lunedì 30 settembre 2019

Helsinki

(...cerco di non perdere queste occasioni di incontro, anche se la loro effettiva utilità potrebbe essere facilmente contestata. Gli svantaggi sono evidenti: ore chiuso in una sala, ad ascoltare negli inglesi di tutta l'Europa le solite litanie, pronunciate nel solito linguaggio liturgico - ora vanno molto "inclusive", "green", ecc. Forse l'utilità maggiore è proprio questa: l'esercizio che fai nel tradurre in inglese - e poi da lì in italiano - gli altrui inglesi. Può sembrare una stupidaggine, ma se le cose continuano così - e anche se non continuassero così, a dire il vero - in effetti questo allenamento potrebbe tornare utile. Per il resto, ogni volta si vedono incrementi marginali nella consapevolezza dei partecipanti, ma c'è anche da chiedersi quanto siano significativi. A eventi di questo tipo partecipano, per definizione, gli interessati, soprattutto se si svolgono in un luogo che turisticamente non ha moltissimo da offrire. Quanto questi colleghi siano rappresentativi dei rispettivi parlamenti nazionali ve lo lascio immaginare. Non molto, credo. Per vostra comodità sviluppo qui brevemente dai miei appunti l'intervento che ho fatto, e che trovate qui...)

Mi ha colpito l'osservazione di Regling secondo cui ora dovremmo "portare a termine l'agenda delle riforme". Sembra sottintendere che dopo, una volta completate le riforme, saremmo finalmente arrivati: avremmo l'Europa che vogliamo. Il punto è proprio questo: che cosa sia "l'Europa", in particolare quella che vogliamo o dovremmo volere, non è chiaro. Non sappiamo cioè dove stiamo andando, non abbiamo un obiettivo, eccetto quello di un'Unione sempre più stretta (ever closer Union, art. 1 secondo comma del TUE).

Ora, questo nobile scopo è frustrato dalle regole sbagliate che ci stiamo dando. Consideriamo ad esempio l'evoluzione dello "Strumento di bilancio per la convergenza e la competitività" (BICC). All'inizio, questo strumento di politica economica prevedeva anche la stabilizzazione, cioè la possibilità di intervenire per contrastare shock macroeconomici avversi, ma poi la stabilizzazione è andata persa nella traduzione (traduzione in tedesco, ovviamente...).

Ora, noi sappiamo che non ci può essere convergenza senza stabilizzazione, e questo perché decenni di letteratura scientifica sull'isteresi ci dimostrano che gli shock di breve periodo hanno conseguenze di lungo periodo (per chi vuole approfondire). Questo significa che se non ci si preoccupa di smorzare immediatamente gli shock avversi che colpiscono un singolo membro, i paesi membri si troveranno su traiettorie divergenti.

Ma la nostra situazione è ancora peggiore, perché abbiamo deciso di prendere come riferimento per gli interventi di politica di bilancio il Pil potenziale, che in effetti, per come è calcolato, non descrive l'effettivo potenziale di crescita di un'economia, ma fotografa semplicemente il risultato dell'ultima recessione, inchiodando il paese al peggiore dei risultati raggiunti nella sua storia precedente (noi lo abbiamo visto qui e una buona spiegazione tecnica è qui).

Buti confuta queste affermazioni, ma i suoi argomenti, piuttosto che rassicurarci, ci inquietano perché ci mostrano qual è la reale natura del problema. Dicendo che le sue stime del prodotto potenziale non sono così pessime, e che in ogni caso la politica fiscale viene condotta con una certa discrezionalità, fa involontariamente capire una cosa che dovrebbe essere ovvia: le regole non sono neutre! Esse riflettono e cristallizzano rapporti di forza politici, sia nel modo in cui sono concepite che in quello (discrezionale) in cui venono applicate. La loro stessa evoluzione riflette i mutati rapporti di forza, e lo fa nel modo peggiore. Qui tutti abbiamo notato come le regole cambino durante le crisi, ma il problema è che nelle crisi i paesi forti sono più forti, e quelli deboli più deboli, per cui è difficile che queste revisioni in condizioni di urgenza, che senz'altro creano un quadro instabile, possano condurre a una situazione più equa. In effetti, il principale uso delle regole fnora è stato quello di giustificare le politiche sbagliate che si vogliono portare a termine a danno dei deboli, salvo poi essere cambiate quando, come ora, queste politiche cominciano a danneggiare i forti.

L'Europa non sappiamo bene cosa sia, ma è difficile che questo modo di procedere ci porti verso una società più giusta e più prospera.



(...altri commenti sparsi dai miei appunti. Regling ha confessato che il Meccanismo Europeo di Stabilità - MES, o ESM, o Fondo "salvastati" - non era parte del progetto iniziale, perché inizialmente era inconcepibile che un paese dell'Unione potesse perdere l'accesso ai mercati finanziari. Poniamo che sia così. Intanto, questo ci fa capire quanto siano state gravi le conseguenze dell'essere entrati in un progetto irrazionale come l'unione economica e monetaria: hanno reso possibile quello che era inconcepibile. E poi, la stessa fresca e giovanile incoscienza è stata applicata anche a cose molto più facilmente intuibili. Ad esempio, la moneta unica ha reso più facili i movimenti di capitali, ma la sorveglianza dei mercati finanziari è diventata unica solo dopo una crisi catastrofica: magari, se ci si fosse pensato prima, la crisi avrebbe potuto essere meno catastrofica!

Ha poi detto che non c'è deficit democratico e non ci sono vuoti di responsabilità perché "i ministri sono responsabili di fronte ai loro governi nazionali". Bè, questo è parzialmente vero: basta pensare a che cosa è successo qui, dove un governo è caduto anche su certe reticenze a coinvolgere un partito di maggioranza nel negoziato con l'Europa. Solo che per quanto i Parlamenti nazionali possano fare il loro lavoro, quando le cose sono state messe su un certo binario vanno avanti e influire su certi processi è molto complesso - vedi alla voce "rapporti di forza".

Buti ha insistito sull'importanza del breve periodo: mercati e cittadini vogliono risposte rapide. Giusto! Ma è esattamente in questo che l'elefantiaco apparato cui appartiene, e le complesse liturgie da esso imposte - come il semestre europeo - non ci aiutano. E questo Alesina lo aveva previsto, come qui ben sapete. Ha poi citato Habermas sulla solidarietà: è interesse di chi sta meglio sopportare il temporaneo svantaggio di chi sta peggio perché i ruoli potrebbero invertirsi. Giusto anche questo! Solo che i tedeschi da questo orecchio non ci sentono, e hanno ragione loro: l'aver trascurato meccanismi di risposta efficiente agli shock, e l'aver condito il tutto con regole procicliche - la stessa moneta unica per tanti versi lo è - condanna alcuni paesi a chiedere sempre e sempre di più, e altri a dare in proporzione. Non stiamo parlando di un meccanismo assicurativo, ma di un pozzo senza fondo, e quindi il tedeschi non sono degli ignoranti che non hanno letto Habermas. Sono delle persone mediamente acculturate in macroeconomia, anche se non hanno letto Bagnai!

Rehn ha parlato della necessità di salvaguardare la stabilità dei prezzi, e improvvisamente alle mie orecchie ha risuonato una nota canzone. Ora, in Finlandia questa canzone suona sempre un po' strana - anche se ieri c'era gente che faceva il bagno nel porto - ma non più di quanto suoni strano negli anni dieci, che sono anni di deflazione, il richiamo alla stabilità dei prezzi, che poteva avere un senso trent'anni fa! L'inflazione, in Italia, è a una cifra del 1985 - non se ne dolgano i cialtroni: è un fatto! - e in generale dagli anni '90 non è un problema, mentre è decisamente un problema il fatto che dopo l'iniezione di quasi 3000 miliardi di liquidità sul mercato la Banca Centrale Europea non riesca a rispettare il proprio obiettivo del 2% - come ha notato anche la collega Domingos del parlamento portoghese.

Ultimo, il collega Michelbach del parlamento tedesco. L'ho incontrato anche a Roma, è venuto a trovarci, e ho ascoltato il suo piagnisteo sui tassi negativi che fanno tanto male alla Germania. Ma caro Hans, il discorso è molto semplice: avete voluto costruire la vostra economia sulla domanda altrui, avete punito i vostri clienti più vicini con politiche di austerità, siete quindi stati costretti a svalutare l'euro per esportare fuori zona, e naturalmente per avere un euro debole dovete avere tassi bassi: se i tassi di interesse dell'euro fossero alti, dal resto del mondo arriverebbero capitali, gli investitori domanderebbero euro per acquistare attività denominate in euro e godere dei loro alti rendimenti, ma la domanda di euro farebbe crescere il tasso di cambio dell'euro e voi andreste più velocemente in recessione. Quindi, caro, decidi cosa volete! Tassi di interessi alti sul vostro tesssssoro, e un tasso di cambio basso per continuare ad accumularlo, non si possono avere.

Ecco: questo è il loro livello di consapevolezza. Il vostro credo sia superiore. Quindi: resistere...).

sabato 21 settembre 2019

Otto anni dopo: Bagnai e Monti ad Assisi


Oggi pomeriggio, mentre leggete questo post, sono ospite, insieme col collega Monti, dei frati minori di Assisi, che ringrazio, per un dibattito sul tema "Garanzia e sostenibilità del welfare nel breve e nel lungo periodo". Non ho idea di chi abbia avuto l'idea di chiamarmi, né di chi abbia scelto il tema del dibattito, sul quale avrei qualcosa da dire (intendo: sulla formulazione del tema). Intanto, cerco di mettermi nella testa dei turisti del dibattito, che abbonderanno in sala, e di immaginare che cosa possano capire di quello che vedranno e ascolteranno. Suppongo che i turisti del dibattito riterranno di assistere a un dibattito fra due uomini politici, e quelli più evoluti al dibattito fra un intellettuale prestato alla politica (Monti) e un uomo politico nazifascioxenorazzista cresciuto bastonando stranieri e affiggendo manifesti nelle nebbie padane (fedele ritratto, come sapete, di tutti i miei colleghi parlamentari della Lega)!

Poveri turisti del dibattito! Noi ne abbiamo compassione, ma sbagliamo, dovremmo invidiarli: brancolare nel buio non è poi così male, se consideri l'alternativa: la consapevolezza. La consapevolezza è sempre dolorosa, se non altro perché passa per una operazione necessariamente dolorosa: la soppressione di un proprio io più ignorante, condizione necessaria per l'affermazione di un io meno ignorante! Voi, qui, ci siete passati tutti, o quasi (escludo, ovviamente, i turisti del dibattito). I più fortunati (o sfortunati, dipende...) si presero uno schiaffo in faccia nell'agosto 2011 leggendo sul manifesto l'articolo che poi ripubblicai pochi mesi dopo qui. All'epoca, ricorderete, ero un intellettuale di sinistra, che si rivolgeva a chi credeva avesse gli strumenti culturali per capire. Sopravvalutavo la cultura, in effetti, perché da capire c'era molto poco: sarebbe bastato ascoltare, ma non mi era ancora così chiaro ed evidente come oggi quanto la cultura sia una corazza, uno schermo che preclude a chi ritiene di possederla l'apertura, l'accoglienza a idee estranee dal perimetro dei propri preconcetti.

Eppure, non tutti a sinistra usavano la cultura come schermo. Qualcuno la usava per quello che è, cioè come strumento di lettura della realtà.

Mi ricordo che ero a Mondovì, all'Accademia Montis Regalis, dove ero stato chiamato come maestro accompagnatore per un corso di flauto tenuto da Kees Boeke e Francis Colpron, due artisti dai quali ho imparato molto (magari, un giorno vi dirò un paio di cose che potrebbero essere utili anche a voi). Dopo le lezioni provavamo con Colpron il concerto di Palazzo Rosso (qui, qui, qui). Nelle pause Francis, col quale abbiamo un amico comune che gli aveva illustrato il mio peculiare percorso professionale, si informava sul mio lavoro e sulla situazione dell'Italia. Ricordo come gli esprimessi la preoccupazione per il successo inaspettato che un mio articolo aveva avuto, e per l'esposizione politica che ne sarebbe derivata. Sapevo quanto fosse fascista il mio ambiente e mi chiedevo quanto fossi pronto a combattere lo squadrismo, il conformismo, la subalternità culturale dell'accademia, che le semplici verità espresse nell'articolo avrebbero inevitabilmente aizzato, come poi fu. Non mi passava nemmeno per la testa di poter un giorno assumere un ruolo politico, una carica elettiva, né, tanto meno, di farlo con un partito che vedevo lontanissimo dalle mie posizioni, e che tutti (tranne me) vedevano in caduta libera.

Questo esito del tutto inaspettato è stato reso possibile da una persona alla quale, come ben sapete, va tutta la mia gratitudine, se non altro perché mi vale l'onore di esprimermi in una sede così prestigiosa: proprio il collega Monti!

Se lui non fosse stato chiamato, il 16 novembre del 2011, a salvare l'Italia nelle note circostanze, io mai e poi mai avrei pensato di lanciare nello stesso giorno il mio guanto di sfida all'establishment pubblicando in proprio I salvataggi che non ci salveranno, un articolo che era stato rifiutato da lavoce.info per ordini di scuderia, proprio a seguito della visibilità che mi aveva dato l'articolo sul manifesto. Un rifiuto, oggi posso dirlo, motivato certo non dalla mancanza di merito scientifico, visto che la semplice tesi ivi espresse venne poi ripresa in pompa magna da Giavazzi nel 2015 (ovviamente con la consueta disonestà intellettuale che vieta di citare chi ci è arrivato prima di te, se non appartiene alla tua squadra). L'articolo spiegava che "la crisi dei PIGS nasce dall’accumulazione di debito privato verso creditori esteri" (Bagnai, 2011), cioè che "era stata una classica crisi di debito estero, non una crisi di debito pubblico" (Giavazzi, 2015). Questa essendo la diagnosi, la terapia non avrebbe dovuto insistere con tagli sul debito pubblico (che non era la causa della crisi). Se si fosse seguita la strada dell'austerità, si sarebbe andati incontro a un fallimento: i salvataggi non ci avrebbero salvato.

I turisti del dibattito, a differenza di voi, non hanno idea di tutte le infinite sfaccettature di questo semplice ragionamento, sulle quali qui ci siamo intrattenuti in dettaglio per otto lunghi anni, e non hanno nemmeno idea degli ordini di grandezza del "salvataggio". Eppure, basta osservare i dati:


Come sapete, le politiche di Monti, il cui avvento è evidenziato nel grafico dal pallino rosso sul tracciato blu del Pil, ampliarono e resero persistente quella che era comunque stata, la crisi più grave dalla Seconda guerra mondiale in poi, non tanto per l'entità dello shock proveniente dagli Stati Uniti (indubbiamente più rilevante del solito), quanto per la mancanza di alcuni strumenti standard di politica economica (fra cui la flessibilità del cambio).

Altri paesi, quelli che avevano fatto deficit, come la Francia, sopperendo con lo strumento fiscale alla mancanza di altri strumenti, si ritrovano oggi anche loro con cicatrici nel tracciato del proprio Pil, ma di entità molto più contenuta:

Per quanto questa metodologia sia rozza, ci fornisce degli ordini di grandezza che meritano una riflessione (i dati vengono da AMECO). Nel 2019 il Pil italiano è 445 miliardi di euro al di sotto della sua tendenza storica, osservata con minimi scostamenti ciclici nei 47 anni precedenti alla crisi. In Francia è solo (si fa per dire!) 107 miliardi di euro al di sotto del tendenziale. Rinuncio a fornirvi la perdita cumulata dal 2008 ad oggi.

E qui si torna al tema sul quale sono oggi convocato, quello della "sostenibilità del welfare nel breve e nel lungo periodo". Mi restano oscure due cose: intanto, perché io? Il significato profondo, quello che l'intelligenza della Storia conferisce a questo incontro, ve l'ho detto: la creatura (io) incontra il suo creatore (Monti)! Ma questo gli organizzatori certo non possono saperlo. Non si capisce allora perché chiamare a parlare di welfare due persone che di welfare mai si sono occupate a livello scientifico. Siamo, insomma, alle solite: magari l'uomo colto capisce che se ha male a un dente non gli serve un cardiologo. Quando però, invece che del corpo umano, si parla del corpo sociale, allora siamo todos economistas! Certo, la militanza politica a questo ci condanna: a essere tuttologi. Accettiamo con santa rassegnazione questa croce, e proviamo a dire comunque qualcosa di intelligente...

Ad esempio, a me resta anche oscuro il significato di "sostenibilità nel breve periodo". Quello di "sostenibilità", anche nell'ambito "ambientale" in cui generalmente lo incontriamo, è intrinsecamente un concetto di lungo periodo, riferito alle famose "generazioni future", e noi qui sappiamo che la Commissione Europea non era preoccupata dalla sostenibilità a lungo termine del welfare italiano all'epoca in cui, con una immotivata logica di urgenza, vennero promossi provvedimenti tanto dolorosi per i cittadini. Certo, nel frattempo le cose sono cambiate. L'Italia, da unico paese con una posizione fiscale sostanzialmente sostenibile a lungo termine:


(la fonte è il Fiscal Sustainability Report del 2012), si trova oggi con tutti gli altri paesi nella zona di insostenibilità a lungo termine:


(la fonte è il Fiscal Sustainability Report del 2018), ma attenzione! Questo cambiamento sfavorevole non è dovuto a uno spostamento verso l'alto, cioè a un peggioramento delle prospettive demografiche a lungo termine (leggi: insostenibilità del sistema pensionistico), bensì a uno spostamento verso destra, cioè a un peggioramento della posizione fiscale iniziale (leggi: aumento del debito pubblico).

E sarebbe forse anche il caso di ricordare ai turisti del dibattito, e ai cretini che "l'orologio del debito", come siano in effetti andate le cose. Il tracciato del debito è qui:


(i dati vengono da qui), e il puntino rosso indica sempre la stessa cosa: l'avvento del salvatore (con la "s" minuscola).

Si vede bene che il debito pubblico non poteva essere stato la causa della crisi del 2008, visto che dal 1995 al 2007 era sceso di 17 punti percentuali. Ma allora, dirà qualche turista del dibattito, ha ragione chi dice che Monti non ha fatto austerità, visto che con lui il rapporto debito/Pil è aumentato! Bè, se fosse così, allora dovremmo dire che la stagione 1995-2007, in cui il debito tendenzialmente è sceso arrivando sotto il 100% del Pil, è stata un'unica, lunga stagione di austerità! Ma le cose non stanno esattamente così:


In effetti, nel periodo dal 1995 al 2017, quello in cui il rapporto al Pil diminuiva di 17 punti percentuali, il debito in termini assoluti aumentava (non diminuiva) di 535 miliardi di euro, cioè di circa 45 miliardi all'anno. Nel periodo dal 2011 al 2018 l'aumento assoluto è stato di 413 miliardi, corrispondenti a circa 59 miliardi all'anno. Una accelerazione c'è stata, ma il grosso dell'aumento del rapporto al Pil nell'era di Monti, pari a 16 punti, è stato determinato non tanto dall'aumento del debito, tutto sommato in linea con l'esperienza storica, quanto dal micidiale crollo del Pil, documentato dal primo grafico. Lo so che molti non ci sono ancora arrivati, che molti non ci arriveranno mai, e che molti sono pagati per non arrivarci: tuttavia il rapporto debito/Pil può crescere non solo se aumenta il debito, ma anche se diminuisce il Pil. Quello che ci ha spostato nella zona di insostenibilità, secondo la Commissione, non è quindi stato il peggioramento delle nostre tendenze demografiche, ma il crollo del nostro Pil: questo ha determinato un deterioramento della nostra posizione iniziale (cioè, appunto, un innalzamento del rapporto debito/Pil).

Non abbiamo tagliato troppo poco: abbiamo tagliato troppo, e non lo dico io: lo dicono loro! Dopo che le regole fiscali "complicate" hanno causato un disastro a casa nostra, ora i nostri amici vogliono regole più semplici a casa loro. Ma questo sarà oggetto di altre considerazioni. Ora vi lascio: devo mettermi per strada per andare ad incontrare il mio creatore (involontario, e con la "c" minuscola)...

mercoledì 18 settembre 2019

Leuropa e Lapace: la parola alla scienza

(...mentre a Pontida i fascioleghisti si dedicavano al loro sport preferito, il linciaggio dei martiri della democrazia, dei non violenti, due fascioleghisti, caratterizzati, com'è noto, da un livello di istruzione insufficiente, si intrattenevano, scambiando fonemi gutturali accompagnati da un rude linguaggio gestuale, su un tema speculativo, e quindi per ciò stesso fuori dalla loro portata: è scientificamente fondato affermare che Leuropa ci abbia dato Lapace, così come si sente affermare comunemente nei dibattiti? Il riassunto di quella conversazione è nell'email che vi riporto, che uno dei due fascioleghisti, quello che l'ha inviata, ha fatto tradurre dal bergamasco in italiano avvalendosi di un traduttore "de sinistra" - quindi uomo di mondo - e l'altro fascioleghista, quello che l'ha ricevuta, cioè io, fa leggere a voi, un po' perché io ormai capisco solo il bergamasco, e un po' perché se anche fosse scritta in bergamasco sicuramente non capirei quello che c'è scritto, non avendo conseguito presso la Facoltà di Statistica della Sapienza un dottorato in Scienze Economiche, a differenza di certi scienziati...)


Buongiorno Senatore Bagnai,

Come mi ha chiesto ieri a Pontida le invio l’articolo peer reviewed in cui si arriva alla conclusione che l'ultimo periodo di pace in Europa non è statisticamente significativo e che servirebbero ancora circa 150 anni di pace perché si possa dire che l’Europa è diventato un posto più pacifico dalla fine della Seconda guerra mondiale.

In questi mesi negli USA l’articolo è stato ripreso da diversi giornalisti.

L’autore è Aaron Clauset, Professore alla Colorado Boulder e membro del Santa Fe Institute for Complexity Studies. Clauset è considerato uno dei massimi esperti di analisi dei processi complessi. Suoi alcuni lavori molto citati sull’analisi quantitativa del terrorismo, e suoi alcuni metodi statistici oggi diffusamente usati per il test di ipotesi e la stima di parametri nel caso di distribuzioni power-law (NdCN: che personalmente avrei chiamato "leggi di potenza", con la "p" minuscola...).

Qualora possa interessarle, aggiungo alcune considerazioni personali.

(NdCN: qui ho tremato per lui, ma invece, come vedrete...)

L’articolo è molto rilevante perché pone fine a un dibattito che negli ultimi anni ha diviso la comunità di scienziati politici che si occupano di guerre e sicurezza internazionale. Fino a questo studio era predominante la corrente liberale, secondo cui la guerra sta diventando via via meno frequente per effetto dei processi di integrazione economica e del libero mercato.

Massimi esponenti di questa corrente di pensiero i liberali Azar Gat e Steven Pinker. In ultima analisi questi due sono i discendenti di Normann Angell, che nel 1909, in « The Great Illusion », argomentava che l’integrazione economica e politica degli stati europei aveva ormai reso la guerra in Europa un’opzione improponibile (NdCN: spectacularly ill-timed, un po' come il noto articolo di Frankel e Phillips, 1992, che affermava la raggiunta credibilità dello SME, o l'altrettanto - a voi - noto articolo di Jonung e Drea, 2010, che sosteneva come l'euro non se la stesse poi cavando così male, al contrario di quanto le solite malelingue avevano previsto).

Verso la fine di quest’anno dovrebbe uscire in italiano https://twitter.com/matteosalvinimi/status/1174069679809277953?s=20n iii« Only the dead : the persistence of war in the modern age », del Prof. Braumoeller, della Ohio State, che si propone di ricapitolare tutto quello che si sa ad oggi sull’analisi quantitativa dei conflitti e arriva alla conclusione che la guerra permane un rischio concreto, a dispetto del pensiero liberale.

A questo proposito mi viene in mente il lavoro di ricerca di Susan Woodward, del King’s College (NdCN: veramente mi sembra che sia a CUNY...), pubblicato in « Socialist Unemployment » in cui analizza come il dissolvimento della Ex-Yugoslavia e l’esplosione della violenza etnica siano stati resi possibili dalle politiche di austerity del FMI, dal debito denominato in dollari, dalle privatizzazioni.

In effetti, i lavori di Manus Midlarsky sull’eziologia del genocidio nel ventesimo secolo (« The Killing Trap ») e i lavori di Thomas Schelling sui processi di polarizzazione delle comunità multi-etniche portano al risultato che, per citare Midlarsky, « impoverimento della popolazione e società multiecnica sono una miscela esplosiva ».

Un’ultima nota: Libermann, in « Does Conquest Pay ? The exploitation of Occupied Industrial Societies » si pone il problema di quanto PIL si possa estrarre da una società industriale occupata militarmente, usando il case study delle occupazioni naziste. Se ricordo bene arriva a un limite del 30%. Si potrebbe usare questo dato come unità di misura per calcolare quanto sia distante da un’occupazione di tipo nazista il danno prodotto dalla Trojka in Grecia: tot anni di Trojka economicamente corrispondono a tot anni di occupazione nazista.

Ovviamente, essendo io un becero fascio-leghista, questa letteratura scientifica non l’ho mai letta, ma se l’avessi letta penserei che, posta in chiave divulgativa, sarebbe un interessante seminario per la scuola di formazione della Lega.

Grazie.

Cordiali saluti.

Fascio Leghista


(...compagno? Sì, tu, che ti aggiri per curiosità fra queste pagine! Come faccio a sapere che ci sei? Lo so, e basta. Volevo rassicurarti: la conversazione cui alludo non è mai avvenuta, e questa lettera non è mai stata scritta, quindi non è mai stata da me ricevuta, perché voi, solo voi, a sinistra, solo voi, il sale della Terra, i buoni, siete in grado di accedere alle fonti del sapere scientifico, che comunque non sono tali se non avvalorano le scemenze verità da voi propugnate. Quindi, ad esempio, se anche la lettera fosse stata scritta, non sarebbe comunque vero che Clauset ha 20731 citazioni, che Midlarsky insegna alla Rutgers, ecc. Tranquillo, tranquillo, noi siamo rozzi, noi non ci arriviamo: ci arrivate solo voi, i buoni, quelli che, in quanto buoni, possono esercitare qualsiasi violenza sui loro avversari, perché gli avversari dei buoni sono i cattivi, cioè quelli contro cui qualsiasi violenza, qualsiasi sopruso, qualsiasi squadrismo è lecito. Ecco: volevo proprio dirti che siccome oltre che cattivi siamo anche stupidi, puoi continuare a dormire tranquillo. Poi, noi, nella nostra ansia di redenzione, nel nostro anelito di elevarci al livello dei buoni, quando una lunga espiazione ci avrà purificato, quando ci saremo redenti dalla nostra tara originale, in poche ore faremo quello che voi, i buoni, vi proponete di fare. Ma siccome noi siamo cattivi, e stupidi, tranquillo, rilassati: quel momento non arriverà mai! Fidati! Si sa che io le previsioni le azzecco: e questa - quale? - è la previsione fondante di questo blog...)

(...ah, ovviamente voi vedrete come al solito il bicchiere mezzo vuoto. Io invece vedo quello mezzo pieno, ma per spiegarvi perché dovrei, con quelle competenze storiche e geografiche che da fascioleghista non ho, raccontarvi di quando, a 27°04′00″N 142°12′30″E, alcuni giapponesi cenarono col fegato. Eh, no, non il loro... ma non voglio tediarvi con questi dettagli! Ci ho già annoiato a lungo il capogruppo Molinari, nel corso di un alterco gutturale, di quelli che a noi sono propri. E poi, che ve ne importa!? A voi, Leuropa ha dato Lapace, e quindi voi state tranquilli, mentre noi ci mangiamo o comunque ci mangeremo il fegato, incapaci di comprendere le meraviglie della deflazione salariale, e dell'intrinseca instabilità sociale, determinate dall'esercito industriale di invasione...)

(...per i turisti del dibattito: il motivo per cui qui c'è la parte sana della nazione è che solo qui ci sono persone in grado di leggere un post simile e tutti i suoi link, o almeno di sforzarsi a farlo. Provateci anche voi, cari turisti del dibattito: capirete che in questo paese, senza che ne foste consapevoli, stava succedendo qualcosa. Non senza fatiga si giunge al fin. Ma questo, se sei di sinistra, non sai né chi l'ha scritto, né dov'è scritto...)

lunedì 16 settembre 2019

Come (non) funziona - seconda lezione

(...inizia una settimana interessante e qualcosa mi dice che non avrò molto tempo da dedicarvi: dovrò dedicarne sicuramente un po' al dentista, e molto all'attività parlamentare, che riprende, visto che ora abbiamo i sottosegretari - a me poteva andare peggio! Mercoledì primo ufficio di presidenza per la pianificazione dei lavori: lì capiremo bene quali siano le priorità e il metodo della nuova maggioranza. Intanto, a chi non se ne fosse accorto, segnalo di aver aperto un canale Telegram: potete iscrivervi qui. Mi sembra utile avere un modo più diretto e rapido di comunicare con voi, anche in previsione di uno dei possibili scenari: quello in cui per sedare il dissenso causato dalla compressione dei diritti economici, la compressione dei diritti politici superi la soglia di guardia e i social vengano sottoposti a quella rigida censura della quale si parla ormai senza alcun pudore e che, una volta di più, qui avevamo visto arrivare con un certo anticipo. Vorrei quindi lasciarvi un po' di food for thought, mentre state ancora metabolizzando il precedente discorso sul metodo - che non a tutti è stato chiarissimo, come vedo dai commenti - buttando rapidamente giù una seconda riflessione, che mi è venuta in mente andando verso Pontida con Claudio. La riflessione nasce dalla frase chiave del post precedente, quella scritta in grassetto...)




Nel mondo di quelli che sanno "La Verità" (come l'amico del "noi abbiamo capito"; vedi post precedente) l'attività politica è molto semplice. In effetti, la politica, nel mondo della Verità, si riduce a pedagogia. Basta che chi sa la Verità la esponga agli altri, i quali, conquistati dalla Verità, si schiereranno immediatamente da "La parte giusta" e faranno "La cosa giusta".

L'ovvio corollario di questa concezione della prassi politica non ve lo lascio immaginare (perché temo che non ci arrivereste, ve lo dico con franchezza): preferisco esporvelo. Si tratta dell'incontestabile (?) idea secondo cui basterebbe che un partito fosse composto solo da "Le persone giuste" (che ovviamente sono quelle che sanno "La Verità") perché tutto funzionasse come un orologio, portando il partito delle "Persone giuste" che sanno "La Verità" e quindi fanno "La cosa giusta" di successo in successo, verso un destino di progresso, prosperità e pace.


Come dite? Vi sembra una concezione un po' ingenua? Bè, come darvi torto. Basta svilupparne le implicazioni, per capire che quelli che sanno "La Verità" hanno in mente un mondo altrettanto distopico di quelli che vedono Leuropa come tappa di arrivo dell'intera storia umana.

Intanto, se "La Verità" fosse un virus così contagioso, a tendere la saprebbero tutti, il che significa, in buona sostanza, che il partito de "Le persone giuste" diventerebbe un partito unico (mondiale), di persone che farebbero, ovviamente, "La cosa giusta". Per chi? Ecco, su questo ci sarebbe da riflettere, ma senza farla tanto complicata, mi sembra chiaro che il partito unico non sia una prospettiva particolarmente allettante! La dittatura de "La Verità", propugnata indirettamente, inconsapevolmente, innocentemente, da quelli che "hanno capito" (qualsiasi cosa abbiano capito, e ovviamente dando per scontato ciò che scontato non è, ovvero che abbiano veramente capito!), è la morte della politica e della democrazia. Non a caso, "La Verità" è cugina de Lascienza, una nostra vecchia amica, e la consapevolezza che Lascienza rischi di essere usata come strumento di costrizione del dibattito politico, come denunciavo due anni fa, si sta diffondendo.

Ma "La Verità" non è un virus così contagioso: non basta esporsi ad essa per contrarre la malattia, anzi! Sarà perché in politica "La Verità" non esiste: esistono le verità dei singoli portatori di interessi, alcuni dei quali sono immunizzati dall'una o dall'altra verità con un vaccino potente: i soldi ricevuti per non capire certe cose, o per farne certe altre. Quindi la pedagogia non basta: non basta con gli avversari, e nemmeno con gli alleati, o presunti tali!

Naturalmente, anche qui c'è un corollario. L'idea che un partito funzionerebbe alla perfezione se fosse fatto solo da "Le persone giuste" urta contro un dato di natura: la politica si fa proprio perché non tutte le persone sono "giuste" (cioè non tutte sanno "La Verità"). Se la pensassimo tutti nello stesso modo, se avessimo tutti gli stessi interessi, se fossimo tutti collocati nello stesso segmento del processo di creazione del valore di un'economia capitalistica, il partito unico de "La Verità" esisterebbe già naturaliter. Non avremmo bisogno di dialogare, e per condurci verso il progresso basterebbe un simpatico computer: statistiche in input, politiche in output. L'unico problema sarebbe che negli altri segmenti dell'economia capitalistica non ci sarebbe nessuno! Potremmo essere tutti operai, o tutti manager: senza i manager, o senza gli operai, moriremmo presto di fame. Quindi, per fortuna, non funziona così.

Ora voi, e soprattutto quelli di voi con un passato di sinistra alle spalle, e quindi non ancora redenti (non lo sarete mai) da quella insopportabile spocchia di sinistra che ti porta a considerarti il sale della Terra, a presumere di essere una spanna sopra agli altri, vi starete chiedendo: ma perché oggi Alberto ci dice queste banalità?

Devo darvi una brutta notizia. Vi espongo questa teoria politica caricaturale, ingenua, e in fondo fascista, quella secondo cui i problemi si risolvono dicendo "La Verità" agli altri, che capendola diventano "Persone giuste" e si predispongono a fare la "Cosa giusta" nel PUV (Partito Unico della Verità), vi espongo questa teoria perché, che ve ne rendiate conto o meno, è quella abbracciata dalla maggioranza, o quanto meno da una minoranza sufficientemente (ma inutilmente) rumorosa di voi! Gli adepti del PUV fra voi pullulano, e bisognerà che dopo aver affrontato, per otto lunghi anni, alcune verità scientifiche (esempio: la differenza fra risparmio e investimento nazionale è contabilmente uguale al saldo della bilancia commerciale), ora veniate esposti ad alcune verità politiche. Ce ne sono tante, e non sono fatte tutte per piacervi, ma appunto, se tutto piacesse a tutti la politica non avrebbe luogo di esistere: io farei un altro mestiere (che ho già: il pedagogo, appunto), e voi sareste tutti prosperi e sereni.

Sposano, inconsapevolmente, questa distopica visione irenica della politica tutti quelli che "dovresti andare di più in televisione per spiegare come stanno le cose". Non funziona così! Voi potete anche pensare di aver capito (e magari avrete anche capito) per via razionale come stanno le cose, ma un apparato di propaganda che si basa su un secolo di elaborazione concettuale (a partire dalle conferenze di Ginevra e Bruxelles menzionate qui), che fa leva spregiudicatamente su paure ancestrali e su rappresentazioni archetipiche (gli inglesi che fanno scorta di cibo per paura della Brexit!), non si contrasta con un bel discorZetto del vostro caro leader (io!), fosse anche ogni sera, e fosse anche a reti unificate, e fosse anche senza contraddittorio. Combattere il fascismo col fascismo, peraltro, è una cosa molto di sinistra, come sviluppi recenti ci stanno dimostrando. L'idea di indottrinare le masse dicendo loro "La Verità" non è cugina: è sorella gemella dell'idea tanto diffusa a sinistra (da Luca Bizzarri in su) di negare il suffragio universale a chi "La Verità" non l'ha capita!

Quindi sì, io devo naturalmente andare nei media quando il mio partito me lo chiede, e ci vado essendo me stesso, visto che sono in un partito che me lo consente, ma chi si aspetta da questo una palingenesi democratica, chi si aspetta l'avvento del PUV, è, appunto, un adepto del PUV, cioè uno che non ha capito come funziona.

Ma sposano questa irenica e distopica visione anche quelli che "micuggino è tanto bravo, micuggino conosce questo e quello, andrebbe veramente coinvolto dal Partito unico della verità, ma purtroppo nella provincia tale il coordinatore non è una persona giusta, ma una persona sbagliata, quindi tu devi parlare con il tuo collega tale, o con il tuo capo politico, e dirgli di sostituire la persona sbagliata con una "Persona giusta" (cioè con una persona che sa "La Verità" e quindi farebbe la "Cosa giusta", cioè coinvolgere o mettere in lista micuggino), perché ciò è essenziale affinché "La Verità" si diffonda e la pace e la prosperità trionfino su questa Terra" (vi faccio grazia delle diverse varianti, tipo "nel territorio tale il partito sta coinvolgendo "le persone sbagliate" ma io conosco "le persone giuste" e quindi..."). Voi potete anche continuare a farmi questi discorsi, e io continuerò ad ascoltarvi con un sorriso, ma poi non stupitevi, e non congratulatevi con me, per la pazienza con cui ascolto il collega Misiani! Ci vuole molto meno pazienza per ascoltare certi avversari di quanta ce ne voglia per ascoltare certi alleati!

Chi fa discorsi di questo tipo dimostra solo di aver aver capito come non funziona. Non funziona così, e non solo perché "La Verità" come faro della prassi politica ti conduce sugli scogli quanto e più de "Leuropa" o de "Lascienza" (queste ultime essendo, di fatto, due declinazioni de "La Verità"), ma anche perché i partiti sono una cosa diversa, una macchina estremamente complessa, dove ognuno ha un ruolo, e se vuole sopravvivere ed essere utile alla causa deve rispettare quello degli altri. Io, ad esempio, sono un parlamentare candidatomi da indipendente. Voglio tesserarmi ma ancora non l'ho fatto (un po' per gli stessi motivi per cui ancora non mi sono sposato: ma a questo sto lavorando). Non ho incarichi di partito: non sono coordinatore né segretario di alcunché. Il mio lavoro politico si svolge nelle sedi parlamentari, ed è fatto del day by day della vita parlamentare (mandare avanti - o indietro! - i provvedimenti all'esame della mia Commissione, ad esempio) e dell'elaborazione di strategie politiche con i relativi provvedimenti normativi. Che nella Pastrufazia citeriore, o nella Cracozia superiore, il partito non sia tutto composto da "Persone giuste" (a insindacabile giudizio di quello che "ha capito" e quindi sa "La Verità") sinceramente, io ve lo dico, me ne frega anche poco, perché, lo ripeto, io so che per definizione non tutte le persone sono "giuste" (agli occhi del Signore, ma anche ai miei, e a quelli di chiunque altro): lo prova il fatto che la politica serve!

Ora, per carità, io non vorrei smontarvi troppo con questa orazion picciola. Ogni informazione è rilevante. Ma, appunto, penso sia rilevante anche per voi avere una piccola finestra su come personalmente concepisco la prassi politica. Qualcosa di più simile a un negoziato che a una crociata, e alla contestazione, anziché all'affermazione, di certezze radicali (come ho ricordato in aula a Giuseppi).

Sicuramente sbaglierò.

Ma intanto, chi mi faceva anni fa lezioni di politica è nella coda di moderazione dei commenti, e io fra un po' vado in ufficio, a palazzo Carpegna, a prepararmi per una settimana delicata (e anche per accogliere una vite di titanio nel complicato meccanismo della mia spoglia mortale). La bottom line quindi è sempre la solita: le persone si giudicano dai risultati, e i risultati richiedono tempo. Se è indispensabile essere animati da una tensione ideale e difendere le proprie convinzioni, lo è altrettanto riconoscere agli altri lo stesso diritto. Mi sono impegnato in questa battaglia quando non ero nessuno perché avevo in orrore il paternalismo fascista dei "padri fondatori", quello che descrissi nel mio primo intervento di rilievo (il teorema della piscina, per chi se lo ricorda). Voglio sperare che a destra si sia un pochino più raffinati che a sinistra, e ci si renda conto che il modo migliore per combattere un fascismo non è sostutuirlo con un altro, che sia quello ortottero dell'opinione, o quello de "La Verità", unico patrimonio di quelli che hanno capito (una sega).

E ora commentate, if you dare. Ho aspettato otto anni per restituirvi le vostre lezioni di politica, ma mi riconoscerete di essere stato onesto: vi ho computato scrupolosamente gli interessi...





(..."ma in Pastrufazia inferiore è veramente vero che micuggino non viene valorizzato..."...)

domenica 15 settembre 2019

Come (non) funziona - prima lezione

(...a Pontida non c'era nessuno, a parte quattro gatti che hanno vilipeso un passante. Se ve lo hanno detto, sarà sicuramente così: credeteci! Come sapete io non desidero convincere nessuno, soprattutto quando quello che vedo, o ho visto, appare radicalmente contrario al mainstream! A me basta di sapere quello che so, e di affermarlo con quella autorevolezza che "mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta" [oltre che da qualche decina di pubblicazioni scientifiche sui temi di cui parlo], fedele al patto coi miei lettori, la cui garanzia più efficace dovrebbe proprio essere il fatto che non ho mai cercato il loro consenso, né come lettori, né, tanto meno, come elettori. Sai quei blog dove quando arrivi l'autore "Trovo interessantissima questa tua osservazione... Grazie per il contributo... Torni a trovarci...". Ecco, qui non è mai andata, né mai andrà così. Esattamente come i grandi amori di Flaiano, che si annunciano in un modo preciso "appena la vedi dici: chi è questa stronza?", qui, su questo blog, le amicizie più salde e i rapporti più fecondi, quasi tutti, si sono annunciati in un modo preciso: appena leggevo il vostro primo commento pensavo: chi è questo cojone?, e glielo esternavo subito, possibilmente senza il dovuto garbo. Quelli che hanno superato la risacca ora navigano in mare aperto, di chi si è spiaggiato, anni dopo, non resta traccia, ma la comunità cresce, e incide nel dibattito sempre di più, per mille nascosti rivoli, carsicamente [per usare un aggettivo caro a uno di voi, uno dei più importanti per noi... lui sa chi è...]. Io non credo che "il coraggio intellettuale delle verità e la pratica politica [siano] due cose inconciliabili in Italia". Non è questa la mia esperienza. Ma dobbiamo intenderci, con buona pace del defunto Pier Paolo [io ricordo il giorno che lo trovarono, un suo amico era a casa nostra, capii molte cose su cui non mi soffermo...], dobbiamo intenderci su cosa sia la pratica politica. Come sempre, se un esempio vale più di mille parole, un controesempio vale più di un milione di parole. Enjoy!...)




Era di maggio, e la mia attività politica mi portava in una di quelle cittadine di provincia che tanto amo, dove le persone ancora sanno il sapore delle cose, dove la vita si snoda con ritmi più confacenti alla dignità della persona umana, perché non si è perennemente incalzati dalla fretta che l'onestade ad ogn'atto dismaga: le donne sono curate, gli uomini eleganti, le strade pulite, i negozi accoglienti. Per sostenere un nostro candidato ero stato invitato in un comitato elettorale, una sala da una cinquantina di persone in una piazza storica del centro. Giunto il momento di parlare (ricordo che si era a pochissimi giorni dal voto delle europee, che infiniti lutti addusse ai gatekeeper), parlai, dicendo non so bene che cosa, perché in dieci anni di dibattito non mi sono mai scritto un discorso, e non credo di aver mai ripetuto la stessa cosa. Suppongo che il mio ruolo, in quel contesto, fosse di richiamare l'importanza del voto europeo, perché chiunque fosse stato il sindaco, dopo il voto di maggio, si sarebbe trovato l'Europa, se non di traverso, almeno in mezzo in una sterminata serie di questioni, e quindi sarebbe stato il caso di sostenere l'unico partito che dava qualche ragionevole speranza (poi mantenuta, almeno finora) di abbandonare la linea della subalternità e dell'assenza di interesse verso quello che a Bruxelles preparavano per noi.

Fra il pubblico riconoscevo qualche volto noto, magari visto a qualche goofy, o in giro per l'Italia prima dell'inizio della mia militanza politica. A un certo punto, uno di questi amici mi interrompe dicendo: "Però noi militanti abbiamo un problema, perché la linea del partito su certi temi non è più esplicita, noi siamo confusi." C'è gente che il Vangelo non l'ha letto, o magari, se l'ha letto, non l'ha capito (e se l'ha capito non lo pratica). Ecce ego mitto vos sicut oves in medio luporum (Mt 10,16): chi non sa il latino forse, dopo aver constatato che il nostro premier era del PD (e noi lo sapevamo) magari capirà intuitivamente questa frase!

Per venire incontro alla "confusione" del militante "antemarcia", di uno di quelli che, come me, non avrebbero mai pensato di votare Lega, raddoppio di supercazzola e tiro di lungo fino all'applauso finale.

Poi mi ritiro nel retro del comitato per parlare coi candidati e con qualche simpatizzante.

Puntuale come una cambiale, preannunciato da quel sottile senso di inquietudine che pervade ognuno di noi quando avverte di essere fissato, e non da uno sguardo qualsiasi: da uno sguardo animato dalla volizione sottilmente isterica dell'uomo che sa, dallo sguardo penetrante di chi è corazzato di certezze, ecco che arriva l'amico. Degna persona, per carità, e a me simpatico come tutti quelli che provengono dalla mia terra materna, nonostante non godano universalmente di un'ottima reputazione, a causa del loro passato di gabellieri. Allora, un po' titubante, ma visibilmente deciso a vincere le proprie ritrosie, e a infrangere il muro del terrore che prudentemente cerco di incutere, mi si accosta, partendo, come di consueto, col piede sbagliato:

"Scusi se sono intervenuto, ma sa, noi abbiamo capito, però voi dovreste andare in televisione più spesso, perché c'è tanta gente che non ha ancora capito, e noi siamo preoccupati per i nostri nipoti..."

Io: "Lei è zio?"

Lui: "No, nonno!"

Io: "Ah, complimenti, li porta bene. Quindi, mi faccia capire: lei si è accoppiato, ha avuto un figlio, che si è accoppiato e ha avuto a sua volta un figlio?"

Lui: "Sì, certo."

Vorrei che immaginaste bene la scena, prima di andare avanti. Un grappolo di signore bene, fra cui la candidata, eleganti, distinte, interrotte dall'intervento dell'adepto, rivolgeva al nostro dialogo un'attenzione silenziosa, e io, con un tono assolutamente gelido, cattedratico, asettico:

"Bene. Ma... risaliamo questa catena di accoppiamenti. Vede, vorrei capire, visto che lei parlava di essere espliciti. Quando lei ha incontrato la nonna di suo nipote, cioè la madre di suo figlio, si ricorda com'è andata esattamente? Immagino che lei l'abbia vista, e le abbia detto una cosa del tipo: 'Ma lo sai che hai un bel culo? Mi ti vorrei proprio scopare!'"

Colte di sorpresa dal contrasto fra il tono dottorale, e il contenuto boccaccesco (d'altra parte, visto che a me non serve più, posso spiegarvi un segreto: come tutti i nemici, anche le donne vanno prese di sorpresa...), le signore eleganti, distinte, curate, non poterono fare a meno di prorompere in una risata, acuita dall'imbarazzo del malcapitato, e smorzata a fatica dalla consapevolezza che l'essere eleganti, distinte, e curate, in linea di principio avrebbe loro precluso il ridere di una battuta un po' troppo esplicita (sulla quale, non dubitiamo, qualche verme farà il consueto titolo a otto colonne - fino a quando non gli arriverà un conto a quattro zeri...).

Confuso dalla ferocia e dal successo del mio attacco, l'amico balbettò un: "Bè, no, non è andata proprio così...", alzandomi la palla per la schiacciata finale, pronunciata col più insopportabile dei miei toni saccenti:

"Bene, caro, allora vedi che quando hai un interesse serio verso qualcosa la politica la sai fare anche tu? Quello che mi interessa lo sai e mi hai votato perché interessa anche a te. Ora lasciami fare politica come anche tu sai farla."



(...non credo che ci sia bisogno di aggiungere altro, o meglio: non lo avrei creduto all'inizio di questo blog, quando venivate tutti a farmi lezione di politica, e quindi io credevo che voi sapeste che cosa fosse, mentre a me non interessava, né interessava saperlo. La verità è che, come sempre, e tanto più nei commenti di un blog, chi sa fa e chi non sa insegna! Quanti casi di illustri commentatori stiamo vedendo in questi giorni sotto le macerie del muro del buonsenso! Allora, forse, vale la pena di commentare, partendo proprio dalla fine dell'aneddoto. Il patto che qui ci lega ha una natura molto peculiare, anche perché è stato stretto nel contesto di un esperimento unico al mondo come questo blog, il cui criterio metodologico è stato quello di sfidare il lettore, non di blandirlo, di respingerlo, non di attirarlo, di ostacolarlo, non di facilitarlo, per motivi che non dovrebbero poi essere così difficili da capire. Ma la dimensione social, inevitabilmente, crea qualche equivoco. Voi sentite di avere un rapporto diretto con me, come io sento di averlo con voi, e il nostro contatto quotidiano, prima soprattutto qui, e oggi soprattutto su Twitter, favorisce la (vostra) sensazione di potermi chiamare a illustrare e di dover rispondere di ogni singola mia scelta tattica, in nome dell'ammmmmmmmmmmore che voi provate per me, ammmmmmmmmmmmmore che, come quello dei fan di una qualsiasi star cinematografica, è soprattutto smodata brama di possesso.

Ora, ci sono alcune precisazioni che andrebbero fatte, partendo dal personale, e andando verso il politico. Intanto, io non sono vostro, e fra l'altro se mi ammmmmmmmmmmate così tanto è proprio perché ho voluto essere mio: ho urlato il mio grido di dolore in quella che ritenevo fosse una Tebaide, e si è rivelata una piazza affollata, ma ho gridato per liberare me, non per compiacere voi, e resto padrone di me, e non sarò mai proprietà vostra. Poi, perdonatemi se ve lo faccio notare, ove mai sfuggisse il dettaglio, ma stiamo lottando per liberare il nostro Paese, stiamo combattendo, e un generale non deve essere amato dai suoi soldati, né deve ogni sera dar loro il bacino della buona notte. Fuor di metafora, la politica non funziona come vorrebbero i nemici della politica: "Siamo sempre tutti in rete e ogni giorno ascoltiamo chiunque per poi decidere con la nostra testa e votare la linea cui il nostro politico, che è un portavoce, un terminale passivo la cui elaborazione non conta un cazzo, deve attenersi perché deve fare come diciamo noi". No, così funziona l'antipolitica. La politica funziona in un modo diverso. Io, noi, abbiamo condiviso con voi i nostri ideali, e voi ci avete votato perché combattessimo per essi. Noi non dobbiamo ogni giorno mandarvi un sms di bacetti, o una foto di gattini, per rassicurarvi sul fatto che non stiamo tradendo la vostra fiducia, perché, vedete, cari, permettetemi di farvelo notare con delicatezza: di tradire voi, in astratto, potrebbe anche fregarmene zero, ma non potrei mai tradire me stesso, e quelli che stanno qui si dividono in due: chi l'ha capito, e non ha bisogno che glielo spieghi, e chi non potrebbe capirlo, per cui è inutile che glielo spieghi. E allora, le cose funzionano così: voi ci avete dato la vostra fiducia, noi dobbiamo scegliere a seconda del campo in cui la battaglia si combatte la tattica più corretta per portare a casa qualche risultato, [o almeno, se il premier è del PD, per limitare lo sconfitte]. Poi voi deciderete se toglierci la fiducia che ci avete dato, quando, molto presto, si tornerà a votare. Ma l'idea che la community sia fatta di decine di migliaia di Ramfis ognuno intitolato a emettere il suo "Radames discolpati!" quotidiano perché Molinari ha detto così, perché Giorgetti ha fatto colà, perché Salvini ha detto questo, o perché tu non ha più detto quello, ecco, questa idea è sinceramente molto più vicina al fascismo dell'opinione dei nostri amici ortotteri, che a un corretto metodo politico.

Vorrei che vi rendeste conto che i corpi intermedi esistono e servono a qualcosa. Non pretendo che siano un black box sottratto al vostro controllo e su cui non possiate esprimervi. Ma se in termini di informazione la disintermediazione è effettivamente un'alternativa, l'unica alternativa, alla barbarie dei media, in termini politici la disintermediazione è stata predicata e malamente praticata da chi poi, all'atto pratico, si è rivelato prono alle più retrive logiche della politica di altri tempi, e questo qualcosa lo vorrà pur dire!

Vorrei che applicaste a me, a noi, il principio metodologico che vi ho sempre esortato ad adottare, a partire dalle stucchevoli discussioni su "ma Prodi era in buona fede?" La mia risposta è sempre stata "e chi se ne importa! Un politico si giudica dai risultati." E i risultati, aggiungo, prendono tempo, e vanno valutati in un contesto complessivo. Di imbecilli fanatici della purezza etnica disposti a intavolare discussioni di ore per una parola decontestualizzata ne ho avuti abbastanza a sinistra e non ne tollererò a destra. Fra l'altro, questo metodo è il metodo del nemico, cioè della stampa, e quindi chi lo usa non può aspirare ad essere considerato amico. Semplicemente, viene bloccato. I contributi che non mi interessano non trovo interessante leggerli e non trovo utile vedermeli sottoposti. Che cosa vogliamo (la libertà) è chiaro a tutti. Ora non è più il momento di ragionarci sopra. Noi stiamo combattendo e lo faremo a modo nostro con o senza il vostro sostegno. Quanto essere espliciti o prudenti, quanto apparire o non apparire sui media, e così via, lo decidiamo noi, perché al fronte ci siamo noi, dove ci avete mandato voi, che non siete lì con noi - perché i social, al più, sono comodo retrovie... Ricordatevi di dove eravamo, di dov'era il dbattito, nove anni fa, ora che ogni giorno sui giornali internazionali leggete cose che qui avete letto cinque o sei anni fa. Il premier uno e bino non ha capito, come gli ho detto in aula, che avere a disposizione economisti che le cose le vedono prima poteva essere un vantaggio. Se voi siete qui così numerosi, è perché lo avete capito. Quindi: restate saldi, e ricordatevi, anche a vostro uso personale, come (non) funziona la politica! Se non altro, vi sarà utile ad avere dei nipoti...)

venerdì 13 settembre 2019

A futura memoria

Rispondono sì i senatori: Abate, Accoto, Agostinelli, Airola, Alfieri, Anastasi, Angrisani, Astorre, Auddino, Bellanova, Bini, Biti, Boldrini, Bonifazi, Bottici, Botto, Bressa, Buccarella, Campagna, Cario, Casini, Castaldi, Castellone, Castiello, Catalfo, Cattaneo, Cerno, Cioffi, Cirinnà, Collina, Coltorti, Comincini, Corbetta, Corrado, Crimi, Croatti, Crucioli, Cucca, D'Alfonso, D'Angelo, D'Arienzo, De Falco, De Lucia, De Petris, Dell'Olio, Dessì, Di Girolamo, Di Marzio, Di Micco, Di Nicola, Di Piazza, Donno, Drago, Endrizzi, Errani, Evangelista, Faraone, Fattori, Fede, Fedeli, Fenu, Ferrara, Ferrari, Ferrazzi, Floridia, Gallicchio, Garavini, Garruti, Gaudiano, Giacobbe, Giannuzzi, Giarrusso, Ginetti, Girotto, Granato, Grassi, Grasso, Grimani, Guidolin, Iori, L'Abbate, La Mura, Laforgia, Lanièce, Lannutti, Lanzi, Laus, Leone, Lezzi, Licheri, Lomuti, Lorefice, Lucidi, Lupo, Magorno, Maiorino, Malpezzi, Manca, Mantero, Mantovani, Marcucci, Margiotta, Marilotti, Marinello, Marino, Matrisciano, Mautone, Merlo, Messina Assuntela, Mininno, Mirabelli, Misiani, Mollame, Montevecchi, Monti, Moronese, Morra, Nannicini, Naturale, Nencini, Nocerino, Nugnes, Ortis, Ortolani, Pacifico, Parente, Parrini, Patuanelli, Pavanelli, Pellegrini Marco, Perilli, Pesco, Petrocelli, Piarulli, Pinotti, Pirro, Pisani Giuseppe, Pittella, Presutto, Puglia, Quarto, Rampi, Renzi, Riccardi, Ricciardi, Romagnoli, Romano, Rossomando, Russo, Santangelo, Santillo, Sbrollini, Segre, Sileri, Stefano, Sudano, Taricco, Taverna, Toninelli, Trentacoste, Turco, Urraro, Vaccaro, Valente, Vanin, Vattuone, Verducci, Vono, Zanda.

Rispondono no i senatori: Aimi, Alderisi, Arrigoni, Augussori, Bagnai, Balboni, Barachini, Barbaro, Barboni, Battistoni, Berardi, Bergesio, Bernini, Bertacco, Biasotti, Binetti, Bongiorno, Bonino, Borghesi, Borgonzoni, Bossi Simone, Briziarelli, Bruzzone, Calandrini, Calderoli, Caliendo, Caligiuri, Campari, Candiani, Candura, Cangini, Cantù, Carbone, Casolati, Causin, Centinaio, Cesaro, Ciriani, Corti, Craxi, Dal Mas, Damiani, De Bertoldi, De Poli, De Siano, De Vecchis, Faggi, Fantetti, Fazzolari, Fazzone, Ferrero, Ferro, Floris, Fregolent, Fusco, Galliani, Gallone, Garnero Santanchè, Gasparri, Ghedini, Giro, Iannone, Iwobi La Pietra, La Russa, Lonardo, Lunesu, Maffoni, Malan, Mallegni, Mangialavori, Marin, Martelli, Marti, Masini, Messina Alfredo, Minuto, Moles, Montani, Nastri, Nisini, Ostellari, Pagano, Papatheu, Paroli, Pazzaglini, Pellegrini Emanuele, Pepe, Pergreffi, Perosino, Petrenga, Pianasso, Pichetto Fratin, Pillon, Pirovano, Pisani Pietro, Pittoni, Pizzol, Pucciarelli, Quagliariello, Rauti, Ripamonti, Rivolta, Rizzotti, Romani, Romeo, Ronzulli, Rossi, Rufa, Ruspandini, Saccone, Salvini, Saponara, Saviane, Sbrana, Schifani, Sciascia, Serafini, Siclari, Siri, Stefani, Tesei, Testor, Tiraboschi, Toffanin, Tosato, Totaro, Urso, Vallardi, Vescovi, Vitali, Zaffini, Zuliani.

Si astengono i senatori: Durnwalder, Paragone, Richetti, Steger, Unterberger.

Senatori presenti 308
Senatori votanti 307
Maggioranza 152
Favorevoli 169
Contrari 133
Astenuti 5


(...qui...)

(...lo stravagante connubio fra un nobile progetto, svilito da alcune vicende indegne, e un progetto inquietante, nobilitato da tante degne persone...)

(...calma...)

giovedì 5 settembre 2019

Cronaca di una crisi annunciata


Pur essendo il primo partito della coalizione uscita vincente dalle elezioni politiche del 4 marzo 2018, la Lega non ha ricevuto l'incarico di tentare di formare un Governo. Questo diniego, indipendentemente dalle sue motivazioni e dal loro fondamento, ha dato luogo alla crisi più lunga nella storia della Repubblica: 88 giorni. Durante tutta questa crisi la Lega ha mantenuto un profilo costruttivo e leale, rinunciando a propri candidati alla presidenza delle Camere e attendendo un via libera dagli alleati di coalizione prima di intavolare discussioni con il M5S, uscito come maggiore singolo partito dalle elezioni. Queste discussioni hanno riguardato contenuti programmatici, non nomi, e sono durate quasi un mese, approdando a un documento formale, il Contratto per il Governo del cambiamento, sottoposto all'approvazione delle rispettive basi elettorali.

È stato accettato un Presidente del Consiglio, presentatosi come "avvocato difensore del popolo italiano", che avrebbe dovuto essere di garanzia e mediazione fra i due partiti della maggioranza (e che certamente offriva sufficienti garanzie all'establishment), ed è stata inoltre recepita la raccomandazione del Presidente della Repubblica di avere un Ministro dell'economia che non desse "un messaggio immediato di allarme per gli operatori economici e finanziari". Pertanto il Ministro dell'Economia e delle Finanze che, stando agli accordi avrebbe dovuto essere proposto dalla Lega, è finito per essere un "tecnico" senza mandato elettorale. Credo di essere l'unico parlamentare che lo conoscesse.

Va osservato che nel suo intervento del 27 maggio il Presidente della Repubblica dichiarava di aver nutrito "perplessità sulla circostanza che un governo politico fosse guidato da un presidente non eletto in Parlamento" e di averle poi superate. Si parva licet, perplessità simili potevano essere nutrite anche per un ministro di peso come quello dell'Economia e delle Finanze. Come argomenterò qui di seguito, con alcuni esempi (del contrario, purtroppo!), la natura "tecnica" e non "politica" del ministro Tria avrebbe raccomandato uno sforzo aggiuntivo di coordinamento e condivisione con la parte politica, per verificare che vi fosse sintonia nell'attuazione delle linee programmatiche.

D'altra parte, le evidenti contraddizioni di questa ibridazione "tecno-politica" erano state sottolineate fin da subito anche dalla stampa più allineata. Il problema, tuttavia, era più grave di come veniva rappresentato, ed è lì che vanno ricercate le cause profonde della crisi. Per consentirvi di apprezzarle meglio, di capire quali margini di manovra avessimo, interrompo brevemente la mia cronologia per attirare la vostra attenzione su due elementi.

Il primo è dato dalle conseguenze dell'accorpamento dei quattro ministeri economici (Finanze, Tesoro, Bilancio e programmazione economica, Partecipazioni statali), avvenuto in tre passi successivi nel corso degli anni '90 e culminato con il D. Lgs. 30 luglio 1999 sulla riforma del Governo. Il nobile intento suppongo fosse quello di risparmiare ed "efficientare". Il risultato è stato una compressione della politica. Dove prima avevamo quattro ministri, dotati di un mandato politico e soggetti a responsabilità politica (ovvero: se qualcosa non va, il Parlamento ti toglie la fiducia e te ne vai...), dopo abbiamo avuto tre funzionari a capo di tre ministeri formalmente declassati a "dipartimenti" (Tesoro, Finanze, Ragioneria dello Stato - corrispondente al vecchio ministero del bilancio), responsabili, in quanto funzionari, solo verso il loro superiore (il ministro del Tesoro) e non soggetti a responsabilità politica (ovvero: se qualcosa non va, resti comunque lì finché non scade il contratto, ferma restando la possibilità, se si insedia un nuovo Governo, di esercitare lo spoils system nei limiti della L. 15 luglio 2002, n. 145 sul riordino della dirigenza statale).

Il secondo elemento è la struttura del negoziato in Europa. I non addetti ai lavori possono pensare che questo venga condotto dal Ministro per gli affari europei. Le cose però non stanno così. Il Ministro per gli affari europei è un ministro senza portafoglio a capo del Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei Ministri, un "ministero" che ha funzioni di monitoraggio (ad esempio, segue e trasmette agli organi parlamentari competenti le direttive e i regolamenti prodotti dall'Unione), di coordinamento (ad esempio, coordina nelle varie sedi parlamentari il recepimento delle direttive europee), e soprattutto di gestione del contenzioso (cioè segue le famose procedure di infrazione), ma non entra strettamente nel merito dei vari negoziati, salvo, marginalmente, in quelli aventi per oggetto le politiche del mercato interno. Tutta la "ciccia" del negoziato sui temi veramente rilevanti (in particolare, sull'Unione bancaria), resta di competenza del MEF.

Sintesi: con l'Unione Europea, che è un'espressione economica, negozia il Ministero dell'economia e delle finanze. In quali sedi? In teoria, in una sede formale, il Consiglio dell'Unione Europea, che in ambito economico si chiama Ecofin, e al quale partecipano i ministri competenti, quelli dell'economia. "Quindi - direte voi - su temi rilevanti come l'Unione bancaria o la riforma del Meccanismo europeo di stabilità (MES) il Governo del cambiamento si affidava a un tecnico, il ministro Tria?"

Ecco, le cose stanno peggio di così, per due motivi, uno dei quali vi è già noto: il vero negoziato avviene in una sede informale, l'Eurogruppo, con i problemi evidenziati qui (e in italiano qui). Voi direte: ma che ce ne frega se la sede è formale o informale, questi sono dettagli! Santa ingenuità! Immaginate di essere un parlamentare che sostiene un "governo politico con un ministro tecnico" (parafrasando il Capo dello Stato). Come fate, da parlamentari, a verificare che questo tecnico sia fedele al suo mandato politico se le decisioni vengono prese in riunioni in cui non c'è verbale - per cui non si sa chi ha detto cosa - e non ci sono votazioni formali - per cui non si sa chi è stato favorevole o contrario a cosa?

Di fatto, l'Ecofin ratifica le decisioni prese nell'Eurogruppo, che, a loro volta, sono la sintesi dei lavori preparatori condotti nell'Eurogroup working group. Insomma, il lavoro vero, quello sulla zona euro, e più in generale sugli assetti economico-finanziari dell'Unione, si fa nel "gruppo di lavoro sull'Eurogruppo": mi sembra perfettamente logico! Ma c'è un problema: a questo gruppo di lavoro pressoché sconosciuto, che poi è quello che prende le decisioni vere, che definisce i contenuti tecnici degli accordi, chi ci va? Il ministro? No. Il direttore del Dipartimento del Tesoro (un funzionario).

Sintesi delle sintesi, prima di riprendere la cronaca della crisi: per il Governo del cambiamento le decisioni importanti in Europa venivano prese da un funzionario che rispondeva solo a un tecnico. Notate che questo non è un giudizio sulle persone. C'è però un enorme problema di metodo, che, peraltro, anche il Capo dello Stato aveva messo in evidenza, come vi ho sottolineato sopra: in caso di coesistenza di una parte politica e di una parte tecnica, la parte politica ha tutto il diritto di accertarsi che la parte tecnica e quella burocratica siano fedeli all'indirizzo politico che la parte politica esprime in virtù di un mandato ricevuto dal popolo sovrano.

In parole povere: in un ibrido tecno-politico bisognerebbe parlarsi di più, non di meno, e io so di aver dato il buon esempio. Di converso, in un simile contesto ibrido il buon senso dovrebbe suggerire che il ragionamento "queste decisioni incombono al ministro quindi faccio come mi pare", quand'anche sia formalmente corretto, è politicamente scorretto.

Riprendiamo la cronologia...

Tanto perché il buon giorno si vedesse dal mattino, a luglio venivano riconfermati a capo dei dipartimenti economici tre funzionari espressione di una passata stagione politica. Il ministro decideva quindi di non applicare lo spoils system, decisione che può anche avere avuto ottimi motivi (anche la continuità ha i suoi pregi...), ma che non mi risulta venisse particolarmente condivisa con la parte politica (per quel che mi riguarda, è una delle tante cose che ho appreso dai giornali, dopo che per un certo periodo di tempo fonti dei nostri alleati mi avevano indicato che sarebbe stata presa un'altra strada). Certamente non venne condivisa con nessuno, causando qualche problema politico e diplomatico, la successiva decisione del ministro di nominare Domenico Fanizza rappresentante dell'Italia presso il Fondo Monetario Internazionale. Nel breve giro di due mesi si insediavano in importanti sedi negoziali funzionari scelti da un tecnico con condivisione scarsa o nulla con la parte politica, che non aveva potuto in alcun modo verificare la loro consonanza con la rinnovata sensibilità per l'interesse nazionale espressa dal nuovo Parlamento (o almeno dal 17% di esso).


Non stupisce quindi che con l'entrata in vigore della nuova legge di bilancio si evidenziassero tensioni con il Ministro dell'Economia, il quale sembrava restio a seguire il mandato delle forze di maggioranza (ad es. sui risarcimenti ai truffati delle banche, impegno comune dei due leader politici).

In questo contesto in cui la Lega, ma più in generale la maggioranza, non trovava una collaborazione sufficientemente elastica nell'attuazione della propria agenda economica (per motivi magari anche validi, ma che si sarebbero dovuti condividere), i media, in seguito ai diversi successi nelle elezioni regionali, chiedevano ripetutamente a Matteo Salvini quando avrebbe pensato di "staccare la spina" al Governo per tornare ad elezioni, allo scopo di ottenere una maggioranza più omogenea. Salvini ha sempre risposto in modo pacato e costruttivo, negando di voler capitalizzare opportunisticamente il proprio consenso.

I toni sono degenerati rapidamente con l'inizio della campagna elettorale per le elezioni europee. In un momento in cui il nostro principale avversario, il Partito Democratico, si trovava in oggettiva difficoltà a causa di uno scandalo rilevantissimo, quello sulla gestione della sanità in Umbria (l'altro scandalo devastante, quello sulle ingerenze nel Consiglio Superiore della Magistratura, sarebbe esploso subito dopo le elezioni), e in cui, a prescindere da queste considerazioni tattiche, si sarebbe dovuto parlare di Europa, il nostro alleato giocava tutta la sua campagna elettorale su un violento attacco denigratorio alla Lega e a Salvini, culminato in quella che personalmente percepii (e non fui il solo) come una indiscriminata dichiarazione di guerra. Salvini evitava di rispondere agli attacchi, evidenziando solo come in alcuni Ministeri in quota M5S vi fossero atteggiamenti ostruzionistici rispetto a politiche concordate nel contratto di governo.

Tuttavia, all'interno dei gruppi parlamentari cresceva la preoccupazione verso certi atteggiamenti, e in particolare verso i riferimenti al lavoro dei magistrati. Questo lavoro, che andrebbe rispettato in primo luogo non strumentalizzandolo, veniva invece invocato esplicitamente come strumento per arginare una crescente perdita di consensi ("votateci perché gli altri non sono onestih..."). Diventava difficile credere che "dopo" sarebbe stato possibile ricominciare a collaborare, indipendentemente dai risultati delle elezioni: se queste fossero state un successo per la Lega, come i sondaggi indicavano, l'azione politica dei nostri alleati sarebbe stata volta a creare problemi a noi (magari per interposta magistratura), più che a risolvere i problemi del Paese...

Le elezioni confermarono i sondaggi portando a un successo della Lega e una sconfitta della linea dell'alleato. Si determinava così una situazione, ampiamente discussa nel diritto costituzionale, in cui, in un contesto di democrazia rappresentativa, il Parlamento si trovava a non rappresentare più gli orientamenti politici del corpo elettorale. La situazione era incresciosa anche per un altro motivo. A detta di autorevoli commentatori, il Presidente del Consiglio aveva deciso, verso la fine della campagna elettorale, di deporre la sua terzietà, salendo sul carro dei futuri perdenti (dal quale forse non era mai sceso), e questo oggettivamente rendeva difficile ricomporre le fratture che parole avventate avevano creato.

Tuttavia Salvini decideva di mantenere fedeltà all'alleato, nella speranza di ricucire gli strappi, nel frattempo incontrava tutte le parti sociali, trovandole unanimi nel richiedere un importante taglio delle tasse per lavoratori e produttori.

Diventava così chiaro a tutti che per danneggiare politicamente Salvini, impedendogli di consolidare il suo consenso, si sarebbero dovuti frapporre ostacoli alla riforma fiscale, invocando in primo luogo il rispetto letterale dei vincoli europei. Nel frattempo, in coerenza con la linea euroscettica, e in dissenso verso il "cordone sanitario" al Parlamento Europeo la Lega non votava la candidata presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, espressione dell'accordo Merkel/Macron. I voti del M5S di rivelavano quindi decisivi a darle la fiducia, quando la Commissione avrebbe potuto subire una immediata e dura battuta d'arresto, che avrebbe potuto indurre un ripensamento serio di un certo approccio, più di tante dichiarazioni su eventuali pugni da sbattere su un tavolo.. che non c'è!

Nel frattempo Salvini aumentava la pressione sui tecnici del Governo per ottenere una legge di bilancio espansiva per il 2020 con tanti investimenti e un corposo taglio di tasse, mentre al Presidente del Consiglio e al Ministro dell'Economia veniva dato più volte esplicito mandato formale per bloccare in Unione Europea qualunque riforma del MES che potesse danneggiare l'Italia (ricordiamo che, già all'epoca del governo Monti, l'Italia aveva dovuto sborsare oltre 50 miliardi per questo fondo europeo). In particolare, con la risoluzione del 19 giugno 2019 il Presidente del Consiglio aveva preso l'impegno, poi non onorato, a "render note alle Camere le proposte di modifica al trattato ESM, elaborate in sede europea, al fine di consentire al Parlamento di esprimersi con un atto di indirizzo e, conseguentemente, a sospendere ogni determinazione definitiva finché il Parlamento non si sia pronunciato". Più in generale la Lega, sulla base della accresciuta responsabilità derivante dal 34% ottenuto alle europee, sollecitava ripetutamente Presidente del Consiglio e Ministro dell'Economia a condividere e concordare la strategia negoziale in UE e ad mostrare la volontà di impostare una legge di bilancio espansiva e coraggiosa. Nonostante i solleciti, il Presidente del Consiglio chiedeva di non disturbare le trattative e poi sottoscriveva, insieme con il Ministro dell'Economia un impegno con la UE a rinnovata austerità fatta di tagli e riduzione deficit. Parallelamente il Ministro dell'Economia non solo in intervista negava la possibilità a realizzare flat tax, minibot e deficit espansivo, ma nemmeno aggiornava il Parlamento sugli impegni assunti con l'Unione Europea. Il presidente della Commissione Bilancio della Camera e poi lo stesso Salvini criticavano il Ministro dell'Economia per l'opacità delle trattative in Europa e per la resistenza alle necessarie politiche di bilancio espansive, cercando il supporto dell'alleato, che invece chiedeva le coperture per la flat tax e dichiarava incondizionata fiducia nel Presidente del Consiglio e nel Ministro dell'Economia.

Si arriva dunque alla crisi, dovuta, come dovrebbe essere ormai chiaro, all'arresto della spinta propulsiva, e anzi alle varie retromarce del Governo soprattutto in tema economico, retromarce che in sede di legge di bilancio avrebbero comunque portato a una rottura, o si sarebbero risolte in un tradimento del patto fra la Lega e i suoi elettori.

Il 20 agosto il Presidente del Consiglio dichiara al Senato di dimettersi, rivolgendo a Salvini così tante accuse da chiedersi perché fino ad alcuni giorni prima avesse avallato tutte le proposte del Ministro dell'Interno. Il Presidente della Commissione Finanze del Senato in quelle circostanze sottolineava al Presidente del Consiglio la mancata trasparenza sul negoziato della riforma Meccanismo Europeo di Stabilità. Vista l'espressione della volontà di dimettersi del Presidente del Consiglio, la Lega ritirava la mozione di sfiducia nei suoi confronti, in quanto non più necessaria.

Il resto è storia recentissima: in due sole settimane, i tanto reciprocamente vituperati M5S e PD hanno trovato un accordo su un nuovo Governo che mantiene lo stesso Presidente del Consiglio ma con una diversa maggioranza (caso limite, nell'Italia repubblicana), senza produrre un chiaro e definito equivalente del contratto di Governo 2018, ma solo una ventina di generici punti formulati dai vertici del M5S e sottoposti al PD. Un Governo che si basa su un unico reale punto programmatico forte: impedire al partito di maggioranza relativa di governare il Paese, e, in particolare, blindare con una maggioranza parlamentare "progressista" l'elezione del prossimo Presidente della Repubblica, in un Paese che, in tutta evidenza, sta esprimendo un orientamento politico conservatore.

Simili atteggiamenti sono espressione di un teppismo istituzionale che indebolisce importanti organi costituzionali dello Stato. Può benissimo darsi che nei prossimi tre anni l'attuale maggioranza riesca a far piacere agli italiani le politiche che finora non sono piaciute loro, a partire dall'eccessiva subalternità alle logiche europee. Purtroppo queste politiche non piacciono perché sono sbagliate, e nulla lascia presagire che perseverando nell'errore si ottengano risultati positivi. Mi è quindi difficile immaginare fra tre anni un'Italia tutta "bella ciao" e aumenti di imposte (ecologiche, naturalmente!), insomma, un'Italia maggioritariamente e convintamente progressista. Se invece diventasse prevalente l'orientamento politico favorevole alla Lega, la maggioranza degli italiani a quel punto saprebbe che nella partita delle istituzioni l'arbitro parteggia per una squadra: quella che ha perso la partita elettorale, ma vuole a tutti i costi vincere la partita del potere. Insomma: la figura del prossimo Presidente della Repubblica ne uscirebbe gravemente indebolita, con seri danni per tutti.

La politica si svolge nel tempo storico e gli scenari controfattuali (cosa sarebbe successo se...) lasciano il tempo che trovano, in virtù del noto principio secondo cui la storia non si fa coi se. Tuttavia, dal racconto qui svolto, e dai fatti che ho citato, emergono alcuni dati: la volontà di danneggiare Salvini ha spinto la componente "tecnica" del Governo (il cosiddetto "terzo partito") a cercare sponda in Bruxelles per una finanziaria che impedisse a Salvini di mantenere le sue promesse, anche a costo di rovinare il Paese; nelle partite relative alle nomine la componente "tecnica" si è mossa in totale autonomia, e tutto lascia supporre che avrebbe continuato a farlo, dato lo stato di litigiosità della parte politica; più in generale, le dinamiche politiche interne alla maggioranza avevano tolto alla Lega, forza critica e di rottura verso certi assetti costituiti, il necessario sostegno del movimento da molti ritenuto "antisistema" (ma che forse, se dobbiamo giudicare dai risultati, e fatto salvo il travaglio individuale dei tanti colleghi che conosco e apprezzo, oggettivamente non è poi stato così "anti"...).

Fra i due litiganti, il terzo partito stava già godendo e avrebbe continuato a godere, e gli italiani a soffrire. Fare chiarezza è stato un passo rischioso ma necessario.

Ora sappiamo di aver sostenuto un Governo ad personam, il cui obiettivo era contrastare Salvini. Obiettivo, intendiamoci, assolutamente lecito in democrazia se agito in modo esplicito e all'interno delle regole del dibattito democratico, ma un po' meno apprezzabile se perseguito surrettiziamente e sotto la regia di un primo ministro che a un certo punto aveva smesso di essere terzo, o forse non lo era mai stato:



Valeva comunque la pena di provarci, ma di questo parleremo un'altra volta.

Intanto, spero di avervi fatto comprendere meglio perché andare avanti così era, nei fatti e nelle cose, sostanzialmente impossibile.