martedì 30 giugno 2015

Grecia: nani, ballerine, e fatti

Come di consueto, quando devo andare a una trasmissione di Paragone cerco di prepararmi.

Una delle ultime volte mi impose niente meno che il dottor Giannino, e io scrissi questo, perché ero certo che nel corso della trasmissione sarebbero state profferite cialtronesche menzogne sulla spesa pubblica, come poi in effetti fu.

Siccome oggi si parlerà di Grecia, e se ne parlerà niente meno che con un partecipante a quella esperienza politica di sicuro successo che è stata Scelta civica (!), considerando anche il ruolo piuttosto evidente che l'amico Gianluigi ha svolto e forse sta svolgendo (quello di screditare qualsiasi tipo di pensiero alternativo al dogma eurista mandando in onda personaggi improbabili come Donald - link vietato ai minori), posso dare per scontato che anche stasera la faranno da padrone le lievi imprecisioni razziste sulla Grecia, quelle con cui i media ci subissano, per convincerci che i greci, in fondo, quello che gli capita se lo sono meritato.

Ricordo, a chi venisse a conoscermi questa sera, che io mi occupo di Grecia da tempo. L'associazione a/simmetrie, che ho fondato insieme con Claudio Borghi Aquilini, e nel cui comitato scientifico siedono economisti come Paolo Savona o Vladimiro Giacché, ha sostenuto il progetto "Il più gran successo dell'euro", che trovate qui. Eh già! Perché l'ex leader del partito di Zanetti (o come si chiama, non ho tempo di googlare) ne era proprio convinto: lui diceva che la Grecia era un gran successo dell'euro perché dimostrava che quest'ultimo obbliga i paesi a fare "le riforme", anche quando sono privi di "cultura della stabilità" come la Grecia. Peccato che quelle riforme col "salvataggio" della Grecia avessero poco a che fare, come del resto avevano poco a che fare col salvataggio dell'Italia le riforme che Monti era stato chiamato a fare qui da noi e delle quali io annunciai il fallimento il giorno stesso in cui Monti prestò giuramento (teoricamente all'Italia, ma in pratica ai creditori esteri, nelle mani del loro rappresentante).

Già guardando i grafici della spesa pubblica preparati per Giannino, caro lettore, se sei un neofita, e non sei un imbecille (non poniamo limiti alla Divina Provvidenza), ti chiederai: "Ma che bisogno c'è di tagliare così forsennatamente la spesa pubblica in un paese che comunque la si misuri, questa spesa, resta sempre sotto la media europea?

Bè, i motivi ovviamente non sono quelli di salvare i conti pubblici: così come Monti li ha fatti peggiorare in Italia (e il perché l'ho spiegato qui e qui), la Troika li ha fatti peggiorare in Grecia. Diciamo prò che Torika batte Monti uno a zero, perché almeno le istituzioni della Troika hanno ammesso di essersi sbagliate, come vi ho spiegato qui. Monti invece manda ancora in giro personaggi come Passera a fare la lezioncina di economia a Krugman (velo pietoso, e non su Krugman).

Insomma, non vi rifaccio tutta la storia. Quelli che sono qui dall'inizio la sanno. Gli altri, se sono curiosi e vogliono salvare la pelle, approfondiranno, cercando di capire perché si insiste con una medicina che lo stesso medico dichiara essere sbagliata. Possibile che sia solo perché è amara? Se volete studiare, bene, altrimenti Darwin farà il suo lavoro (ma poi non chiedeteci di versare lacrime, come fanno certi giornalisti quando tocca a loro: quelle in effetti sono finite, e d'estate la disidratazione, l'assenza di liquidità, non è un rischio solo per la Grecia).

Voglio però ricordarvi tre fact checking sulla Grecia che smentiscono con dati alla mano le favolette razziste dei media (prevenire è meglio che curare):

1) quello di Vladimiro Giacché sul Fatto quotidiano (ora disponibile sul sito di a/simmetrie);

2) il mio su questo blog;

3) last (per ovvi motivi: in Italia siamo avanti) but not least quello di Karl Whelan.

Vedi, lettore?

Oggi è facile documentarsi. Se non lo fai, la colpa è tua. D'altra parte, la democrazia, come il mercato, funziona se si rendono disponibili le informazioni corrette. Il che significa che, a mio modesto avviso, che non ti chiedo di condividere, chi mente sui fatti è non solo un po' approssimativo (visto come sono gentile?), ma soprattutto un nemico della democrazia, insomma, uno di quello che quando ero giovano si chiamavano sbrigativamente fascisti. Se volete, potete chiamarli anche Gennarino. La sostanza non cambia.

Sono certo, comunque, che l'informazione che La7 fornirà questa sera sarà corretta e imparziale.




P.s.: non mi ero sbagliato: non c'è stata disinformazione. E mi concederete che, rispetto a Oscare, Francesca è un progresso. Omnia munda mundi. 




lunedì 29 giugno 2015

Polvere alla polvere

Che Riccardo Puglisi si diletti a fare lo spin doctor si sa, e, come si suol dire, ci sta. Questi sono i suoi campi di specializzazione secondo IDEAS:



C'è anche la "cultural economics", e, del resto, se sa, lui "ha letto" la Recherche. Anzi, ben "tutta" (fischia!). In francese, suppongo...

Questi invece sono i miei campi di specializzazione:


Un filo più attinenti ai problemi che ci riguardano in questo momento, ma io, quando parlo con Ric, cerco di non farglielo pesare, perché io la Recherche la leggo (siamo in pochi a capire la differenza).

Menziono questo fatto solo per difendere la dignità della mia professione.

A Riccardo riconosco un notevole sprezzo del pericolo. Nel lanciare il suo ultimo spin allarmistico, blaterando di bank run con non so bene quali conseguenze apocalittiche, deve aver certo tenuto conto di questi due dettagli:



Quando i nodi verranno al pettine, l'intendance suivra (il francofilo Ric apprezzerà), col rischio (certo calcolato da Ric) che si trovi un giudice a Berlino, o magari a Torino, poco convinto dell'opportunità di fare allarmismo. 

Riconosco a Ric un ancor maggiore sprezzo del ridicolo. Quando ci si avventura in campi estranei ai propri interessi diretti di ricerca si rischia, ahimè, un bel bagno:


Ecco: qui Kruggy, l'eterno secondo, conferma quanto da tempo avevamo spiegato a Ric io e, soprattutto, Claudio Borghi. Il "bank run" c'è già stato, e non è successo sostanzialmente un cazzo di niente, per motivi che non rispiego (essendo inutile sia a voi che a Puglisi per motivi uguali e contrari).

Kruggy ci scherza, e Ric continua, sempre più nervosetto, a ripetere bank run bank run bank run come un vinile scheggiato. 

Salvate (da se stesso) il soldato Puglisi. 











sabato 27 giugno 2015

Il tramonto dell'euro?

Il gioco delle menzogne incrociate ha condotto la situazione a un'impasse. Gli statisti del Sud, che hanno fatto dell'euro una bandiera di riscatto nazionalistico, possono liberarsene solo a patto di farsi cacciare. Quelli del Nord, che hanno privatizzato i profitti, non possono più di tanto essere accomodanti col Sud cui hanno accollato tutta la colpa per socializzare le perdite. La fine dell'euro e dell'UE, che abbiamo preconizzato, irridendo i pagliacci dell'irreversibilità, si avvicina di gran carriera, lungo la faglia, che tante volte abbiamo descritto, fra queste due placche di bugie. Se anche le istituzioni europee avessero l'intelligenza tattica di rimandare la palla nel campo di Tsipras, dandogli quello che dice di volere (haircut e euro senza austerità), ormai lo strappo è difficile da ricucire. Tutti hanno capito quanto dicevamo nel 2012: che l'euro non è una moneta ma un metodo di governo. Perfino questo gesuita!


Tutti ormai sanno che l'euro è l'austerità. Giacché ieri mi ha fatto notare che perfino il rapporto dei cinque presidenti lo ammette (ne parlo oggi sul Fatto Quotidiano). E ormai è anche chiaro quanto Kaldor diceva nel 1971: che le tensioni sociali causate dall'euro rischiano di distruggere l'Europa. 

Ma, come spiego nel lavoro che sto completando per Fusaro, proprio il fatto che tutti sapessero tutto da prima ci pone di fronte al vero, insormontabile problema politico dell'euro: l'ignavia, la pochezza umana, l'impreparazione tecnica delle classi politiche che ce l'hanno imposto, e che ora, in tutta evidenza, non sanno come gestirne l'inevitabile tramonto...

venerdì 26 giugno 2015

La voce dell'innocenza (2)

Uga: "Che fai, leggi il tuo libro?"

Io: "Sì, ogni tanto mi dimentico cosa ci ho scritto".

Uga: "Mamma dice che tu ti vanti della tua scrittura".

Io: "Certo che mi vanto: scrivo bene".

Uga: "Ah! Ma tu non scrivi col computer?"




(...tana! In effetti, è il computer a scrivere bene. Domani ne parliamo...)

mercoledì 24 giugno 2015

Immigrazzione

(...non ditelo a Salvini!)


Oggi ci sono buoni 16 nodi di grecale. Come le nuvole hanno coperto il sole, il buon senso mi ha consigliato una onorevole ritirata verso er baretto, dove mi sono intrattenuto con nigra sum, sed formosa, la barista. L'accademico, se sa, è lumacone di suo. Io poi sono francofono, e comunque (honni soit qui mal y pense) mosso dal mio interesse professionale per le unioni monetarie (segnatamente, l'UEMOA).

Sostiene sed formosa di essere nata 23 anni or sono da qualche parte fra Arese e Baranzate, da genitori senegalesi, e per questo motivo di non avere la cittadinanza senegalese (essendo che il Senegal non l'ha mai visto). Solo che non ha nemmeno la cittadinanza italiana, e quella la vorrebbe. Dice che a 18 anni l'ha chiesta e le hanno detto che doveva sposarsi un italiano. Non avrebbe difficoltà a trovarlo, ma ritiene assennatamente che un rapporto nato su basi strumentali sarebbe fragile. Le hanno anche detto che in alternativa avrebbe dovuto avere un reddito superiore ai 10000 euro. Lei, fuori stagione balneare, vende vestiti alla stazione (con partita IVA, tutto regolare, ecc.), ma a 10000 non ci arriva. C'è la crisi. 

Io, che son beato, mi son documentato, e la prima cosa che ho trovato è questa:



dove, se capisco quello che c'è scritto, la formosa di fatto sarebbe già cittadina italiana. Cos'è che non capisco? Forse ho anch'io bisogno di una traduzzione (in lingua italiana, bien sûr)!







Addendum: lo sportello immigrazzione la fa facile, ma sul sito degli esteri es steht geschrieben daß:







martedì 23 giugno 2015

La voce dell'innocenza

Mentre la mia cucciola socializza (oggi si dice così), io, dopo aver verificato l'effettiva disponibilità di mattonelle al cioccolato dalla mia Lauretta (quella che ha gli arrosticini di fegato: unicuique suum), preparo un pezzo per il Fatto quotidiano di domani nel mio nuovo studio:



Questa mattina mi sono svegliato alle quattro (4) e dopo un po', disperando di riaddormentarmi, mi son messo a scrivere. Mi teneva sveglio il senso di colpa: devo consegnare un pezzo a Diego Fusaro, col quale sono in ritardo solo di 23 giorni (fra un po' mi manda la Quinta Flotta). L'ultima volta che ho visto Alfredo D'Attorre non solo non ho cacciato un ragno dal buco (ovviamente gli avevo chiesto il ministero dell'economia!), ma per di più il subdolo ex-comunista cosa ha fatto? Mi ha segnalato il dibattito fra Habermas e Streek. It turns out che il primo è un ellissoide, e il secondo è uno che ha detto nel 2013 quello che ho detto nel 2012. Solo che siccome sto scrivendo nel 2015, non posso fare a meno di prendere in considerazione il loro ameno dibattito (riassunto qui), non fosse che per perculare Habby. Morale della favola: sto riscrivendo tutto (ma non ditelo a Diego che altrimenti mi scalpa).

Vi regalo un'anticipazione, perché siete degli amici:

"This wholehearted adhesion of left-wing thinkers to the Grundnorm of the City is the intellectual equivalent of cetacean stranding: a phenomenon as fatal as difficult to understand. Besides the fact that the groundlessness of the “sound money” principle is stressed by the economic literature as well as by the economic experience, a simple tactical reasoning shows that in the “sound money” world there is no room for a Left of whatever kind. In fact, if exchange rates and price stability are the best defense of the workers’ purchasing power, trade unions and labour parties are of no use: an “independent” central bank will be largely sufficient!"

E giù de katana...

Non ho messo nemmeno un alluce in acqua.

A ora di pranzo ero in piedi da nove ore, e credo si vedesse.

Uga mi guarda, e: "Babbo! Sei sicuro che lavorare così ti faccia bene?"

Io: "Non esattamente".

Ma (pensavo):

"Ring the alarum-bell! Blow, wind! come, wrack!
At least we'll die with harness on our back"

Che poi è una rima in "ac", esattamente come clac:






(...eh, è dura, ma molto dura. L'unica speranza che ho di perdere la scommessa su Trippas è che Lapavitsas si metta di traverso. Se è uscito allo scoperto significa che si sente abbastanza forte. In questo caso sarei contento due volte: perché avrei perso la scommessa meno importante per colpa di un amico, e perché avremmo vinto la scommessa più importante per noi, quella sulla famosa irreversibilità... Meno male che ogni tanto qualche amico come Paolo qua sopra ci fa fare una risata...)

(...ovviamente, dato per scontato l'augurio di lunga vita, quando poi sarà il momento auguro a ognuno di noi di morire con l'armatura indosso!)

domenica 21 giugno 2015

Truth









(...er core de papà è pure lei disdainful of danger, per la gioia del bagnino. Il vento soffia ancora...



venerdì 19 giugno 2015

Rast

La mia anatroccola starnazza impavida (potrebbe esserci uno squalo...) e io faccio l'attempato ragazzo padre sotto l'ombrellone, rectius: palma. Ieri (cioè oggi) ho saputo che la cavalleria non arriverà. S'era capito. A questo punto io penso alla salute, e mi godo lo spettacolo dei colleghi che scoprono l'acqua calda, e delle mie previsioni che si realizzano (esempio: la Finlandia). Sarà quel che Dio vorrà, e mi sarà molto facile ricordarmi di chi ci ha aiutato: nessuno.

Il che, peraltro, rende anche molto facile ricordarsi con chi regolare i conti: tutti. 

Vaste programme?

Bien sûr. Ma mica dobbiamo occuparcene noi!

...la vendetta
fia testimonio al ver che la dispensa.

Io mi guardo le nuvole...




giovedì 18 giugno 2015

Sintesi

Sono vuoto come un guscio vuoto, e mi manca la mia Uga. Ho parlato a due categorie di persone: chi non vuole capire, e chi non può capire. Dice: "Ma ti piace ascoltarti!" Dico: "Bè, almeno qualcuno ne trae un vantaggio, dai miei discorsi: io". E in effetti ascoltarmi mi piace: è così raro sentire cose... Ma dopo è il vuoto, e la certezza che la mia Uga conoscerà lo strazio, l'urlo nero, insomma, chi può capire ha capito. E questo perché? Perché quattro ignavi di merda, bravissime persone, per carità, civili, culturalmente attrezzate, ma pur sempre ignavi di merda, non hanno il coraggio di dire: "Noi siamo l'Italia, perché gli italiani ci hanno votato, e non pensiamo che chi ci ha votato si meriti questo!"

Ma forse chi li ha votati, questo, pensa di meritarselo? In un paese nel quale strappi l'applauso dicendo "gli italiani sono delle merde!" può anche darsi...

E allora amen.

La mia Uga leggerà queste parole e saprà che nella mia amarezza ho pensato a lei, saprà che ci ho provato. 

E er Palla?

Er Palla no, lui se lo merita: ha preso due materie...


(...ah, poi ho anche parlato con micuggino, ma i verbali sono secretati...)

martedì 16 giugno 2015

I collaborazionisti

(...qualche contributo al dibbattito...)

(Oggi sono andato in banca - firma grafometrica - poi in palestra. Ho chiesto un caffè, mi son cambiato, sono entrato in sala pesi, ho guardato il remoergometro... Ma qualcosa non ha convinto lo Junker prussiano - non Jean-Claude - che è in me. Ho girato le spalle, son tornato nello spogliatoio, mi sono ricambiato, e son tornato a casa, dove in effetti ho constatato di avere un po' di febbre. Grande giubilo, perché almeno c'era un cazzo di motivo per il quale mi sentivo come mi sentivo, cioè non normale: avrò un po' di quell'influenza intestinale che circola. Discreto successo dell'approccio più "negoziale": in altri tempi sarei andato a correre un'ora sotto il sole. La flessibilità mi piace nel cambio, ma non riesco ad applicarla a me. Devo però serenamente venire a patti con l'età. Laetamini: se comincerò a fare sconti a me, magari poi ne farò anche a voi...)




Tsipras in Grecia si è deciso a fare qualcosa contro i collaborazionisti. Peccato che il primo sia lui: finché non avrà il coraggio di dire quello che per i greci sarebbe (come per voi è stato) tanto semplice da capire, e che lo stesso ministro delle finanze tedesco beffardo gli ha ripetuto, ovvero che l'euro è l'austerità, il gesto di colpire la stampa "a libro paga" rimarrà sostanzialmente propagandistico, anche se sarebbe ingeneroso sminuirne il valore. Resta il fatto che chi collabora lo fa sostanzialmente per conformismo. Non c'è nemmeno bisogno di pagarla, certa gente. Quindi non so bene a cosa questo gesto potrà portare, se non a manifestare in modo esplicito un fastidio senz'altro motivato per certe velate ingerenze esterne nel processo democratico di un paese (col rischio però di venire accusati di voler ledere la libertà di menzogna, pardon, di stampa). Onestamente, e anche se se lo meritano, non c'è però bisogno di colpire i giornalisti!

Alla fine, se vuoi l'euro e la democrazia il problema non sono gli altri: sei tu.

E questo Tsipras farebbe meglio a capirlo in fretta.

Nella mia professione molti hanno collaborato. Voci dall'estero ha tradotto il post precedente, nel quale vi fornivo un preclaro esempio di terrorismo economico. Chi è stato su Twitter si sarà divertito vedendo defilarsi come gazzelle all'arrivo di un leone i tanti tenori dell'economia libberista ai quali avevo annunciato che avrei posto questa semplice domanda: "Esiste un modello economico il quale preveda che una svalutazione nominale abbia impatto uno a uno sul salario reale, come sostenuto - anche su Twitter - da Galli, Giannino e Boldrin?"

È stato un fuggi fuggi...

Riccardo Puglisi (che comunque è una spanna sopra gli altri, anche come influencer) dopo alcune ore ha onestamente detto che secondo lui questa relazione (ricorderete Tabacci, Giannino, Boldrin) non esiste, o comunque non è uno a uno. E grazie: dopo quella sbaraccata di dati che dicevano il contrario!...

Ma al di là dei dati, che potrebbero risentire di fattori contingenti, io cercavo un modello, visto che i colleghi libberisti se la tirano tanto con le loro formalizzazioni: qualcosa da cui scaturisse la deduzione logica formale che una svalutazione nominale si riflette uno a uno sul salario reale. Ora, il modello non c'è perché non ci può essere, non tornano proprio i conti. Magari un giorno ne parliamo con un po' di "quazzioni" (le quazzioni).

Il punto interessante però è un altro (legato in qualche modo alla precipitosa ritirata dei libberisti su Twitter dopo la richiesta di motivare con un modello la loro asserzione preferita, quella che la svalutazione impoverisce la vedova e l'orfano): la mia professione ha ormai toccato il fondo del disonore, e quindi cominciano le palinodie. La prima era stata quella di Perotti, e abbiamo poi visto quella di Pisani-Ferry, quella di Blanchard (ce ne son state molte altre, fra cui questa), e ieri nientemeno che quella di Spennacchiotto Rose (forse ve lo ricordate, vi spiegai in uno dei primi post come il suo studio farlocco fosse stato asfaltato da Baldwin, mettendo una seria ipoteca sull'idea che un'area valutaria potesse diventare endogenamente "ottima"). Ai "what-have-we-learned-from-the-crisis" boy dedicherò un apposito post per il mercato estero.

Loro sono i principali responsabili morali di quel conflitto che secondo me si prepara e ogni giorno si prospetta più inevitabile, come ho dichiarato in una intervista al settimanale della CISL ripresa nel blog della sua direttrice, nella quale citavo un post particolarmente premonitore che forse ricorderete. Intervista che ha dato fastidio a molti per un motivo che qui credo sia trasparente per tutti (e che è legato al discorso svalutazione/salari): quando il sindacato finalmente capirà che nel mondo dell'euro per lui non c'è posto, una serie di equilibri a sinistra salteranno.

E ci vorrà poco: basterà, ai sindacalisti, interpellarsi su quanto sia plausibile che un executive di Goldman Sachs sia così interessato al bene dei poveri operai... Secondo me poco. Se ci arrivano anche loro, siamo a posto: sarà la fine degli appellisti (i collaborazionisti allo stato viscido).

Insieme ai colleghi collaborazionisti per convenienza o per conformismo intellettuale, i maggiori responsabili del conflitto che comunque ci attende (sperando sempre che non sia armato, ma la Storia è contro di noi) sono gli intellettuali "de sinistra", i servi sciocchi dell'appartenenza ai quali ho dedicato un affettuoso pensiero in un'altra intervista, rilasciata a Radio Padania.



Eh già, servi, perché c'è una novità, che tale non è: io sono un uomo libero, e parlo con chi mi pare. Voi no? Peggio per voi. Se e quando l'Italia starà messa come la Grecia, magari lo Tsipras di turno, per rifarsi una verginità, vi manderà a cercare. Qui piangeremo in pochi.

Secondo me aprirvi al dialogo conviene più a voi che a me.

Ma lungi da me tentare di influenzarvi, soprattutto gratis!

lunedì 15 giugno 2015

Nominal devaluation and real wages

(apologies for my English: constructive remarks, or even destructive, are welcome, if you dare...)

When going gets tough, the tough get going. As the perspective of a Grexit becomes more likely, thereby confuting the ludicrous thesis of a supposed "irreversibility" of the euro, the propaganda resorts to its weapons of mass destruction: Nobel Prizes. I used to say that only two human things are irreversible: stupidity and death (although in the second case we have a brilliant counterexample). I was mistaken: there is a third human thing which seems to be irreversible: the firm belief of economists in the fact that a nominal devaluation will bring about a disastrous fall in real wages. After showing you some data, I will leave to your prudent appreciation to evaluate whether this belief falls in one of the two above mentioned categories (Occam's razor).

This morning I received through Twitter this opinion of Prof. Pissarides: Grexit means biggest haircut of wages ever! A very bold statement, but... is it supported by any model, or any data?

We all know (or should know) that Grexit will not be the first end of a currency union, and certainly not the last. We all know (or should know) the relevant scientific literature, that features top authors such as Andrew Rose. As a consequence, over time we have gathered a lot of evidence, and of particularly authoritative interpretations. History never repeats itself exactly: so true! We all know that it repeats itself first as a tragedy, second as a farce. The behaviour of mainstream economists during the 1929 crash was tragical (think for instance of Irving Fisher "high plateau", so close to Alesina's dismissing "strong correction"). Nowadays the mainstreamers' behaviour is becoming farcical: most of them either assert unsupported claims, or reinvent the wheel.

It is reinventing the wheel to show now a commendable, but definitely not timely, concern about democracy in the Eurozone. When I wrote my book on this subject in 2012, I knew that I was the last one to express such a concern and I quoted all the authors that had expressed and supported with empirical evidence a similar worry: among them, Rose (see above). Dwarf on the shoulder of giants.

It is an unsupported claim that a fall in nominal exchange rate will bring about a one-to-one fall in real wages, i.e., Pissarides's claim that the necessary realignment of the new dracma will make the Greeks poorer. Anything similar did never happen (with an exception that we will study below). Moreover, since colleagues could (rightly) argue that the past does not always teach correct lessons about the future, I add that I do not know of any formal economic model where a nominal devaluation results in a one-to-one fall in real wages. This is likely to be a limit of my knowledge. However, I know of models where devaluations are an effective tool for fostering economic growth in the presence of real wage resistance (one is here). It is noteworthy that after two hours of inquiries to my mainstream colleagues through Twitter, I received no clear indication of any standard textbook model where a nominal devaluation causes a one-to-one fall in real wages.

There are two reasons for that: one is theoretical, the other is practical.

From the theoretical point of view, if you are a mainstreamer, you must believe (yes: believe) that real wages are tied to the marginal productivity of labour. In a world where money is a veil (the mainstreamers' world), it is dubious whether and how this relation between real variables (productivity and real wage) could be affected by a nominal variable (nominal exchange rate).

The practical reason why no mainstreamer was able to answer so far is that such a one-to-one connection between nominal devaluations and real wage falls never presented itself in practice. As a proof, I show below the patterns of the Nominal Effective Exchange Rate (NEER) and of the Real Wage (RW) indexes in the aftermath of some well-known major devaluation episodes, some of which implied the exit from a fixed exchange rate agreement (which is not a currency union, but is close enough to it). The data come from the International Financial Statistics:

XXX..NECZF...
XXX64...ZF...
XXX65...ZF...

(where XXX is the country code, NEC is the nominal effective exchange rate index, 64 and 65 are the consumers' price and the nominal wage index).

I plot the results below for your reference (country names in Italian: apologies, this is old stuff coming from this ancient post):








In no case did real wages fall as much as the nominal effective exchange rate, in some cases they fell by a smaller amount, and in some other cases they increased. The claim that a nominal devaluation is equivalent to a real wage haircut is disproved by the data.

I mentioned an exception. Here you are:

(Messico means Mexico, just in case you are a mainstreamer).

Mexico is the only country that seems to support Pissaride's informal model of a one-to-one long-run equivalence between nominal exchange rate fall and real wages "haircut". Is this a surprise? No, not at all. As every professional economist knows, there is a lot of evidence showing that the long-run pass-through from nominal devaluation to prices is above one in Latin America. The main reference is here (and it is not a negligible one: it has 384 quotes on IDEAS, and it is quoted in one of the most authoritative handbooks of international macroeconomics; btw, I studied with Prof. Gandolfo).

Roberto Frenkel (this one) once suggested me an interesting explanation of why this happens (i.e., of why, contrary to what happens in the other regions of the world, in Latin America inflation overshoots devaluation, with obvious negative consequences on real wages). In those countries the US dollar is seen as the typical safe-haven asset. In case of fear of devaluation, this feature sets out a self-fulfilling mechanism where everybody buys dollars, thereby pushing down the national currency, and you can imagine the rest (even if you are not a professional economist)!

But Greece is definitely not Mexico. Despite being relatively backward with respect to its unfriendly European partners, we can suppose that its financial market is relatively more developed in 2015 than Mexico's was in 1995. This self-fulfilling vicious circle is extremely unlikely to present itself in Greece (as it did in Argentina or in Mexico).

This is what a professional economist can say. But professionalism, in all evidence, is the slightest concern of my profession. Economists nowadays behave more like social media influencers than like researchers. Their claims are rarely fact based, and are always connected to the ongoing political debate in an extremely unpleasant and suspect propaganda-like way.

This is a really unfortunate outcome, because we are in an economic crisis, and it would be extremely important for all of us, and for our democracy, to consider economics as a credible science, and economists as experts who stick to the facts and try to explain them, rather than as influencers committed to deliver a storytelling increasingly remote from reality.

So is life.


(...in case someone has other counterexamples, please feel free to intervene. In case someone has models, please feel free to quote them in full, according to academic standards. Thanks for your attention.)

sabato 13 giugno 2015

Vincolo esterno e declino italiano (KPD10)

(... benvenuti alla decima puntata del ciclo "keynesianesimo per le dame". Allacciate le cinture, state decollando verso la frontiera della ricerca post-keynesiana...)



(...sono esausto. L’editore mi ha mandato un contratto e mi chiede che ne penso. E che ne devo pensare? Tu sei onesto, sei un professionista, sei pure simpatico: il contratto sarà fatto bene. Il problema non è il contratto: sono io. Vi avevo detto che sarebbe stato un anno lungo e a me non passa veramente più. Tante soddisfazioni, per carità, ma il mio corpo non mi segue. Sto anche entrando in un mood un po’ più buddista: cerco di seguirlo io, il mio corpo, solo che poi mi incazzo perché lui vuole stare fermo! Esempio: tre sere fa ho avuto il classico collasso da congestione. Divinibus preceptibus formato – la parola di Rockapasso – sono riuscito a non svenire. Dai, è andata bene. Qualcuno sopra ha commentato che posto alle 5:35. In effetti, se mi sveglio alle 4 con dolori abbbbominevoli, poi ci rimetto un po’ a prendere sonno. Alle 9 però il Bagnai prussiano ha prevalso sul buddista: corsa sotto il sole sulla pista ciclabile. Il Bagnai buddista non sarebbe andato in palestra. Prometto che stasera comincio a leggere Thich Nath Hanh – lui sa chi è ecc.

Non so però se mi darà la forza di non prendere altri impegni. Forse quest’anno per la prima volta da tre anni riesco a fare una vacanza!

Comunque, essendo esaurito, per sfogare la mia rabbia impotente esaurisco voi con un post “tecnico”. A me rilassa, a voi non so...)


Riprendo l’argomento del vincolo esterno così come viene espresso dalla legge di Thirlwall, cioè come vincolo sul tasso di crescita di lungo periodo:

Ricordo brevemente il senso. La premessa è che un aumento del tasso di crescita normalmente manda in deficit la bilancia dei pagamenti (o ne riduce il surplus), perché un maggior reddito implica una maggiore spesa, e una maggiore spesa implica maggiori importazioni. Di conseguenza la crescita compatibile nel lungo periodo con il mantenimento dell’equilibrio esterno è:

1) direttamente proporzionale alla crescita delle esportazioni (se le esportazioni crescono in fretta il paese ricava molta valuta estera e quindi può permettersi maggiore crescita perché ha di che pagare le maggiori importazioni che ne conseguono);

2) inversamente proporzionale alla elasticità delle importazioni al reddito, che misura la dipendenza strutturale del paese dai beni esteri (se il paese dipende molto dai beni esteri, un aumento del reddito provocherà un aumento relativamente più sostenuto delle importazioni rispetto a quello che si avrebbe in un paese che invece sovviene da sé alla maggior parte dei propri bisogni).

Quindi: [1] più crescono le tue esportazioni, più puoi permetterti di crescere senza rischio di crisi di bilancia dei pagamenti; [2] più dipendi dai beni esteri, meno puoi permetterti di crescere (senza rischio ecc.).

Semplice, no? E, come abbiamo visto, funziona (nel senso che spiega bene gli scarti nei tassi di crescita di lungo periodo fra le diverse economie mondiali).


(...parentesi: come sapete, questo è esattamente il punto che non viene colto dagli utili tsiprioti e in generale dagli appellisti: quelli che “tenemose l’euro ma famo ‘a politica fiscale espansiva a casa nostra”. Una politica fiscale espansiva in cambi rigidi ovviamente determina un immediato peggioramento dei conti esteri, e siccome noi siamo, come sapete bene (voi) in una crisi di bilancia dei pagamenti e non di bilancio pubblico, ecco che la soluzione proposta aggraverebbe il vero male. I colleghi lo sanno, sono in cattiva fede per lo più per motivi politici, ed è per questo che non sono in buoni rapporti con loro, e sapete anche questo, quindi è inutile ribadirlo. Chiunque di voi apra un manuale di economia mi capirà...)


Nel mio ultimo lavoro ho provato a vedere se il vincolo esterno funzionasse anche come spiegazione dell’evoluzione temporale della crescita di un singolo paese, il nostro. Prima di farvi vedere i risultati, vi do qualche altro approfondimento (scusandomi per le eventuali mancate risposte sotto al post precedente: eventualmente ripostatele qui).

Intanto, tenete presente che il vincolo per definizione si applica alla crescita di lungo periodo. Che vuol dire, cos’è il lungo periodo? Questa domanda non ha una risposta univoca in economia. Nel contesto dell’analisi che stiamo facendo, diciamo che il problema può essere posto in questi termini: per quanto riuscirà, un dato paese, a farsi finanziare dai mercati uno sbilancio esterno? Nei termini che qui ci sono consueti (anche se in questo contesto forse sono un po’ riduttivi) potremmo chiederci: quanto può durare un ciclo di Frenkel? Diciamo che se va avanti sei-sette anni è molto. Questo significa che se effettui un’analisi prendendo la crescita media su un periodo di una ventina d’anni, puoi immaginare, a grandi linee, di aver “livellato” il risultato economico di un paese su almeno due o tre cicli, cioè di avere una stima del tasso di crescita “di lungo periodo”, quello attorno al quale il paese ciclicamente oscilla. Normalmente quindi le analisi del vincolo esterno (compresa la mia precedente su Applied Economics) procedono così: prendono un campione di paesi (io ne consideravo 22) e un campione di osservazioni abbastanza lungo (il mio andava dal 1960 al 2006), lo usano per stimare l’elasticità delle importazioni, e poi applicano la legge usando le medie campionarie dei tassi di crescita delle esportazioni e del reddito sull’intero campione.

Per dire, io nel mio lavoro precedente facevo una cosa del genere:


Leggiamo il primo rigo, che riguarda l’Australia. Dal 1960 al 2006 la crescita media delle esportazioni è stata del 6.05%, a me veniva un’elasticità stimata pari a 1.45, quindi il tasso di crescita compatibile con l’equilibrio di bilancia dei pagamenti è 6.05/1.45=4.17, e la crescita media effettiva nei 46 anni considerati è al disotto di questo vincolo, al 3.64%. Non notate niente di strano? Pare che l'Australia rispetti il vincolo esterno. Sicuri?

Nel caso dell’Italia il modello funziona particolarmente male: il tasso di crescita vincolato è vicino al 5% (4.96), mentre la media storica della crescita sul campione considerato è di circa 2 punti inferiore: 2.98%. Questi risultati, presi così, indicherebbero che anche l’Italia non è stata vincolata dal lato della domanda (estera): con un tasso di crescita delle esportazioni superiore al 6% e un’elasticità delle importazioni al reddito relativamente bassa avremmo potuto crescere di più senza andare in crisi di bilancia dei pagamenti. L’interpretazione standard, se i risultati fossero statisticamente corretti, sarebbe: "Fateskifen! Se non siete riusciti a crescere non è per un vincolo di domanda estera, ma per un vincolo di offerta nazionale (corruzione, casta, cricca, tempi della giustizia, costi della politica, e via micugineggiando...)".

In realtà le cose non stanno come gli offertisti pensano. La crescita italiana è stata vincolata pesantemente dal vincolo esterno, ma nell’articolo del 2010 questo non risultava a causa di un problema statistico che affrontavo, ma non ero riuscito a risolvere nel caso dell’Italia: il problema dei cambiamenti di struttura.

Qui la domanda è: ma siamo sicuri che in 46 anni la dipendenza strutturale di un paese dai prodotti altrui rimanga invariata? E la risposta è: abbastanza no. Nell’articolo del 2010 andavo a vedere se c’erano cambiamenti in questo parametro strutturale, e la risposta era ovviamente sì. I risultati erano questi:


Anche qui, prendiamo il caso dell’Australia: una analisi statistica più accurata (sui cui dettagli non mi soffermo) mostra che c’è un cambiamento di struttura alla fine degli anni ’60. Se lo si prende in considerazione, si ottengono stime mediamente più alte dell’elasticità delle importazioni al reddito, che invece di essere pari a 1.45 (come risulta nelle stime su tutto il campione della Table 4), passa da 2.15 prima del 1969 a 1.71 dopo il 1969. Ovviamente con una elasticità delle importazioni più alta (se pure decrescente nel tempo) il vincolo esterno australiano risulta più stringente, e in effetti con questi calcoli si vede che l’Australia lo ha violato praticamente sempre (nel secondo sottoperiodo in effetti di pochissimo). Questo risultato è più coerente con quello che sappiamo dell’Australia, paese che è classificato come persistent net external debtor dai soliti Lane e Milesi Ferretti (1999). Certo: se un paese viola il vincolo esterno, ovviamente sarà un debitore estero (importa “troppo”, viva "al disopra dei suoi mezzi"), e altrettanto ovviamente, se lo fa è perché può farlo, cioè perché qualcuno ci mette i soldi (ad esempio gli USA?).

Notate che nella Table 5 (quella che considera possibili break strutturali) l’Italia manca. Perché? Perché in quel lavoro non ero riuscito a ottenere stime statisticamente valide dell’elasticità delle importazioni al reddito (dipendenza strutturale dell’Italia dai beni esteri) né su tutto il campione, né considerando cambiamenti di struttura (per i tecnici: la nulla di non cointegrazione non veniva respinta).

Nel mio ultimo lavoro ho ripreso in considerazione il nostro paese, apportando due o tre migliorie all’analisi. Intanto, ho considerato i flussi commerciali bilaterali (quindi non le importazioni complessive, ma quelle dai sette gruppi principali di partner: centro dell’Eurozona, periferia dell’Eurozona, altri paesi dell’Unione Europea, Stati Uniti, OPEC, BRICS e resto del mondo). Poi, ho preso in considerazione l’ipotesi che ci potesse essere, in ognuna di queste sette relazioni, più di un cambiamento di struttura. Con questi approfondimenti, ho ottenuto dei risultati statisticamente validi.

Il succo del discorso riassunto da questa figura, che riporta l’evoluzione di numeratore (tratteggiato) e denominatore (puntinato) della legge di Thirlwall, insieme al valore del tasso di crescita vincolato (rapporto fra numeratore e denominatore, linea continua, scala di sinistra).


Si notano alcune cose.

La prima è che il tasso vincolato è andato costantemente diminuendo nel tempo, con tre scalini abbastanza evidenti: uno intorno al 1975 (dopo il primo shock petrolifero); uno intorno al 1986 (SME credibile); uno intorno al 1996 (rivalutazione e aggancio all’ECU/EUR). L'Italia è stata progressivamente soffocata dal vincolo esterno. Per constatarlo, basta rappresentare insieme il vincolo esterno e la componente di lungo periodo del tasso di crescita italiano:


(estratta con un filtro di Hodrick-Prescott o di Christiano-Fitzgerald: qui si va sul relativamente complicato e non mi metto a spiegarvelo, anche se prometto che ci divertiremo con gli spettri abbastanza presto).

La componente di lungo periodo del tasso di crescita (indicata con HP o CF: in sostanza, una specie di media mobile del tasso di crescita, calcolata in modo da trascurare i movimenti di breve periodo, da un anno all'altro, cogliendo solo l'evoluzione "fondamentale" della crescita) presenta alcune oscillazioni, che seguono però la generale tendenza ribassista del vincolo esterno, con un accostamento abbastanza significativo.Notate anche che prima di crisi di bilancia dei pagamenti l'Italia cresce a tassi superiori al vincolo. I conti tornano.

La seconda è che la dipendenza dell’Italia dai prodotti altrui (l’elasticità alle importazioni, espressa dal parametro al denominatore della legge di Thirlwall) è andata sempre aumentando (è la linea a puntini), con un forte incremento in occasione della effettiva entrata nell’euro (cioè dal 1996 in poi). Notate che il precedente scalino verso il basso del tasso di crescita vincolato (linea continua) era stato determinato non da un aumento del denominatore, ma da una diminuzione del numeratore (cioè del tasso di crescita delle esportazioni, linea tratteggiata) dopo il 1986. In quel caso erano peggiorati i nostri mercati, in qualche modo (i nostri prodotti erano diventati meno appetibili? La domanda estera era diminuita?). Nel 1996 invece succede una cosa diversa: da lì in avanti aumenta la nostra dipendenza dai prodotti esteri.

La terza è che data la sua struttura e quella del commercio internazionale in cui è inserita, allo stato attuale l’Italia non può sostenere un tasso di crescita superiore allo 0.75% senza che i suoi conti esteri ricomincino a deteriorarsi. Ho appena ricevuto un report di Oxford Economic Forecasting che per quest’anno prevede 0.5% (quindi i conti esteri non peggioreranno, o non di molto), e per l’anno prossimo prevede 1%. Notate anche come la mettono:


("la crescita è stata frenata dal saldo commerciale ma la crescita delle importazioni riflette il miglioramento dell'economia interna", dove vanno apprezzate due cose: (1) la prima è la solita, ovvero che tutti sanno che una accelerazione della crescita peggiora il saldo estero; gli appellisti non lo sanno perché non vogliono saperlo e infatti nel mio libro scrivo che con loro l'economia ha perso la propria dignità; (2) la seconda cosa è il meccanismo keynesiano di stabilizzazione del saldo estero... ma se non lo vedete non preoccupatevi: intanto, Monti lo vedeva benissimo, e poi comunque se riparleremo...)

La quarta è che la mia analisi pubblicata nel 2015 (uscirà in autunno) utilizza dati solo fino al 2010 (l’avevo fatta nel 2013 e sottoposta all’editore nel 2014). Nel frattempo il mondo è andato avanti, e ovviamente non in meglio, per noi.

Qui la domanda è: la deindustrializzazione determinata anche dal crollo della domanda interna (austerità), oltre che dalla penalizzazione sui mercati esteri (apprezzamento del cambio reale determinato dall’euro), che effetti ha sul vincolo esterno? E la risposta è abbastanza ovvia. Meno cose riusciamo a fare da noi, e più dovremo comprarne all’estero. In altre parole, l’elasticità delle importazioni al reddito, se prosegue il processo di sfaldamento dell’industria italiana, non potrà che aumentare, rendendo ancora più stringente il vincolo, e ancora meno sostenibile per noi una crescita sostenuta che non sia finanziata dai capitali esteri (i quali, per  definizione, dopo un po’ si stancano e se ne vanno, lasciando dietro di sé macerie, come abbiamo visto accadere tante volte dal 1980 in poi).

Ovviamente questo rimane qui fra noi (e per i lettori della International Review of Applied Economics).

I nostri politici o sono traditori, o non ci arrivano, ma per noi cambia poco: l’interesse del paese è in ogni caso leso, e in ogni caso loro non sono disposti nemmeno a far finta di prendere in considerazione il problema, che poi è sempre il solito, e non è quello di uscire dall’euro (perché tanto dall’euro usciremo), quanto quello di uscirne in fretta, per limitare i danni.

Si apra la discussione (ma io dormo, o almeno ci provo: il monaco buddista mi terrà sveglio?).





(...per leggere un monaco buddista devo stare parecchio male, e in effetti sto parecchio male, non nel senso di provare dolore, ma spossatezza sì. Che dite, sarà il caldo?...)

venerdì 12 giugno 2015

Pirati! (le sonate di Zuccari)

Comunque, visto che ormai il danno è fatto, qui trovate il primo disco con Brilliant del vostro guru (cembalo e organo). Solista il nostro affezionatissimo violoncellista neoborbonico. È un po' signoraggista, ma è tanto un bravo ragazzo, ed è soprattutto un fedele suddito de Lo Imperatore...

"Non chiamatelo euro": le conclusioni (la pagliuzza e la trave)

Rapidamente: vi ringrazio per l'ampia e circostanziata discussione. Non entro negli infiniti dettagli (dalla stolta supponenza di Cirino Trattatino - uno di quelli che ci hanno venduto - alla "timidezza" di Fassina ecc.).

Faccio solo osservare una cosa che a me sembra sia sfuggita un po' a tutti (ma, se riascoltate il dibattito, non è sfuggita ai politici corrotti e collusi con interessi esteri, che infatti ci hanno accuratamente girato intorno).

Come ho spiegato in modo succinto nella recensione al testo, il problema dell'argomento del prof. Guarino a mio avviso è evidente. Mentre si straccia le vesti per come il Patto di stabilità del 1997 avrebbe stravolto il "keynesiano" Trattato di Maastricht, Guarino passa totalmente sotto silenzio il modo in cui quest'ultimo stravolge la nostra Costituzione. La pagliuzza della presunta (e infondata) alterazione del Trattato impedisce, a quanto pare, di vedere la trave dell'effettivo e progressivo attacco alla nostra Costituzione.

Sappiamo che ad altri giuristi (penso a Giachetti) questa dinamica era invece ben chiara, e che la denunciarono a suo tempo. Il vulnus più evidente è quello di recepire a norma di rango costituzionale l'indipendenza della banca centrale dall'esecutivo, per di più in un contesto nel quale questa è di fatto legibus soluta e strutturalmente sovraordinata a qualsiasi possibile meccanismo di checks and balances (inesistente o comunque inefficace a livello europeo: lo ha detto chiaramente Cofferati quando ha affermato che al Parlamento Europeo si lavora in perfetta letizia perché di fatto non c'è opposizione). Ma di offese alla lettera e allo spirito della nostra Costituzione ce ne sono molte altre, e come sapete l'analisi più perspicua di questo infelice processo storico la offre il blog di Quarantotto.

Concordo col supponente Cirino Trattatino: essere economisti non basta, certo. Purtroppo, però, è indispensabile per capire certi dettagli. È la banale aritmetica del debito pubblico (che Cirino Trattatino conosce bene, avendo contribuito al suo raddoppiamento in un decennio) a chiarirci che la presunta illegittimità del Patto del 1997 non ha particolare fondamento. Con una crescita nominale asfittica come quella che il progetto di deflazione salariale necessariamente portava con sé era del tutto ovvio aspettarsi un giro di vite sul deficit, laddove si fosse voluto rispettare il parametro del 60% nel rapporto debito/Pil.

Lo abbiamo spiegato in dettaglio qui.

Attenzione: rifutiamo anche la supponenza di quelli che "il primato della politica" (incluso, duole dirlo - ma l'ho detto anche nella recensione - l'autore del testo). Il punto che sto sollevando è politico, anche se, paradossalmente, chi non è economista non può rendersene conto! In termini di dottrina economica è ovvio che più austerità conduce a più debito: era ovvio prima di Monti, ed è palese dopo Monti. Se però aderiamo alla logica politica del Trattato e alla sua lettera giuridica è chiaro che quando la crescita è asfittica per abbassare il rapporto debito/Pil devi ridurre il deficit. Altre leve economiche il Trattato per scelta politica non te le offre.

Insomma: è proprio alla luce della logica di Maastricht che il Patto di stabilità non stravolge Maastricht, ma anzi lo completa, e se non sei un economista e non sei umile purtroppo non te ne puoi rendere conto (o puoi fingere di non rendertene conto).

Detto in altre parole, Maastricht non è keynesiano: è monetarista anni '80, cioè pinochettiano. E infatti i risultati si vedono: giorno dopo giorno prosegue l'attacco alla nostra Costituzione. Capisco che per politici della caratura di un Cirino Trattatino sia difficile rendersene conto, ma il problema rimane: se adotti un regime economico nel quale gli shock si scaricano sul reddito della maggioranza (salari e stipendi), per renderlo sostenibile politicamente prima devi mentire (fatto), e poi devi comprimere la democrazia (lavori in corso). Forse allo storico Brunetta è sfuggito, ma nella storia dell'umanità questa cosa è successa migliaia di volte, ed è sempre finita male. Chi si trovava al comando nel momento sbagliato spesso e volentieri è stato accorciato, come accadde al buon Luigi XVI.

Una prospettiva terribile per tutti, e terribilissima per qualcuno...

Il Signore abbia pietà di noi.

mercoledì 10 giugno 2015

"Non chiamatelo euro": il dibattito

Oggi è uscita sul Fatto Quotidiano la mia recensione a Non chiamatelo euro di Angelo Polimeno. Qui invece trovate la registrazione del dibattito. Un dibattito che non esito a definire sconcertante, per molti risvolti, e che per il momento mi limito ad offrire alla vostra discussione (aggiungerò poi qualche mia considerazione, laddove non sia già stata espressa da voi, e comunque, se ne ho la forza proverò a tirare le fila del discorso).

Non è esattamente un anno facile, ma, come sapete, vi avevo messo in guardia. Resistiamo.