allora il modo più efficace di rimediare sarebbe cauterizzare, come ho cauterizzato. Ma vi assicuro che più vado avanti più mi rendo conto che questi le cose semplicemente non le sanno: sono solo degli analfabeti funzionali dell'economia e della politica, incapaci di trarre un significato dai segni che pure in teoria sanno leggere, e totalmente digiuni delle più elementari nozioni su circostanze di fatto determinanti per la tenuta del loro ragionamento. E anche qui, attenzione: non è necessariamente colpa loro! Anche volendo confinare l’analisi ai colleghi con esperienza accademica, vi ricordo che l’industria della ricerca economica, in perenne ansia di prestazione verso il mondo delle scienze “dure” (di comprendonio), valorizza come elemento cardine della valutazione della qualità individuale “er peiper teorico”: un esercizietto di matematica del XX secolo rigorosamente secluso dalla contaminazione dell’esperienza sensibile (il dato), in un afflato neoplatonico il cui unico esito è l’ampliamento a dismisura della divaricazione fra “scienza” e realtà. Chi è qui sa di cosa parliamo: ricorderete che terminata la solfa del “non hai il peiper con pirreviù” (che scrissi), iniziò la litania del “Bagnai non ha il modello teorico” (che altresì scrissi). Poi entrai in Parlamento dando plastica evidenza del fatto di giocare in un campionato diverso da quello di certi perdenti.

E allora, se le cose stanno così, cioè se la loro non è cattiveria ma ignoranza (dei dati statistici, di rudimenti minimi di epistemologia, di chi hanno davanti…), essi sono al tempo stesso più pericolosi (per fortuna, anche per se stessi) ma anche più fragili: perché a questo punto per neutralizzarli è inutile, e anzi sconsigliabile, essere aggressivi. Basta, con pia sollecitudine, con umana compassione, far leggere loro il dato vero. O meglio (e qui si torna al punto di prima): basterebbe, se ci si trovasse in contesti dialettici equilibrati, in cui l'arbitro non giocasse sistematicamente in campo avversario.

Ma insomma, torno sul punto: godiamoci l'attimo, e quanto a voi non perdete tempo: il click day è attivo e i posti non sono molti...

Click day

Alcune brevi comunicazioni di servizio.

Oggi è il click day di questo evento, il che significa che prima di domani sarà possibile registrarsi sul sito di a/simmetrie.

Due rapide parole per spiegarvi di che cosa si tratta. Abbiamo invitato presso la Camera dei Deputati quattro esperti per riflettere sulla sostenibilità economica ed ambientale della "transizione ecologica". Due di questi esperti dovrebbero esservi noti: uno è Gianclaudio Torlizzi, più volte ospite, nonché da lunga pezza socio, di a/simmetrie, l'altra Roberta Benedetti, che avrete visto nel nostro webinar su Repower EU. Gli altri sono Massimo Nicolazzi (autore di questo testo divertente e fondamentale) e Simona Benedettini, economista dell'energia. Quattro relatori di grande qualità scientifica ed espositiva. L'idea è quella di fornire "ar decisore bolidigo" elementi per decidere non solo secondo coscienza, ma anche e soprattutto secondo scienza (da non confondere con Lascienza), o almeno sulla base di dati e non di petizioni di principio. Verranno quindi offerti alla riflessione soprattutto dati ed esperienze professionali.

L'evento si svolgerà presso la Sala della Regina di Palazzo Montecitorio dalle 15:00 alle 16:15 di mercoledì 24 maggio, e sarà aperto dai saluti del Presidente Fontana e miei e chiuso dalle conclusioni del Presidente Gusmeroli e, alle 16:00, del Ministro Pichetto Fratin. Otto interventi per circa 7 minuti (trattabili) a testa, moderati da Fiorina Capozzi di Verità&Affari, che altresì conoscete.

Non è un goofy, non è un midtermgoofy, è un convegno alla Camera per il quale abbiamo scelto l'orario delle 15 di mercoledì in modo da consentire ai colleghi non impegnati o interessati dal question time di affacciarsi a dare un'occhiata, sperando che possano sentire qualcosa di loro interesse.

Il contesto istituzionale richiede tempi brevi e un certo formalismo: è il prezzo da pagare per tentare di essere ascoltati da "quelli che contano", i quali, più contano, meno tempo hanno a disposizione. Per chi è qui, non tutte le cose che verranno dette saranno sorprendenti. Magari, la novità è che si cominci a dirle lì anziché in un webinar semiclandestino, e semplicemente assistere a questo salto di qualità potrebbe interessarvi.

Se vi va di esserci, vi ricordo che la Camera ha un protocollo di sicurezza piuttosto stringente:

  1. dovrete registrarvi (via sito a/simmetrie) perché agli ingressi occorre che abbiano il vostro nome,
  2. dovrete avere con voi un documento di identità (se non lo avrete, non vi potrà essere dato in cambio il passi per accedere),
  3. dovrete sottoporvi a controlli di sicurezza analoghi a quelli di un aeroporto (metal detector per voi e raggi X per le vostre eventuali borse e soprabiti).

Dato che l'evitabile balletto del:

  1. passare il metal detector con le chiavi in tasca,
  2. far scattare l'allarme,
  3. tornare indietro inciampando su se stessi,
  4. togliere le chiavi dalle tasche,
  5. chiedere dove metterle,
  6. capirlo,
  7. ripassare,
  8. far scattare nuovamente l'allarme perché si è tenuto il telefonino nell'altra tasca,
  9. ecc.

in realtà è inevitabile (per evitarlo basterebbe ricordarsi di lasciare tutti gli oggetti metallici - telefonino, chiavi, monete, coltelli da subacqueo, cavatappi, cazzuole, lanciamissili Stinger - nel proprio soprabito per farli passare ai raggi X, o di deporli nella vaschetta accanto al metal detector), conoscendovi bene (siete pur sempre, per quanto vi si voglia bene, quelli della grandinata di ricevitori della traduzione simultanea sul suolo della sala convegni di Montesilvano...), suggerirei agli interessati di recarsi con un certo anticipo all'ingresso della Camera, che è quello principale situato in Piazza di Monte Citorio 1.

Un certo anticipo significa dalle 14:00 alle 14:45. Prima no, semplicemente perché non potete essere lasciati a pascolare all'interno del Palazzo per ore, e quindi occorre che ci sia un percorso presidiato dagli assistenti parlamentari (che sarebbero i commessi, mentre i portaborse sono i collaboratori parlamentari: l'endogena Babele degli eufemismi...) per indirizzarvi presso la Sala della Regina, e non possiamo impiegare decine di assistenti per ore. Dopo no, semplicemente perché anche se il Presidente della Camera è un amico, è soprattutto il Presidente della Camera ed è scortese entrare mentre sta parlando.

La Sala della Regina è più piccola di quella dell'ultima volta, ma credo che sia minore anche il vostro interesse per un happening di queste dimensioni e di questa natura (al netto dell'interesse scientifico, dal punto di vista "sociale" sarà sì un'occasione per vedere la Camera, ma verosimilmente non offrirà, per conversare fra noi, gli stessi spazi che potrebbero offrire convegni più distesi e tenuti in altre sedi). Non ve lo dico per scoraggiarvi: se venite mi fa molto piacere e la vostra presenza è, oltre che gradita, utile. Ma mi spiacerebbe che restaste delusi (anche se sarebbe un utile avvicinamento alla durezza del vivere parlamentare, che comporta, fra l'altro, il non poter fare sempre esattamente quello che si desidererebbe). Poi magari mi sbaglio: comunque un centinaio di posti per voi dovrebbero esserci (ma ovviamente dovrà esserci posto anche per i miei colleghi...).

Ora credo che abbiate tutte le informazioni necessarie per regolarvi, tranne una: a che ora inizia il click day? L'ultima volta me l'avete chiesto in troppi (uno), e quindi è iniziato alle 23:59:59. Oltre non si può andare: diventerebbe un click another day! Quindi, mettiamola così: se non mi chiedete niente, la prossima volta il click day potrebbe iniziare un po' prima. Se mi chiedete qualcosa, sicuramente questa volta non potrà iniziare molto dopo.

(...vi avevo detto di tenervi liberi per il 10 luglio, ma ho due ulteriori dettagli da darvi: sicuramente il giorno sarà mercoledì 12, non lunedì 10, e non sono ancora del tutto sicuro di riuscire a organizzare l'evento. Scusatemi: qui le cose da fare sono tante, e per non deludervi ogni volta l'impegno deve aumentare, se si vuole che il risultato migliori, ma io di tempo da dedicare a questa attività di divulgazione ne ho sempre di meno, e quindi, nonostante l'eccellente supporto tecnico-scientifico di a/simmetrie, che a sua volta ha risorse limitate, non so se riuscirò a mantenere la promessa - e comunque la manterrei il 12, non il 10...)

(...invece: è mantenuta la promessa di vederci per il nostro convegno annuale il 25 e 26 novembre. Ma lì giochiamo in casa, ed è anche e soprattutto la nostra festa, quindi organizzare è meno difficile, e la qualità dell'evento la fate voi più di me...)

venerdì 12 maggio 2023

Collegio e dintorni

Questi gli appuntamenti di domani:



ma sarò anche alle 19 al Sacro Cuore di Chieti per il concerto del maggio organistico teatino.

Con l’occasione, mi scuso con Alessia perché ho cancellato inavvertitamente questo suo commento:


alessia ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Il cane bianco":

ti dico solo GRAZIE DI TUTTO prima ho letto un commento di federico luciani che dice: sono libero perché ogni giorno mi libero ed è dannatamente vero perché una settimana e cinque giorni fa il mio amico mauro mi ha chiamato e dalla chiamata emergeva che da quando vi ho conosciuti tu con claudio e la community che ruota intorno a voi sono cambiata profondamente e come vi ho scritto: perché se potessi ritornare indietro rifarei tutto perché ad un certo punto ho incontrato voi e vi tengo stretti 🤗🧡

Pubblicato da alessia su Goofynomics il giorno 12 mag 2023, 21:03

Saremo serviti a qualcosa…



Essere legione

(...sempre ieri, alla messa solenne per il nostro Santo patrono, Giustino, primo vescovo di Teate, mentre mi accingevo a lasciare il presbiterio, una fedele - non del blog che non c'è: del Blogger che c'è, quello del primo secolo - mi si accosta e mi dice: "Per favore, non fate tornare la sinistra!" Quali fossero le sue motivazioni non lo so, non posso saperlo: qui da dodici anni parlo delle mie. Se lo scopo è comune, però, le motivazioni interessano fino a un certo punto...)


Luca Baldan ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Il cane bianco":

“Ante lucem” rif a Er Palla, che risate! Credo anche il giornalista che ieri l’ ha intervistata con Marattin sia uno che non esiste. Che figura barbina del suo collega. Cominciano a fare tenerezza. E questo dopo solo sei mesi di governo di centro/destra. Come amava dire il loden, forse c‘è una luce in fondo al tunnel. Credo, spero, un giorno saremo noi Legione.

Pubblicato da Luca Baldan su Goofynomics il giorno 12 mag 2023, 08:04


max ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Mus in fabula":

La televisione ha ucciso la realtà e quindi il DOPO lo si costruisce senza televisione?

Pubblicato da max su Goofynomics il giorno 8 mag 2023, 15:08


Approfitto del privilegio che l'extraterritorialità ontologica conferisce a questo blog per svolgere con voi qualche succinta considerazione che nessuno leggerà, in un blog che non esiste.

Credo che voi conosciate la teoria di Claudio sulle due legislature in difesa e quella di un altro sulla Guerra dei trent'anni, che dura 30 anni (e quindi, iniziando tipicamente nel 18, termina inevitabilmente nel 18+30=48, il che significa che nel 23 è ancora in pieno svolgimento).

Nella rassegna stampa degli ultimi due giorni trovo titoli come questo:


o, ancor meglio, questo:


Partiamo ad esempio da qui. L'attuale presidente dell'IPZS (Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato) è Pier Paolo Cento, già Verde, ex sottosegretario all'economia del secondo tragico Fantozzi, coordinatore per il Lazio di SEL, poi in Sinistra Italiana, giornalista, e naturalmente non trombato, ma diversamente eletto nel 2008 nelle liste dei Verdi (o di roba simile: se vi va controllate voi). Sulle sue competenze tecniche di diritto societario Wikipedia non si dilunga, ma possiamo darle per acquisite: se sei di sinistra sei bravo a prescindere, per cui non indagherei oltre. L'attuale presidente dell'AU (Acquirente Unico) è Filippo Bubbico, già PCI-PDS-DS-PD-Articolo 1, anche lui sottosegretario, ma al MISE, nel secondo tragico Fantozzi, e viceministro agli interni con Letta (il Letta minor) nel 2013, con una pagina Wikipedia molto più articolata di quella del collega Cento, ma anche lui diversamente eletto (non trombato: diversamente eletto) con LeU alle politiche del 2018 (non ho quindi mai avuto l'insigne onore di essere suo collega).

Continuo?

Meglio di no, direi che basta questo.

Allora: io ovviamente non contesto la scelta che il Governo giallorosso fece tre anni fa (nel 2020) di  valorizzare in ruoli di prominenza delle partecipate pubbliche profili di questo spessore. Ho aperto questo blog anche perché il grillismo mi faceva (e mi fa) vomitare: non sarò certo io a contestare il fatto che un Governo si prenda le sue responsabilità ed eserciti il potere, perché un Governo riceve mandato di esercitare il potere, prendendosene la responsabilità, e chi insinua il contrario lo fa solo perché desidera che il potere sia esercitato in altre sedi, al riparo da qualsiasi responsabilità (in particolare, al riparo dal processo elettorale). Mi rendo anche conto che se uno è di sinistra non si può dire che è trombato, ma solo che è "diversamente eletto": una locuzione che in un titolo a sette colonne suona male: "DIVERSAMENTE ELETTI, FEDELISSIMI E RAMPANTI" è decisamente meno incisivo di "TROMBATI, FEDELISSIMI E RAMPANTI". Esiste un'estetica dei titoli: se la notizia non la si può dare in modo da soddisfarne i canoni, forse meglio non darla, e così fanno gli operatori informativi.

Quindi tutto bene?

Direi di no, ma non fa niente. A me non dà fastidio che gli operatori informativi facciano due pesi e due misure: sono pagati per questo! Sarebbe come prendersela con gli operatori ecologici perché svuotano i cassonetti: non avrebbe senso, sono pagati per quello (che è un lavoro veramente utile). A me dà fastidio che voi non vi rendiate conto del fatto che sta cambiando qualcosa e che questo cambiamento dà tanto, ma tanto fastidio agli operatori informativi e soprattutto ai loro mandanti, come testimoniano queste megarosicate a tutta pagina, e quindi, di converso, dovrebbe rasserenare noi. Perché quante volte, in pubblico o in privato, in modo accettabile o francamente inaccettabile, mi avete fatto la lezzioncina (sic) su "bisogna intervenire sulla classe dirigente, bisogna di qua, bisogna di là..." (evocando liste di proscrizione, Norimberghe, Piazzali Loreto, ecc.: tutte cose sulla cui umanità si può discutere, ma sulla cui totale inefficacia non esistono dubbi...)? Ora che finalmente abbiamo la maggioranza e la stabilità per avviare un ricambio di classe dirigente, invece di manifestare un minimo di gradimento, la community esprime il simpatico max che, mentre la feccia informativa mi stigmatizza come feccia novax e noeuro (risparmio esempi perché querelare è meglio che essere querelato, credetemi...), mi stigmatizza a sua volta come provax e proeuro.

È tutto bellissimo!

Trovarsi sotto il fuoco incrociato degli "opposti feccismi" mi conforta in un'unica certezza: indubbiamente, sono antipatico alla feccia. Non sarà un motivo sufficiente per essere simpatico a voi, ma spero possiamo essere d'accordo sul fatto che è un buon inizio, e a me basta per illudermi di non essere dalla parte del torto, visto che, a sentir tutti, sono dalla parte di almeno due torti!

Volevate che facessimo qualcosa? Lo stiamo facendo, ve lo dicono i giornali. Ci accusate di avervi tradito? E allora perché i giornali ci accusano del contrario? I giornali dicono anche che io mi occupo di nomine, ma come sapete i giornali mentono, e come avete visto sopra io parlo per sentito dire.

Va bene così?

La sintesi estrema è che stiamo consolidando le retrovie per le quattro legislature da giocare in attacco (30 anni diviso 5 uguale 6 legislature meno 2 in difesa uguale 4 in attacco). Certo, qualcuno paventa il rischio che ci si ritrovi con un bastione munito, ma senza esercito. Il rischio, però, credo sia più apparente che reale. In questa community gli avventizi, quelli che si sono svegliati troppo tardi, quelli per i quali la discriminazione è iniziata con la punturina (perché prima i discriminati eravamo noi, e quindi, come dice il poeta, cazzomene), sono pochi (ma diversamente ottimi).

Io penso, come Luca, che un giorno saremo noi Legione: ma dobbiamo volerlo.

Tutto qua.

(...ci aspettano due poemi: uno tragicomico, la Marattineide, e uno tragiridicolo, la Marcheide. Ma ora devo lasciarvi: corro a Firenze a parlare di riforma fiscale...)

giovedì 11 maggio 2023

Il cane bianco

Qualche settimana fa (i più attenti lo ricorderanno) sono tornato sul Renon, l'altopiano dal quale, di fronte a una irreversibile barriera corallina:

ho scritto il testo che mi chiedevate, e che ancora mi chiedete (l'ultima richiesta ieri). Ci siamo fermati a pranzo da Julia, a Himmelreich, dove andavamo spesso al rientro dalle nostre escursioni (e lei mi rimproverava con una vena di stupita ammirazione perché, a suo dire, portavo i figli in posti pericolosi: ma siamo sempre tornati tutti, anche se, ripensandoci, oggi certe cose non le farei).

Ci accoglieva il suo cane bianco, un cucciolone:

un po' invadente, come i cuccioli di tutte le specie. Dalla sua terrazza vedevamo sorgere la luna dietro lo Schlern, poi tornavamo a casa, a dormire (gli altri) e a scrivere (io).

Ho chiesto che fine avesse fatto il cane, e la risposta è stata che era morto una settimana prima.

Questa notizia mi ha colpito dolorosamente, più di quanto, da amante dei gatti, potessi immaginare. Non aver potuto rivedere il cane bianco, non averlo potuto salutare, e solo per sette giorni di scarto, mi ha lasciato uno smarrimento, un opprimente rimpianto, più, lo confesso, del non aver potuto salutare lei

Mi sono sentito in colpa per questa sproporzione. In fondo, il cane bianco era solo un animale, meno discreto di un gatto, col quale avevo scambiato pochi, infastiditi sguardi. Poi ho capito che quello di cui rimpiangevo così dolorosamente la mancanza non era tanto lui, quanto la bambina che lo accarezzava con una certa circospezione:

quella bambina che ora non c'è più, perché, nel frattempo, dodici anni dopo, al suo posto c'è una donna. 

Per fortuna, aggiungo: il vero dolore sarebbe che non ci fosse più nessuno! Ma insomma, il tempo passa, e lo fa nel modo che conosciamo: tanto inesorabilmente quanto impercettibilmente, impalpabilmente, e quando un evento di qualsiasi natura ci restituisce il senso del percorso fatto, lo  rende percettibile "discretizzandolo", come direbbe un matematico (nel senso della discretezza, non della discrezione), è inevitabile restarne colpiti.

(...e constatare, ad esempio che al posto di un quarantenne oggi c'è un sessantenne, che non è poi così male, se consideri l'alternativa...)

(...oggi, all'uscita della funzione solenne, in cattedrale, per la ricorrenza di San Giustino, il santo patrono della mia capitale, che lo festeggia l'11 maggio, un prelato mi si è accostato. Io, unica autorità civile presente, mi aspettavo qualche parola di circostanza, o qualche richiesta, e lui invece mi ha parlato di questo blog che non esiste, ma che lui, in qualche modo, aveva letto, complimentandosi per la qualità della scrittura, che aveva apprezzato e che una volta, mi diceva, era più ispirata, più lirica. E io l'ho ringraziato, condividendo con lui una semplice verità: una volta ero più libero. Oggi, da politico, devo usare un linguaggio più sorvegliato, perché anche se questo blog non esiste - dato che nessuno deve leggerlo - le mie storie personali, che una volta condividevo quotidianamente con voi, ora non posso più esporle, e poi incombe su di me il compito di dare il buon esempio, per cui, fra l'altro, se incontro uno sciocchino non posso dirgli che è sciocchino: sarebbe visto come arroganza, non come sincerità! E lui annuiva, comprendeva...)

(...sarà pur vero che ci siamo scrollati tanta zavorra di dosso, ma ogni giorno, nei luoghi più impensati, mi si presentano persone che sono passate da qui. Questa community ridotta a quattro(mila) gatti si palesa nei luoghi e nelle circostanze più impensate, cosa che non succedeva quando, a sentir certi amici di un tempo, eravamo mijoni. Quale sarà l'apparenza, quale la realtà?...)

mercoledì 10 maggio 2023

Tirare la cinghia

Nei commenti a un post precedente Marco, il nostro amico paradigma dell'idiot savant (non è un insulto: è un neologismo), personaggio che in questo blog regolarmente si ripresenta sotto le spoglie dell'ingengngniere piddino che pensa di argomentare in ambito economico facendo un magro e scombiccherato cherry picking su Wikipedia di teorie che a lui sembrano assistite dal principio di autorità, ci raccontava, in buona sostanza, che i francesi stanno meglio di noi (nota bene: nessuno aveva detto il contrario! Il commento dell'idiot savant si inseriva a seguito di una subordinata concessiva di idivev: "La Francia sarà pur sempre ecc.", cioè: ammesso e non concesso che la Francia sia... Ma gli idiots savants, come vedremo meglio nel caso climatico, sono a disagio con la grammatica elementare...). Comunque: Marco ci raccontava che i francesi stanno meglio di noi perché "lo stipendio netto medio a Parigi rimane un 30% maggiore che a Milano" (rigorosamente senza fonte, senza considerare che la Francia non è Parigi e l'Italia è ancor meno Milano, ecc. Ma la caratteristica dell'idiot savant è appunto che lui sa: bastandogli le sue certezze, non ritiene opportuno suffragare con la citazione delle fonti le verità che magnanimamente dispensa).

Vabbè, questa era una delle due premesse del discorso che volevo farvi oggi. Veniamo all'altra.

Poco fa il presidente di a/simmetrie, Benedetto Ponti, ha rilanciato su Twitter un grafico di Nicolas Goetzmann (che non so chi sia), a sua volta rilanciato da Philipp Heimberger, che invece sappiamo chi sia: è stato relatore a un nostro evento sulle regole europee):


Il messaggio è che i consumi alimentari dei francesi (dati mensili in milioni di euro a prezzi costanti) sono tornati al livello del 2007. Visto che a Parigi gli stipendi sono del 30% più alti perché ce l'ha detto sucuggino (cioè il cuggino di Marco), non ci resta che una linea interpretativa di questo dato: evidentemente i francesi sono molto preoccupati dalla prova costume, e quindi, pur navigando nell'oro, preferiscono accumularlo per farci il bagno come Paperon de Paperoni, anziché spenderlo in Bourgogne e Camembert (che rovinano la linea e tra l'altro dovrebbero avere il Nutriscore rosso, o almeno spero...).

Anche qui, come nel caso degli idiots savants, manca la fonte, e mi sono dannato l'anima per reperirla (con l'occasione, vi ricordo, se credete, di sostenere col vostro 5x1000 a/simmetrie, un think tank che le fonti le cita). Verosimilmente saranno fonti nazionali, perché né su Eurostat né su OCSE ho trovato una ripartizione delle spese per consumi delle famiglie a questo grado di granularità: su Eurostat e OCSE, ad esempio, ci sono le spese per consumi alimentari, ma annuali, mentre quelle trimestrali sono distinte solo fra beni non durevoli, semidurevoli e durevoli (e quelle mensili non ci sono).

Non escludo che cercando meglio si trovi qualcosa (magari voi ci riuscirete), ma a me interessava fare un confronto internazionale rapido, e l'ho fatto con quello che ho trovato, cioè questo:


Ora, a beneficio degli idiots savants, segnalo che quello riportato qua sopra è un indice, che quindi ci informa sulla dinamica, non sul livello del fenomeno: ma, se interessa, c'è anche il dato in volume (milioni di euro a prezzi costanti:

sul quale, se qui ci appassionasse il tema sollevato dal "cuggino de sucuggino" (cioè da Marco), ovvero "sono più ricchi i francesi o gli italiani?", andrebbero fatti almeno due aggiustamenti: la conversione in termini pro capite, e la correzione per la parità dei poteri d'acquisto (perché credo sia arduo ipotizzare che al Giambellino la vita costi quanto al faubourg Saint Honoré). Un vero economista, però, tenderà a essere più appassionato dalla dinamica che dalla statica. Del resto, anche per un politico, le tendenze in atto sono molto più rilevanti dei punti di partenza, per il semplice motivo che quale che sia il punto di partenza, il mandato che il politico riceve è quello di migliorarlo, per cui la domanda più rilevante diventa: stiamo migliorando o peggiorando, e di quanto? Una domanda dinamica, non statica: dove stiamo andando?, non: dove siamo?

Comunque: per quanto riguarda la dinamica, i due grafici dicono sostanzialmente la stessa cosa.

In particolare, partendo dalla fine: è confermato che la spesa per consumi non durevoli (che includono quindi anche il tabacco, il vestiario, ecc.) delle famiglie francesi è fortemente arretrata, coerentemente con l'andamento del suo sottoinsieme (le spese alimentari, quelle mostrate nel grafico dell'amico dell'amico dell'amico). L'ultimo dato trimestrale del 2022 è 83 miliardi, cugino degli 83,1 del terzo trimestre 2001 (un bel balzo indietro).

Interessa l'Italia?

Con la stessa logica, l'ultimo dato trimestrale del 2022 è 78,9 miliardi, cugino del 78,4 del primo trimestre 2015. Quindi si può raccontare, senza dire il falso, che per noi il balzo indietro indotto dalla crisi energetica, con annesso scenario inflattivo, è di soli sette anni, mentre per i francesi di oltre 20. In virtù di questa dinamica, a oggi, se misuriamo il benessere in termini di capacità di spesa per consumi non durevoli (escluse automobili, elettrodomestici, ecc., che comunque un po' di benessere contribuiscono a procurarlo), parametrando i volumi di spesa alla popolazione abbiamo che in Francia la spesa pro capite è 83 miliardi diviso 67,8 milioni, cioè 1225,5 euro al trimestre, mentre in Italia è 78,9 miliardi diviso ahimè solo 59,1 milioni, cioè 1334,9 euro al trimestre. Il cuggino di Marco non avrebbe difficoltà a dimostrarci con un modello peer reviewed che, anche se non sembra, la spesa pro capite francese è superiore del 30% a quella italiana (perché a Parigi ecc.). Viceversa i dati (ma i dati, si sa, non servono a chi detiene la Verità) stabiliscono che la spesa pro capite delle famiglie francesi in consumi non durevoli è dell'8,1% inferiore a quella delle famiglie italiane. Se vi rivolgete ai dati, anziché agli idioti revisionati da idioti (cioè dai loro peer), capite perché la gente va per strada in Francia e non qui (e torno a dire che a me dispiace che la gente debba andare per strada e non sono contento che questo succeda in un Paese che amo: sono però contento quando certi fenomeni possono essere ricondotti nell'alveo di una razionalità economica: mi aiuta a pensare che non ho sprecato il mio primo mezzo secolo).

Dopo di che, forse bisognerebbe allargare lo zoom, e possiamo farlo in due modi: con gli indici o con i valori assoluti. Conviene farlo in entrambi i modi anche per aiutarvi a capire una cosa che agli idiots savants (sì, lo avete capito: è il termine colto per indicare i piddini antropologici) normalmente sfugge: quali informazioni forniscano gli indici.

In effetti, se osserviamo il primo grafico, notiamo che fatto 100 il 2005, nell'ultimo trimestre del 2022 i consumi non durevoli delle famiglie italiane sono a 85 e quelli delle famiglie francesi a 98 (quindi quelli italiani sono diminuiti del 15% e quelli delle famiglie francesi del 2%). Sorge quindi spontanea la domanda: ma se la diminuzione dei nostri consumi è sette volte quella dei consumi francesi, come mai non siamo andati in piazza noi?

Non è così strano, o, per l'esattezza: non è strano che non stiamo andando in piazza adesso (visto che, come già detto, in termini assoluti stiamo meglio noi dei francesi, dopo il loro ultimo tonfo).

Il punto è che, come potete vedere dal secondo grafico, nel 2005 (in effetti, dal 2000 al 2009) i consumi in beni non durevoli delle nostre famiglie erano superiori, e non di poco, a quelli delle famiglie francesi. Insomma: conducevamo una vita più agiata, come qualcuno ricorderà (certo non gli "scienziati" awanagana che vengono a scassarmi gli zenzeri su Twitter col mento ancora imbrattato dalla ricottina del rigurgitino, povere stelline...). In numeri, considerando i valori della popolazione al primo gennaio 2005, nel primo trimestre del 2005 in Francia la spesa pro capite delle famiglie in consumi non durevoli era di 84,7 miliardi diviso 62,7 milioni, cioè 1350,7 euro a trimestre (più o meno dove siamo noi ora), mentre in Italia era di 92,8 miliardi diviso 57,8 milioni, cioè 1605,6 euro a trimestre. Insomma: nel primo trimestre del 2005 (anno che scelgo solo perché è il riferimento degli indici Eurostat) gli italiani spendevano (pro capite) il 18,9% in più dei francesi in consumi durevoli, ma soprattutto spendevano il 20,2% in più di quanto gli stessi italiani spendono oggi.

Insomma: è vero che abbiamo fatto un bel tonfo da prima della crisi globale, ma è anche vero che stavamo molto meglio dei francesi, per cui oggi continuiamo a stare un po' meglio di loro, e in termini dinamici oggi l'impoverimento causato dall'ultima crisi è molto meno drammatico di quello che stanno sperimentando, purtroppo, le famiglie francesi.

Non è quindi strano che adesso in piazza ci vadano loro, come dicevo.

Quello che è strano è che mentre venivamo macellati dall'austerità (e non ditemi che non si vede quando è successo) in piazza non ci siamo scesi noi. Ma anche questo tanto strano non è: il macellaretto dell'epoca ci ha spiegato bene com'è andata, e il clima di quel periodo è riassunto da questa immagine diventata a giusto titolo iconica:


Non c'è nulla di male nel mantenere rapporti distesi con gli avversari: l'ho fatto anch'io con la Camusso quando l'ho incontrata (forse anche perché ero distratto da altro). Nel non combatterli, e nelle motivazioni per cui non li si è combattuti, però, qualcosa di male gli elettori potrebbero vederlo, e lo hanno visto.

Ora, come allora, io sono all'opposizione di questa roba qui, ora come allora dandovi i numeri e le ragioni della mia opposizione, ma ora, a differenza di allora, con qualche minimo margine di manovra in più per eradicare la malapianta che ci ha infestato, compromettendo in modo difficilmente rimarginabile il nostro benessere. Ci si sta lavorando, ma intanto, lo ribadisco: l'irrazionalità, dopo aver danneggiato chi l'ha subita, si sta rivoltando contro chi l'ha voluta. Non è Schadenfreude. Lo definirei piuttosto usare la forza dell'avversario: l'unica risorsa di chi ingaggia un combattimento in condizioni di inferiorità.

Tanto vi dovevo (o meglio, tanto dovevo al cuggino di Marco, che ora tornerà petulantemente alla riscossa...).