martedì 30 maggio 2023

CRMA

Questa mattina alle 12:57 ricevo un messaggio da un funzionario parlamentare. Vedo subito rosso, non per via dell'incolpevole, diligente funzionario, ma perché nel messaggio c'era una macchia rossa:


Giro il documento rosso in chat XIV, e apprendo così dai colleghi quello che avrei dovuto capire da me (se avessi avuto tempo di leggere tutto, incluso il titolo del documento sopra la macchia rossa!): ho vinto una relazione in Commissione XIV, sono diventato, a mia insaputa, relatore di questa roba qui. Un po' mortificato per la mia negligenza, ho cercato di capire come potessi essermi perso l'assegnazione di un incarico di grande interesse per me e in generale di una certa responsabilità, almeno in teoria (cioè almeno se il Parlamento italiano venisse ascoltato da qualcuno in Leuropa). Semplice! L'ultimo ufficio di presidenza si era svolto il 24:


quando noi eravamo impegnati in questa roba qui, peraltro attinente:

 

Il saggio Candiani c'era arrivato subito: "Ti sei perso l'UdP perché eri al tuo convegno e poi ci siamo dimenticati di avvertirti!" Ci sta, le cose da fare sono veramente tante. Il mio 24 maggio era così, per darvi un'idea:


(un lieve accavallamento di impegni nel primo pomeriggio). Gli altri giorni sono anche peggio. Ma si cerca comunque di tenere il filo del discorso.

Ed eccomi così alle prese con l'ennesimo ributtante acronimo (CRMA, pronuncia siaremei, Critical Raw Materials Act) generato dalla burocrazia di Babele. Il testo originale è qui, il dossier parlamentare qui. Una lettura forse affascinante per un antropologo dei tempi che verranno, certamente inquietante per un contemporaneo, soprattutto se politico.

Due cose spiccano in particolare.

Una, l'ignoranza dei traduttori leuropei, che sono effettivamente di pessima qualità, se confrontati con quelli del nostro Parlamento. L'europeese è vomitevole in originale (cioè nella lingua dell'unico Paese che finora se n'è andato, come da nota profezia), ma tradotto diventa urticante, scortica le mucose del cavo orofaringeo. Ci sono poi problemucci di cultura generale, alcuni scusabili, come confondere il tantalio con Tantalo (in effetti fra il re della Lidia e l'elemento di peso atomico 73 targato Ta come Taranto una relazione c'è, ma poteva essere partorita solo dalla mente di uno scandinavo), altri sinceramente un po' meno, come il sorprendente "comune logaritmo" di cui si parla in appendice, traduzione di "common logarithm", che in italiano si direbbe logaritmo decimale (o volgare). Fatto sta che il "comune logaritmo" degli stipendiati europei a me ha fatto subito pensare all'abbandonato carro di Asterix in Britannia (quelli si che erano traduttori)!

Poi, per carità: se uno sa di che cosa si sta parlando, si orienta.

Ma se invece uno non lo sa, molto di meno, e questo forse spiega la seconda cosa che spicca a una prima, superficiale lettura: la radicale e insanabile inconsapevolezza, o forse la rimozione freudiana, di quanto la scarsità che rende certe materie prime, tutto a un tratto, "critiche" o "strategiche", sia indotta da quella che abbiamo chiamato cesura ecologica. Questa inconsapevolezza ha due origini. Una è l'ignoranza. Dice: "come sò ste tère? Sò rare...", quindi, come dire: in alcuni casi è il lessico che ti guida a prendere la scarsità di certe risorse come un dato di natura. Ma le cose non stanno esattamente così: i lantanoidi per lo più non sono "rari", come una fugace consultazione di Wikimm... potrebbe facilmente illustrarci: iodio, mercurio, argento e oro (per dirne quattro) sono molto più rari de "e tère rare". Fatto si è che veicolare subliminalmente l'idea di una scarsità naturale aiuta, perché evita di fare i conti col fatto che quello che ci aspetta nei prossimi anni è un man-made disaster, il secondo causato dalla Leuropa. L'altra è la religione: il dogma del claimatceing non può essere messo in discussione, non è ammissibile: there is no alternative, noi tireremo dritto, è Greta che traccia il solco e la BCE che lo difende... Insomma: sempre la stessa solfa, da qualche secolo a questa parte: ma può essere utile sapere in quali nuove bottiglie ci venga venduto il vecchio vino.

Tuttavia, questa inconsapevolezza non è senza conseguenze. Una maggiore coscienza del fatto che "le tere nun sò rare" di per sé, che siamo noi a renderle tali con scelte di politica industriale concepite nell'interesse di alcuni (incluse le ex potenze coloniali, perché la cesura ecologica è anche e soprattutto neocolonialismo) e contro quello di altri, una maggiore coscienza di questo dato che spero di avervi fatto apprezzare, costringerebbe gli euroti a venire a patti col fatto che il loro delirio sta rendendo oggettivamente "rari", "critici", "scarsi" in termini economici anche elementi estremamente abbondanti in termini fisici sulla crosta terrestre, come il silicio (secondo elemento più abbondante), l'alluminio (terzo elemento più abbondante):


(qui), lo stesso ferro (che in lega col carbonio dà l'acciaio, indispensabile ad esempio per le torri eoliche). Se fate caso al ragionamento di Gianclaudio, emergono chiaramente, nella religione climatica, con annessa cesura ecologica, le stesse fallacie logiche che abbiamo visto all'opera nella religione eurista, con annessa cesura monetaria. Tutto un bello snocciolare scadenze perentorie e parametri fissi, che tanto si prestano a comporre accattivanti infografiche:


(scadenze e parametri che, per inciso, sono concepiti come una tagliola per il Sud in cui spesso rimane preso il cacciatore del Nord), ma una radicale, sbalorditiva incapacità di ragionare in modo olistico, di tenere insieme non dico tre o quattro, ma almeno due pezzi di un problema! Esempio: se passi da una fonte di energia estremamente concentrata ed efficiente come il fossile, ovviamente devi alleggerire i mezzi di trasporto, quindi passare a un metallo leggero come l'alluminio, che sarebbe sì abbondante, ma non lo è, perché la sua produzione richiede, notoriamente, grandi quantità di energia, che sono proprio quelle di cui, rinunciando al fossile, ti troverai a non disporre. Una serie di circoli viziosi, di aporie logiche, di retroazioni perverse che non possono non condurre al fallimento del progetto, in pieno isomorfismo logico con quelle scatenate dalla moneta unica (che, per dirne solo una, induceva ad indebitarsi di più i Paesi più indebitati, distorcendo al ribasso il loro costo del denaro, mentre inibiva la loro capacità di ripagare i debiti contratti, distorcendo al rialzo il loro tassi di cambio reale). Sempre sempre sempre la stessa storia: quattro nazisti chiusi nel loro bunker, che li isola dalla realtà, ma non dalla sconfitta, dettano regole, regole, regole, figlie di un'astrazione malata, di una morbosa Wille zur Macht (che oggi assume il pomposo nome di "sovranità europea"), incuranti delle vite altrui, pronti a masticare la loro capsula di cianuro piuttosto che ad ammettere di aver sbagliato.

Quanto possiamo ancora tollerare di essere "governati" in questo modo?

(...vabbè, io ci dormo sopra. Tra l'altro, domani forse non posso neanche incardinare il provvedimento perché comandato di servizio sulla trincea delle casalinghe disperate: L'Aria che tira! Sarà un interessante esperimento di bilocazione: il Paradiso può attendere, ma la santità è a portata di mano...)

Effetto botte

(...contravvenendo a una delle regole di questo blog, per una volta mi occuperò di attualità, ma non solo...)

In un filmato di repertorio, l'incontro fra la nuova segretaria del PD e il suo elettorato naturale:

Esaurito con questo colto richiamo al cinema d'autore, commosso ed accorato omaggio alle mie radici di sinistra, il commento al fatto del giorno, consentitemi di trarre da questo fatto un paio di lezioni utili per gli altri, ma anche e soprattutto per noi.

Lo scorso mese di febbraio il mio lavoro di pastore d'anime mi portava a Milano. Nel Frecciarossa incontro un* colleg* del PD e il discorso ci porta naturalmente a commentare il congresso prossimo venturo, quello che poi avrebbe eletto la Schlein. Con un certo stupore apprendevo dal colleg* che secondo l*i la Schlein, che era la peggiore delle segretarie possibili, aveva in realtà ottime probabilità di farcela. Io manifestavo stupore: ma come!? E Bonaccini, tutto RayBan e maniche rimboccate,  Bonaccini, l'allegoria del fare e del buongoverno (come dimostrano i risultati)? Non era lui il candidato naturale?

La risposta mi lasciò di stucco: "Sì, ma la Schlein è nuova, e alla gente piacciono i volti nuovi! Però sarà un disastro...".

L'aneddoto dimostra che esistono forme di vita intelligenti perfino nel PD (nonostante l'atmosfera sia ivi satura di quel potente corrosivo della logica che è l'eurismo: ma ci sono intelligenze particolarmente "resilienti", soprattutto quando ne va della loro carriera...).

Questo però non è l'unico insegnamento che l'aneddoto fornisce.

Ve ne evidenzio altri.

Intanto, una delle conseguenze dello svilimento della politica è che siccome "li politichi sò tutti uguali, è tutto un magna magna, se sò magnati tutto", le scelte non solo degli elettori, ma anche delle classi dirigenti, sono indirizzate sempre più da caratteri esteriori (la novità!), più che da un disegno strategico che nessuno ha il tempo né la voglia di comporre, per il banale ma determinante motivo che non ha la certezza che ne valga la pena. Come nel classico beauty contest keynesiano, each competitor has to pick, not those faces which he himself finds prettiest, but those which he thinks likeliest to catch the fancy of the other competitors. Con un lieve adattamento: ogni partito non sceglie il candidato (segretario, sindaco, ecc.) che trova migliore, ma quello che pensa sia più adatto a sollecitare l'immaginazione dell'elettore. Quindi se si pensa che gli elettori vogliano "il nuovo" (che avanza), ci si impegnerà a darglielo, anche quando si è consapevoli che il nuovo arretrerà.

È la totale, irrevocabile abdicazione al ruolo di guida, di mediazione culturale, di proposta, di alcuni partiti, che operano circoscritti nell'ambito di una logica puramente passiva, una logica di intercettazione un po' a tentoni di un consenso non formato (shaped) da loro con la loro visione, ma da altri (in estrema sintesi: i media) col loro marketing.

A monte di questo moltiplicatore (keynesiano!) del degrado, naturalmente, c'è lo smantellamento dei partiti, la demonizzazione delle ideologie, l'appiattimento delle idee sotto un conformismo sempre più schiacciante, assistito dalla morte del pluralismo (su cui qualche parolina dovremo dire), che conduce alla totale incapacità di dare una visione alternativa organica, non banalmente appiattita sulla facile retorica del "nuovo". Ci sono insomma tutte quelle correnti culturali che vi hanno condotto all'idea che sareste stati più forti se aveste indebolito i vostri rappresentanti. Se Dio vuole, le prime vittime di questa ideologia fascista (perché antiparlamentare) in questa fase sembrano essere quelli che l'hanno propugnata. Ma non è un pericolo che corrono solo gli altri, beninteso, altrimenti non ve lo metterei in evidenza. Il grillismo scorre potente anche fra noi e credo sia meglio esserne consapevoli.

Poi c'è un altro aspetto, più delicato, che l'effetto botte (prese dalla Schlein, metaforicamente) mette in risalto, ed è il fallimento dell'idea che mobilitare minoranze vocal sia la strada maestra per ottenere un consenso di massa. Sarò brutale (con voi, perché con lei lo sono stati gli elettori): lo capite sì, o lo capite no, che il #semomijoni non funziona? Anche iGGiovani sono mijoni (nonostante l'inversione della piramide demografica), anche i LGBTQI+ sono mijoni, magari non sono mijoni i locatori e i conduttori di uteri, ma sono molto vocal, ma insomma ci siamo capiti: creare in gruppi specifici, che nessuno vuole attaccare, un senso di urgenza e di minaccia gridando all'omofobia (che non c'è) o alla pensione dei padri che distrugge il futuro dei figli (mentre in realtà ne mantiene il presente) è una strategia che nei social, nei parterre televisivi, in alcuni sondaggi, può sembrare vincente. Poi c'è la realtà, che è un'altra cosa.

Quello che vale per i #semomijoni "de sinistra" vale anche per i #semomijoni "de destra". Rinuncio ad elencarveli: ne abbiamo parlato tanto, il loro unico impegno visibile è stato quello di spalarci merda addosso per anni, il loro unico risultato è stato non ottenere alcun consenso elettorale. Ci sono fasi in cui il messaggio "forte" in tutta evidenza non aiuta, né da una parte, né dall'altra. Questo ovviamente non vuol dire che si debba rinunciare alle proprie idee. Vuol dire che il consenso attorno ad esse va creato con altri mezzi e per altre strade, meno appaganti in termini di "like", ma più decisive in termini di conquista del potere.

So che spiace a molti di voi. Tutto il blaterare su "la strateggiah" si sgretola di fronte ai numeri. Anche chi, concettosamente, sentenziava che "fra l'originale e la copia l'elettore sceglierà l'originale" oggi deve battere in ritirata. Sarà vero (?) che una certa prudenza tattica su certi temi avvicina il discorso della destra a quello della sinistra, ma non mi sembra che questo porti gli elettori a preferire la sinistra! Di converso, lo spread a 500 e i titoloni dei giornaloni (nazionali e 'ndernescional) a una e una sola cosa servirebbe: a impedirci di proseguire nel nostro lavoro di contendere il potere a 80 anni di cattocomunismo. So che a tutti i nemici e a molti amici questo farebbe piacere, perché preserverebbe le loro quote di mercato. Ma purtroppissimo noi dagli errori impariamo: da quelli degli altri, come stiamo cercando di fare oggi, e dai nostri.

A presto!

lunedì 29 maggio 2023

Risorse finite?

(...soffro molto di non poter mantenere un rapporto più assiduo con voi, ma gli impegni si accumulano a tanti livelli. Questo blog è un esperimento unico: lo era già quando, da docente di economia, avevo deciso di investire così tanto tempo in un'attività - la divulgazione scientifica - dal ritorno nullo o negativo in termini di carriera. Diventa una sfida alle leggi della fisica ora che il tempo che continuo a investirci semplicemente non ce l'ho. Mi prendo un'ora - quella che ho prima di recarmi alla presentazione di un impianto di Amazon al confine settentrionale della mia marca - per ragionare su un commento interessante fatto da uno di voi. Il commento è di qualche tempo fa. Purtroppo la spazzatura dei vari Marco - con la maiuscola, lo spam del caro amico Erik - Pombeni, Dossetti, Burgio, Smith, ecc. - le provocazioni idiote dell'amico Pietrino Yanez, lasciano spesso indietro quella merce oramai rara che sono le intelligenti voci di dissenso. In materia economica, in effetti, ci siamo detti quasi tutto, da aggiungere c'è poco, la corazzata dell'austerità comunemente intesa si è sgretolata logicamente, se pure non del tutto politicamente, ogni tanto incontriamo qualche suo relitto, ma non mette nemmeno conto scostarlo: ci si può tranquillamente passare sopra. Resta però sempre, insidiosa, l'austerità camuffata da anelito verso un mondo più pulito, l'austerità decrescista-ecologista. Credo di essere stato il primo a mettere in evidenza qui il legame a dire il vero piuttosto evidente tra "ecologismo" e politiche di austerità. Lo vediamo nell'idea che i poveri debbano smettere di consumare perché consumare inkuina, un'idea ovviamente funzionale a una redistribuzione del reddito a favore del capitale finanziario, che infatti - ci riportano le cronache - disinteressatamente finanzia gli ecoscemi in giro per il mondo. Secondo voi lo fa per lavarsi la coscienza, o per migliorare il proprio conto economico? Ne parliamo da molto, ma molto molto prima, che tanti svalvolati su Twitter imparassero a biascicare "malthusiano" a torto e a traverso, pensando di essere fichissimi, come il povero Pippo della canzoncina (inutile dire che questi epigoni svalvolati sono magna pars di quelli che ci siamo persi per strada, senza molto rimpianto)...

Non è un caso che da quando l'austerità "alla Marco" - per capirci: il buon padre di famiglia, le generazioni future, le piccole imprese inefficienti, ecc. - è scomparsa dal radar, perché perfino ai servi incaricati della trista bisogna veniva da ridere a leggerne le veline, sia ripartito in grande spolvero il circo di quelli che vogliono salvare il pianeta distruggendone - se non fisicamente, economicamente - la maggioranza degli abitanti. Questa linea di attacco ai vostri portafogli e, in definitiva, alla nostra democrazia, è particolarmente insidiosa perché sfrutta le due leve che abbiamo visto, in tanti anni di Dibattito, essere le più potenti: la minaccia esistenziale diretta, e l'ignoranza.

Nel confutare il decrescismo - o l'ecologismo, che poi è la stessa cosa - ero partito dall'esplicitare il tipo di ignoranza che lo sottendeva. Ci vuole molta ignoranza della più elementare grammatica dell'economia per associare alla decrescita economica un mondo più sostenibile, più pulito, e ci vuole anche una singolare volontà di ignorare il dato di realtà. Basterebbe poco per rendersi conto del fatto che gli Stati "meno cresciuti", e quindi più poveri, sporcano di più per il semplice fatto che non possono permettersi tecnologie più pulite. Ma poi le vicende di quel "minibot fatto male" (Claudio Borghi dixit) che è stato il 110% hanno messo in evidenza nel 2022 quello che vi avevo detto nel 2011: "è grazie al progresso tecnologico che le nostre tecnologie possono diventare meno inquinanti (vedi le case teutoniche), e che i nostri consumi si riallocano da beni materiali a beni immateriali. La crescita del Pil non è più fatta solo di altoforni e centrali a carbone. È fatta anche di sviluppo software, agricoltura biologica certificata (e quindi servizi di certificazione), istruzione terziaria, energie rinnovabili, ecc. Tutti consumi ad alto valore aggiunto, che si associano a crescita del Pil". Nessuno ha notato - ma il compito di questo blog è far notare quello che nessuno nota - che il 110% sta ai grillini come il "debito buono" sta a Draghi: in termini dialettici è stata la sconfitta - meno evidente ma più cocente - dell'altra faccia dell'austerità: la decrescita. Per chi ricorda che cosa fossero gli ortotteri una decina di anni fa il loro attuale anelito verso la crescita dovrebbe in effetti suonare molto strano. Ma come!? Non erano loro i paladini della decrescita perché la crescita inkuina? Me lo ricordo solo io questo? Me le ricordo solo io le interviste ai familiari dell'ortotterone capo che si sdilinquivano nel riportare come egli non ammettesse alcun detergente più energico dell'acqua di fonte (pensa che sollazzo stargli accanto in periodo di localuomming...)? Il 110% ha costretto gli ortotteri a smentire la propria retorica decrescista riconoscendo che per ottenere un mondo più "sostenibile" occorre investire, occorre cioè aggiungere, non sottrarre, al Pil. Proprio quello che qui facevamo umilmente notare nel 2011 - ovviamente sommersi dal solito coro di pernacchie dei decerebrati!

Venuta meno la retorica dell'"investire inkuina", cioè la leva dell'ignoranza, per portare avanti l'agenda regressiva (in termini distributivi) dell'austerità resta solo la leva della minaccia esistenziale diretta. Dobbiamo essere austeri - cioè, in termini economici, consumare di meno, e in termini colloquiali spendere di meno - perché altrimenti distruggeremo la madre Terra. Dobbiamo vivere male per non morire peggio, perché la fine del mondo è vicina, e quindi, ça va sans dire, dobbiamo FARE PRESTO! Questo senso di urgenza indotta non è una assoluta novità, giusto? Tutti ricordiamo l'infame titolo con cui il giornale del professionista che amava le bistecche propagandò le politiche che hanno distrutto il Paese nel modo che abbiamo più volte documentato. Ma è ancor meno una assoluta novità il millenarismo, la predicazione di una fine del mondo imminente, che deve indurci a purgarci dei nostri peccati, a modificare i nostri comportamenti, a rigenerarci interiormente, e naturalmente a piegare la testa al feudatario. La dimensione di instrumentum regni della religione emerge in tutto il suo splendore nel nuovo millenarismo...)

(...ma ora devo lasciarvi: un'ora è passata, ci rivediamo appena possibile...)

(...riprendiamo il discorso...)

(...un millenarismo che chi ha una certa età - diciamo, almeno la mia - ha visto costruire nel tempo, meticolosamente, diuturnamente. Ma prima di entrare nel vivo, lasciamo esprimere il nostro nuovo amico...)


Marco G ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Segare il ramo, banchieri filantropi, e altre storie":

I post sull'economia sono sempre molto piacevoli da leggere, però c'è una cosa che non ho mai capito quando si parla di economia e negli ultimi tempi la capisco ancora di meno. Per spiegarmi parto dalla frase "Paesi privi di materie prime sono costretti a esportare prodotti finiti per procurarsi le risorse finanziarie con cui importare le materie prime: ci avevate mai pensato?"

Ecco, io quello che non ho mai capito è come la teoria economica tenga in conto il fatto che le materie prime non sono inesauribili e che prima o poi termineranno. Cioè se prima o poi il petrolio terminerà, mi pare che piaccia o non piacca, la recessione probabilmente arriverà e probabilmente ciò accadrà sia che siamo dentro o fuori dall'euro o dentro o fuori dall'UE. Idem per il gas, ma anche per altre materie prime (tipo il rame). Non so come verranno alimentate tutte le macchine che oggi sono alimentate a petrolio, quando questo sarà terminato o comunque quando ce ne sarà di meno a disposizione (vedo difficile installare reattori nucleari su automobili, camion e aerei. E probabilmente anche sulle navi). Se poi termina anche il gas, difficilmente si avrà elettricità disponibile come quella che c'è oggi (le rinnovabili, nucleare compreso, sicuramente non potranno sostiture gas e petrolio in tutti gli utilizzi attuali). Se poi terminano anche altre risorse, tipo il rame, sarà difficile avere ancora dei computer (e ad esempio tutto il sistema bancario che immagino si basi molto su operazioni online semplicemente probabilmente non potrà più esistere). Per quanto ne so io, l'esaurimento totale delle risorse naturali forse è lontano, ma il raggiungimento dei picchi moldiali di estrazione è vicino, se non già superato. Il picco di estrazione del petrolio convenzionale è già stato superato nel 2007 o 2008, anche se la produzione totale di petrolio è aumentata da allora (ma questo è stato possibile aggiungendo al petrolio convenzionale il cosiddetto "petrolio di scisto" estratto soprattutto negli Stati Uniti). E comunque pare che il picco di estrazione totale di tutto il petrolio, cosiderando anche il petrolio di scisto sia stato tra il 2018 e il 2019, anche se per confermare questo dato credo che servirà ancora del tempo (anche per capire se la diminuzione dell'estrazione è stata dovuta effettivamente all'esaurimento della risorsa o se la riduzione è stata indotta dalla pandemia). Anche il gas non è certo inesauribile e le azioni di Putin mi sembrano semplicemente un acceleratore di quello che sarebbe accaduto comunque, per quanto riguarda il gas, anche se magari sarebbe accaduto un po' più avanti nel tempo. E anche per il rame è previsto un picco nell'estrazione prima del 2030.

Per il rame tra l'altro la situazione è anche peggiore che per petrolio e gas, visto che le sorgenti fossili di energia potrebbero riformarsi (ma si dovrebbe avere a disposizione da qualche decina a qualche centinaio di milioni di anni perché si riformino i giacimenti); per il rame non c'è alcun tipo di fenomeno che gli permetta di riformarsi, nemmeno in miliardi di anni, quindi quando sarà esaurito sarà esaurito per l'eternità.

Non riesco a capire come questa riduzione delle risorse naturali venga tenuta in considerazione dai modelli economici, perché a me sempbrerebbe logico che una riduzione della disponibilità di queste risorse dovrebbe dar luogo ad un fenomeno di inflazione più o meno sempre crescente (se di queste risorse ce ne sono sempre di meno, dovrebbero costare sempre di più). Inoltre senza risorse o comunque in presenza di riduzione di queste risorse la produttività del lavoro mi sembra che dovrebbe abbassarsi in qualsiasi caso, sia dentro che fuori dall'euro sia con salari minimi alti che bassi, ecc. E il PIL conseguentemente dovrebbe calare in ogni caso. Però sembra che nei modelli economici queste cose non vengano tenute minimamente in considerazione, ma forse non è così e vengono tenute in considerazione in qualche modo, solo che io che sono ignorante in economia non me ne accorgo.

Pubblicato da Marco G su Goofynomics il giorno 9 gen 2023, 02:21

(...riportato col consueto rispetto della diversità, in particolare di quella ortografica - ma anche quella di opinioni!...)


Vorrei partire da un disegnino, questo:


tratto da qui e segnalato da uno degli account Twitter più interessanti (per me), questo:

Penso di fare una cosa utile a Marco, che secondo me di nucleosintesi stellare, e in particolare di nucleosintesi dei nuclei pesanti, verosimilmente sa poco o ha dimenticato molto, altrimenti non recriminerebbe per la scarsità di un elemento come il rame, la cui nucleosintesi avviene per cattura neutronica, processo che porta con sé qualche increscioso effetto collaterale.

Meglio accontentarsi di quello che si ha.

E Marco dirà: "Appunto! Ma io sto dicendo proprio che non dobbiamo esaurirlo, perché poi sarà esaurito per l'eternità!"

E qui però dobbiamo intenderci, magari precisando un po' i termini. Quando le miniere dalle quali ai prezzi correnti è economicamente conveniente estrarre rame (più esattamente, calcopirite) saranno esaurite (a spanne direi fra due secoli e mezzo, ovviamente in base al ritmo di consumo attuale), questo non vorrà però dire che il rame "sarà esaurito per l'eternità". Il rame di cui il caso ha dotato il nostro sorprendente, fragile pianeta, e che se non sbaglio i conti rientra con tanti altri elementi nell'1,2% dei 5.970 miliardi di miliardi di tonnellate della sua massa (che è comunque tanta roba), ci sarà sempre: magari non combinato con ferro e zolfo come all'inizio del suo percorso, molto probabilmente ossidato, magari in discarica, magari legato ad altri metalli, ecc.

Ma ci sarà.

Questo è quello che dice la fisica.

In principio era il Verbo e l'H (idrogeno). Il resto si è generato nel polemos: supernove, collisioni fra stelle di neutroni, eventi di violenza inimmaginabile per le nostre deboli menti umane, gli unici in grado di liberare l'energia necessaria per aggregare nuclei, per produrre gli elementi pesanti. Ma questi, una volta prodotti, poi restano lì: solo oltre un certo peso atomico gli elementi si degradano. L'uranio a tendere diventa piombo, percorrendo una lunga catena di decadimento, ma il rame a tendere resta rame. Una volta che sai che la massa può convertirsi in energia, ti riconcili anche con la legge di Lavoisier.

Quindi: tranquillo, Marco G: ricambio il tono patronizing con cui definisci "piacevoli da leggere" i post sull'economia dandoti da leggere qualcosa che economia non è, che forse altrettanto piacevole non è, che forse credevi o sapevi di sapere, ma non sapevi: il rame è qui per restare (il che non significa né che ce ne sia abbastanza, né che sarà disponibile in forme immediatamente utilizzabili, ecc.: ma ci sarà). L'idea che il rame si esaurisca "per l'eternità" è un pochino troppo ingenua per come siamo abituati a ragionare qui.

Ma l'economia che cosa dice?

È proprio vero che gli economisti sono dei bambacioni incapaci di rendersi conto del fatto che il "sistema Terra" (a differenza del mitologematico "sistema Paese") è isolato nello spazio profondo, e quindi che le risorse in esso contenute sono circoscritte? È proprio vero che l'economia non tiene conto del fatto che "le materie prime non sono inesauribili"?

No, ovviamente non è così, come, del resto, non è vero che la soluzione alla "esauribilità" delle materie prime sia decrescere per utilizzarne di meno! Su questo, come vi dicevo, ci siamo già soffermati tempo addietro, e oggi la transizione ecologica conferma e avvalora la nostra tesi secondo cui per ottenere un mondo "più pulito" in effetti ci vuole più, non meno Pil: occorrono, in particolare, tanti investimenti (che sono la "I" di questa formula che nessuno capisce: Y = C+G+I+X-M).

Se dodici anni fa quanto dicevo poteva non essere capito, dopo il 110% e la transizione ecologica direi che gli assenti sono tutti ingiustificati! Te lo dicono loro, i decrescisti, che per avere un mondo ecologico devi crescere di più, devi fare investimenti, e ti dicono perfino che se non fai questi investimenti crescerai di meno (valorizzando la crescita come positiva: quella stessa crescita che una volta era il baubau, l'uomo nero del politico "green").

Quindi su questo terreno ora non c'è più dibattito: c'è solo il Dibattito (che è, in buona sostanza, quello che avevamo scritto qui).

Resta il tema dell'esauribilità. Gli economisti se ne occupano da un bel pezzo (direi da sempre) e il lavoro più significativo è quello di Hotelling che risale a 92 anni fa. Sono lavori molto tecnici e non credo valga più di tanto la pena di entrare nei loro dettagli. Può invece valere la pena di guardarsi intorno, e magari anche di guardare indietro.

Ecco: guardiamoci indietro.

Quelli che hanno almeno l'età mia si ricorderanno benissimo di come il tema ecologista-decrescista veniva posto anni addietro: prima che partisse il cinema della CO2, l'argomentone era: il petrolio finirà, non possiamo continuare a contare su una risorsa di cui non abbiamo disponibilità infinite! Il senso di urgenza veniva indotto dalla pretesa esistenza di un vincolo fisico: esistenza plausibile, probabile, ma ripetutamente smentita dai dati per il semplice motivo che gliScienziati che lo propugnavano, questo vincolo fisico, e che certamente si sentivano molto intelligenti, e forse erano anche un po' intelligenti, ragionavano in termini statici (cosa che un economista avveduto non farebbe mai), ignorando due dati: il progresso tecnologico, e il ruolo del prezzo come strumento allocativo. Così, il petrolio che nel 1956 sarebbe dovuto finire nel 1970, nel 2021 pare che debba finire nel 2040 (e saremo lì per verificare se sarà vero o no).

Frustrati nel loro tentativo di creare un senso di urgenza sulla base di una scarsità che le leggi dell'economia continuamente rinviavano, gliScienziati creano oggi una diversa urgenza, quella millenaristico-climatica. Il tema dell'esauribilità delle risorse quindi passa in secondo piano: il problema non è più che il petrolio (il fossile in generale) finirà. Visto che non finisce, chi vuole creare lo stato d'eccezione argomenta che se continuiamo a usarlo finirà la stessa Terra, spazzata via dal Diluvio universale (che, se ci fate caso, è anch'esso un grande classico...), e naturalmente noi con lei. La minaccia esistenziale diretta, quella di cui abbiamo visto l'efficacia all'epoca della punturina, diventa lo strumento di persuasione: a quale scopo non è sempre chiarissimo, anche se qui un'idea ce la siamo fatta analizzando l'evoluzione dei rapporti fra capitalismi del Nord Europa e degli Stati Uniti (che sono comunque un pezzo del problema, perché alla fine di questo discorso ci sono indirizzi di politica industriale da dare o da subire).

Ma forse non è corretto dire che il tema dell'esauribilità diventi secondario: a una esauribilità farlocca, visibile perché brandita come arma di persuasione (l'esauribilità del fossile) se ne sostituisce un'altra, su cui nessuno vuole riflettere, per motivi uguali e contrari (cioè perché farlo smonterebbe la narrazione dominante): l'esauribilità dei metalli, o meglio, prima ancora, come abbiamo detto qui, la loro disponibilità.

Anche qui gli ultimi mesi ci offrono una lezione piuttosto eloquente.

Quale?

Semplice: i prezzi esistono e guidano le scelte.

La scarsità (relativa) di gas indotta prima dalla ripresa su larga scala dell'attività economica mondiale e dopo (molto dopo) dal conflitto ha portato a un incremento sensibile del prezzo:

(fonte), prezzo che prima, cioè non dopo, ma prima, del conflitto era più che quadruplicato rispetto alla sua media storica. A questo incremento dei prezzi si è risposto come normalmente si fa: consumando di meno e passando ad altro.

E siamo ancora qui.

Se facciamo per un momento astrazione dal tema "emissioni" (di cui non mi interessa contestare la fondatezza come non mi interessa contestare quella della Santissima Trinità: ho rispetto per tutte le religioni), questa storia che cosa ci dovrebbe raccontare? Che se usciamo dalla dimensione solo apparentemente oggettiva della disponibilità fisica di una risorsa, ed entriamo nella dimensione concretamente rilevante, quella della sua disponibilità economica (cioè ai dati prezzi di mercato e con le date tecnologie), lo spauracchio della fine del petrolio avrebbe dovuto palesarsi fin dall'inizio come futile: col progressivo esaurirsi della risorsa si sarebbe dovuto innalzare il prezzo, determinando un effetto di sostituzione, cioè una vera transizione, verso altre fonti di energia, che a tendere non avrebbero potuto che ricondursi direttamente alla gigantesca centrale a fusione che abbiamo a portata di unità astronomica. Processo graduale, guidato dai prezzi e dall'evoluzione tecnologica, astenersi FATE PRESTO!, astenersi decrescisti, astenersi ecoscemi.

"Mi avvio a concludere" (cit.), quindi, esprimendovi la mia preoccupazione, che non è solo mia (la condivido con pochissimi altri): indipendentemente dai torti e dalle ragioni, l'attuale gestione della "transizione" ecologica, imponendo nei fatti una "cesura" ecologica, genera una scarsità indotta di risorse che pure sarebbero abbondanti in natura, ma che diventano scarse e costose a causa dei tempi di una pianificazione assolutamente ideologica e priva di aderenza alla realtà. Invece di farci guidare dal segnale di prezzo, lo distorciamo: qualcuno saprà perché, immagino! Indipendentemente dagli scopi reali o presunti, esistenti o inesistenti, coscienti o inconsapevoli, il dato è che questo modus operandi ci consegna a un mondo di tensioni inflazionistiche persistenti e di redistribuzione del reddito in chiave regressiva.

Questo dato ci riconcilia con un apparante paradosso, quello che dovrebbe far sentire a tutti una nota stonata: il fatto che questa gigantesca manipolazione del mercato (delle materie prime) definita "transizione ecologica" viene perpetrata da chi a chiacchiere dice di volersi affidare al mercato, da chi da anni teorizza la supremazia del mercato sulla sfera politica. Insomma: quelli che per hanno hanno teorizzato il laissez faire, ora vogliono che facciamo come dicono loro. E questo, se da un lato è un elemento di contraddizione (solo apparente), dall'altro è un elemento di chiarezza e di igiene del dibattito, perché ci legittima a voler invece fare come crediamo noi!

La domanda quindi diventa: siamo tutti d'accordo con l'agenda green della nostra amata UE? Siamo sicuri che rinunciare al motore endotermico entro il 2035 sia una buona idea (tralasciando il fatto che verosimilmente sarà infattibile)? Siamo sicuri di doverci preoccupare dell'efficienza energetica delle nostre abitazioni anziché di quella antisismica? Io no, e non sono il solo: perfino l'eterno secondo se n'è accorto, quindi, come dire: chi è stanco di perdere ha a disposizione una battaglia praticamente già vinta: quella per essere lasciati in pace!

Ripartiamo da qui.

mercoledì 24 maggio 2023

Quanto dovremo sporcare ancora per arrivare a un mondo pulito?

 (...la mia relazione introduttiva al convegno Le materie prime nella transizione ecologica, organizzato da a/simmetrie col patrocinio della Camera dei Deputati - il video prima o poi apparirà qui...)

Intervengo in questa sede come presidente del comitato scientifico di a/simmetrie, un think tank che svolge da dieci anni un’attività di riflessione, ricerca e divulgazione sul tema delle asimmetrie economiche.

La transizione ecologica, che in termini strettamente merceologici può essere vista innanzitutto come transizione da una classe di materie prime (gli idrocarburi) ad un’altra (i metalli e i semimetalli), in termini economici più ampi è una delle tante ramificazioni del tema delle asimmetrie. Le asimmetrie della transizione sono molte e vistose: asimmetrie nella dotazione delle risorse naturali, asimmetrie nello sviluppo tecnologico dei diversi Paesi, asimmetrie dimensionali fra i diversi Paesi, i loro apparati produttivi, le loro emissioni (in termini assoluti e in termini pro capite), asimmetrie regolatorie e legislative fra diversi ordinamenti nazionali e sovranazionali.

Un po’ tutti questi temi verranno toccati nella quattro relazioni, e qui sottolineo qualche loro implicazione politica.

L’asimmetria nella dotazione delle risorse pone due ordini di problemi.

Uno, ormai evidente, è quello geopolitico: chi controlla le filiere di approvvigionamento dei metalli e dei semimetalli? Siamo ormai tutti consapevoli, in buona parte grazie al meritorio lavoro di Gianclaudio Torlizzi, che di a/simmetrie è anche socio, del fatto che queste filiere sono controllate da una potenza emergente che si sta caratterizzando sempre più come antagonista del blocco atlantico: la Cina. Dobbiamo allora chiederci: quanto è compatibile una sempre maggiore dipendenza dalle materie prime cinesi con la vocazione atlantica del nostro Paese? Una domanda aperta cui dobbiamo rispondere al meglio, evitando di cadere da una dipendenza politicamente scomoda in un’altra dipendenza altrettanto scomoda.

Ma c’è anche un altro problema su cui probabilmente non si riflette ancora a sufficienza, quello geologico: indipendentemente dalla loro geografia politica, le dotazioni di risorse naturali necessarie per una compiuta transizione ecologica (intesa, banalizzando, come elettrificazione) sono fisicamente disponibili, in tempi rapidi, sulla crosta terrestre? Derivano da qui due ulteriori ordini di problemi, che devono entrare nel radar della politica: un problema ambientale e uno distributivo.

Intanto: quale impatto ambientale, quale violenza alle viscere della Madre Terra determina, il procurarsi a tappe forzate ingenti quantità di questi materiali? In altre parole, quanto dovremo sporcare ancora prima di arrivare a un mondo pulito? Quanta CO2 emetteremo per ridurre le emissioni di CO2?

Le riflessioni di Roberta Benedetti sulla filiera del fotovoltaico ci aiuteranno a mettere a fuoco questi aspetti con esempi concreti.

E poi c’è il problema distributivo: quali impatti inflazionistici, e con quali conseguenze redistributive e quali impatti sul conflitto sociale, avrà la scarsità indotta di questi materiali? La riflessione più immediata è quella sui costi dell’auto elettrica e su chi se la potrà permettere, ma il tema è molto più pervasivo e riguarda il costo dell’energia e della vita in generale: quanto e chi dobbiamo impoverire prima di avere abbondanza di energia pulita a basso costo per tutti?

Ho detto scarsità indotta, e lo sottolineo, a ragion veduta, per evidenziare un problema che è al tempo stesso concreto, politico, e astratto, intellettuale: forse dovremmo riconciliare il lessico con la realtà e riflettere sul fatto che quella che ci viene proposta non è una transizione ma una cesura ecologica. Le scadenze rigide, le tappe forzate proposte (o imposte) per un processo di questa pervasività, determinano oggettivamente una cesura. In questo modo decretano la scarsità di una ampia classe di materie prime, causandone un incremento di prezzo che rischia di diffondersi attraverso tutte le filiere economiche. Occorre riflettere su quanto questo modus operandi sia funzionale rispetto al raggiungimento di un obiettivo verso il quale tutte le forze politiche ovviamente tendono, salvo prova contraria: ma penso che sia difficile trovare un partito che abbia fatto campagna elettorale proponendo ai propri elettori un mondo più sporco, bollette più salate, e, agli elettori più raffinati, minore autonomia strategica! 

Il problema non è se, ma come arrivarci, e l’ottimismo della volontà, o peggio ancora quello della propaganda, può non essere il metodo corretto.

L’immediata abiura al fossile e a tutte le sue tentazioni, ad esempio, è realmente sostenibile? La concentrazione di energia che le fonti fossili assicurano, quella concentrazione da cui dipende in buona parte il benessere conseguito negli ultimi due secoli, come illustra con dovizia di dettagli Massimo Nicolazzi nel suo “Elogio del petrolio”, risulta ancora oggi difficilmente sostituibile in scenari critici come quelli bellici o quelli emergenziali (carrarmato elettrico o ruspa elettrica sono ancora di là da venire), e in ogni caso le fonti rinnovabili sono per lo più caratterizzate da intermittenza, un’intermittenza che a tendere potrà essere gestita senza il ricorso alle fonti fossili, ma che nel breve periodo verosimilmente richiederà ancora il loro impiego. Questo richiede un forte investimento in tecnologie, e ci apre a un contesto in cui il vero elemento strategico della transizione sono le reti e la loro intelligenza, cioè la loro capacità di gestire l’intermittenza. Simona Benedettini ci introdurrà questo tema, di fondamentale importanza.

Non mi dilungo oltre e ringraziando ancora tutti i presenti cedo la parola alla dottoressa Capozzi perché conduca con la sua garbata efficacia il seguito dei lavori.

(...è andato tutto molto bene e ripeteremo l'evento: grazie a tutti quelli di voi che hanno partecipato...)

lunedì 22 maggio 2023

Zooming out: la storia del Pil italiano

 (...un aggiornamento di questo post, per darvi un'idea degli ordini di grandezza...)

Dilettissimi fratelli e sorelle (versione più risalente e nobile del "tutti e tutte", da pronunciarsi rigorosamente tuttetùtte, à la Schlein, con Sforzando sulla seconda "u"...), torno a intrattenervi sulla nostra storia, il cui ruolo, in questo blog, è quello consueto di insegnarci lezioni che nessuno impara, nemmeno noi.

La storia del Pil italiano, ad esempio, è molto, molto istruttiva, e la sua lezione sarebbe anche facile da apprendere. Peccato che pochi la raccontino e ancor meno la ascoltino. Oggi mi recherò all'università di Salerno a raccontarla agli studenti di Preterossi, insieme a un protagonista di spicco di questo blog: Stefano Fassina. Metto qui due appunti che potrebbero servire.

Partiamo da un controllo di routine: a che punto è la notte? Siamo tornati almeno a dove eravamo prima della crisi finanziaria (subprime, Lehman, austerità,...)? La risposta è dentro l'ISTAT ed è "sbagliata":


No. Siamo ancora del 2,8% sotto al livello del 2007, il che significa che da oltre 15 anni siamo letteralmente al palo. Segue disegnino:


(i più attenti  noteranno che l'ordine di grandezza dei due grafici è diverso, semplicemente perché sono diversi i prezzi base: nell'ultima edizione dei Conti nazionali ISTAT sono quelli del 2015, nelle serie che userò per i grafici sono quelli del 2010. Ovviamente nulla cambia in termini di variazioni percentuali: anche la serie a prezzi 2010 nel 2022 è del 2,8% sotto al livello del 2007).

Chi non sa che cosa sia il Pil potrebbe anche trovare normale un andamento di questo tipo. Chi crede di saperlo, cioè i decrescisti e gretineria cantante, viceversa, potrebbe trovarlo auspicabile. Fatto sta che con un po' di prospettiva ci rendiamo conto del fatto che esso è alquanto anomale. Non basta, tuttavia, allargare lo zoom fino all'inizio dell'Unione monetaria:


Bisogna fare uno sforzo in più, tornare fino a "O partigiano, portami via!", per capire quanto ci è costato tradire lo spirito di indipendenza che aveva animato la Liberazione, quanto ci è costato mettere la nostra politica in mano ai nostri avversari di allora, per alimentare l'illusione che essi non siano i nostri avversari di oggi (se pure in forme meno cruente):


Tanto per essere chiari: siamo passati attraverso crisi energetiche con quadruplicazione del prezzo del petrolio:


(non le cazzatine che stanno facendo sclerare quelle pappemolli del millennials), attraverso autunni caldi (non Landini bolliti), attraverso shock finanziari con aumenti del tasso di interesse reale dell'ordine di svariati punti percentuali:


(tratto da un articolo che chi non ha letto dovrebbe leggere), attraverso gli anni di piombo, quando come è noto l'odio non c'era, o almeno certi senatori non lo vedevano dai loro appartamenti in centro, ma se eri vestito in un certo modo e passavi per la strada sbagliata non tornavi a casa, o ci tornavi molto malconcio (altro che la vernice "lavabile" sui monumenti, fregnoncini miei...), ne abbiamo passate di ogni e di più, andando sempre dritti come un fuso attorno a una tendenza lineare di circa 27 miliardi di euro in più all'anno. Siamo proprio sicuri che poi sia bastato un crack negli Stati Uniti (peraltro, non il maggiore che la storia registri) a determinare tutto questo casino?

Ovviamente non è plausibile: quello che ha inciso è la mancanza di un meccanismo di aggiustamento agli shock esterni (l'aggiustamento del cambio nominale) e la presenza di regole fortemente procicliche. Può venire (ed è giusto che venga) la curiosità di vedere dove saremmo ora se avessimo proseguito la nostra traiettoria, che non è stata perturbata da un grande shock, ma da una grande (e sbagliata) riforma della nostra modalità di reazione agli shock. Saremmo qui:


cioè saremmo su del 30% rispetto a dove siamo (a spanne, saremmo su di quasi 500 miliardi di euro).

Vi propongo un controesempio basato su uno scenario fatto tre anni fa e dichiaratamente paradossale: il calcolo degli anni che sarebbero occorsi per risalire la china del COVID se avessimo mantenuto la crescita registrata dall'inizio dell'Eurozona (escludendo dal computo, ovviamente, lo shock del COVID):


Lo avevamo fatto qui commentando il decreto "Rilancio", e se andate a rileggere troverete questa frase: "in realtà, penso che le cose andranno un po' meglio, ma solo se ci libereremo delle regole europee".

Il 10 maggio 2020, quando facevo questo esercizio, le regole erano sospese da 58 giorni. Un po' poco per vedere il benefico effetto della loro sospensione. Ora possiamo vederlo bene:


Invece che nel 2050, il ritorno al livello del 2007, usando le previsioni del DEF aggiornate con gli ultimi risultati dell'ISTAT, è previsto per il 2025. Buttare al cesso pseudoregole fondate unicamente sulla diffidenza verso il nostro Paese di un popolo di bancarottieri ci ha consentito di recuperare 25 anni di vita economica (ovviamente questa analisi spannometrica andrebbe validata con modelli più raffinati, e gli ordini di grandezza probabilmente cambierebbero: ma anche avessimo recuperato solo 10 anni, questo renderebbe più sensato perderli sulla base di verità sciamaniche?).

Aggiungo i soliti caveat: il grafico in unità naturali poco ci dice delle dimensioni percentuali dei diversi shock. Messo così, sembra che il COVID sia stato uno shock superiore alla Seconda guerra mondiale. Invece no, ma per apprezzarlo occorrono i logaritmi:


Si vede bene che la Seconda guerra mondiale è stata una schicchera più forte della psicopandemia, e la cosa non dovrebbe stupirci: il piombo ne ha fatti fuori più del virus.

Prevengo anche il solito gnegnegnè di quelli che Luciano chiama "gli espertologi", quelli che dicono "Ma la crescita si stava esaurendo fin dagli anni '60, l'Italia era un paese già malato, perché la cricca, la casta, la corruzione, le auto blu, le piccole imprese familiari, la tabaccaia scalabile e il camion di faldoni...". Come vi ho spiegato, il grafico spesso usato dai cialtroni del declino:


nulla ci dice del nostro Paese (anche perché si riferisce a un altro Paese, ma questo non cambia nulla, dato che in ogni Paese è stato così per via della convergenza neoclassica).

Un conto è la fisiologia economica della crescita, che tende allo stato stazionario, un conto la patologia psichiatrica della decrescita, un conto la cialtroneria politica delle regole.

Ma ora devo lasciarvi: fra un po' sono di scena, e devo raccogliere le idee...

sabato 20 maggio 2023

Tremate, tremate, le streghe son tornate!

...ma non possiamo bruciarle: produrremmo CO2.

"Quindi è cambiato tutto!", esclamerà il lettore ingenuo.

"No, quindi non è cambiato niente...", concluderà con amarezza il lettore smaliziato.

Tenderei a sposare quest'ultima tesi: l'atmosfera di isteria collettiva che ci circonda è decisamente da caccia alle streghe. Eppure, pensandoci meglio, devo concludere che non è nemmeno così. Dai bei tempi del Malleus maleficarum qualcosa è cambiato, qualcosa di molto importante: abbiamo imparato a lavarci le mani.

"Grazie alla scienza!", dirà il lettore piddino.

No.

Nonostante la scienza.

Perché Semmelweis oggi sarebbe De Donno, e Virchow un Burioni qualsiasi.

Quindi sostanzialmente nulla cambia, eppure, miracolosamente, impercettibilmente, episodicamente qualcosa cambia, spesso in meglio (posto che lo scopo del gioco sia vivere più a lungo). Su questo fragile e precario equilibrio si fondano le granitiche certezze degli uni e degli altri, ignari del fatto che potrebbe andar peggio.

"Ma come?" dirà il lettore boomer: "Se piove già!"

Beh, il peggio non è mai morto...


(...avete fatto caso? Quelli che "la scienza non è democratica" sono anche quelli che "devi stare zitto, questo è necessariamente vero perché lo dice il 99% degli scienziati!" Quindi la scienza non è democratica, ma decide a maggioranza, motivo per cui Galilei o Semmelweis e tanti altri hanno avuto torto, ai tempi loro. La reductio ad Hitlerum a loro non poteva applicarsi, ma solo per mancanza di materia prima. Del resto, se Copernico per esprimersi ha aspettato di essere sul letto di morte, evidentemente aveva capito quello che molti di voi non vogliono capire...)

giovedì 18 maggio 2023

Ancora sull'aritmetica del debito pubblico

Gigi ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "La Marattineide, ovvero il glitch. Dramma tragicomico in un atto impuro.":

Ma quindi per ridurre il rapporto debito/PIL dobbiamo continuare a fare saldi primari negativi?

Pubblicato da Gigi su Goofynomics il giorno 16 mag 2023, 13:20


Mi rendo conto che orientarsi nel tanto materiale presentato da questo blog è piuttosto complicato. Il tagcloud in fondo alla pagina (su PC, non su mobile) può aiutare fino a un certo punto, le pagine introduttive vanno riscritte perché non ci ho più messo mano da anni, ecc. Comunque, la formula che governa l'andamento del rapporto debito/Pil l'abbiamo illustrata qui ed è questa:


dove d è il rapporto debito/Pil, r il tasso di interesse reale ex post sui titoli del debito pubblico (costruito come rapporto fra la spesa per interessi al tempo t diviso per lo stock di debito al tempo t-1 cui viene sottratto il tasso di variazione del deflatore del Pil), e a è l'avanzo primario (il saldo primario di bilancio, che se positivo è un avanzo e se negativo un disavanzo).

Prima osservazione: visto che a (come avanzo) entra nella formula col segno meno, a parità di altre condizioni un avanzo primario farà diminuire la variazione del rapporto debito/Pil, portandola verso il territorio negativo. Un fatto conforme al senso comune.

Seconda osservazione: un saldo primario positivo non è una condizione necessaria né sufficiente perché la variazione del debito pubblico sia negativa. Non è necessaria perché la variazione del debito pubblico può essere negativa anche se il saldo primario è negativo. Non è sufficiente perché non basta che il saldo primario sia positivo per avere una variazione del debito pubblico negativa.

Per attenerci agli ordini di grandezza correnti, quelli che risultano dal DEF (che trovate al posto suo, cioè qui), e senza particolare pretesa di precisione, considerando come tempo t il 2023 (e quindi come tempo t-1 il 2022), il tasso di interesse nominale nel 2023 è pari al 2.71% (risulta dal flusso di spesa per interessi nel 2023, pari a 74.67 miliardi, diviso per lo stock di debito a fine 2022, pari a 2756.9). Sottraendo il tasso di variazione del deflatore del Pil, pari a 4.8, otteniamo un tasso di interesse reale del -2.1%. Con un tasso di crescita reale dello 0.9%, il coefficiente r-n quindi è uguale a -0.03 (il 3%). Il prodotto fra il rapporto debito/Pil in t-1 e questo coefficiente è pari a -4.32% (0.0432). Su questa base puramente algebrica è quindi perfettamente possibile che il debito diminuisca anche con un deficit primario attorno al 4%.

Naturalmente il limite di questo approccio puramente contabile è che non tiene conto delle relazioni intercorrenti fra le variabili in gioco. Un altro limite di questo esercizio astratto è che il costo del debito viene stimato in modo approssimativo: il MEF ha modelli di microsimulazione che tracciano l'andamento di ogni titolo emesso. Però, se il senso della domanda era: "è necessario fare deficit per far calare il rapporto debito/Pil?", la risposta è no. Se invece il senso era: "dobbiamo fare surplus per far calare il rapporto debitp/Pil?", la risposta è ancora no. Ci aiuta l'inflazione, e ci aiuterebbe la crescita reale, come più e più volte illustrato.

(... per favore rifate voi i conti perché questo è stato un post interruptus: prima son dovuto andare in XIV per votare un parere, poi al pranzo di compleanno der Palla, poi al Mef dal mio ministro, poi in VI per votare il testo base della delega fiscale: facile che mi sia perso per strada. Ma insomma: qualsiasi cosa chiediate, la risposta è no!...)


#sevedeva

 


Solo un piccolo promemoria che non è nemmeno un QED, ma un #sevedeva, con un affettuoso saluto a chi si barcamena in appassionanti (per lui) equilibrismi dialettici sul capzioso discrimine fra mitigazione e adattamento, e un avvertimento ai ggiovani, come il simpatico Leone da Maccarese incontrato ieri dalla Merlino (quello che si preoccupa degli altri perché ha intuito che è un buon modo per promuovere se stesso: buca il video e Elly - se dura - se lo prenderà): chi vi racconta che il normale è eccezionale lo fa per indurvi a considerare normale l’eccezionale. So che non la capite, cari ggiovani, ma non ci sono free lunch: la ggioventù ha tanti vantaggi, qualche svantaggio dovrà pure averlo, e uno è quello di capire le cose dopo. Posto che sia uno svantaggio, beninteso: molti di quelli che sono arrivati qui mi hanno poi detto di essere stati meglio prima, quando vivevano in beata inconsapevolezza.


mercoledì 17 maggio 2023

La Francia, i consumi, e micuggino...

(...pei malati c'è la china...)

(...aggiungiamo anche questi alla sterminata lista dei temi dove siete venuti qui a cascettare, salvo poi vederveli sbattuti in faccia dalla stampa autorevole - e dire: "avevi ragione tu!" mai, eh, non sia mai ne venisse leso l'onore di chi, da dilettante, si prende il rischio di confrontarsi con un professionista...)

Hocpoc ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Tirare la cinghia":

https://www.insee.fr/fr/statistiques/fichier/6795076/27_IR_Biens.xlsx

Credo che la fonte dei dati di quel grafico possa essere questa.

Pubblicato da Hocpoc su Goofynomics il giorno 10 mag 2023, 23:05

Confermo, è questa:

ma forse, visto che qui siamo dei professionisti, potremmo anche rappresentarla così:


Valerio Santoro ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Tirare la cinghia":

1. Secondo Numbeo, il salario medio netto mensile in Francia si avvicina ai 2.266€, le spese mensili per una persona sola arrivano 886,9*€ (3.151,8*€ per una famiglia di 4 persone). In Italia, il salario netto medio mensile tocca i 1.556€ , le spese mensili per una persona sola arrivano 803,8*€ (2.798,5*€ per una famiglia di 4 persone). Ora, le metodologia di Numbeo sono poco trasparenti e discutibili, ma fotografano una realtà dell'Italia come un paese in cui si spende 11% meno che in Francia ma dove si guadagna un salario del 43% più un basso. Possiamo discutere se l'11 sia davvero 11 oppure 10 o 12 e se il 43 sia davvero sopra o sotto 40, ma rimane l'ordine di grandezza, confermato a livelli ufficiali.

2. In Francia non protestano perché nongnafanno. Protestano contro un aumento dell'età pensionabile di un paio d'anni. Roba per cui, qui in Italia, non si sarebbe neanche bofonchiato. Dal 1980 sono passate 5 grandi riforme del sistema pensionistico italiano, che lo hanno profondamente modificato e ristrutturato. Rendendolo, tra parentesi, meno sostenibile, quando, a parole, l'intenzione era l'opposto. Le proteste francesi vedono i giovani in prima linea, mentre qui in Italia i giovani protestano contro le pensioni e - naturale evoluzione - contro qualsiasi forma di benessere diffuso.

3. Il governo ha dovuto evitare il passaggio in Assemblea Nazionale, perché i parlamentari avevano paura - e non dei mercati.

4. I sindacati francesi non sono meglio di quelli italiani. Ma in Francia le manifestazioni si fanno lo stesso. E la polizia non scherza.

Mia ipotesi: se sei più ricco hai più da perdere e quindi protesti di più (1) anche se l'ambiente non ti invoglia a farlo (4) ma c'è più consapevolezza diffusa (2). E se la controparte può subire un danno (3) ha più voglia di trattare.

*escluse spese per mutui o affitti

Pubblicato da Valerio Santoro su Goofynomics il giorno 15 mag 2023, 10:49


La colpa è mia.

Sotto ai miei post, come sotto alle pubblicità in cui certe automobili si esibiscono in performance spericolate, dovrei aver cura di scrivere: non provateci a casa! Sì, perché soprattutto dopo che ho avuto l'insigne onore di diventare vostro rappresentante (e quindi di entrare a far parte di quell'associazione a delinquere nota come #aaaaabolidiga), i sopravvenienti ignorano, e i preesistenti hanno dimenticato, che qui siete a casa di un professionista. Uno che ha il suo h-index, niente di stellare, ma superiore a quello di molti "egonomisti" che vi infliggono in TV, uno che, forse ve lo siete dimenticato, ha lavorato in Francia, quindi ha fatto la spesa nei loro supermercati, ha frequentato le loro case, in particolare le case di quelli di loro che stanno bene perché sono élite (universitaria).

Quindi non capisco tutta questa fregola di dimostrare a me, e per di più utilizzando una versione particolarmente squinternata di micuggino che è Numbeo, che "li francesi sò più ricchi de noi, guadambieno più dde noi", a me che i dati li conosco e li frequento per mestiere da quando voi vivevate sereni e spensierati, perché non avevate ancora capito che prima l'economia, e poi, molto dopo, la punturina, si sarebbero occupati di voi. Non la capisco, ma la colpa è mia: evidentemente come profeta dell'appostismo ho fallito: lo pratico, ma non riesco, col mio esempio, a indurre altri a farlo. Peggio per gli altri: io al posto mio ci sto tanto bene, gli altri verranno rimessi al posto loro dalla forza degli eventi, e intanto cerchiamo di capire che cosa sta succedendo e che cosa sto cercando di spiegarvi (chi l'ha capito può saltare la spiegazione).

Sto cercando di spiegarvi questo:


E non venite, cortesemente, a spiegare a me perché sono incazzati ora i francesi, ragionando sulla base dell'ultima prima pagina di Repubblica. I francesi si sono incazzati cinque anni fa per l'aumento delle imposte sul carburante e più in generale per protestare contro l'elevato costo della vita: un quadro molto più coerente con il rallentamento della curva dei consumi esattamente in quel periodo che con le farneticazioni di micuggino numbeo. Certo che ora non gli fa piacere che la loro età pensionabile cresca! Certo che i loro sindacati non sono gialli come i nostri! Ma questa è una goccia che cade in un vaso già traboccato, anche se apparentemente non ve ne siete accorti (ma anche qui la colpa è mia: ve lo avevo detto con sei anni di anticipo e ve ne siete dimenticati).

Le famiglie francesi consumano una percentuale del loro Pil inferiore e decrescente rispetto a quella degli italiani:


Se mi dite che il loro Pil è superiore al nostro e che questo divario è aumentato nel tempo:


con uno scarto che è passato dal 3,4% nel 2011 al 6,2% nel 2022 (niente di quanto dilettantescamente affermato dal buon Valerio e dal divertente Marco, peraltro), vi ringrazio (qui c'è stata l'austerità, lì no), anche perché rafforzate il mio punto: perché mai chi guadagna di più dovrebbe consumare di meno (i volumi li abbiamo visti in questo post: una percentuale minore di un volume maggiore può essere, ovviamente, un volume maggiore, ma come ricorderete il volume dei consumi francesi si sta avvicinando rapidamente a quello dei consumi italiani).

Si può discutere (cioè si potrebbe, se ci fosse qui un minimo di quella raffinatezza che per anni abbiamo profuso, raccogliendo in cambio numbeo) sul fatto che il Pil è una misura meno accurata della capacità di spesa delle famiglie del reddito disponibile. Eccovelo qui, a parità dei poteri d'acquisto:


L'austerità ha divaricato lo scarto, ma... non siamo il 43% sotto.

Dopo di che, siccome voi siete migliori economisti di me, non escludo che possiate raccontarmi che i francesi sono scesi in piazza nel 2018 perché le loro aspettative razionali gli indicavano che nel 2023 le loro pensioni sarebbero state riformate. Le mie me lo indicavano nel 2012, ma le loro, ve lo posso garantire, non glielo indicheranno nemmeno nel 2052!

Anche sull'idea che #aaaaabolidiga si spaventi de "er popolo" avrei molto da dire, ma credo di averlo già detto (anche questo).

Qui il punto è uno, e uno solo: quando giochiamo ad armi pari, cioè senza "le regole", facciamo meglio degli altri, e agli altri per sclerare basta molto meno che a noi, perché non è vero che stiano sideralmente meglio di noi.

Basterebbe saperlo.

Ma è chiaro che dei rappresentanti di un popolo che non vuole capire le proprie potenzialità, se vogliono essere veramente rappresentativi, devono essi stessi per primi ignorare queste potenzialità.

E siccome siamo in democrazia, mi arrendo!

(...buona notte!...)

domenica 14 maggio 2023

La Marattineide, ovvero il glitch. Dramma tragicomico in un atto impuro.



Premessa prima

"Oggi abbiamo deciso di dedicare questa puntata alla giornata dell'Europa, però in maniera diversa, non celebrativa...".

Ottima idea!

Peccato che io avessi ricevuto un input diverso: sarei dovuto intervenire per pochi minuti sul patto di stabilità, non mi erano stati annunciati interlocutori, della giornata dell'Europa non ne avevo proprio sentito parlare (ignoravo e ignoro che esista e continuerò a ignorarlo finché non sarà più necessario farlo), e avrei dovuto cominciare alle 18:30.

Intendiamoci: io non ho nulla contro gli interlocutori, esattamente come un ghepardo non ha nulla contro gli impala, un'orca non ha nulla contro le otarie, o Alberto Sordi non ha nulla contro i maccaroni. Loro mi provocano, e io me li magno. Fair enough. Che vita sarebbe senza un po' di divertimento?

D'altra parte, però, visto che entrando in una squadra ho abdicato alla libertà, che non posso fare esattamente come mi pare, e che ho accettato di entrare in un circuito controllato di rapporto coi media, allora però le cose devo saperle, devo averle sotto controllo anch'io, per il semplice motivo che cedendo "sovranità espressiva" ho ristretto i miei margini di azione, e lavorando dentro margini più stretti forse ho bisogno di una completa informazione per capire come recuperare impatto.

Detto in un altro modo: non ho nulla contro gli interlocutori, ma ho molto contro le cose fatte a cazzo.

In una vita con incastri serratissimi come la mia, immaginate la mia gioia quando alle 18:22 è arrivata la telefonata dal numero anonimo mentre avevo sotto non so più se Matteo o Edoardo. Ovviamente li tronco, mi richiamano, li ritronco, ecc., fino a che non mi spiccio e li richiamo io su Wapp, e si parte (in anticipo rispetto alle 18:30).

Tutta la parte introduttiva (l'esposizione delle nuove regole europee, l'intervento di Marattin, ecc.), recuperabile dal podcast per chi ci tenga proprio tanto, me l'ero quindi persa. Come unico appiglio per orientarmi in una trasmissione diversa da quella cui mi ero aspettato di partecipare (una trasmissione sostanzialmente co-condotta da Marattin) avevo quanto ero stato in grado di captare: il riassunto fatto dal conduttore di una parte di quanto detto da Marattin.

Inutile dire che hanno cominciato a ruotarmi vorticosamente gli ellissoidi, come si capisce bene dal mio esordio, ma tranquilli: ho già dimenticato tutto...

(...forse...)

Premessa seconda

Forse sarebbe anche il caso, prima di entrare nel vivo, di richiamare alla vostra attenzione i dati. Voi li conoscete, ma insistere male non fa:


dove i dati Eurostat sono tratti dal MIP Scoreboard, e la quelli Imf dal World Economic Outlook Database. Teneteli da parte, vi torneranno utili. Ah, ne vedete uno solo perché i dati Imf ricoprono esattamente quelli Eurostat. C'è una sola verità statistica sull'andamento del rapporto debito/Pil in Italia. Poi ci sono infinite balle: ci siamo già occupati di quelle della De Romanis, oggi ci occupiamo di quelle di Marattin.

Canto primo

Avanza Alberto, il massacratore, amato da Zeus, e al conduttor volgendo le parole: "Sono lieto di partecipare a questo dibattito fresco e assolutamente inedito sulle regole fiscali... Noi stiamo prestando molta attenzione alla piega che il discorso prende, al di là dei dettagli "inseriamo o non inseriamo questa posta di bilancio", perché di fatto in Italia il debito è sceso rapidamente quando le regole sono state sospese, questo è poi il succo della questione, e dal 1995 al 2007 il debito è sceso a più di un punto l'anno, quasi due punti l'anno, in un momento in cui le regole c'erano ma non erano state applicate con tutta questa rigidità".

(...nei tre anni di sospensione delle regole per cui siano disponibili dati, cioè dal 2020 al 2022, il rapporto debito/Pil italiano è sceso di 10,5 punti, da 154,9 a 144,4. Negli anni dal 1995 al 2007 il debito è sceso di 15,5 punti, a una media di 1,2 punti l'anno, da 119,4 a 103,9...)

Risponde Marattin: "Ma non è vero! Guardi il primo Governo Prodi, dal 1996 al... e seguenti... al 2000! Il debito arrivò dal 120, dal 125, al 100% del Pil, poi ricominciò a crescere..."

(...il primo tragico Fantozzi durò dal 1996 al 1998. In quegli anni il debito scese di 5 punti, ovvero di 1,6 punti all'anno, poi continuò a scendere...)

Canto secondo (il glitch)

Conduttore imbarazzato: "Io ho qui la curva, Marattin, e devo dire che non è così. Però, ehm...".

Marattin smarrito: "Il debito, il debito quando risale?".

Alberto chirurgico: "Il debito risale dal 2008".

Conduttore tombale: "Esatto".

Brevi considerazioni

Il resto ce lo risparmiamo, come l'assurda tesi che l'unica spesa buona è quella morta, cioè che siccome non si può dire che tutte le spese per investimenti siano migliori di quelle correnti, allora (?) non facciamo spese correnti, ma nemmeno spese per investimenti. Teorie simili hanno l'eleganza, ma anche l'importanza, di chi le pronuncia: voi, elettori, ispirati da Atena, avete avuto il buon senso di collocare tanta scienza nella pattumiera della Storia, e lì la lasciamo.

Non dedicheremo altro tempo agli atti impuri mentali del giovane collega, perché non è su simili scipitaggini che volevo intrattenervi, ma sulla vera novità, sul vero glitch della Matrix: per una volta un giornalista, anziché mentire spudoratamente e vergognosamente sui dati, come qui abbiamo visto fare in innumerevoli occasioni, ha citato dei dati corretti; anziché conculcare con atteggiamento squadristico chi cercava di ricondurre il dibattito nell'ambito della verità storica, è intervenuto ad adjuvandum.

Non so se voi abbiate altri esempi da produrre, ma sinceramente in questo blog che non esiste, e che è il Dibattito, non se ne ricordano (salvo vostra prova del contrario), il che promuove tante domande.

Perché lo ha fatto? Come gli è venuto in mente di farlo? E poi: li aveva veramente, quei dati, a disposizione, o ha semplicemente applicato a Marattin la tecnica discriminatoria che per tanti anni è stata applicata invece a noi, quella di citare dei dati che non si conoscono e di cui non si dispone per dare torto a uno degli interlocutori? Ma soprattutto, direte voi: e che ce ne importa?

Eh, no, un pochino ci importa!

Non è del tutto indifferente, ai fini tattici e strategici, appurare se l'emersione casuale, inaspettata (un glitch) di un dato vero sia frutto di scrupolo professionale o di opportunismo politico. Non ho motivi per credere che si tratti del secondo caso, e non so però nemmeno se preferire il primo, che pure mi sembra più plausibile dati gli accenti di costernata veridicità del conduttore (che forse avrebbe preferito non dare torto a un suo ospite, o che questo non si fosse messo in condizioni di farsi dare torto, ma poi si è ricordato di lavorare per il servizio pubblico regolandosi di conseguenza).

Ve lo dico con grande franchezza: forse preferirei il secondo. Preferirei cioè che gli operatori informativi, visto che il vento sta cambiando, smettessero di parteggiare senza se e senza ma per la parte soccombente, magari a patto di sostenere acriticamente la nuova parte prevalente (che, se incarnata da chi vi scrive, dati fasulli non ne cita: e quindi sostenendola non si fa brutta figura). Preferirei questo, per il semplice motivo che mentre io, che sono un professionista e ho studiato scientificamente il tema del debito pubblico, a differenza di certi economisti specializzati in altro, i numeri li ho ben chiari, e quindi mettermi in difficoltà è compito arduo (lo è in generale: mi dicono che ci abbia provato Lilli Gruber, ma non me ne sono nemmeno accorto. A proposito, la sua trasmissione c'è ancora!?), magari non tutti i miei colleghi, provenendo da altre esperienze, sarebbero in grado di fronteggiare la spavalda tracotanza di certi sinistri parolai. E in circostanze simili ricevere noi il sostegno che vediamo prestare da anni ai suddetti sinistri ciarlatani verosimilmente contribuirebbe a ristabilire un level playing field.

Ma insomma, sia quello che sia, sia un cambiamento di vento (mi piacerebbe poterlo credere), che ci conduca a un mondo in cui il conduttore non sia un avversario politico implicito che sostiene gli avversari politici espliciti da lui invitati, o sia una felice eccezione in un mondo che ha profonde responsabilità nel degrado della nostra democrazia, in ogni caso è stato un momento godibilissimo, ed è per questo che tenevo a condividerlo con voi.

Altra domanda, se vogliamo complementare e duale a quella che ci siamo posti sopra è: ma è veramente possibile che un economista che per di più fa il politico (e lo fa con un'attenzione feticistica al debito pubblico, con un'accanimento monomaniaco, con una psicotica reductio ad unum della complessità dei parametri e delle variabili che possono e dovrebbero essere usati per valutare lo stato di salute di un sistema economico), è veramente possibile che un economista per cui l’economia è il debito pubblico sappia meno di un terzo della metà di un cazzo di nulla di quello che è successo al debito pubblico del suo Paese? Detto in altri termini: lo stimato e autorevole collega credeva veramente alle abominevoli fregnacce lievi imprecisioni che stava profferendo sull'andamento del rapporto debito/Pil in Italia (per non parlare della sua conoscenza alquanto approssimativa della storia dei nostri ultimi illuminati governi)? E poi, anche qui: che ce ne frega?

Dunque.

Come sapete, ho sempre (cioè sempre) sostenuto che la buona o cattiva fede di certi figuri, da Prodi in giù, non fosse tema di dibattito, per almeno due ordini di motivi: perché gli elementi soggettivi non possono essere accertati (non è possibile leggere il pensiero altrui né lasciarne traccia), e perché se uno fa del male a me o al mio Paese il mio ultimo pensiero sono le sue motivazioni: il primo è neutralizzarlo. Ed è qui, però, che sapere se quella di Marattin e di tanti altri come lui è malizia o ignoranza aiuterebbe. Perché se fosse malizia, allora il modo più efficace di rimediare sarebbe cauterizzare, come ho cauterizzato. Ma vi assicuro che più vado avanti più mi rendo conto che questi le cose semplicemente non le sanno: sono solo degli analfabeti funzionali dell'economia e della politica, incapaci di trarre un significato dai segni che pure in teoria sanno leggere, e totalmente digiuni delle più elementari nozioni su circostanze di fatto determinanti per la tenuta del loro ragionamento. E anche qui, attenzione: non è necessariamente colpa loro! Anche volendo confinare l’analisi ai colleghi con esperienza accademica, vi ricordo che l’industria della ricerca economica, in perenne ansia di prestazione verso il mondo delle scienze “dure” (di comprendonio), valorizza come elemento cardine della valutazione della qualità individuale “er peiper teorico”: un esercizietto di matematica del XX secolo rigorosamente secluso dalla contaminazione dell’esperienza sensibile (il dato), in un afflato neoplatonico il cui unico esito è l’ampliamento a dismisura della divaricazione fra “scienza” e realtà. Chi è qui sa di cosa parliamo: ricorderete che terminata la solfa del “non hai il peiper con pirreviù” (che scrissi), iniziò la litania del “Bagnai non ha il modello teorico” (che altresì scrissi). Poi entrai in Parlamento dando plastica evidenza del fatto di giocare in un campionato diverso da quello di certi perdenti.

E allora, se le cose stanno così, cioè se la loro non è cattiveria ma ignoranza (dei dati statistici, di rudimenti minimi di epistemologia, di chi hanno davanti…), essi sono al tempo stesso più pericolosi (per fortuna, anche per se stessi) ma anche più fragili: perché a questo punto per neutralizzarli è inutile, e anzi sconsigliabile, essere aggressivi. Basta, con pia sollecitudine, con umana compassione, far leggere loro il dato vero. O meglio (e qui si torna al punto di prima): basterebbe, se ci si trovasse in contesti dialettici equilibrati, in cui l'arbitro non giocasse sistematicamente in campo avversario.

Ma insomma, torno sul punto: godiamoci l'attimo, e quanto a voi non perdete tempo: il click day è attivo e i posti non sono molti...