sabato 29 aprile 2023

Cuneo

(...oggi, al giuramento del corso Dodecanneso II, ha preso posto nello schieramento il gonfalone della città di Cuneo, la città dei sette assedi. Lì per lì la cosa mi ha colto alla sprovvista: che c'entra Cuneo con Coppito? Io per la testa avevo un altro cuneo, di cui vi parlerò. Poi ho capito...)


Fonte: Eurostat.


Fonte: Eurostat. Evidenziato in rosso l'intervento di Renzi.

Pagateci i danni!

 (...oggi vado all'Aquila, c'è il giuramento del corso di allievi sottufficiali della Finanza, io sono uomo del XX secolo, ho fatto il militare, e rispetto le istituzioni, quindi, quando posso, assicuro la mia presenza. Cerco di assicurarla anche qui. Mi sto sforzando di dare continuità al nostro discorso: il nemico è sempre lo stesso - quello che ci aggredisce, perché noi i nemici non ce li costruiamo: sono loro che cercano noi! - ma dobbiamo avere tutti l'intelligenza di capire che la trincea non può essere la stessa: quella precedente è stata piallata da un bombardamento senza precedenti e soprattutto da una cosa che qui è sempre stata evidente, ma che, per qualche strano motivo, un terzo degli italiani non ha capito, perché non era interessato a capirlo: il tradimento degli ortotteri. Ce ne dobbiamo fare una ragione e dobbiamo praticare quello che abbiamo sempre predicato: estote ergo prudentes sicut serpentes et simplices sicut columbae. Gli squilli di Trombetta - per parlare di un amico, assiduo frequentatore dei nostri convegni dove veniva ad acquistare idee - o le convulsioni di guittology, non vanno esattamente in quella direzione. Il vantaggio, per noi, è che a differenza del progetto ortottero, la cui potenza di fuoco mediatica si appoggiava su aziende private di cui non ho mai capito fino in fondo la genesi e il business model, né so se esistano ancora, il "progetto" zerovirgolista si basa solo sul ripetere fuori tempo e con voce chioccia le stesse identiche cose che qui sono state dette a tempo e con la voce tonante dei dati - quella voce che un ottoncino padroneggia con meno agilità di un economista. Non vale quindi la pena di mettere in guardia gli uomini di buona volontà dalla minaccia dei #semomijoni, non solo perché non è comunque servito a niente metterli in guardia dal pericolo - reale - costituito dagli ortotteri, ma anche perché questa minaccia non è tale: erode, forse, impercettibilmente, la base elettorale, consegnando qualche babbeo alla palude dell'astensione, ma, come i fatti hanno dimostrato  - e anche questo vi era stato detto! - non supera la soglia di sbarramento, non è in grado di esprimere, sullo scacchiere della politica, non dico un alfiere, ma nemmeno un pedone del "sacro ideale puro e incorrotto" che tutto vincerebbe e tutti convincerebbe - nella narrazione farlocca dei #semomijoni. Narrazione farlocca perché - ahimè! - per quanto anche noi possiamo essere convinti delle nostre ragioni, la maggioranza degli italiani ha la testa altrove, ed è per il fatto che questo non ci è entrato in testa che - purtroppo - ci è entrato da un'altra parte. Dobbiamo ammetterlo: per essere maggioranza occorrono le televisioni, e per avere le televisioni, o almeno provare ad averle, occorre essere maggioranza, ed esserlo a lungo. Non entro poi nel merito di altre ovvie considerazioni: l'idea che "cominciamo da un parlamentare, poi cresceremo perché lui dirà laveritah e tutti ci seguiranno fino a conseguimento della maggioranza del 51%!" credo che chi è qui possa apprezzarla nei suoi ovvi limiti, visto il lavoro che facciamo per tenervi aggiornati sulla concretezza delle dinamiche parlamentari. Qui, ormai, dovreste aver capito che solo un partito con almeno il 10% può avere sufficiente tempo di parola e sufficiente personale per presidiare tutti i tavoli critici, opporsi alle principali porcate, e denunciarle in aula! Dice: ma voi avete l'8%! No, cari: noi abbiamo il 66/400 = 16,5% - cioè 17% se arrotondato all'intero più vicino - in Parlamento. E anche questo dovrebbe far capire come stanno le cose a chi disperde onanisticamente il seme del suo voto in mille rivoletti: questo esercizio è sterile, può partorire al massimo un personaggetto più o meno folcloristico che dovrebbe da solo reggere tutte le Commissioni non riuscendo a presidiarne neanche una, invece di andare a integrarsi in una struttura che grazie ai suoi tecnici riesce ad amplificare in tale misura sui seggi parlamentari il consenso ottenuto nelle urne. Detto in altre parole: Calderoli può piacere o non piacere - il blog che non esiste non è un organo di partito e parla a una community che non c'è, quindi può essere equanime! - ma il mio punto è che se gli zerovirgolisti ne avessero uno, di Calderoli - e non possono averlo! - al massimo riuscirebbero a portare da uno a due la loro presenza in Parlamento. Potere di controllo zero, potere di interdizione zero, tempo di parola tre minuti in dichiarazione di voto. Volete questo? Chiaro il concetto? Quindi, venendo al punto e concludendo questa premessa: se non contano una mazza, perché parlarne? Certamente non perché gli spruzzettini di fango con cui cercano puerilmente di offuscare la nostra immagine sperando di trarne indiretto beneficio possano attingerci: non capisco, a questo proposito, le reazioni indignate di molti di voi alle esternazioni diffamatorie delle bollicine di metano nella palude di Twitter! Certamente non perché si possa cercare insieme la chiave per recuperare un consenso che non c'è: di zerovirgola ne occorrerebbero mijoni (veri) per arrivare a costruire un punto percentuale vero, qualcosa di percettibile, non credo che uno sforzo in tal senso valga la pena di farlo partendo da basi inesistenti! Il senso è un altro: vedere come ragionano i falliti può aiutarci a evitare un altro fallimento. Scambiare i like su Twitter per voti, ripetere a pappagallo parole altrui, restringere, anziché allargare, i destinatari del proprio messaggio: questi tre pilastri del pensiero zerovirgolista ce li dobbiamo e ce li possiamo evitare. Quindi andiamo avanti e... scaviamo!...)

C'è un grafico presentato al #midtermgoofy che vale la pena di riproporre e illustrare qui: questo


La spezzata blu descrive l'andamento storico del rapporto debito/Pil, compresa l'ultima impennata durante la pandemia, col rapido rimbalzo verso il basso. Le spezzate arancione e grigia descrivono due controfattuali: cosa sarebbe successo se?

Cominciamo dalla spezzata arancione. Il controfattuale descritto è la traiettoria che il rapporto debito/Pil avrebbe seguito dal 2009 a oggi se il tasso di crescita del Pil nominale (cioè a prezzi correnti, comprensivo dell'effetto dell'inflazione) si fosse attestato sulla media 1999-2008, pari al 3,7%:


Un tasso di crescita non stellare, inferiore a quello del 5% implicito nei parametri di Maastricht (la spiegazione tecnica è qui), ma comunque superiore di tre punti a quello che abbiamo avuto dal 2009 in poi a causa delle politiche di austerità:


Quindi, partendo dai 1637 miliardi del 2008, se avesse mantenuto un tasso di crescita del 3,7% il Pil nominale oggi sarebbe a 2628, invece di 1775, miliardi di euro.

Di conseguenza, immaginando la stessa traiettoria del debito, il rapporto di quest'ultimo al Pil oggi sarebbe molto, molto più basso:


La colonna "rapporto storico" (sottinteso: debito/Pil) corrisponde alla spezzata blu del grafico, la colonna "rapporto controfattuale" a quella arancione, e la sintesi è che praticamente tutto l'incremento del rapporto debito/Pil dal 2009 a oggi è dovuto a un effetto di denominatore (la distruzione del Pil a causa dell'austerità).

Sono molto grato in anticipo a chi verrà a spiegare all'autore di questo, questo o questo i limiti metodologici di una simulazione di questo tipo, che peraltro non è farina del mio sacco, ma è stata presentata da un funzionario di Banca d'Italia a un seminario a porte chiuse. Mi è sufficientemente chiaro (e probabilmente lo era anche al funzionario di Banca d'Italia) che alterare il sentiero di crescita del Pil considerando esogeno quello del debito è un esercizio contabile, più che economico. Ma intanto ci aiuta a ragionare sugli ordini di grandezza, e poi ha una sua plausibilità, tratta dal fatto che il sentiero controfattuale 2009-2021 in fondo è cugino del sentiero storico 1995-2008: anche dal 1995 al 2008 il rapporto debito/Pil era andato diminuendo al ritmo di circa un punto percentuale all'anno (dal 119% al 106%), così come nel controfattuale 2009-2021 diminuisce dal 106% al 101%.

Cosa hanno in comune questi due scenari (lo storico 1995-2008 e il controfattuale 2009-2021)?

Semplice: l'assenza di politiche di austerità.

Non è impossibile argomentare in modo più raffinato, se lo si desidera, che è stata l'austerità, cioè l'adesione pedissequa alle "regole" europee, ad averci danneggiato portando a livelli preoccupanti il nostro rapporto debito/Pil. A fronte di questo, ora che tutti riconoscono che le regole sono sbagliate (e quindi implicitamente ammettono che hanno danneggiato qualcuno: noi), non vedo perché non chiedere che di questo si tenga conto.

Ne parlavo con un collega parlamentare francese, che mi diceva: "Ma allora vorreste chiedere i danni?". E la mia risposta è stata molto semplice: "Pretendere i danni di guerra dalla Germania non ha mai portato fortuna. Tuttavia, visto che le nuove regole prevedono un trattamento di sfavore per chi ha un rapporto debito/Pil elevato, visto che noi un rapporto debito/Pil elevato lo abbiamo per colpa delle vecchie regole, visto che i dati storici dimostrano che se lasciati in pace riusciamo a mettere il rapporto debito/Pil su una traiettoria di rientro, forse non sarebbe assurdo chiedere che nel primo ciclo settennale di applicazione delle regole il nostro Paese non venisse considerato fra quelli ad alto rischio di sostenibilità e gli si consentisse un rientro più morbido".

Non vi stupirà sapere che il collega francese è rimasto positivamente interessato, perché questo gli veniva detto in un francese passabile, ma soprattutto, ovviamente, perché, come sapete, questo problema riguarda anche e soprattutto loro...

(...buona domenica! Io la passerò su Sky con la compagna Camusso...)

venerdì 28 aprile 2023

Sull'idraulica della globalizzazione

(...scrivo questo post ascoltando le strabilianti fesserie dei colleghi di opposizione sulle #ingentirisorsedelPNRR: ""Come sò ste risorze?" "Ingenti..."...)

Due giorni fa Michael Pettis, professore di finanza all'università di Pechino, ha riassunto magistralmente in un thread una serie di considerazioni che in plurime occasioni abbiamo svolto qui, dopo esserci permessi (umilmente) di anticiparle nella letteratura cosiddetta "scientifica":


nel lontano 2009.

Il thread di Pettis è qui, riassume le considerazioni svolte nel suo articolo dell'ottobre scorso "Will the Chinese renmimbi replace the US dollar?". Il fulcro dell'argomento, a mio avviso, è in queste considerazioni:


che riprendono in modo più esplicito le mie del 2009, e si riassumono in una: non vendere la pelle dell'orso prima di averlo ucciso. Chi pontifica sulla fine del dollaro dovrebbe chiedersi quanto questa fine sia desiderata (e desiderabile) da parte dei (teorici) beneficiari. Chi conta sulla domanda (deficit) Usa per sostenere la propria crescita, cioè chi  affida le sorti della propria economia al proprio surplus estero, non può opporsi alla circolazione dei dollari nell'economia globale, per la contradizion che nol consente. L'iniezione di dollari nel circuito della liquidità globale è infatti la controparte necessaria dell'acquisto da parte degli Usa di beni prodotti dall'economia globale. Il fatto che se ti compro dei beni ti do dei soldi è, cioè dovrebbe essere, un dato acquisito dalla fine della mitologica "economia di baratto" (che come sappiamo non è mai realmente esistita nel modo in cui la raccontano i manuali universitari), e quindi è tanto vero oggi quanto lo era nel 2009 o nel 1009 (incluso il 1009 a.C.).

Queste considerazioni ci riguardano, perché tratteremo il tema della "dedollarizzazione" dell'economia globale nel nostro prossimo convegno annuale (a scanso di dolorosi equivoci vi ricordo le date: 25 e 26 novembre 2023), e perché ribadiscono con eleganza nel contesto globale le considerazioni sulla fase attuale che abbiamo svolto tante volte (le trovate qui).

Chi avesse difficoltà a comprenderne il senso troverà aiuto nei tanti post sui saldi settoriali. Forse uno dei più sistematici, e anche dei più attuali, è quello del 2015 sulla Francia. Poi torneremo sull'argomento, ma intanto scrivo a Pettis per congratularmi con lui.


(...e ora vi lascio: la sinistra va sull'Aventino, e io vado a Siena...)

giovedì 27 aprile 2023

Un recovery da ricovero

Questa non me la sarei aspettata (forse) nemmeno io, che pure un certo antivedere ve l’ho dimostrato (ma non è merito mio: è solo che dagli altri arrivano soltanto minestre riscaldate)!

Johan van Overtveldt, il presidente della Commissione bilancio del Parlamento Europeo, è stato relatore di una risoluzione, approvata in Commissione, con cui si mette in guardia la Commissione dal rischio che i crescenti costi dell’indebitamento per finanziare il “recovery” causano per l’equilibrio del bilancio dell’Unione!

Sì, avete capito bene!

Quello strumento che in teoria avrebbe aiutato noi perché costava poco, in pratica sta mettendo nei guai l’UE perché costa troppo! Per sostenere gli alti costi di questo indebitamento, dice il comunicato stampa, cioè per pagare la corda che ci ha messo al collo, l’UE potrebbe incorrere in serie difficoltà nel finanziare le sue priorità e le sue politiche! Credo che qualcuno lo avesse previsto, e chi si ricorda chi e dove si assicura un posto garantito al click day per il 24 maggio.

Ovviamente ci dispiace tantissimo, visto che queste priorità sono tutte lungimiranti come lo stop al motore endotermico nel 2035. Quel BICC riscaldato che è il PNRR (o PRN, o PNR, o PRRN, o come volete voi) si sta rivelando ogni giorno di più per quello che è: una aggressione politica camuffata da nonsense finanziario. Ma va bene, anzi benissimo così! Come l’euro, anche il PNRR è irreversibile. Poi c’è da vedere se sia anche sostenibile, ma questa dimostrazione (come quell’altra) non spetta a noi!

Buona notte, e buon divertimento!


martedì 25 aprile 2023

Il 28 a Siena (politiche per un mondo nuovo)

Per i conduttori televisivi sono invariabilmente "senatore".

Lo stesso vale per molti militanti o simpatizzanti del mio stesso partito, quelli che mi conoscono da poco, da meno di voi, e che quindi ogni due per tre mi chiedono cose del tipo "ma questa settimana torna a Firenze? Ma a Roma si ferma in albergo?", e via dicendo.

Insomma: per loro sono il senatore Alberto da Firenze.

Che io sia transumato alla Camera, viva a Roma e lavori (e viva) in quello che poi sarebbe diventato, in modo del tutto imprevedibile, il "mio" collegio (cioè quello dove risiedono quelli per cui io sono il "loro" deputato), non viene colto né da chi la politica la segue per passione, né da chi la segue per professione. Ma questo è piuttosto ovvio: l'autore del blog che non esiste forse non esiste egli stesso, e comunque se esistesse non sarebbe così importante da doversene conoscere la biografia, e in ogni caso mi dicono che sia una persona riservata, che preferisce restare nell'ombra...

Quello dell'appartenenza (a un territorio) e quindi della rappresentanza (di quel territorio) è da sempre un tema intricato.

Io sono nato a Firenze, sono cresciuto a Roma, ho lavorato a Pescara, vivendo a Francavilla, ho scritto il lavoro cui tengo di più, quello che vi ha radunato qui, a Klobenstein, e ora sono precario della politica a Roma. Diciamo che sono fiorentino quando Bernardino degli Albizzeschi è massetano. In effetti, lui è nato a Massa Marittina

(appunto, a Palazzo Albizzeschi, dove me lo sono trovato davanti ieri), ma poi vissuto a Siena e in realtà ovunque per l'Italia, la versione autografa dell'opera che più lo identifica nell'iconografia (il trigramma) è conservata a Volterra:

(o forse a Prato, ma non mi imbarcherei in questa discussione scivolosa...) e il suo percorso si è interrotto all'Aquila, dove riposa sotto questa splendida copertura:

A nessuno verrebbe in mente però di chiamarlo San Bernardino da Massa: è da Siena, perché di Siena era la sua famiglia, ma soprattutto perché a Siena pronunciò i suoi discorsi più noti, le Prediche volgari (a 47 anni).

A Siena, si parva licet, torneremo a predicare anche noi, e vi aspettiamo, il prossimo venerdì 28:


Non dimenticate di registrarvi per email a antonio.rinaldi-office@europarl.europa.eu. Le cose su cui allinearci sono molte, e non ci sarà streaming. 

(...l'occasione prossima è sostenere il nostro candidato sindaco, ma, come credo abbiate capito al #midtermgoofy, stiamo scavando la nostra trincea per l'appuntamento che ci aspetta fra un anno...)

lunedì 24 aprile 2023

La metamorfosi?

Quando pensi di averle viste tutte, arriva la lezione di umiltà:


La compagna Tinagli offre il suo pregiato soccorso rosso al compagno Di Maio, sostenendo che “la destra” lo sta attaccando solo perché non è “dei loro”, cioè dei nostri.

Bene.

Questo ci conferma che quando la compagna Tinagli licenziò per le stampe questa pietra miliare:


il “ministro qualunque” non veniva da lei attaccato perché “dei loro”, cioè all’epoca “dei nostri” (il Governo “del cambiamento”), ma perché incompetente.

Il che significa, per chiudere il discorso, che uno così:


può permettersi di attaccarlo (anche se, essendo così, non lo faccio perché ho di meglio da fare), mentre una così:


avrebbe fatto meglio a non attaccarlo, e farebbe meglio a non difenderlo, per non essere punita dalla saggezza popolare, quella che sentenzia: “chi s’assomija se pija”.

L’anno prossimo, cortesemente, spazziamoli via.

Grazie.

(…non è una metamorfosi: sono sempre stati dalla stessa parte, ve l’ho sempre detto, e ora da quella stessa parte ci sono nuovi guitti e nuovi espertoni…)


sabato 15 aprile 2023

Grazie!

Prima di addentrarmi nelle nebbie cimmerie, due parole di ringraziamento, e una slide, una di quelle di cui vi parlavo ieri.

Intanto, i ringraziamenti.

Non è scontato, di questi tempi, avere una sala così piena e piena così. Così piena, cioè senza un posto libero. Piena così, cioè piena di persone che hanno voglia di capire e di impegnarsi. La sensazione è che il saldo fra quelli che ci siamo persi per strada e quelli che abbiamo trovato sia positivo non solo in termini quantitativi (rispetto a questo, l'esposizione politica potrebbe aver aiutato), ma soprattutto in termini qualitativi. Più giovani, più famiglie, più persone professionalmente qualificate, meno persone emotivamente squilibrate, meno millantatori, meno mediocri.

Siamo passati da tanti setacci.

Possiamo scusare chi si è confuso, ma non possiamo scusare il perché si è confuso: perché non ha avuto fiducia, cioè perché è stato grillino. Per carità: se fede e fiducia sono due parole diverse un motivo c'è: sono due cose diverse! Il fondamento della fede, in effetti, non è razionale. Ma è irrazionale non avere fiducia nel percorso che qui è stato delineato e il cui primo decennio è stato riassunto oggi al #midtermgoofy. C'è un obiettivo (il solito), quindi c'è una direzione (che non può essere la linea retta degli strateghi da bar Sport), quindi ci sono dei progressi (qualcuno ricordava che al precedente #midtermgoofy Marcello aveva fatto notare che non c'erano telecamere, oggi avevamo tre reti nazionali ed eravamo su tutte le agenzie con messaggi non banali), quindi si avanza. Chi non lo vede è perché non lo vuole vedere, è perché non aveva bisogno di impegnarsi, ma di bacini sul collo, di blandizie e lusinghe al proprio eguccio stitico, o, peggio ancora, di un rapido ascensore sociopolitico. Spiace: non che io non sia per natura cortese, ma perder tempo a chi più sa più spiace, e ne so abbastanza, ormai, per capire se chi ho davanti è un uomo in carne e ossa o in merda e chiacchiere. Quindi, sulla base di questa esperienza, ritengo di poter dire che la qualità della community sta crescendo, ed è un bene che sia così.

Siamo passati, dicevo, da tanti setacci.

La mia investitura politica è stato il primo, l'uscita dal Governo ortottero è stato un altro, il COVID un altro (e sono stato lieto oggi nel constatare che qualcuno ha capito quanto abbiamo fatto in quel periodo), la fiducia a Draghi un altro, il più fitto. La crusca ce la siamo scrollata di dosso, è rimasto fior di farina e con questa, e col lievito dei nostri incontri, prepareremo il nostro pane. Abbiamo un anno per farlo: lievitazione naturale, e lunga.

Quindi: grazie!

Un grazie naturalmente anche all'istituzione che ci ha ospitato, e un grazie anche allo staff di a/simmetrie. Sono un po' scarsi, come avrete notato, ma almeno sono belli da vedere, e anche l'occhio vuole la sua parte.

O no?

A questo proposito, standing ovation per la grafica concepita da Sara.

Mi stupisce comunque come a ogni incontro si riesca a superare l'interesse, l'entusiasmo, la tensione emotiva, l'appagamento intellettuale, insomma: il successo, del precedente. E questo dopo dieci (in realtà tredici, ma per l'associazione dieci) fottuti anni in cui ci potremmo raccontare che non è cambiato nulla, ma qualcosa, invece, è cambiato. Non solo il fatto che ci siamo scrollati di dosso tanti escrementi (il che, perdonatemi, non guasta). Non solo il fatto che il potere sia diventato più feroce e spietato con chi gli contende lo scettro (come hanno notato oggi sia Giordano, che Capezzone, che Foa). Non solo il fatto che ora certi processi possiamo osservarli dall'interno, e possiamo ogni tanto incidere su di essi (la filiazione europea, il catasto, la riforma delle BCC, la riforma della governance delle authorities, ecc.). Ma anche, forse, il fatto che siamo riusciti a mettere a fuoco il nostro vero (e forse unico) nemico: o meglio, che ci siete finalmente riusciti voi, perché io da chi diffidare credo di avervelo detto in tempi non sospettissimi! Il giochino con cui vogliono fottervi, quello di farvi credere che sareste più forti se i vostri rappresentanti fossero più deboli, voi, almeno voi, dovreste averlo finalmente capito, o così oggi sembrava.

E questo agli altri fa una gran paura: fa paura al Potere, e fa paura ai mediocri.

E ora, come promesso, una slides che ieri sera mi è costata novanta minuti di lavoro, e che ha un suo perché, anche estetico:


In rosso, il valore storico, effettivo, del Pil in termini reali, in miliardi di euro. Le linee tratteggiate sono invece le previsioni a sette anni emesse dal Fmi nei 15 anni dal 2008 al 2022: da ogni anno parte un tracciato  previsto settennale (in nero tratteggiato) che, come potrete constatare, solo in rarissimi casi coincide o si avvicina a quello che poi sarebbe stato il tracciato effettivo, storico.

Ci sta: non voglio dire che al Fmi non sappiano fare le previsioni. Prevedere a sette anni non è solo impossibile: è anche inutile! Ma proprio per questo mi premeva far notare quanto vano fosse il nuovo approccio di governance fiscale europea, tutto incentrato su previsioni a sette anni!

Vanum est vobis ante lucem surgere!

Ma c'è anche un dettaglio in questo grafico, che ho cercato di illustrare oggi, e che forse non è stato bene inteso. Non è per un caso che queste previsioni siano così fallaci, ma perché ce le fa diventare con le sue prescrizioni di politica economica che le emette.

Per capire che cosa intendo, guardate questa tabella:


L'ho costruita prendendo gli errori di previsione (storico meno previsto) un passo avanti, espressi in percentuale del valore storico, e i saldi primari di bilancio, espressi in percentuale del Pil.

Quindi, ad esempio, per l'anno 2008 la prima colonna riporta lo scarto fra il valore storico del Pil nel 2008 e la previsione del 2008 fatta con le informazioni disponibili nel 2007, mentre la seconda colonna riporta il rapporto saldo primario/Pil nel 2008.

La sintesi è nel numerino in basso a destra, -0.75: una correlazione negativa forte e significativa.

Che cosa significa?

Significa che quando il saldo di bilancio va su (cioè si taglia), l'errore di previsione va giù (cioè il valore effettivo del Pil è inferiore al previsto).

Attenzione! Questa, per voi, può sembrare una banalità, dopo tanti anni che ne parliamo: è chiaro che se con l'austerità (i tagli di spesa, gli aumenti di imposte) si "distrugge la domanda interna", poi la domanda interna (cioè il Pil) è distrutta. Più che chiaro, direi che è tautologico.

Quello che è meno tautologico, meno ovvio, è che questa forte correlazione negativa indica che nei modelli del Fmi il moltiplicatore continua a essere sottostimato! Proprio non riescono ad ammetterlo che l'economia risponde agli stimoli di bilancio!

Comunque, la mia sintesi è questa:


e in fondo anche Cottarelli, che, come avrete visto, non è così male se consideri l'alternativa, ha dovuto ammetterlo: queste nuove regole, fra le varie amenità che portano con sé, hanno anche quella di un dialogo perenne con la Commissione, per evitare di essere sanzionati ogni volta che un errore di previsione altrui si ripercuoterà negativamente sui sentieri di spesa concordati dal Paese.

Ma forse perché questo punto vi sia chiaro oltre che del disegnino avreste bisogno anche di un discorZetto. Chi c'era l'ha sentito, agli altri lo farò quando potrò.

Intanto, buona notte, e per chi c'è domani ci vediamo alla Fiera dell'Agricoltura!


(...ricordo le prossime date:24 maggio, 10 luglio. Poi fate come ve pare...)

venerdì 14 aprile 2023

A (non) domani...

(...sono sfinito, ma due o tre slides in più le voglio preparare, in particolare per il mio confronto con Cottarelli. Ho visto che la lista di attesa per il convegno che non c'è è molto lunga, e, mi spiace, non potrà essere esaurita. Però segnatevi queste altre due date: 24 maggio alle ore 15, e 10 luglio tutta la giornata. Sarete informati per tempo: l'evento del 10 luglio sarà, per chi se lo ricorda, una riedizione di quello del 3 luglio 2017 - bei tempi! E intanto, a beneficio di quelli che non ci saranno, come bonus track, una slides dalla mia relazione introduttiva...)


 (...e, come avrete capito, non sto suggerendo che gli economisti siano dei superdotati! Ma domani (non) vi spiegherò come si arriva a questa conclusione...)

giovedì 13 aprile 2023

Il cappone di Renzi

Chiedo scusa!

Da politico so che non dovrei farlo: non sono più libero, come lo ero una volta, di abbandonarmi alla mia vis polemica, di sciogliere le briglie alla mia toscanità genetica maramaldeggiando sulle spoglie del malcapitato di turno col mio sarcasmo, nutrito da troppe letture.

Non dovrei.

Da politico, sembrerebbe arroganza, sembrerebbe abuso di posizione dominante.

Così come, da accademico, non dovrei esprimermi su cose di cui in fondo non so nulla, perché vi assicuro che del video di coso su Facebook o dell'articolo di quello sul giornalone di turno non so nulla di nulla, tranne quanto il poeta ha sintetizzato in questa mirabile immagine:


Non dovrei.

Da accademico, dovrei sviscerare la questione, analizzarla con gli strumenti della scienza politica, o di quella economica, o di quella psichiatrica, ma insomma con strumenti da applicare a un referto fattuale sufficientemente esaustivo, che, lo confesso, mi manca.

Così come da uomo di partito, infine, perché ora sono anche questo, non dovrei commentare le vicende degli altrui partiti, perché questo mi ha insegnato l'uomo da cui ho appreso come si sta in un partito, il mio segretario federale, quello che per alcuni di voi è un traditore, o semplicemente un pirla, e invece per me è un amico e una persona saggia, da cui ho appreso a resistere, e a non strafare, perché la ruota gira...

Non dovrei.

Però...

Però non posso nemmeno dimenticarmi di quando, da ggiovane, mi sentivo dire da quelli de sinistra più a sinistra di me che "er perzonale è bolidigo".

Non posso.

E se "er perzonale è bolidigo", allora un ricordo personale ci sta: da politico, non posso non portarlo nel Dibattito e non posso non trarne conclusioni "bolidighe".

E non posso nemmeno abdicare, per adempiere agli obblighi che la mia nuova condizione porta con sé, al patto pasoliniano che ho stretto con voi, lettori che considero degni di ogni più scandalosa ricerca, e che avete riconosciuto la mia autorevolezza nel mio non averla voluta, e nel mio essermi messo in condizione di non aver niente da perdere.

Non posso.

O meglio, non potrei.

Perché, diciamocelo: questo blog non esiste, non è mai esistito, quindi non vengono da qui le parole con cui ogni tanto qualche scimunito cerca di spiegarmi in email sconclusionate che cosa sia il MES o perché l'unione monetaria abbia svantaggiato l'Italia (per fare due esempi facili), e quindi, se questo blog non esiste, le parole che ho scritto finora, e che non hanno cambiato in nulla il corso degli eventi, essendo state scritte sul nulla, come quelle che (non) scriverò nel resto di questo post, alla fine posso permettermi di scriverle: tanto, nessuno le leggerà, nel blog che non c'è.

E allora (non) le scrivo, tanto queste parole si riconducono a una sola, di quattro lettere, che ogni tanto mi è capitato di scrivere:

GODO

ma non vorrei pensaste che sono un bbruttaperzona!

Vorrei invece che vi ricordaste il mio primo incontro con coso, con l'allegoria della coNpetenza, il due dicembre del 2018. Vorrei che vi ricordaste la boria, la iattanza, la tracotanza di coso, che prima, a telecamere spente, si era rifiutato di salutarmi, con una maleducazione rara presso la classe politica, che è fatta, mediamente, di persone civili, non per indole, ma per mestiere: perché il mestiere del politico è capire, appunto, che la ruota gira (o meglio: questo è il minimo sindacale del mestiere di un politico: poi ci sarebbe dell'altro, e ne parliamo dopo...). Ma era chiaro il perché Carletto si comportava da cafone: per destabilizzarmi.

Così come, per destabilizzarmi, a me che lo trattavo con cortesia, dandogli del lei, perché all'epoca, salvo errore, non era un parlamentare (e quindi non essendo un collega non era cortese dargli del tu), a telecamere aperte il cafone si rivolgeva con un "tu" totalmente ingiustificato da parte di una persona che non conoscevo: per stabilire una falsa familiarità che mi disarmasse, che mi rendesse impervio (o almeno così lui sperava) il rispondergli per le rime.

Era tutto studiato, come era studiata la stupida pappardella sulle "coperture" (potete risentirvela, e rivederla col senno di poi, che per me era anche il senno di prima: su una misura opzionale le coperture previste dal Governo erano più che sufficienti, e infatti quel bilancio che secondo il "coNpetente" avrebbe fatto saltare per aria l'Italia si chiuse poi con il deficit più basso degli ultimi quindici - 15 - anni! Quindi avevo ragione io, ma questo coso non lo ammetterà mai).

Che fastidioso gradasso, che insopportabile bullo, che nauseabondo saccente!

Ma non è perché 1593 giorni dopo il nostro felice incontro lo vedo in difficoltà, lo vedo (o meglio: gli altri lo vedono, perché io l'ho sempre considerato tale) come un dead man walking, che mi vien voglia di infierire su di lui. Magari se la caverà, speriamo che se la cavi, chi se ne frega: di chi ha in sé una scintilla così fioca di umanità mi interessa il giusto, gli auguro ogni bene, purché fuori dalle scatole!

No, non è per questo. Non nutro risentimenti. Esattamente come non si può leggere una cosa scritta nel blog che non c'è, non si può provare alcuna passione per il nulla mischiato col niente. Lunga vita biologica e perfino politica a coso, er coNpetente!

Il punto è un altro: il merito delle questioni, come sapete, a me non interessa: a me interessa il metodo.

E allora, sul metodo, devo dirvi un paio di cosette, che sono sempre le solite.

La prima è questa: solo un solenne sciocco, o un sesquipedale ignorante, o, più semplicemente, un assoluto incompetente (cioè tutto il ceto mediatico/intellettuale italiano, più qualche collega di opposizione), può pensare che in un Paese che ha subito questo:


(e lo ha subito per colpa degli amici suoi) ci sia ancora spazio politico per qualcosa di assimilabile al "moderatismo", al "centrismo". Un paese che viaggia 400 miliardi di euro (diciamo: il 20%) sotto il proprio potenziale è un Paese che ha lasciato per strada morti e feriti, un Paese che ha ulcere non ancora cicatrizzate e che forse non risarciranno (da sarx, sarkòs) mai. In questo Paese, anche se è fatto (devo dire purtroppo?) di brave persone, la moderazione è morta. Chi non si è suicidato con la dolce morte dell'astensione vuole solo una cosa: voltare radicalmente pagina, o almeno lottare per la propria sopravvivenza. Il grafico lo vedete, no? Sono 11 e passa anni che le politiche degli amici dell'austerità tengono la testa del Paese sott'acqua. Se uno ti tiene la testa sott'acqua che fai? Anche volendo chiedergli con moderazione di farti respirare, non riusciresti a farlo: il risultato sarebbe qualche bollicina in più e un po' di acqua nei polmoni! L'unica via razionale è tentare di assestargli un colpo dove lo sente meglio. Questo è. E in un contesto simile voi volete parlarci di coNpetenza (di uno che non ha mai visto la serie storica del Pil del suo Paese), di moderazione (di un bulletto da bar di distante periferia)?

Dai, fa già ridere così...

Poi c'è la seconda lezione di metodo.

Io non sono cattivo. Io sono paziente. Ho passato gli anni più belli e sofferenti della mia adolescenza e prima giovinezza in mezzo ai fiumaroli. Ho portato con me il loro disincanto e lo scorrere di quell'acqua. Ho visto passare tante cose, belle e brutte. Ci sono immagini che non dimenticherò mai, come quella volta che, in doppio canoino, passai sopra a qualcosa che non era più qualcuno (e il mio compagno di barca, che era più giovane di me, non la prese proprio benissimo: quando scese sul pontile le sue mani grondavano sangue: nella frenesia dell'allontanarsi da quello spettacolo macabro si era raschiato col manico dei remi la pelle del dorso delle mani... Io, da lettore di Poe, feci un calcolo diverso: proprio perché finire abbracciati a quel qualcosa sarebbe stata un'esperienza spiacevole, conveniva affidare alla freddezza del gesto tecnico l'equilibrio della nostra traiettoria).

So aspettare.

So che passerai.

Che tu sia l'insulso Sderenippo su Twitter, o l'apparentemente meno insulsa allegoria della coNpetenza, so che passerai, che ti vedrò, e che non mi farai impressione, e nemmeno pietà.

Pietà l'è morta, da un pezzo (direi, a occhio, dal 2012).

Quindi, come dire: se mi aggredisci e non ti rispondo, non significa che hai vinto: significa solo che sto aspettando. E agli altri: se qualcuno mi aggredisce, e non rispondo, invece di venire a seccarmi, a spiegarmi che cosa devo fare, invece di incitarmi a sterili risse, long popcorn e aspettate con me.

Ve l'ho detto tante volte, e non mi avete capito, ma era sicuramente colpa mia: non sono un buon insegnante.

Oggi ve lo spiega la cronaca, e se non lo state capendo forse è colpa vostra: aprite gli occhi!

Il vento della storia è nelle nostre vele, che ci crediate o no. So meglio di voi che voi avete la testa sott'acqua: sono io che ve l'ho fatto notare e che vi ho spiegato chi ce la stava tenendo. Lo so che è difficile sopportare, resistere.

Ma questa è una guerra di logoramento, e ora tocca a loro.

(Non) ci vediamo sabato.

martedì 11 aprile 2023

Carnet de voyage, ou : souvenirs d'Italie

Metto qui due o tre dati, i meno distratti sapranno perché. Comincio con le violazioni della regola del 3% del rapporto deficit/Pil:


Dal 1999 al 2022 la Francia l'ha violata 17 volte, l'Italia 11.

Proseguo con la cumulata del saldo primario del bilancio pubblico (cioè del saldo del bilancio pubblico al netto della spesa per interessi):


La Francia ha accumulato disavanzi per 973 miliardi, l'Italia avanzi per 282 miliardi.

Mettiamoci su anche le spese per interessi: magari così la situazione italiana apparirà drammaticamente peggiore, visto che noi siamo schiacciati dal debito che ci hanno lasciato le generazioni passate (e basta sempre co 'ste ggenerazzioni future! Parliamo pure delle passate ogni tanto!):


Eggnente! Pure così la Francia fa peggio di noi: ha accumulato 1974 miliardi di deficit complessivi, contro i soli (si fa per dire) 1338 miliardi di deficit italiani.

Ma allora perché il nostro rapporto debito/Pil è un disastro rispetto a quello francese? Beh, intanto guardiamoli, questi rapporti:


Non stiamo messi benissimo, ma nella nostra storia c'è già un significativo episodio di diminuzione del rapporto, dal 1994 alla crisi del 2008, a una media di 2 punti percentuali all'anno. Nella storia francese non c'è niente di simile. Nel futuro italiano c'è (secondo il Fmi) una diminuzione del rapporto, in quello francese c'è un aumento.

Dopo di che, il resto ve lo immaginate: chi ha voluto e potuto sostenere investimenti e stato sociale a deficit ha subito meno penalizzazioni in termini di crescita. Lo si vede dalla cumulata dei tassi di crescita reale:


che ci mostra come la Francia, in Eurolandia, sia cresciuta circa il triplo rispetto a noi (con un deficit primario pari a oltre tre volte il nostro surplus primario non è che ci volesse molto). Quindi il nostro problema di rapporto debito/Pil è un problema di denominatore (il Pil), mentre il problema francese è un problema di numeratore (il debito).

Che dite: glielo dico o non glielo dico? Se glielo dico, poi torno a raccontarvi che cosa mi hanno detto...

lunedì 10 aprile 2023

E il debito privato? Aggiornamenti sulla MIP

Domani ricevo due colleghi dell'Assemblée nationale francese (l'equivalente della Camera dei deputati) che desiderano approfondire le posizioni formulate dal Parlamento italiano in merito alla riforma delle regole di bilancio europee, espresse nella COM(2022) 583, cui vi avevo fatto cenno qui, successivamente avallata dalle conclusioni del consiglio ECOFIN del 14 marzo, poi approvate dal Consiglio europeo del 23 marzo.

Io sono stato relatore del parere della XIV Commissione, ai cui lavori partecipo in sostituzione permanente del ministro Giorgetti. Il parere, che trovate in appendice qui, è stato reso alla V Commissione, in cui invece è stato approvato un documento, relatrice l'onorevole Lucaselli, che trovate in appendice qui.

I documenti sono abbastanza circostanziati ed evidenziano una serie di problemi posti dal nuovo approccio regolamentare proposto da Bruxelles. Certo, trattandosi di politica, abbiamo dovuto esercitare l'eroismo della pazienza e non il "sicceroismo" dei guitti. La tentazione di seguire il secondo approccio, qui esemplificato da un autore che credeva di essere di sinistra, naturalmente assale, ma in un discorso e comunque in un contesto politico le regole di ingaggio sono diverse. Questo ovviamente non sarà capito dai soliti puristi che storceranno il nasino, in attesa di essere epurati da un purista più purista di loro: ma questo è un loro problema.

Il nostro problema, in termini generali, così come emerge dalla lettura degli orientamenti della Commissione, è il solito: quello delle regole rigide con applicazione discrezionale, fin da subito identificato dalla letteratura scientifica come gravemente disfunzionale, complicato in questo caso da un deciso input di opacità, e dall'attribuzione di un sempre maggior potere di impulso e di gestione del processo alla Commissione, cioè alla divinità che nella Trimurti europea (Commissione, Consiglio, Parlamento) è decisamente la più distante da una legittimazione democratica diretta. Ma non è tanto su questo aspetto generale, variamente messo in evidenza (a beneficio di chi ne avesse avuto bisogno) dai vari soggetti auditi, che voglio attirare oggi la vostra attenzione.

Volevo invece tornare su un punto, che poi è il dato genetico di questo blog: e il debito privato?

Fra fine febbraio e inizio marzo abbiamo passato tre settimane a parlare della necessità di mettere ordine nelle finanze pubbliche, di non lasciare debito alle generazioni future, e via giannineggiando, e fin qui, per carità, tutto comprendere è tutto perdonare! Tuttavia, per quanto a voi possa sembrare strano, per i miei colleghi non solo non esiste questo blog, dove il punto ci è chiaro dal 16 novembre del 2011, ma nemmeno Voxeu, dove ci sono arrivati il 7 settembre del 2016, e così i miei colleghi non sanno, ahinoi!, che:

la scorsa (e la prossima) crisi dell'Eurozona non è stata (e non sarà) una crisi di debito pubblico, ma una crisi di debito privato, una crisi da arresto improvviso (sudden stop) di rifinanziamento privato delle posizioni debitorie private sull'estero.

A noi era bastato osservare che i Paesi più malconci erano quelli col debito pubblico più basso, non più alto (unica eccezione la Grecia, dove comunque il debito pubblico era stabile e a crescere rapidamente era stato il debito privato). Come faceva un debito basso o stazionario a essere causa di problemi finanziari? Era più facile che quei problemi fossero causati da un debito che era più alto o comunque in rapida crescita!

Noi ci eravamo arrivati subito, quelli bravi cinque anni dopo, i miei colleghi parlamentari ancora non ci sono arrivati. Con l'occasione, apro e chiudo una parentesi per sottolineare un punto, anzi, un paio di punti di metodo.

Intanto, come vedete, siamo oltre il principio di autorità! Certe cose non vengono non dico capite, ma almeno accettate, neanche se le dice Giavazzi, il principe dei nuovi farisei! Il fatto poi che le dicano i dati possiamo considerarlo come del tutto trascurabile, e questo perché? Ma perché un parlamentare mediamente il tempo di approfondire non ce l'ha, e sconta fortemente il costo reputazionale in cui incorrerebbe affidandosi a una fonte che si rivelasse inadeguata. Lo avete visto anche recentemente: molti avevano dubbi (anche nel partito di Speranza) ma nessuno voleva farsi affibbiare lo stigma di novax, cioè nessuno, in buona sostanza, voleva perdere diritto di parola (perché essere screditato dai giornaloni equivale a perdere il diritto di esprimersi). Insomma, vale per i parlamentari quello che vale per un'altra istituzione in cui i meccanismi reputazionali giocano un ruolo determinante: i mercati. Anche i parlamentari preferiscono fallire in modo convenzionale piuttosto che avere successo in modo non convenzionale. Quindi sono stupidi? No, tutt'altro: si dipingono così! E questo non è irrazionale? No, non lo è, purtroppo. Il costo immediato di proporre un approccio non convenzionale è la perdita della possibilità di incidere (ovviamente con le dovute eccezioni e con i dovuti distinguo, ma non tutti hanno la preparazione e la dialettica necessarie per avventurarsi in ogni campo con la stessa efficacia, il che consiglia a tutti una grande prudenza).

Questa parentesi vale a controbattere l'obiezione che molti seguaci di guittology potrebbero farmi, e forse mi hanno anche fatto, in passato: "Ma allora tu, che le cose le capisci prima, perché non gliele spieghi?"

Ma per due motivi: il primo, che poi è quello determinante, lo capirete quasi tutti: semplicemente, non c'è tempo per farlo (anche perché un discorso si fa in due, e per addentrarsi in un tema tecnico occorre non solo che tu abbia voglia di parlare, ma anche che l'altro, che è a corto di tempo come te, trovi conveniente impiegarlo nell'ascoltarti). Ma il secondo, che quasi nessuno capirà, non è trascurabile: semplicemente, dicendo le cose non dico "come stanno", e nemmeno "come risultano dai dati", ma "come le dice Giavazzi" (che è la massima auctoritas per loro), sarei pressoché certo di perdere quel minimo di autorevolezza che sono riuscito ad acquistare, e quindi di perdere la possibilità di essere ascoltato in altri contesti.

Dice: "Ma che senso ha non parlare per preservare la possibilità di poterlo fare in futuro? Tu intanto parla, poi i fatti ti daranno ragione, come è già successo, e la tua autorevolezza sarà rafforzata!" Sì, può darsi. Ma appunto, se i fatti mi daranno ragione, perché devo logorarmi a far entrare in testa alla gente delle cose che tanto la loro strada la troveranno? Non c'è un'unica partita, non c'è un unico tavolo, non ci sono solo Leregole, per dire: c'è tanto altro, e se è chiaro che la governance economica ha una sua rilevanza, è altresì chiaro che, nell'eterno ritorno dell'uguale, il fatto che si prosegua con l'austerità ha naturalmente svantaggi, ma ha anche un indiscutibile valore pedagogico. I rapporti di forza cambiano anche così, e non è da escludersi che in molti casi sia meglio aspettare che evolvano in proprio favore, prima di esprimersi.

Comunque, tornando al merito del discorso: e il debito privato? Perché, visto che è fattualmente e scientificamente assodato che gli episodi di instabilità finanziaria dipendono prevalentemente da esso, nella riforma delle regole non se ne tiene conto? Possibile che in Leuropa nessuno ci abbia pensato?

Ovviamente non è possibile e ovviamente ci si è pensato, come credo ricordiate. Qui abbiamo parlato spesso di MIP, la Macroeconomic Imbalances Procedure. Per una ironia della storia, l'Unione Europea decise di inserire il debito privato fra gli indicatori da tenere sotto controllo proprio nel giorno stesso in cui noi aprimmo questo blog per dire che il problema non era il debito pubblico (cinque anni prima di Giavazzi) e in cui Monti si insediò per fare austerità, cioè per fare una politica feticisticamente orientata al controllo del debito pubblico (col plauso di Giavazzi). La MIP infatti viene disciplinata dal Regolamento 1176/2011 del 16 novembre 2011. Fatto sta che, messasi a posto la coscienza con un minimo omaggio di circostanza al buonsenso macroeconomico, Parlamento e Consiglio decisero poi di non farsene di nulla: tutto l'apparato correttivo e sanzionatorio, infatti, resta ancorato unicamente alla finanza pubblica, e anche i recenti orientamenti sulla riforma delle regole, mentre ci raccontano che:

anche per la procedura per gli squilibri macroeconomici sarà previsto un processo di monitoraggio e di esecuzione rafforzato. La procedura per gli squilibri eccessivi rimarrà quindi lo strumento per imporre un'azione politica negli Stati membri con squilibri macroeconomici eccessivi, compresi squilibri che mettono o rischiano di mettere a repentaglio il corretto funzionamento dell'Unione economica e monetaria, quando tali Stati membri non intraprendono un'azione politica adeguata

in pratica non danno alcuna indicazione pratica su come dovrebbe essere sanzionato o comunque corretto lo Stato che si trovasse in una situazione di squilibrio (mentre per il debito pubblico la procedura di controllo e di sanzione è descritta con dovizia di particolari, e il testo lo trovate qui).

Forse il motivo è quello che avevamo prefigurato nel 2015: se si prendessero sul serio gli squilibri macroeconomici, salterebbe fuori che noi non siamo quelli messi peggio. Un indicatore dichiaratamente rozzo al quale ci eravamo affidato era il numero medio di violazioni dei parametri della MIP, che, lo ricordiamo, sono 14:

  1. la media mobile a tre termini del rapporto al Pil del saldo delle partite correnti, con soglie a +6% e -4%;
  2. il rapporto al Pil della posizione netta sull'estero, con soglia al -35%
  3. la variazione percentuale su 5 anni della quota di mercato delle esportazioni, con soglia al -6%
  4. la variazione percentuale su 3 anni del costo del lavoro per unità di prodotto, con soglia al 9% (12% per Paesi esterni all'Eurozona
  5. la variazione percentuale su 3 anni del tasso di cambio reale effettivo basato sull'indice dei prezzi al consumo e relativo a 41 paesi industriali, con soglia del +/-5% (+/-11% per Paesi esterni all'Eurozona)
  6. il rapporto debito privato/Pil, con soglia al 133%
  7. il rapporto fra flusso di credito privato e Pil, con soglia al 14%
  8. il tasso di variazione annuale del prezzo delle abitazioni, con soglia al 6%
  9. il rapporto debito pubblico/Pil, con soglia al 60%
  10. la media mobile a tre termini del tasso di disoccupazione, con soglia al 10%
  11. la variazione annuale delle passività totali del settore finanziario, con soglia al 16.5%
  12. la variazione su tre anni del tasso di attività (rapporto fra popolazione attiva e popolazione in età lavorativa), con soglia al -0.2%
  13. la variazione su tre anni del tasso di disoccupazione a lungo termine, con soglia allo 0.5%
  14. la variazione su tre anni del tasso di disoccupazione giovanile, con soglia al 2%

(vi ho evidenziato in grassetto i tre debiti: estero, privato e pubblico).

Otto anni fa la situazione era questa:


e per esercizio (e anche per avere qualcosa da dire domani), con santa pazienza, sono andato ad aggiornare il grafico prendendo dall'Appendice statistica al Rapporto sul meccanismo di allarme (Alert mechanism report), cioè dall Staff Working Document SWD (2022) 381 final, i dati dal 2014 al 2021. La situazione sul campione 2014-2021 (dati più recenti ancora non ne abbiamo) è questa:


Notiamo che tutta la curva si è abbassata: otto anni fa il Paese messo peggio era la Spagna con una media di sette criteri violati all'anno, oggi Cipro con 5,4 (seguito subito dopo dalla Spagna). Il periodo di relativa tranquillità fra 2014 a 2019 ha consentito a tutti i Paesi di aggiustare in qualche modo i loro parametri, e così anche noi siamo passati da una media di 3.5 violazioni a una media di 2.9. La dinamica presenta un certo interesse: se otto anni fa solo cinque Paesi avevano collezionato in media meno violazioni di noi, nel periodo 2014-2021 i Paesi più "virtuosi", secondo questo criterio dichiaratamente rozzo, sono passati a 10: abbiamo raggiunto la Finlandia, che è ora a pari merito con noi, ma ci hanno sorpassato Danimarca, Svezia, Bulgaria, Romania, Polonia e Malta. Salvo errore, cinque di questi sei Paesi sono fuori dall'Eurozona, e quattro sono prenditori netti di fondi europei, ma questo è senz'altro un caso. Più interessante osservare che fra i quattro "grandi", solo la Germania sta messa marginalmente meglio di noi, mentre Francia e Spagna hanno entrambe più difficoltà di noi a rientrare nel quadro di sorveglianza macroeconomica. Paesi che proclamano grande virtù, o che come virtuosi vengono sbandierati dai nostri media, stanno alla pari con noi, come la Finlandia, o piuttosto peggio di noi, come i Paesi Bassi. L'Irlanda, il "ragazzo prodigio" dei narratori ingenui, è il quinto Paese per numero medio di violazioni (sta fra Grecia e Ungheria).

Questa analisi puramente descrittiva, naturalmente, lascia il tempo che trova. Per quanto sia importante monitorare il tasso di disoccupazione, soprattutto quello giovanile, e per quanto sarebbe doveroso tenerne conto, fatto sta che esso è più un prodotto che una causa delle crisi finanziarie, che invece sono causate dal debito privato, in particolare da quello estero. Fermo restando che le soglie prescelte per posizione finanziaria netta sull'estero e debito privato non hanno un particolare valore, come non ce l'ha il famoso 60% (che con le nuove regole fiscali europee non cambia), può essere interessante fare un focus sulla violazione di questi tre parametri: il secondo, il sesto e il nono della lista sopra riportata.

Vediamo quindi che evoluzione hanno avuto questi tre tipi di debito, esaminando la loro variazione fra 2014 e 2021:


I paesi sono ordinati per variazione del debito estero (posizione finanziaria netta sull'estero, barra azzurra) crescente, il che significa che quello più in alto è quello che ha ridotto di più il suo debito (aumentato di più il suo credito) verso l'estero, mentre quello più in basso è quello che ha aumentato di più il suo debito (ridotto di più il suo credito) verso l'estero. In cima abbiamo la Croazia, la cui posizione netta sull'estero è andata dal -89.6% del Pil nel 2014 al -35.1% nel 2021 (quindi il debito netto si è ridotto), e in fondo abbiamo la Grecia, la cui posizione è andata dal -133.0% nel 2014 al -171.9% nel 2021 (quindi il debito netto è aumentato).

Questo modo di organizzare i dati ci fa vedere una regolarità: generalmente i Paesi più competitivi, le cui esportazioni superano le importazioni, e che quindi accumulano crediti/decumulano debiti verso l'estero, cioè quelli più in alto, sono anche quelli in cui il settore privato riesce a diminuire il proprio debito. Fanno eccezione a questo schema Germania, Svezia, Belgio, Austria e Slovacchia. La stessa cosa vale, a grandi linee, per il debito pubblico (e qui fanno eccezione Italia e Spagna).

In qualche modo questo avvalora l'enfasi sui vantaggi della competitività, cioè della crescita con la domanda altrui: resta ovviamente il problema di come immaginare un mondo di soli esportatori netti (chi importerebbe?), ma non entro ora in questa annosa questione. Viceversa, anche se sarebbe interessante entrare nelle vicende di tutti i singoli Paesi (ad esempio dell'Irlanda, di cui ci siamo occupati diverse volte, l'ultima qui), vi propongo uno zoom sui quattro Paesi più importanti, perché alla fine, anche se siamo riusciti a farci molto male gestendo nel modo che ricorderete la crisi di un Paese piccolo, sono le dinamiche dei Paesi grandi a essere determinanti non solo e non tanto per la stabilità finanziaria del sistema, quanto per gli orientamenti della sua produzione legislativa:


La cosa interessante è che fra il 2014 e il 2021 in Francia sono aumentati, e non di pochissimo, tutti e tre gli stock di debito: quello pubblico, quello privato, e quello estero, come riflesso del noto problema di "deficit gemelli" (pubblico ed estero) che affligge il Paese e sul quale ci siamo lungamente intrattenuti negli anni (probabilmente anche loro, ma senza migliorare di molto la situazione). Questo spiega, per chi si fosse messo in ascolto solo in questo momento, certi filmati un po' "mossi" che arrivano da quel Paese. Vista in questa ottica la nostra posizione non è poi così drammatica. Certo, del debito di cui parlano tutti (quello pubblico) ne abbiamo molto, ed è anche aumentato (ma meno che in Francia). Però dei debiti di cui nessuno parla, che poi sono quelli che fanno male (quello estero e quello privato) ci siamo sbarazzati a un tasso piuttosto soddisfacente.

La mia conclusione provvisoria è che non siamo noi i più fragili, se si utilizza una metrica meno beota di quella sulla quale il discorso si è appiattito. Ma naturalmente questa conclusione la terrò per me, o al massimo la consegnerò a un blog che non esiste.

(...e se dovessi scommettere un euro su quale Paese potrebbe darci soddisfazioni lo punterei sulla Svezia: un Paese in cui il debito pubblico è diminuito e quello privato è aumentato. Potrebbe non avere in comune con la Spagna solo l'iniziale, ma avremo modo di vederlo...)


L'agnello sintetico

(...approfitto di una vostra sollecitazione per mettere in fila alcuni "puntini" disseminati nel corpus del blog, di cui forse ora, con un po' di prospettiva, si riesce ad afferrare meglio il significato...)

Qualche giorno fa uno di voi ha posto un tema interessante: che garanzie di sicurezza ci dà la cosiddetta carne sintetica? Quattro giorni dopo Marco Cosentino, cui avevo segnalato il tema, ha pubblicato sul suo canale Telegram (da seguire) questo interessante articolo di rassegna. In estrema sintesi: i dubbi espressi dal nostro amico circa l'accresciuto rischio biologico posto dalla riproduzione di cellule in vitro rispetto a quella sessuata sono fondati ed erano già ampiamente noti e discussi. La rassegna è di tre anni fa, ma il dibattito era già vitale sette anni fa (e in effetti se ne era parlato tangenzialmente anche qui). Si conferma comunque che qui non si inventa niente (e noi non abbiamo mai preteso di inventare qualcosa) e che il buonsenso e un minimo di istruzione ti portano se non prima, non molto dopo, dove poi arriverà la scienza. L'articolo di sette anni fa, fra l'altro, pone una sfaccettatura interessante del problema: come si fa a proporre carne di sintesi in un mondo che sempre più aspira a una vita e a prodotti naturali (il famoso chilometro zero)?

Ma questa è solo una sfaccettatura del problema, appunto, tra l'altro facilmente scardinabile col noto meccanismo del richiamo a una superiore urgenza: il nuovo FATE PRESTO! ambientale, quello gretino, può facilmente spazzare via le aspirazioni bucoliche di un altro tipo di ambientalismo, quello meno finanziato dalle multinazionali.

Il nocciolo del problema mi sembra sia invece quello evidenziato da Gabriele Bellussi: la concentrazione oligopolistica che questo tipo di filiera necessariamente porta con sé, date le elevate barriere tecnologiche di accesso al mercato, e il conseguente controllo da parte di pochi delle vite di tutti gli altri. La direzione in cui si sta andando è questa, quella del controllo, ma questa è tutt'altro che una novità (non a caso avete citato i solti classici: 1984, e via dicendo), e anche su questo ci eravamo permessi in tempi non sospetti di lanciare plurimi allarmi. Non è nemmeno una grande novità, ma acquista in questa vicenda un risalto sempre maggiore, il fatto che l'Unione Europea, progetto nato, nelle immortali (?) parole del Manifesto di Ventotene, per combattere "efficacemente" (?)  "tutte le tendenze monopolistiche", sia semplicemente il braccio armato, l'amplificatore di queste tendenze monopolistiche.

Certo, la linea catara e criptogrillina espressa dal manifesto di Ventotene ("si è così assicurata l'esistenza del ceto assolutamente parassitario dei proprietari terrieri assenteisti, e dei redditieri che contribuiscono alla produzione sociale solo col tagliare le cedole dei loro titoli, dei ceti monopolistici e delle società a catena che sfruttano i consumatori e fanno volatilizzare i denari dei piccoli risparmiatori, dei plutocrati, che, nascosti dietro le quinte, tirano i fili degli uomini politici, per dirigere tutta la macchina dello stato a proprio esclusivo vantaggio..." ecc. ecc.) risente di svariate debolezze analitiche, e anche di una certa usura del tempo, come più volte abbiamo notato. Fra le tante debolezze, una delle più rilevanti ai fini di quello che qui interessa è la mancanza di una riflessione sulla natura endogena di queste tendenze monopolistiche, che deriva dalla natura del progresso tecnologico, come avrebbe poi spiegato Sylos Labini. Proprio per questo, proprio per la loro natura in qualche modo endogena, queste tendenze richiederebbero, come contrappeso, una politica forte e legittimata, che sia in grado non solo e non tanto di regolare il come, ma soprattutto il dove vogliamo andare. Perché se il dove te lo propone un altro, poi, a seconda dei casi, la scelta del come potrebbe non essere vasta né agevole. Occorrerebbe quindi esattamente quel tipo di politica che, per una serie di problemi di coordinamento su cui ci siamo lungamente soffermati negli anni, l'UE non può "deliverare" (come dicono quelli bravi).

Di fatto, alcuni recenti fatti di cronaca confermano quanto ci siamo sempre detti qui: se non l'unica, la principale economia di scala politica realizzata dal "grande pennello" europeo è quella a vantaggio del lobbismo, che è un'attività assolutamente fisiologica per il funzionamento di una democrazia (alla fine, i Governi devono rappresentare e difendere interessi espressi dalla società, e della società fanno parte anche le imprese), ma che degenera più facilmente se opera, appunto, in condizioni di monopolio (politico), come quelle create in re ipsa dal progetto europeo.

E quindi?

E quindi, come al solito, come in altri campi (qui siamo partiti occupandoci di economia internazionale monetaria), se una storia va avanti da decenni, e se mancano le condizioni istituzionali, prima ancora che politiche, per contrastarla, anche se il buonsenso, e quella sua sublimazione che è la scienza, sconsigliano di intraprendere un certo percorso, quel percorso verrà intrapreso, e dietro non c'è la "S" di Satana (spiace per i tanti amici folcloristici cui perdoniamo l'ingenuo e involontario tentativo di screditare il nostro lavoro) ma quella di soldi.

Significa che non possiamo fare nulla?

Vorrei rispondere, anche se non è buona educazione, con una domanda: voi, da dodici anni di battaglie, che cosa avete imparato?

Sarebbe utile che rispondessero quelli che non si sono arresi, quelli che sono qui dall'inizio. Qualcuno c'è. Gli altri sono benvenuti, ma ovviamente vedono un percorso di anni sotto le lenti deformanti dell'attualità. Perché se non abbiamo imparato niente, allora la guerra è persa. Se abbiamo imparato qualcosa, allora dobbiamo riconoscere i pochi progressi fatti e le molte sconfitte subite e trarne delle lezioni: quelle lezioni che ho cercato, senza successo, di condividere con l'ultima ondata di zerovirgolisti (quelli che si sono schiantati in Friuli Venezia Giulia)...

In ogni caso: buon appetito!

(...l'eterno ritorno dell'uguale! Siamo più o meno a undici anni fa: sfoderano i loro guitti - vi ricordate Donald?, tornano alla carica con gli stessi argomenti - vi ricordate di quando mandavamo a stendere i CCF e le monete "positive"?, senza che nessuno si ponga la più semplice delle domande: "ma questa postura politica - cioè quella dell'antipolitica - la prima volta che risultati ci ha dato?" L'alleanza organica col PD dei "diritti", cioè dei dritti! Bel risultato! E poi, non è mica la prima volta! L'antiparlamentarismo - perché di questo si tratta - è una costante del nostro panorama politico, un fenomeno cronico che si acutizza come fascismo, qualunquismo, grillismo... Il prossimo "ismo" non sappiamo come si chiamerà, ma interessa il giusto: il problema non è l'etichetta che gli si dà, il problema è che in questa follia c'è un metodo, c'è una razionalità, che qui abbiamo discusso tante volte, prendendoci le nostre badilate di letame. Ma avevamo ragione noi, nel limitato senso che quello che prevedevamo poi è successo. Fatto sta, e so che dirlo espone a critiche, prevedere quello che sarebbe successo non è stato del tutto inutile. Non è servito a impedirlo, certo, ma ora alcuni di noi sono più vicini a dove le cose si decidono. Claudio insiste regolarmente su questo punto: porcate come la "filiazione europea", o semplicemente l'aumento dell'IMU, non sono andate avanti perché eravamo lì. Certo, siamo lontani dall'obiettivo di recuperare una piena autonomia strategica, ma tuttavia non credo che il nostro essere lì sia irrilevante: ce lo segnala lo sforzo che viene profuso dai nostri nemici per avvalorare l'idea che lo scopo di un parlamentare sia la mera testimonianza, sia il darsi fuoco come un monaco buddista [leggendo l'articolo apprenderete che anche quella foto era stata preparata, così come quelle dei gretini imbrattatori], o il ritirarsi sull'Aventino [che finì come sapete]. Non cascateci! I risultati richiedono pazienza e perseveranza, richiedono il non bruciarsi, né letteralmente, né metaforicamente. Questo lo abbiamo capito. Se ai guitti spiace, ce ne faremo una ragione...)

mercoledì 5 aprile 2023

Il blog che non c'è (mai stato)

Noto con un disincantato compiacimento che un tema che avevamo sollevato tempo addietro è diventato piuttosto caldo (forse troppo).

C'è sempre quel problemino di bilanciare il compiacimento del riuscire, dopo dodici anni di attività, a essere ancora anticipanti, con lo sconforto di non riuscire, dopo dodici anni di anticipazioni, a essere non dico risolutivo, ma almeno incisivo. Se ne parlava anche nell'ultimo post e non torno sul punto: se è toccato a Keynes, può toccare anche a noi, sapremo farcene una ragione.

Volevo però dedicare una mezz'oretta a circostanziare la provocazione con cui ultimamente vi punzecchio: quella storia che questo blog non è mai esistito, che voi non esistete, che la nostra community non esiste, come non esistono nemmeno i duecento biglietti del #midtermgoofy (quelli in effetti non esistono: ve li siete fumati in poche ore...).

Parto da un aneddoto di oggi.

Mi cercava una operatrice informativa per offrirmi ampio spazio con una intervista sul PNRR: "fare un’intervista ampia con noi su come, quanto  e dove spendere i soldi del pnrr?"

Ora, chi è qui dall'inizio ha visto come si è evoluto nel tempo il mio rapporto con la stampa, e chi non c'era può seguire, leggendo i vecchi post, le tappe di questa evoluzione. D'altra parte, se il primo tag di questo blog è propaganda un motivo ci sarà. Venendo all'oggi, semplicemente non ho nulla da dire a chi per anni ha avuto come scopo principale quello di togliermi voce e visibilità, o di distorcere quanto dicevo. Si parla, ovviamente, degli anni precedenti al mio ingresso in politica: oggi la visibilità non mi serve e non la cerco - a dire il vero, neanche prima la cercavo più di tanto, ma ci siamo capiti...

Non è molto intelligente cercarmi sempre e solo per mettere zizzania all'interno della maggioranza o del mio partito. Bisogna essere molto, ma molto stupidi per pensare che io abbocchi a trappoline simili. Un giornalista intelligente, se non fosse un ossimoro, cercherebbe in qualche modo di costruire un rapporto nei momenti di bassa tensione, di creare un minimo di confidenza reciproca condividendo riflessioni su temi tecnici o laterali: così, forse, si porrebbero i presupposti per affrontare temi di struttura nei momenti in cui diventano rilevanti. Ma bisognerebbe capire (e qui sta il loro problema) la rilevanza dell'interlocutore! Ovviamente se mi usi solo per i tuoi giochetti da poraccio in giornate in cui ho altro da fare come va a finire? Ma nel modo più ovvio: blocco del contatto e via andare! Lo stesso accade se mi chiami ex nihilo per parlare di nomine, o in generale del tema del giorno.

Allora "Bagnai limita la libertà di espressioneeeeh1!11!"?

No: semplicemente Bagnai quello che vi interessa oggi lo ha già detto ieri, e non gli va di ridirlo a persone che lo renderebbero incomprensibile a terzi per il semplice motivo che sarebbero loro le prime a non capirlo. Sia detto senza offesa, per carità! Non sto postulando un'inferiorità etica o intellettuale degli operatori informativi. So benissimo tutta la storiella: loro non sono cattivi, sono le condizioni oggettive del loro lavoro, ecc.

Ma anche uno scorpione non è cattivo: sono le condizioni oggettive del suo lavoro. Fatto sta che se posso ne sto alla larga e se non posso lo schiaccio.

Punto.

Perché in tutto questo, vedete, c'è un dato che magari a voi non sfugge, ma nel dubbio ve lo metto in evidenza: alla fine, che il problema dell'operatore informativo sia capire (ad esempio, che cosa io pensi del PNRR: mi rendo conto che sia un enigma perché non ne ho mai parlato), o che sia mettere zizzania nella maggioranza andando alla ricerca di affermazioni controverse, non è che ci sia bisogno di rompermi i coglioni! Io quello che penso lo scrivo qui da dodici cazzo di anni (mica uno!): c'è tutto, su tutti i campi dello scibile umano, e se non salta immediatamente all'occhio il tema del giorno (perché generalmente qui ce ne siamo occupati mesi o anni prima) basta usare gugl (sarebbe Google).

C'è una domanda quindi che dovremmo porci, e che magari vi sarete posti: ma perché quando qui diciamo quello che ci pare, nessuno usa le nostre affermazioni per scassarci la minchia (o la maggioranza)? Di cose che a seconda della giornata potrebbero essere strumentalizzate in un senso o nell'altro ce ne sono a tonnellate! Ora, siccome dicendo quello che pensavo sono diventato prima senatore e poi deputato, ovviamente non ho alcuna intenzione di smettere. Ma allora perché sui giornaloni non leggiamo mai "l'onorevole Bagnai nel suo blog dice che il PNRR...", o anche semplicemente "l'onorevole Bagnai nel suo blog dice le parolacce"? Ma è molto semplice: perché questo blog non deve esistere. Eh già, perché nella famosa sequenza: "prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, poi vinci", siamo arrivati alla fase "poi ti combattono".

Come poi ti combattono? Ma non ci stanno ignorando?

No, avete letto bene, e qualcuno ha anche capito. Agli altri lo spieghiamo coi classici: "Scopo dell'atto di guerra è disarmare l'avversario" (von Clausewitz). E se la guerra è quella dell'informazione, l'avversario lo si disarma non dandogli voce (ovvero: in questa forma di combattimento l'arma di annientamento dell'avversario è l'ignorare). In altre parole, il nemico sa che se portasse lettori qui, ci armerebbe. Quindi non lo fa, ed è sostanzialmente per questo che tante asserzioni che pensavo mi avrebbero procurato rogne qui sono passate lisce come acqua di fonte.

Come ogni regola, anche questa ha goduto di eccezioni. Io ne ricordo una, ma forse ce ne sono state altre.

D'altra parte, se siete qui, sapete che cosa succede a chi arriva qui: ci resta. E se ci siete restati sapete che cosa succede a chi ci resta: cambia visione del mondo, fino a trovare fastidiosamente superfluo il lavoro degli operatori informativi, che quindi, per ovvi motivi di autotutela, hanno tutto l'interesse a combatterci con l'arma dell'oscuramento.

Vedo il bicchiere mezzo pieno: possiamo continuare a dirci la verità su tante cose senza che questo crei casi politici e senza dover fare troppi giri di parole, possiamo proseguire il nostro discorso, possiamo essere una community (che non esiste) senza fare ombra a nessuno, e in effetti se ultimamente vi trascuro non è per timore di creare imbarazzi, ma semplicemente perché mi manca il tempo di intrattenermi con voi.

Certo, c'è anche il bicchiere mezzo vuoto, e ve lo spiego con un altro aneddoto di poche settimane fa.

Ero in un salotto non so se esclusivo ma certamente riservato della Grande Babilonia e mi intrattenevo con Alti Funzionari (molto alti: ora va così, anche se io preferivo quando le mie serate le passavo con voi). Con grande foga uno di loro mi spiegava che c'è un libro di una studiosa americana che spiega come gli spostamenti di masse di popolazione siano stati usati nel secondo dopoguerra come armi per destabilizzare politicamente Paesi avversari, come strumenti di guerra ibrida. E io me lo guardavo sornione... fino a che (sbagliando: perché vi ho appena detto che quello di non esistere è il nostro principale vantaggio tattico!), fino a che non mi son potuto trattenere, e gli ho detto: "Sì, ma tu lo sai perché hai letto quel libro? Perché nel 2016 ho portato in Italia quella studiosa, che mi era stata segnalata da un lettore del mio blog, e il suo intervento al nostro convegno ha avuto così tanto successo che le è stato proposto di tradurre in italiano il libro".

E gli ho fatto vedere il video (notate che infatti Armi di migrazione di massa venne pubblicato l'anno successivo).

Amici, vi dico un segreto: la gente, anche quella che dovrebbe sapere tutto, non sa un beneamato cazzo di niente di quanto è successo nel nostro Paese e di chi non dico lo ha fatto succedere, ma ha contribuito a che succedesse: per loro non c'è mai stato questo blog, quindi nessuno ha invitato Kelly in Italia, questa intervista non è mai stata rilasciata, e del resto nemmeno questa, perché ovviamente non c'è mai stato questo panel, e quindi nemmeno gli altri, così come non ci sono mai stati i nostri convegni, ecc.

Magari potrebbe servire a qualcosa creare un minimo di coscienza di certi processi storici, se volete: far trapelare l'idea che noi esistiamo. Chissà?... Certo per questo non possiamo rivolgerci ai Soloni (che fanno rima con se stessi) che blaterano di sovranismo atteggiandosi a intellettuali compostabili, pardon: organici, a mosche nocchiere del carro della Storia.

Ma la storia (non) è stata fatta nel blog che non c'è (mai stato), e possiamo continuare a (non) farla qui.

Sappiatelo, e (non) siatene fieri.

Buona notte!

(...non ci vediamo fra dieci giorni: peccato, perché mi hanno detto che non ci sarà il catering...)