giovedì 31 maggio 2012

Persona dalla limitata capacità di comprensione (Devoto-Oli)


Quando uno interviene come mi è capitato a Frosinone lo fa cercando e sperando di farsi capire. Certo, questo richiede uno sforzo, che diventa immane se l'interlocutore è un piddino istruito, cioè una persona che sa di sapere, soprattutto quando fra le cose che l'amico sa di sapere ricade un po' di matematica, ma non l'economia.

Guardate ad esempio cosa dice questa "persona dalla limitata capacità di comprensione" commentando il video del mio intervento:


Interviene eurizon:
Ma chi è costui? Da dove deriva le sicurezze che millanta? Non conosce nemmeno la matematica...Parla di svalutazione del peso argentino del 200%..!!! Ma non si può svalutare più del 99,99%...altrimenti si va a zero...e figurarsi perdere il 200%... si andrebbe sotto zero del 100%...(usando il linguaggio ridicolo dello pseudo-economista..). Mamma mia !!


Risponde ecodellarete:
Bagnai ha parlato per un'ora a braccio, e qualche errore lo ha fatto. Da wikipedia (Crisi_economica_argentina) "Durante il 2002 inflazione e disoccupazione continuarono a peggiorare. Il vecchio tasso di cambio 1 a 1 era schizzato a quasi 4 pesos per dollaro". Questo significa che il dollaro si era rivalutato del 300%. Un errore, ma anche una pagliuzza.


Controbatte eurizon:
Il peso passò da 1 a 4 peso per dollaro ? Quindi il dollaro si rivalutò del 400%, non del 300. Ed il peso svalutò del 75%.Non si può scherzare coi numeri. Nemmeno quando si parla a braccio. Ed i prezzi in Argentina non erano 4 volte superiori a quelli Usa. Ed infatti la storia dei cambi insegna che non è solo l'inflazione maturata a determinare gli equilibri di cambio. Bensì anche l'inflazione attesa, i differenziali di tasso e i disavanzi di partite correnti. E la credibilità. E vale per tutti.


Replica nuovamente ecodellarete:
@eurizon: Se una cosa raddoppia aumenta del 100%. Se triplica aumenta del 200%. Se quadruplica aumenta del 300%. Della serie "non si può scherzare coi numeri". Specialmente se, invece di parlare a braccio, si scrive e si ha la possibilità di riflettere.



Uno scontro fra titani, viene da dire!

Ci eravamo già imbattuti in persone dalla limitata capacità di comprensione che identificano un raddoppio con un aumento del 200%, ve ne ricordate? Si trattava di astrofili (credo: diciamo che sulle prime due sillabe ho una certezza, su come la parola finisca in effetti avrei le mie opinioni). Esordire attaccando in campo matematico uno che ne sa più di te e cominciare con uno svarione simile è veramente esilarante. La logica corretta è quella che spiega Ecodellarete nella sua ultima replica. Se passo da 1 a 2 l’incremento percentuale è di (2-1)/1=1=100%. Impeccabile Eco. Quindi già da questo si capisce che eurizon è una persona dalla limitata capacità di comprensione.

Ora però entriamo nel campo delle cose che anche Eco apparentemente ignora, nonostante io le abbia spiegate per filo e per segno, e nonostante Eco non sia una persona dalla limitata capacità di comprensione (e io a Eco voglio bene, soprattutto se alla fine farà quello che gli chiederò di fare).

Il primo punto riguarda la nozione di svalutazione. La persona dalla limitata capacità di comprensione che crede di sapere l’economia (perché sproloquia sul fatto che il cambio dipende anche da “l'inflazione attesa, i differenziali di tasso e i disavanzi di partite correnti. E la credibilità”), ignora un dato fondamentale, ovvero che i tassi di cambio possono essere quotati in due modi: incerto per certo e certo per incerto. Lo ho spiegato in questo post. Se definisco il cambio peso/dollaro indicando quanti pesos occorrono per un dollaro sto usando la quotazione incerto per certo, ovvero quella espressa come quantità (incerta, perché potenzialmente variabile se il cambio non è rigidamente fisso) di valuta nazionale necessaria per acquistare una unità (certa per definizione) di valuta estera. Ma questo la persona dalla limitata capacità di comprensione lo ignora, e ci sono ben precisi motivi per questo fatto. In tutta probabilità, questa persona dalla limitata capacità di comprensione è un giovinastro dotato di laurea del nuovo ordinamento vissuto nel mondo dell’euro e con scarsa o nulla esperienza di ricerca empirica in economia.

Perché dico questo?

Perché la quotazione incerto per certo era quella largamente prevalente ovunque (praticamente tranne che in Gran Bretagna) fino all’avvento dell’euro. La lira, ad esempio, era quotata incerto per certo: quante lire per un dollaro? L’euro è quotato al contrario, certo per incerto: con un euro (certo) quanti dollari compri (incerti, cambiano ogni giorno)?

Qual è la differenza? Direi che è una differenza antropologica. Se il cambio è quotato incerto per certo succede che quando il cambio “cresce”, “si alza”, la divisa si sta svalutando. Pensateci: se per un dollaro occorrono 1100 lire, e il giorno dopo ne occorrono 1150, le lire valgono di meno, perché ne occorrono di più per lo stesso dollaro. Sapete che alla svalutazione le persone dalla limitata capacità di comprensione attribuiscono un valore morale negativo. Le stesse persone, che generalmente sono maschietti, attribuiscono viceversa all’erezione, al fatto che qualcosa si alzi, un valore positivo. Quindi a loro sta più simpatica la quotazione certo per incerto, quella nella quale il numero che esprime il tasso di cambio è la quantità di valuta estera che acquisti con una unità di valuta nazionale, perché in questo caso all’innalzamento del cambio (valore antropologico, o meglio andrologico, positivo) corrisponde una rivalutazione (valore morale positivo). Esempio: se l’euro passa da 1.27 a 1.32 sul dollaro vuol dire che con lo stesso euro compri cinque centesimi di dollaro in più: l’euro vale di più, si è rivalutato, e il cambio si è innalzato (o eretto).

Questa quotazione ha quindi il vantaggio di allineare i discutibili valori di persone dalla limitata capacità di comprensione, ma non ha molti altri vantaggi. Ad esempio, se vuoi studiare le relazioni fra inflazione e svalutazione conviene usare la quotazione incerto per certo. Perché? (ne ho parlato qui).

Perché quindi dico che il povero eurizon è un giovinastro da laurea triennale? Ma perché in tutta evidenza è uno che ha cominciato a lavorare (se lavora, cosa che mi preoccuperebbe un po’) da quando il cambio è quotato certo per incerto. Per questo motivo ignora che una svalutazione del 200% è perfettamente possibile, quando il cambio sia quotato incerto per certo. Significa, semplicemente, che il numero di pesos necessario per acquistare un dollaro triplica. E questo è quello che è successo. Vi faccio vedere la schermata delle International Financial Statistics:



dove è chiaro che in media d’anno il cambio è passato da 1 peso a 3.06 pesos per dollaro. Se volete prendere il valore al 31/12, anziché la media annua, il cambio passa da 1 peso a 3.32 pesos per dollaro. Quindi la svalutazione (aumento del cambio, cosa che la persona dalla limitata capacità di comprensione ignora per motivi anagrafici) è stata pari a (3.06-1)/1=2.06=206%. Ecco da dove derivo le sicurezze che ostento (millantare significa un’altra cosa, o persona dalla limitata capacità di comprensione!): le derivo dalla conoscenza approfondita e dalla assidua frequentazione quotidiana con queste statistiche, essendo io docente e ricercatore in economia della globalizzazione in un paio di università europee (quella Europa che tu, in quanto persona dalla limitata capacità di comprensione, sicuramente identifichi con l’euro, da cui il tuo tono scioccamente polemico).

Ecodellarete la matematica la sa, ma si documenta su Wikipedia. Ahi noi!

Dunque, andiamo per ordine.

Perché utilizzo il valore medio annuo come riferimento? Semplice: perché stavo esplicitamente parlando di dati annuali, e perché il tasso di cambio ha una volatilità estrema in certe circostanze, per cui il valore di un singolo giorno (ad es., il 31/12) può anche non aver particolare significato: basta poco per farlo schizzare in alto o in basso, ma a me interessa parlare delle relazioni fra fondamentali, quindi questa volatilità, che giustamente interessa ai trader (perché ci possono guadagnare) a me interessa di meno (proprio perché i trader, guadagnandoci, concorrono a livellarla: se il peso si svaluta troppo loro lo comprano e quindi ne riportano su il prezzo, sicché per avere una visione un minimo organica di quello che è successo in questo caso convengono i dati a bassa frequenza).

Bene.

Io, che questo accade, e che possa accadere ad esempio anche alla lira, l’ho detto e ripetuto diverse volte, quindi ad esempio anche nella conferenza (se la ascoltate: ma mi sembra che tutti l'abbiano guardata e pochi ascoltata: mi fa piacere, vuol dire che sono bello, ma aspirerei anche a essere reputato interessante) e anche qui. Non capisco quindi come Ecodellarete possa permettersi di parlare di pagliuzza (fatto salvo un suo recondito desiderio di interrompere qualsiasi rapporto con me), visto che in quanto ho detto non vi sono né pagliuzze né travi: i dati annuali (cui esplicitamente mi riferivo) sono quelli che dico io e sono riportati qua sopra.

Se vogliamo guardare ai dati mensili è ovvio che la relazione sarà diversa, perché ci sarà più volatilità. Ecco qua:



Si vede bene che a fine giugno, ad esempio, il cambio era finito a 3.75 (qualcosa di simile a quello che dice Wikipedia). Magari con i dati giornalieri vedremmo che in un certo giorno è arrivato a 5 (quello che per la persona dalla limitata capacità di comprensione sarebbe un aumento del 500%!). Ma che ce ne frega di quello che è successo in un certo giorno se stiamo analizzando scenari di medio periodo, soprattutto laddove le variabili che consideriamo sono intrinsecamente volatili, ma la loro volatilità impatta poco sui fondamentali (tipo inflazione, come abbiamo visto qui)?


Quindi, Eco, io ti voglio bene, ma non vengo a spiegarti la legge di Ohm, e tu applica la reciprocità, perché altrimenti succede questo.

Ma andiamo avanti.


La persona dalla limitata capacità di comprensione ne dice un’altra che è fantastica. Nel criticare l’ipotesi da me avanzata (con ottimo supporto) che i cambi nominali, lasciati liberi di fluttuare, tendano ad obbedire alla parità relativa dei poteri d’acquisto, l’amico dice: “Ed i prezzi in Argentina non erano 4 volte superiori a quelli Usa.Ecco: questo è un altro tipico caso di limitata capacità di comprensione piddina: la confusione fra livello dei prezzi, e tasso di crescita, cioè inflazione. Del livello dei prezzi ce ne frega poco, anche perché, come ho spiegato partitamente qui, i prezzi sono misurati come indici e quindi il loro livello dipende dalla scelta della base, che è convenzionale. Quello che la teoria della parità relativa dei poteri d’acquisto dice è che il cambio nominale, come ho spiegato nel link citato e come si vede ad esempio nel caso dell’Italia, sempre nel link citato, si muoverà in modo da compensare il differenziale di inflazione cumulato fra il paese “periferico” e il paese “centrale”. Tanto è forte questa regolarità che, come vi ho detto, gli studi del Fondo Monetario Internazionale  (ma qui eurizon ce lo siamo perso per strada), dimostrano che è a questo modello (e a quello di Balassa-Samuelson) che i previsori professionisti (categoria alla quale eurizon si illude di appartenere) si affidano per le loro previsioni. E fanno bene.

Tanto per capirci, e tornando al discorso fatto sul 1992, nel 1992 il riallineamento concordato all'interno dello SME (Sistema Monetario Europeo) non fu del 20%, ma inferiore (inizialmente del 7%, i dettagli stanno qui). Furono i mercati a portare il cambio a una svalutazione (aumento) del 20%, perché quello era il differenziale di inflazione cumulato rispetto al paese “centrale” (la Germania) dall’ultimo riallineamento. Quindi vedete che i mercati si comportano come dico io? Con i paroloni di eurizon come “differenziali di tasso” (forse voleva dire di interesse) e “credibilità” ci si puliscono le scarpe, o altro.

Ecco. Uno fa una fatica immane, aggiungendo al proprio lavoro la croce di scalfire la scorza della vostra ignoranza, della quale non siete colpevoli, perché è il frutto di trent’anni di deliberata disinformazione, e poi si ritrova di fronte degli interlocutori di questo tipo... E io dovrei scrivere un libro perché venga letto da uno simile?

Bene, caro Eco, per fare pace ti offro due possibilità:

1)      o rimuovi come spam il delirio di quel poveraccio;

2)      o gli spieghi con parole tue quello che ho detto.

Non dargli il link a questo blog, perché qui il suo fetore non vogliamo sentirlo. C’è sempre una terza possibilità: mi cancelli dalla rubrica.





Scusate, una nota metodologica: ma se invece di dire “persona dalla limitata capacità di comprensione” avessi detto direttamente “imbecille” (secondo il Devoto-Oli) non avremmo tutti risparmiato tempo? La percentuale non so darvela, per quelle ci vuole l’espertone, eurizon...

martedì 29 maggio 2012

Altre comunicazioni di servizio

Vasto

Giovedì 7 giugno sarò a Vasto per una conferenza sul tema Noi, l'euro e l'Europa, organizzata da SEL. All'incontro parteciperà il coordinatore provinciale di SEL, Alessandro Cianci (un fognatore, ma non posso dirglielo troppo perché è pure un amico: gli ho anche dedicato un post, e chi indovina quale vince il simbolo della Goofynomics). L'incontro si svolgerà alle 18:30 nella Sala Convegni ex Palazzi Scolastici, Corso Nuova Italia.

L'incontro fa parte di un ciclo del quale vi allego la locandina.

Napoli

Come sapete, lunedì 11 giugno sarò a Napoli per la presentazione dei libri di Riccardo Bellofiore e Vladimiro Giacchè (con Gennaro Zezza). Bellofiore mi ha scritto una lettera molto spiritosa nella quale mi indica due rettifiche rispetto al precedente annuncio: la prima è che l'incontro dovrebbe svolgersi non alle 16:00 ma alle 16:30 all'Istituto Orientale; la seconda è che in effetti per avere una visione organica del suo pensiero mi tocca leggere ben due libri, anziché uno.

Ora, devo dire che lo sapevo, ma il fatto è che faccio una vita talmente stressante che nel dare l'annuncio avevo tirato un po' dritto, indicando solo il libro di cui mi ricordavo il titolo.

Quindi, ricapitolando: Vladimiro presenterà Titanic Europa, Riccardo La crisi globale, l'Europa, l'euro e la sinistra e La crisi capitalistica, la barbarie che avanza. Non mi ha detto in che ordine leggerli, ma suppongo di dover cominciare dal secondo: il capitalismo è in crisi dall'inizio (almeno, per i marZiani), mentre l'euro è arrivato dopo, a dare una mano.

Comunque, due sere fa ho finito i Miserabili, e stasera rockapasso mi porta il pacchettino, quindi arriverò preparato.





Mi scuso pubblicamente con Riccardo al quale non ho ancora risposto, ma mi ero perso la sua lettera nel diluvio di quelle che mi arrivano ogni giorno per darmi del genio o dell'imbecille (anzi, "piuttosto che" dell'imbecille, come dicono gli imbecilli: contento, Claudio?) solo perché ripeto pedissequamente le nozioni assolutamente banali esposte da alcuni premi Nobel su giornali sovversivi come il NYT o il WSJ. Povera Italia!

Se poi il signor G. ci manda una locandina, pubblichiamo pure quella!

L'euro e il nazionalismo

Gentile Prof, non la conosco se non da questo video che ho visto e che mi è stato saggiamente consigliato da una mia amica. Non capisco niente di economia, non l'ho mai studiata nè spero la studierò, però ho molto apprezzato il suo linguaggio chiaro, logico e ironico. E ho ridacchiato come un idiota leggendo qua e là il suo blog.

Bene, tutto questo per dirle che nel suo intervento video una cosa che mi ha fatto un po' dubitare è il suo riferimento al fatto che certe politiche economiche sono dettate dal (superficiale) nazionalismo. Mi sembra un po' poco. O no? (non è una domanda retorica, me lo chiedo davvero)

Senza voler fare per forza dietrologie, quali sono secondo lei altri fattori che portano a fare certe scelte economiche un po' allegre?


Carissimo,

ti ringrazio per l'apprezzamento e ti rispondo in modo più disteso, visto che tu sei vittima di un equivoco del quale molti sono caduti vittime. Premetto che se le vittime sono tante, la colpa sarà sicuramente anche mia. Ma credo non sia solo mia.

Allora: ti spiego la situazione.

Uno si sveglia alle sei di mattina, prende la macchina e se ne va a fare una bella prolusione nella quale esordisce specificando che l'euro è stato utilizzato come strumento di lotta di classe (cosa del resto puntualmente specificata fin dal primo intervento svolto su un quotidiano nazionale), dopo di che chiarisce partitamente, scandendo le parole, che nel processo di aggancio a uno standard nominale forte, processo che inizia dal 1979 con l'entrata nello SME, la quota dei salari reali si è andata progressivamente riducendo (come abbiamo spiegato qui), e che quindi, come detto miliardi di volte, e come riportato partitamente nel testo di Acocella che fa parte delle letture consigliate, i capitalisti dei paesi periferici avevano un ovvio incentivo a favorire politiche del "cambio forte" (perché se diminuisce la quota dei salari, aumenta quella dei profitti), dopo di che ricorda anche che, per bocca degli stessi attori di questo processo, anche i capitalisti dei paesi centrali avevano un ovvio incentivo a favorire queste politiche, dal momento che esse consentivano loro di trarre profitti dalla domanda estera (con un processo di crescita guidato dalle esportazioni), secondo quanto abbiamo visto in dettaglio ad esempio qui.

Nel fare questo chi parla specifica che ovviamente questa valutazione dei fatti, che è quella, lo ripeto, data dai testi di politica economica e dagli attori politici di questo processo, non ha nulla di complottista: semplicemente è l'esito dell'azione di agenti ottimizzanti (ognuno rispetto a propri obiettivi ben definiti: massimizzare il profitto, farsi rieleggere,...), non necessariamente coordinati fra loro (e infatti, come accade spesso, sta conducendo ad un macroscopico fallimento del mercato). Si tratta cioè di qualcosa di molto diverso dalle teorie che qualche imbecille diffonde, secondo cui un bel giorno tre persone si sono sedute intorno a un tavolo per decidere di fare il nostro male, mettendo in opera una volontà lucida, coerente e determinata. Al contrario, si tratta in fondo di un banale caso di privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite, di quelli che la politica economica studia in modo tanto asettico e cristallino. Che gli imprenditori periferici e centrali volessero privatizzare i profitti è chiaro, no? L'euro gliene ha fornito una opportunità. Ed è altrettanto chiaro che ora queste stesse classi sociali spingono perché le perdite vengano socializzate, cioè se le accolli lo Stato, che deve tagliare (cioè prendere soldi a noi per darli a loro).

Bene.

Di tutto questo cosa rimane a chi ascolta?

Che l'euro è il risultato di stupidità nazionalistica.

Ora, io questo lo ho detto e lo ripeto: il vero nazionalismo è quello che ha spinto i paesi periferici a entrare nell'euro, considerato come status symbol. Ma, attenzione: a cosa mi riferisco qui? Mi riferisco agli argomenti che le classi politiche hanno speso con i loro elettori, per parlare alla loro, alla nostra pancia. Che queste stesse classi politiche, mentre facevano ai loro elettori il discorsetto "noi non siamo peggio degli altri", sapessero che esistevano anche altri incentivi (quelli di cui ho parlato sopra) ed obbedissero ad essi è del tutto ovvio, perché ce lo confessano loro, come è del tutto ovvio che le classi politiche sono espressione delle classi sociali dominanti ("the dominant social force behind the authority", diceva Keynes), che ovviamente non siamo né io né te (nel caso fossi tu, fammelo sapere che ho un favore da chiederti).

Fatemi capire (affettuosamente): nella vostra testa quante idee posso far entrare (magari non contemporaneamente)?

Ditemi voi: una? due? tre? Voi datemi un numero, e poi io scelgo di cosa parlare. Perché se io vi do quattro idee che tutte concorrono a un quadro coerente, ma voi trattenete solo quella, come dire, forse meno rilevante (o comunque venite a spiegare - voi a me! - che potrebbero esserci altri incentivi, dopo che sono mesi e mesi che ve li illustro in tutti i possibili modi), be', allora ci rinuncio!

Perché mi premeva mettere in evidenza le pulsioni nazionalistiche che sono state titillate nel processo di entrata? Per un motivo molto semplice. Perché esiste un'altra vasta, vastissima categoria di imbecilli che sostiene che propugnare il ritorno a un minimo di razionalità economica, smantellando la demente insensatezza dell'euro, sia segno di pulsioni nazionalistiche. Questa è una ovvia scemenza, e va denunciata e ridicolizzata come tale. L'euro ha portato al nazionalismo, ai ritratti della Merkel coi baffetti e la svastica, a rivendicazioni che speravamo sopite da decenni. Chi desidera uscirne non lo fa per nazionalismo, ma per razionalità. E questo se lo devono cacciare in testa ad esempio i "compagni" dello Sbilifesto, con i quali il conto non è chiuso (ma non voglio allungare il discorso oggi).

Perdonatemi, ve lo dico sine ira et studio: che allargandosi il numero di lettori qualche fraintendimento ci potesse essere me lo aspettavo e sono pronto, come vedi, a gestirlo pacatamente (si fa per dire). Ti ringrazio veramente molto di avermelo segnalato in modo così puntuale, così, laddove necessario, posso intervenire a correggerlo.

Certo: se l'unità di misura della percezione politica di chi legge è lo slogan, allora non ce la faremo mai a uscire da questa situazione. Perché ci sia uno sbocco politico occorre che la gente sia in grado da un lato di fare (e io ci sto provando) e dall'altro di seguire (e voi ci state provando?) ragionamenti un minimo articolati.

Altrimenti potete tenervi quelli che "per un'area grande ci vuole una moneta grande", o quelli che "meno male che c'è l'euro se no staremmo come in Argentina". Che ne dici? Vale la pena di fare uno sforzo? Ti ringrazio ancora di avermi dato questa preziosa opportunità di chiarire il mio pensiero, che lo ripeto, non è mio: è quello dei libri di testo e di tanti altri illustri colleghi.

Ma non avevamo risolto tutto?

Scusate, alcuni di voi sono traders e hanno davanti agli occhi Bloomberg, altri sono dealers e magari hanno la Reuters, io sono solo un poveraccio che sta stendendo i panni in terrazza, e ho però SFA (Santarelli Financial Advisors), la società fondata dal prof. Santarelli (professore emerito di Goofynomics, PhD in andrologia finanziaria ai Bagni Luigi 93 di Cattolica) che via sms mi informa:

"Hai visto come la folla ha apprezzato la foga di SuperMario?"

E io:

"No. A quanto stiamo?"

E lui:

"447"

Ragazzaccio... Non possiamo lasciarlo solo un attimo, e lui subito si scatena!

Del resto, ho aperto questo blog proprio per spiegare che i suoi salvataggi non ci avrebbero salvato (ed è solo perché lavoce.info legittimamente non volle pubblicare quel post che aprii il blog), e anche per spiegare che lui (e l'altro Mario) avrebbero necessariamente dato, come molti miei studenti, la risposta giusta alla domanda sbagliata.

Ora sta succedendo, dal che traiamo tre conclusioni: la prima, che se l'ho previsto io non c'era proprio bisogno di un genio per prevederlo (fidatevi); la seconda, che faccio un lavoro veramente triste, dove le uniche soddisfazioni sono quelle di veder realizzate previsioni catastrofiche; la terza, che non tutti i lavori non pubblicati sono cattivi, e quindi non tutti quelli pubblicati sono buoni...



Dedico ai troll liberisti di passaggio la frase che, a me sedicenne, rivolse un settantenne fiumarolo tanti e tanti anni fa: "Beato te che nun capisci un cazzo!" Lo colsi come un costruttivo invito ad aprirmi al dialogo.

lunedì 28 maggio 2012

Frosinone

Dilettissimi fratelli e sorelle, questo è il video del mio intervento a Frosinone. Un grande ringraziamento a Ecodellarete. E ora mi faccio una bella corsa sotto la pioggia... Divertitevi!

venerdì 25 maggio 2012

Cartesio vs. Visco (e Monti)


Ricevo da un indignato Fabiuccio:

Al discorso di Monti su piazzapulita, forse vi siete persi questa chicca: "A tal proposito Monti ha lanciato un messaggio alla cancelliera Angela Merkel: "E' anche interesse tedesco, bisogna spiegare che la Germania è un grande beneficiario dell’integrazione europea, hanno un grande mercato europeo a disposizione nel quale i singoli paesi non possono più svalutare. Io non voglio neanche citare questi scenari, ma se per esempio l’Italia dovesse uscire dall’euro e riacquistare libertà sul proprio tasso di cambio e la lira si svalutasse, sarebbe un grosso problema per le esportazioni tedesche".

E ripeto: "ma se per esempio l’Italia dovesse uscire dall’euro e riacquistare libertà sul proprio tasso di cambio e la lira si svalutasse, sarebbe un grosso problema per le esportazioni tedesche".

Questo, unito al commento di Visco di qualche giorno fa sui conti truccati affinché l'Italia entrasse nell'Euro:

"Un’Italia fuori dall’euro, visto il nostro apparato industriale, poteva fare paura a molti, incluse Francia e Germania che temevano le nostre esportazioni prezzate in lire. Ma Berlino ha consapevolmente gestito la globalizzazione: le serviva un euro deprezzato, così oggi è in surplus nei confronti di tutti i paesi, tranne la Russia da cui compra l’energia. Era un disegno razionale, serviva l’Italia dentro la moneta unica proprio perché era debole. In cambio di questo vantaggio sull’export la Germania avrebbe dovuto pensare al bene della zona euro nel suo complesso."

Quindi, ricapitolando: tutti gli scienziati che ci governano sono ben consapevoli del fatto che abbiamo volutamente (addirittura truccando i conti magari) commesso un suicidio, ma nessuno si chiede per quale ragione. A me sta sembrando una situazione Pirandelliana, a volte ci penso e non capisco se tutto ciò sia uno scherzo di cattivo gusto.

Poi ho notato una cosa ultimamente,andando al Bar: le chiacchiera da BAR si sono trasformate dalla lotta Berlusconiani vs Anti-Berlusconiani alla lotta €fili-Anti-€fili. Non riusciamo proprio per una volta ad utilizzare il buonsenso per capire cosa sia giusto e cosa non lo sia?


Caro Fabiuccio,

mi consenta (come diceva lui) di tornare back to basics: sai, io sono europeo, è una malattia dalla quale non si guarisce, ma che per fortuna non si attacca. Cosa ci insegna l'Europa sul buon senso?

Le bon sens est la chose du monde la mieux partagée, car chacun pense en être si bien pourvu que ceux même qui sont le plus difficiles à contenter en toute autre chose n’ont point coutume d’en désirer plus qu’ils en ont. En quoi il n’est pas vraisemblable que tous se trompent : mais plutôt cela témoigne que la puissance de bien juger, et distinguer le vrai d’avec le faux, qui est proprement ce qu’on nomme le bon sens, ou la raison, est naturellement égale en tous les hommes ; et ainsi que la diversité de nos opinions ne vient pas de ce que les uns sont plus raisonnables que les autres, mais seulement de ce que nous conduisons nos pensées par diverses voies, et ne considérons pas les mêmes choses.
 
 
(non vi dico chi è per non offendervi, siete europei anche voi...).

Conclusione?

Semplice.

Io non penso assolutamente di essere plus raisonnable (cioè più intelligente) di Visco. Oh, no! Lui è sicuramente almeno autant raisonnable que moi, anzi, devo pensare che lo sia un po' di più, visto che sicuramente è pagato di più, e che io, da economista ortodosso, credo nel mercato.

Quindi l'amico Renato (non il vinaio, ovviamente) cosa ci dice? Ci dice che se Visco riporta delle lievi imprecisioni (mi fido di voi, io non ho né tempo né voglia di verificarlo), non è certo colpa del suo bon juger, che egli ha senz'altro égal a quello di tous les hommes (incluso Goofy e fabiuccio).

No, no...

Il problema è solo che io e lui ne considérons pas les mêmes choses.

Vi faccio un esempio: "Berlino ha consapevolmente gestito la globalizzazione: le serviva un euro deprezzato, così oggi è in surplus nei confronti di tutti i paesi, tranne la Russia". Quali choses vorreste considérer per verificare un'asserzione simile? A me verrebbe naturale consultare le statistiche OCSE sul commercio bilaterale della Germania, no? Andiamo dunque a vedere, con il nostro bon sens, cosa c'è scritto. Il file coi dati originali è qui, così se ho sbagliato mi correggerete. Nel terzo foglio ho messo i saldi bilaterali della Germania, ordinati dal più grande (Eurozona) al più piccolo (Cina). Sono medie, in miliardi di dollari, riferite all'ultimo decennio. Ve li riporto per comodità:




Ecco. Le cose stanno così. Diciamo che stanno un po' al contrario di come le mette l'on. Visco: in effetti, secondo l'OCSE, la Germania ha avuto, nella media dell'ultimo decennio, un surplus (non un deficit) con la Russia, nonostante probabilmente importi da essa qualche fonte di energia fossile. Per capire perché bisognerebbe andare nel dettaglio, ma a me ora non interessa capire perché: mi interessa farvi capire che nessuno vi sta dicendo la verità. Naturalmente, dire che "è in surplus con tutti gli altri paesi" significa suggerire (astutamente) la solita baggianata, ovvero che la Germania è in surplus con gli emergenti, perché è forte e competitiva avendo fatto le riforme.

Se vi andate a vedere cosa è successo con la Cina (ne avevamo parlato qui) o con il Brasile vedete che non è vero: in entrambi i casi la Germania era in deficit all'inizio della crisi, un deficit strutturale che si è in parte ricomposto solo perché sono crollate le importazioni tedesche (e non decollate le esportazioni). Altro che "competitività"! Altro che "modello da seguire"! Seguire dove? Nel baratro? Ah, e guardatevi anche il risultato con l'Indonesia (un emergente del quale non vi parlano, ma che non è del tutto trascurabile), o quello con la Corea del Sud, o quello con il Cile... Notate anche che il surplus verso l'India è un terzo di quello verso la Grecia (devo aggiungere altro? Avete un'idea delle dimensioni di India e Grecia?).

Concludo.

Come è possibile che l'on. Visco giunga a conclusioni tanto diverse da quelle che qualsiasi persona di buon senso può trarre dalla libera consultazione dei dati OCSE?

La risposta ci viene da Renato (non il vinaio): ci deve essere una differenza nei dati che nous considérons. Probabilmente l'on. Visco, nell'effettuare le sue verifiche, consulta la sua busta paga, anziché le statistiche OCSE, ed è questa differenza nelle nostre fonti (la sua piuttosto copiosa), e non una differenza insanabile nelle nostre rispettive capacità di bien juger, che spiega la diversità delle conclusioni alle quali giungiamo (io vedo una Germania in deficit su molti mercati emergenti, per una evidente inadeguatezza del suo sistema industriale che si è "seduto" sulla certezza di poter contare sul resto d'Europa come mercato di sbocco; lui vede una Germania in deficit solo con la Russia per problemi, in fondo scusabili, di bolletta energetica... tanto scusabili che in effetti la Germania è in surplus...). Fuor di metafora (della cui crudezza mi scuso): il ruolo passato e presente dell'on. Visco evidentemente lo obbliga a fornire una versione dei dati conforme alla vulgata che si voleva e tuttora, contro ogni possibile evidenza, si vuole diffondere fra gli elettori: quella di una superiorità ontologica della razza ariana, o meglio, di una nostra inferiorità ontologica in quanto mediterranei porci, incapaci di decidere del nostro destino e di realizzare il nostro "bene" senza l'aiuto dei fratelli germanici (che poi questo aiuto non ce l'hanno dato, par di capire, e sembra che l'on. Visco ne sia consapevole, visto che dice "la Germania avrebbe dovuto pensare al bene della zona euro": avrebbe dovuto, il che significa che non lo ha fatto).


Una vulgata in sintonia (per adesso) con gli interessi della finanza internazionale, interessi che un esponente del PD può legittimamente pensare di dover difendere. Gli esempi non mancano. Va bene così. Basta saperlo.

Occorre altro? Direi di no. Come vedi, Fabiuccio mio, il buon senso non basta, anche se sono disposto ad ammettere con te che sarebbe un buon inizio, mentre non sono tanto del parere di Renato che esso sia così bien partagé.

lunedì 21 maggio 2012

1992: le "lievi imprecisioni" del Corsera


Avrei altro da fare, ma quando è troppo è troppo.



Mi sono già occupato del modo in cui certe fonti di (dis)informazione riportano quello che potrebbe accadere se la dracma uscisse dall’euro (in particolare, su Repubblica). Non credevo che la mia indignazione per una certa tendenziosa superficialità potesse essere superata. Ma a Roma si dice che il peggio non è mai morto. E infatti, un lettore del blog mi segnala un articolo che suscita in me un’indignazione ancor più motivata e profonda.

Perché, vedete, Livini, l’autore del “pezzo” di Repubblica, in fondo faceva un esercizio ipotetico (cosa accadrebbe se...), servendosi, tra l’altro di una fonte in lingua inglese. Volendo essere indulgenti, le barriere linguistiche e una scarsa dimestichezza con la logica degli esperimenti controfattuali potevano spiegare la lieve esagerazione commessa: quella di valutare i costi del ritorno alla dracma a una somma pari a circa il 40% del Pil dell’intera eurozona (una volta e mezzo il Pil tedesco), anziché all’1.2% del Pil dell’Eurozona (metà del Pil greco), come riportato dalla sua fonte. Peccati veniali, cosa volete che sia: una differenza di alcune migliaia di miliardi di euro, ma si sa, se uno sceglie una carriera “letteraria”, si può giustificare (?) la sua scarsa dimestichezza con le aritmetiche, e poi, ripeto, qui in ogni caso si trattava di controfattuali, cioè di stabilire “cosa succederebbe se”. E siccome “cosa succederebbe se” lo scopriremo solo vivendo, come dire, certo, è una gaffe clamorosa, certo, è casualmente (?) orientata nel senso di diffondere quel messaggio terroristico che evidentemente in Italia tutti i quotidiani vogliono diffondere, certo, un quotidiano nazionale non è un blog e dovrebbe agire in modo più responsabile, però, insomma, via, su, si può essere indulgenti (e poi l’autore è amico di un amico: a proposito, siete ancora amici dopo che hai detto che è incompetente?...).

Ma l’articolo del Corriere della Sera di cui voglio parlarvi tante scuse non ne ha. Anche in esso si applica estesamente quello che Popper chiamava il pinball theorem:

Hyp: if my grand-father had had five balls
Th.: he would have been a pinball

Insomma: “si mmi nonno c’aveva cinque palle era ‘n flipper”, come dicono i saggi romani quando vogliono stigmatizzare la futilità di certi controfattuali un po’ campati in aria.

Ma non è sui controfattuali di questo articolo che voglio intrattenervi: ripeto, quello che succederà ai mutui, ai tassi, ecc. lo vedremo presto, e ovviamente non sarà né una passeggiata, né un Armageddon. Viceversa quello che è successo nel 1992 lo abbiamo visto tutti (almeno, chi c’era), ed è consegnato alle statistiche economiche. Riportarlo in modo grossolanamente distorto, per dedurne catastrofi epocali per noi in caso di ritorno alla dracma (o alla lira), mi sembra quindi difficilmente scusabile. Gli autori si espongono così, con una certa ingenuità, a una smentita, e soprattutto fanno sorgere motivati sospetti, visto che la loro distorsione va, guarda caso, nel solito senso: quello di ribadire nel cranio del lettore che non c’è alternativa, che fuori dall’euro sarebbe la tragedia. Comincio a convincermi del contrario, a giudicare da quante menzogne vengono dette da chi sostiene la tesi catastrofista.

Per farvi capire quanto tendenziosamente distanti dalla realtà siano le affermazioni dei due autori, occorre però che spieghi rapidamente a chi non lo sa:

1)      come funziona la bilancia dei pagamenti, e

2)      come funzionavano gli accordi di cambio dello Sme.

Come sempre, sono i dettagli a far la delizia dell’intenditore. Forse vi annoierò un po’, ma potrebbe valerne la pena.



La bilancia dei pagamenti in pillole

La bilancia dei pagamenti registra i pagamenti determinati dagli scambi di merci, servizi e prodotti finanziari fra i cittadini residenti in un paese e i non residenti. Lo scopo è quello di stabilire se il saldo fra pagamenti ricevuti e pagamenti effettuati è positivo o negativo (o nullo). Non c’è nulla di molto strano: ognuno di noi ha una sua personale bilancia dei pagamenti. Quando lavoriamo esportiamo servizi, e in cambio incassiamo denaro. Quando facciamo la spesa importiamo merci, e in cambio esborsiamo denaro. Quando mettiamo i soldi in banca, esportiamo un capitale (e in cambio riceviamo un pezzo di carta che ci permette di recuperare il capitale con gli interessi). Quando contraiamo un mutuo, importiamo un capitale (e in cambio firmiamo un pezzo di carta nel quale ci impegniamo a restituire il capitale con gli interessi). Tutti capiscono che alla fine della storia, non si può solo pagare: bisognerà pure incassare qualcosa, ogni tanto, altrimenti per effettuare gli acquisti occorrerà contrarre debiti. Semplice, no? Se non lavoro o non mi pagano devo comprare il pane a credito: cioè a debito.

Bene.

Quello che succede per ognuno di noi rispetto a tutti gli altri, succede anche per la somma di tutti noi rispetto a chi risiede in un altro paese. Quindi in Italia entra valuta estera se gli italiani vendono merci a non residenti (esportazioni di merci) o vendono titoli a non residenti (importazioni di capitali), mentre esce valuta estera se si acquistano merci da non residenti (importazioni di merci) o si acquistano titoli da non residenti (esportazioni di capitali).

Dato che nel 1992 avevamo la nostra valuta, mi preme farvi capire la relazione fra queste operazioni e il prezzo della valuta del paese, cioè il suo tasso di cambio. Capiamoci: dire “entra valuta estera” significa dire “viene domandata valuta nazionale”. Perché? Perché i casi sono due: l’esportatore italiano o viene pagato in lire (e allora è l’importatore estero che ha domandato lire sul mercato valutario, offrendo la valuta del suo paese), o viene pagato in valuta estera (e allora è l’esportatore italiano che si rivolge alla propria Banca centrale – ovviamente non di persona, ma tramite il sistema bancario – offrendo la valuta estera e domandando valuta nazionale). Quindi ogni operazione che determina un saldo positivo dei pagamenti tende a far salire il cambio della valuta nazionale, perché il saldo positivo è appunto una domanda netta di valuta nazionale. Di converso
tutto quello che fa defluire valuta estera dal paese (cioè determina un’offerta di valuta nazionale) tende a far deprezzare il cambio. Esempio: l’importatore italiano che chiede alla propria Banca centrale dollari (quindi domanda valuta estera e offre valuta nazionale) per pagare l’esportatore estero. Insomma, il residente che vuole un bene o un titolo estero, per acquistarlo domanda valuta estera, offrendo valuta nazionale, che quindi si deprezza.

Alla fine della giornata, se i pagamenti sono in equilibrio, non ci sarà né offerta né domanda netta di valuta nazionale: tante ne è stata domandata, tanta né è stata offerta: il suo prezzo, cioè il tasso di cambio, rimarrà stabile.

Ma se i pagamenti non sono in equilibrio, i casi sono due:

1)      c’è stato eccesso di domanda di valuta nazionale (da parte di esportatori di beni o importatori di capitali): e in questo caso il cambio tenderà ad apprezzarsi;

2)      c’è stato eccesso di offerta di valuta nazionale (da parte di importatori di beni o esportatori di capitali): e in questo caso il cambio tenderà a deprezzarsi.

Ma... se il cambio è fisso come si fa?

Capiamoci. Il cambio non è la costante di gravitazione universale. Non è qualcosa di iscritto dalla divinità nel grande libro della creazione. È una cosa umana, mutevole, transeunte e convenzionale come tutte le cose umane. Dire che il cambio è fisso non significa dire che esiste da qualche parte un “muro dei cambi” dove nostro Signore, o Mosè sceso dal Sinai, con un gran martellaccio e un chiodo “fissano” il cambio a una certa altezza. No, no, non è così. Dire che il cambio è fisso, in un’economia moderna, significa dire che qualcuno interviene attivamente, giorno per giorno, per ripristinare sul mercato valutario condizioni di equilibrio.

Cosa vuol dire “ripristinare condizioni di equilibrio”?

Vuol dire che:

a)      se c’è eccesso di offerta di valuta estera (eccesso di domanda di valuta nazionale) la Banca centrale, per evitare che il cambio si apprezzi:

                                            i.            può fare in modo che venga chiesta meno valuta nazionale, e/o
                                          ii.            può acquistare lei la valuta estera in eccesso di offerta, mettendola nelle proprie riserve ufficiali.

b)      se c’è eccesso di domanda di valuta estera (eccesso di offerta di valuta nazionale) la Banca centrale, per evitare che il cambio si deprezzi:

                                            i.            può fare in modo che venga chiesta più valuta nazionale, e/o
                                          ii.            può vendere lei la valuta estera richiesta, prendendola dalle proprie riserve ufficiali, e “pulendo” così l’eccesso di offerta di valuta nazionale.

Vediamo prima i sottocasi (i): come si fa a fare in modo che venga chiesta più o meno valuta nazionale? Bisogna distinguere fra lungo e breve periodo. Nel lungo periodo, certo, se il tuo cambio si apprezza, i tuoi prodotti diventano più cari per gli importatori esteri, quindi le tue esportazioni diminuiscono, quindi la domanda di valuta nazionale (offerta di valuta estera) cala, quindi ti riporti in equilibrio. Il contrario se il tuo cambio si deprezza. Ma quanto tempo ci vuole? E i fixing del cambio avvengono quotidianamente (anzi, ormai minuto per minuto). Nel day by day bisogna agire rapidamente, e allora lo strumento diventa il tasso di interesse.

Facciamo il caso (b)(i): c’è eccesso di offerta di valuta nazionale (saldo negativo dei pagamenti): la Banca centrale alza il tasso di interesse, gli investitori esteri sono invogliati, domandano titoli in lire, e così le scarse esportazioni (o le eccessive importazioni) di merci sono bilanciate da un afflusso (importazione) di capitali: saldo nullo, cambio stabile. Se invece il paese si trova in surplus, può far scendere il tasso di interesse: in questo modo gli afflussi per esportazioni (nette) di beni vengono compensati da deflussi di capitali: saldo nullo, cambio stabile.

Questo meccanismo (mantenimento del cambio fisso agendo sul tasso di interesse per bilanciare con i movimenti di capitali gli eccessi di domanda/offerta di valuta) normalmente funziona, tranne in due casi.

Il primo caso è quando non lo si vuole far funzionare. Esempio: la Cina. Dopo la crisi asiatica, la Cina ha agganciato il proprio cambio al dollaro e si è mantenuta in surplus strutturale. Tutti domandavano renminbi, ma il cambio non saliva. Perché? Perché la Banca centrale acquistava lei tutti i dollari offerti in cambio di renminbi, e li metteva nelle proprie riserve ufficiali. Perché? Ad esempio perché la crisi asiatica aveva dimostrato che per un paese ancora in via di sviluppo non è una cattiva idea dotarsi di una massa di manovra da spendere sui mercati valutari laddove ci sia necessità di difendersi da attacchi speculativi. Better safe than sorry.

Il secondo caso è quando il meccanismo si rompe. Esempio: la Svezia. Durante la crisi valutaria del 1992, il tasso di interesse in Svezia arrivò al 500%. Generoso quanto inutile tentativo. Chi può credere a un tasso simile? Quando arrivi a offrirlo di fatto hai già dichiarato di essere sconfitto. A quel punto l’unico modo che hai a disposizione per “difendere” il cambio è “spararti” tutte le riserve ufficiali (caso (b)(ii)) e poi svalutare. Se svaluti prima regali meno riserve ai mercati.



Lo Sme in pillole

Il Sistema Monetario Europeo, instaurato alla fine del 1979, era un accordo di cambio fra i principali paesi europei (a geometria variabile nel tempo), con il quale questi si impegnavano a far oscillare il cambio delle rispettive valute entro una banda molto ristretta (±2.25%) attorno a una “parità centrale” definita rispetto a una valuta scritturale, l’Ecu (European Currency Unit). Insomma, il cambio era praticamente fisso. Per inciso, vi ricordo che anche nel regime di Bretton Woods il cambio non era esattamente fisso, ma poteva oscillare di ±1% intorno alla parità centrale (definita rispetto al dollaro). Insomma: anche i cosiddetti sistemi di cambi “fissi” un minimo di flessibilità ce l’avevano, a differenza dell’euro: chiaro, no?

L’Ecu era una unità di conto definita come “paniere” (media ponderata) dei cambi delle valute europee, con pesi pari alle rispettive quote sul Pil europeo. Insomma: ci si impegnava a non scostarsi troppo dal “valore medio” delle valute della zona.

Vi faccio notare due cose.

Primo: se, partendo dalla posizione centrale, il paese A si portava al margine superiore della banda e il paese B a quello inferiore, di fatto A aveva rivalutato del 5% rispetto ad B, o B svalutato del 5% rispetto ad A. Non era poco (per i precisini: in realtà l’aggiustamento era lievemente asimmetrico per motivi tecnici che non interessano, e quindi l’entità complessiva era del 4.5% anziché del 5%: oggi con l’euro abbiamo lo 0% di flessibilità). La lira poi, riconosciuta figlia di un dio minore, aveva inizialmente negoziato una banda di oscillazione più ampia (±6%), quindi la sua flessibilità era ancora maggiore.

Secondo: se una valuta si trovava persistentemente spinta al margine inferiore (superiore) della banda, la rispettiva Banca centrale doveva intervenire innalzando (abbassando) il tasso di interesse o acquistando (vendendo) la propria valuta in cambio di valuta estera. Naturalmente anche qui l’origine del problema era nella competitività: si trovava spinto verso il basso il paese con più inflazione, che quindi aveva partite correnti tendenzialmente in rosso (poche esportazioni, molte importazioni). Per un paese simile la situazione poteva rivelarsi insostenibile:

1)      perché essendo costretto a tenere alti i tassi di interesse, vedeva rapidamente deteriorarsi la propria posizione fiscale (vedi Italia);

2)      perché se invece decideva di intervenire a sostegno della propria valuta acquistandola, dopo un po’ finiva le proprie riserve ufficiali, ed era costretto ad arrendersi.

Per rimediare a queste prevedibili, prevedibilissime situazioni di insostenibilità, lo Sme aveva previsto (appunto) due meccanismi. Una valuta spinta all’estremo inferiore (o superiore) della banda di oscillazione poteva:

1)      rinegoziare la parità centrale, concordandone una più bassa (o più alta) con i partner europei;

2)      ricorrere all’aiuto del Fondo Europeo di Cooperazione Monetaria (FECOM).

Notate: sono due meccanismi del tutto analoghi a quelli previsti a suo tempo dal sistema di Bretton Woods. Anche in quel sistema era possibile rinegoziare la parità col dollaro in caso di squilibri “fondamentali”, ed era possibile (è possibile) ricorrere all’aiuto del Fondo Monetario Internazionale in caso di squilibri di breve periodo. A proposito: voi il FECOM lo avevate mai sentito nominare? Non credo. Perché? Semplice: perché ovviamente già allora pochi, o meglio nessuno, erano interessati a soluzioni cooperative delle crisi. E perché? Semplice: perché dalle soluzioni “traumatiche” c’era molto, ma molto da guadagnare.

Eh sì! Perché un sistema di cambi fissi ma aggiustabili è esattamente quello che ci vuole per favorire la cosiddetta “speculazione destabilizzante”.

Pensateci. Se un paese era spinto al margine inferiore della banda, voleva dire che stava già da tempo in una situazione di tendenziale deficit, quindi stava già accumulando debiti con l’estero. Su quei debiti stava pagando interessi sempre più alti (a causa del tentativo della Banca centrale di “difendere” la parità del cambio), il che aggravava la situazione (interessi più alti = pagamenti più consistenti di redditi all’estero = maggiore deficit). Non solo. Se la situazione si aggravava, la Banca centrale poteva sì intervenire “pulendo” il mercato, cioè comprando lire contro dollari o marchi. Ma naturalmente la Banca centrale italiana non può stampare dollari o marchi. Gli speculatori sapevano bene quando la Banca centrale stava per finire le sue munizioni. A quel punto scatenavano una massiccia vendita di attività denominate lire, acquistando in cambio marchi, il che dava una spinta all’ingiù al cambio. La Banca centrale italiana finiva le riserve (di fatto, vendeva agli speculatori tutti i marchi che possedeva) e poi era costretta a svalutare (così il giorno dopo gli speculatori con gli stessi marchi si compravano il 10% di lire in più). Semplice, no? E allora perché ricorrere al FECOM, perché aggiustare un meccanismo che, così com’era, faceva fare tanti bei soldini a chi aveva le disponibilità sufficienti per manovrare sui mercati valutari?

Tenete presente che il problema, ora come allora, era provocato da due ingredienti: l’esistenza di un differenziale di inflazione, che peggiorava la posizione competitiva del paese in deficit; la rigidità del cambio, che impediva di procedere con riallineamenti costanti, evitando problemi. Naturalmente durante tutti gli anni ’80 i riallineamenti c’erano stati, sia al rialzo che al ribasso (la cronologia è qui). Non era morto nessuno. La decisione di evitarli a tutti i costi era una decisione politica, non tecnica, presa per i motivi per i quali si prendono le decisioni politiche: perché qualcuno ci guadagnava (o ci avrebbe guadagnato).



Il 1992

Vi ricordo che nel 1986 aveva avuto luogo l’ultimo riallineamento importante della lira. E vi ricordo anche che nel 1991 la lira era entrata nella banda di oscillazione ristretta (cioè era passata da una banda del ±6% a una del ±2.5%, ovviamente più difficile da difendere). E vi ricordo anche che dal 1986 al 1991, cioè nei 5 anni precedenti il 1992, l’Italia aveva avuto in media quattro punti di inflazione in più della Germania (geniale l’idea di entrare in banda ristretta con un simile differenziale di inflazione!). Gli ingredienti per un’esplosione c’erano tutti, e infatti l’esplosione avvenne. Ma sentite come la raccontano gli amiconi del Corriere.



“il nostro Paese venne costretto ad abbandonare lo Sme, il sistema monetario europeo, dopo un furioso attacco speculativo. Il dopo è storia, non finanza fatta con i «se». Tra maggio e ottobre la lira perse il 25% rispetto al marco tedesco. Nel periodo successivo i Bot andarono al 17%, l'inflazione schizzò e i titolari di un mutuo in Ecu - il paniere che rappresentava le divise europee - o in altre monete straniere maledissero la scelta extra valutaria. Perché la lira perse terreno rispetto a tutte le monete forti.”



Asserzione numero 1: in seguito a un attacco speculativo la lira perse il 25% rispetto al marco fra maggio e ottobre.

La Fig. 1 riporta un decennio di tasso di cambio lira/Ecu (in blu) e lira/marco (in rosso). I tassi sono quotati “incerto per certo”, cioè misurano quante lire ci vogliono per acquistare un’unità delle altre valute, quindi se aumentano vuol dire che ci vogliono più lire, cioè che la lira si svaluta. Riporto il tasso col marco perché è quello citato dagli autori, e quello con l’Ecu perché era il fulcro del sistema dei cambi. Va da sé che siccome già allora la Germania esprimeva una quota importante del Pil europeo, e per di più le valute di Olanda, Belgio e Austria erano strettamente legate alla sua, ovviamente il “paniere Ecu” seguiva, come dire, le vicende dell’uovo più grosso. Voglio dire che, come si vede nella figura, i tassi lira/marco e lira/Ecu si muovevano di conserva.

La Fig. 2 riporta quello che è successo a questi due cambi fra il maggio e l’ottobre del 1992.


Abbiamo “zoomato” sia in larghezza, considerando solo i sei mesi dei quali gli autori parlano, sia in altezza, rappresentando le due serie su due assi diversi, per far vedere meglio cosa è successo: il cambio con l’Ecu è misurato sulla scala verticale di sinistra, quello col marco sulla scala verticale di destra. A sentire gli autori, sembra che la lira abbia progressivamente perso terreno, in questi sei mesi,  sotto le ondate di un attacco speculativo (come sono cattivi, gli speculatori, e la povera liretta non poteva difendersi). Ora, è evidente che le cose non stanno così. Fra maggio e agosto i due tassi di cambio stanno fermi, immobili (variazione media dello 0% al mese). Poi fra agosto e settembre vediamo una fiammata verso l’alto, cioè una svalutazione: ci vogliono 48 lire in più per acquistare un marco (il 6.3% in più) e 74 lire in più per un Ecu (il 4.8% in più). E fra settembre e ottobre, un’altra svalutazione: ci vogliono altre 73 lire in più per un marco, e altre 111 lire in più per un Ecu (rispettivamente, un altro 9% e 6.8%). Quindi, in una sola frase (“Tra maggio e ottobre la lira perse il 25% rispetto al marco tedesco”) ci sono due errori: intanto, la perdita complessiva fra maggio e ottobre fu del 17% rispetto al marco (e del 12% rispetto all’Ecu). Poi, non avvenne “fra maggio e ottobre”, ma “fra settembre e ottobre”.

Questo non è un dettaglio: fa parte del meccanismo dello Sme, e soprattutto di come si era deciso di gestirlo. Si era, evidentemente, deciso di gestirlo rinviando il più possibile i riallineamenti, che pure erano perfettamente previsti, leciti e consentiti dalle regole scritte. Perché? In teoria per un problema di “credibilità”: la rigidità del cambio, si diceva, avrebbe reso più credibili le politiche antinflazionistiche dei governi periferici. Ma in pratica il rinvio dei riallineamenti, a conti fatti, otteneva un unico, meno nobile,  scopo: quello di consentire agli speculatori dei guadagni ingenti e immediati una volta arrivati al punto di rottura.


Se veramente la lira avesse “perso terreno” gradualmente fra maggio e ottobre, ovviamente gli speculatori avrebbero guadagnato molto di meno. Perché? Perché certamente non si sarebbero messi in tasca il 7% il 14settembre. Magari si sarebbero messi in tasca il 2% a maggio, ma il riallineamento avrebbe ridato fiato all’economia, rinviando riallineamenti futuri, e rendendoli meno onerosi. Quella di “caricare la molla” fino al punto di rottura era evidentemente una decisione politica.


Capiamoci con un esempio tratto dalla nostra tragica attualità. Secondo voi, se le persone così duramente colpite dal terremoto in Emilia avessero potuto scegliere fra tre scosse di secondo grado e una di sesto grado (quella che purtroppo si è verificata), cosa avrebbero scelto? È chiaro: tre scosse meno violente. Ma il terremoto è un “act of God”, dicono gli inglesi, che ha solo vittime, solo perdenti: non ci sono vincitori. La svalutazione, invece, è un costrutto umano, ed ha vincitori e perdenti. E naturalmente i vincitori ci guadagnano di più quanto più grande è la scossa.

Ecco perché le cose non sono andate come raccontano i due (progressiva perdita di terreno fra maggio e ottobre) ma come raccontano i dati: perdita secca a settembre.



Asserzione numero 2 – “Nel periodo successivo i Bot andarono al 17%”

E vediamoli i tassi di interesse italiani. Per fissare le idee, ve li faccio vedere nei 24 mesi dall’inizio del 1992 alla fine del 1993. Secondo i nostri amiconi, a partire da novembre (periodo successivo alla svalutazione), dovremmo osservare un’impennata dei tassi. E infatti:


Ho mantenuto le definizioni della mia fonte (le International Financial Statistics). Vedete, il tasso sui Bot è il Treasury Bill Rate, che effettivamente raggiunge un massimo pari al 18% (per l’esattezza, 17.98%) ma, dettaglio, non dopo la svalutazione, ma durante. In effetti, noi stiamo usando dati mensili. Se avessimo dati giornalieri, vedremmo che il picco viene raggiunto prima della fatidica data del riallineamento (14 settembre). Come mai? Ve l’ho spiegato prima. Il tasso di interesse andò alle stelle al culmine della crisi, nel tentativo strenuo, ma matematicamente destinato a fallire, di difendere la parità con l’Ecu. E quindi gli amiconi stanno mentendo, perché, una volta svalutato, e addirittura abbandonati gli accordi di cambio (il 17 settembre), ovviamente la necessità di difendere il cambio veniva meno, e infatti i tassi di interesse dopo la svalutazione rapidamente scesero, non salirono, come vi dicono gli autori (sapendo di mentire?). Dopo ottobre il tasso sui Bot era già sceso di 2.5 punti rispetto al massimo, e a febbraio del 1993 era sceso di quasi sei punti, collocandosi a 12.05, cioè sotto il valore di gennaio 1992 (12.18). Quindi la storia che l’abbandono del cambio fisso ha fatto impennare i tassi è falsa. E del resto, perché avrebbe dovuto essere vera?


Asserzione numero 3 – “L’inflazione schizzò”

Ah, già, l’inflazione! Certo, certo, lo sappiamo quale relazione c’è fra svalutazione e inflazione: una relazione che a voler esagerare potremmo definire tenue, e questo sia sulla base dei dati, che di precise teorie economiche (ne abbiamo parlato qui). Ma il piddino medio è educato al terrore dell’inflazione importata. Per lui la svalutazione si trasferisce sui prezzi con un coefficiente pari a 1 (quello che gli economisti chiamano coefficiente di pass-through, sì, proprio quello che in tutti gli studi empirici risulta invece molto più basso). Tant’è che i nostri autori dicono solo “schizzò”, senza neanche dire fino a dove, perché si dà per scontato che se il cambio si svalutò del 25% (anche se era il 17%), l’inflazione sarà salita almeno al 25% (o al 17%). E in effetti, se l’inflazione fosse “schizzata”, ci saremmo anche potuti aspettare un incremento dei tassi di interesse (che normalmente si adeguano all’inflazione). Ma l’incremento dei tassi non c’è stato, e ovviamente non c’è stato nemmeno lo “schizzo” (metafora poco elegante).

Lo abbiamo già visto con dati annuali nella Fig. 2 di questo post, ma rivediamolo con i dati mensili. La Fig. 4 riporta il tasso di inflazione e di svalutazione calcolato mese per mese (la cosiddetta variazione congiunturale).



Non so se è chiaro: le svalutazioni, come vedete, raggiungono quasi il 9%, ci sono poi rimbalzi con rivalutazioni che arrivano al 4% (sempre mese per mese), ma non abbiamo né inflazione al 9% nel primo caso, né deflazione al 4% nel secondo: i prezzi si muovono molto, ma molto, ma molto di meno del tasso di cambio. Chiaramente, siccome i prezzi non sono influenzati dal cambio, cade l’idea (che forse gli autori hanno in testa) di una fiammata dei tassi causata da uno “schizzo” dell’inflazione a sua volta causato dalla svalutazione del 25% (che invece era il 17%). Il tasso di crescita dei prezzi (l'inflazione) se ne va bello pacioso per la sua strada, senza essere minimamente affetto dalle paturnie del cambio. Se volete, apriamo lo zoom: ve lo faccio vedere su un periodo più ampio, considerando i livelli (cioè il tasso di cambio, e l’indice dei prezzi):


Ecco, giudicate voi: il livello dei prezzi è in rosso, quello del cambio in blu. Vi sembra che quando il cambio schizza verso l’alto (svalutazione) i prezzi ne risentano? A me sembra che continuino ad andare dritti per la loro strada, con una crescita (inflazione) pressoché costante. E infatti è così. Chi dice il contrario, chi dice che la svalutazione porterebbe altrettanta inflazione e quindi alti tassi di interesse, è solo un dilettante (perdonabile) o un furbastro (meno perdonabile). I fatti, in ogni caso, stanno in un altro modo.


Sintesi: i nostri raccontano la storia del 1992 in tre affermazioni, che sono tutte e tre false. Sono false non per una sfortunata fatalità, ma perché, come vi ho spiegato, forse annoiandovi, contraddicono frontalmente la logica del sistema allora vigente:

1)      la svalutazione non fu graduale ma one shot perché questa era la logica del sistema che prevedeva cambi fissi ma aggiustabili, e perché in questo modo gli speculatori ci guadagnavano di più;

2)      i tassi di interesse dopo la svalutazione non salirono ma scesero, perché una volta svalutato (e ancor più dopo l’uscita dallo Sme) non era più necessario tenerli alti per difendere il cambio;

3)      l’inflazione non schizzò verso l’alto perché non lo fa mai, dato che il coefficiente di pass-through è molto ma molto inferiore a uno.

E ora credo di non dovervi più spiegare perché da circa 20 anni non leggo più i giornali italiani. Voi regolatevi come credete, ma se poi vi mettono paura dell'uomo nero, e di notte avete incubi, non chiamate me. I miei figli hanno smesso da un po', sinceramente faccio a meno di ricominciare...






“Perché vive un uomo simile?” ruggì sordamente Dmìtrij Fiòdorovič, quasi fuori di sé dalla collera, alzando le spalle in modo tale da sembrare quasi gobbo, “no, ditemi, gli si può ancora permettere di disonorare con la sua presenza la terra?” e girò lo sguardo su tutti, indicando con la mano il vecchio. Egli parlava con lentezza e misura... Ma tutta quella scena, giunta ormai al colmo dello scandalo, finì nel modo più inatteso. A un tratto lo starets si alzò. Aljòša, che dalla paura provata per lui e per gli altri era quasi smarrito, ebbe tuttavia il tempo di sostenerlo per un braccio. Lo starets fece un passo verso Dmìtrij Fiòdorovič e, giuntogli vicinissimo, si abbandonò dinanzi a lui in ginocchio. Aljòša credeva già che fosse caduto per lo sfinimento, ma non era così. Inginocchiatosi, lo starets si prosternò a Dmìtrij Fiòdorovič con un perfetto, preciso e consapevole inchino, e sfiorò anche la terra con la fronte.

domenica 20 maggio 2012

Comunicazioni di servizio

Per chi fosse interessato.

Sabato 26 intervengo a Frosinone in un convegno organizzato da Ecodellarete (Fiorenzo Fraioli), un lettore molto partecipe di questo blog, al quale sono grato per l'attenzione che presta alla mia attività di divulgazione. I dettagli li trovate qui. Ho conosciuto Fiorenzo e due dei relatori (Stefano D'Andrea e Moreno Pasquinelli) al convegno di Chianciano nello scorso ottobre e ho colto con piacere questa occasione di rivederli. Non potrò partecipare però al dibattito perché nel pomeriggio devo essere a Roma, cosa della quale mi ri-scuso con Fiorenzo e con tutti gli altri. Vi pregherei di astenervi da domande del tipo "ma perché c'è quello e perché c'è quell'altro" (che già stanno arrivando): siccome gli inviti non li ho fatti io, queste domande fatele a Fiorenzo che vi risponderà come crede. Va assolutamente da sé che io, come ho già detto in molte occasioni, temo di non aver molto da dire a personaggi Donald-ispirati o a portatori di teorie del complotto di varia origine e caratura (anche se stimo e seguo Pietro Valerio che mi sembra su un pianeta completamente diverso dagli altri). Ricordo però a tutti che siamo ancora in una specie di democrazia, ognuno ha il diritto di dire la sua, e ognuno ha il diritto di non ascoltare quella degli altri, anche se ogni tanto ascoltare può presentare sorprese e condurre a progressi. Io purtroppo in questa occasione molto tempo non lo avrò, sarà per un'altra volta.

Poi, per evitare altre stucchevoli e insulse scene di gelosia ("ma perché non ce lo hai detto?"... evidentemente perché ho avuto altro da fare), vi segnalo con congruo anticipo che lunedì 11 giugno interverrò all'Istituto Orientale di Napoli (ore 16, se ho ben capito) alla presentazione dei libri sulla crisi di Vladimiro Giacché (Titanic Europa) e Riccardo Bellofiore (La crisi globale, l'Europa, l'euro, la sinistra). Così ora mi tocca pure leggerli!... Ma trattandosi di colleghi illustri, ho preferito non affidarmi al mio talento di improvvisatore.

Concludendo, come nota metodologica, vorrei farvi partecipi di un principio fondamentale della mia esistenza: chi mi cerca mi fa un piacere e chi non mi cerca me ne fa due. Quindi chi mi cerca per dirmi "ma perché non ce lo hai detto", così come, in generale, chi mi cerca per dirmi quello che devo fare, mi fa quattro dispiaceri, e viene congedato con una pacata esortazione (sperando che il telefono sia libero).

Come dice quello, that's all...