"Er monno de #aaaaabolidiga" funziona come tutti gli altri mondi, come tutte le altre esperienze di vita sociale: ci sono fasi, e ci sono ruoli. Quello che vedete "da fuori" è la declinazione di questa semplice verità, alla portata di tutti voi, perché ognuno di voi ha una vita sociale, che attraversa fasi, e in cui riveste ruoli, che mutano con le fasi. Ad esempio, in una fase come questa, in cui la principale emergenza è senz'altro quella democratica, è del tutto naturale che per conquistare consenso si coinvolga chi ha saputo porre questo tema all'attenzione di tutti con un libro che nei fatti è una difesa appassionata e lucida del diritto di esprimere il proprio pensiero. Quando l'emergenza era quella economica, cinque anni dopo che la mannaia dell'austerità era calata amputandoci la crescita, incombeva agli economisti il compito di esporsi al fronte, era quello il loro ruolo. Ora la fase è cambiata. I "mercati" (sarebbe meglio dire: i mercanti) non ci hanno ucciso, seguire i loro consigli ci ha debilitato, come ampiamente previsto qui, ma agli altri sta andando peggio e non siamo sotto attacco. La minaccia più imminente deriva oggi dal fatto che dopo il suo infame tradimento, quello con cui ha consegnato ai mercanti i suoi elettori, perché venissero stritolati da queste politiche:
(ricordo che le parole sono di Draghi) la sinistra ovviamente non trova spazi argomentativi al di fuori della delegittimazione e della tacitazione in qualsiasi modo e al costo di qualsiasi violenza dei suoi interlocutori. Tutte cose che qui abbiamo già visto e subito, come ricorderete. Ma la stessa perdita di freni inibitori che porta la sinistra a parlare liberamente di guerra (santa, va da sé) la porta a non distanziarsi da atti di squadrismo sempre più violenti: non dobbiamo farci illusioni, nessuno scenario va escluso, in nome del Leuropa o de Ilclima immagino che qualcuno possa senza troppe remore giustificare o propugnare perfino la lotta armata, se il buongiorno si vede dal mattino, e allora forse è opportuno che l'attenzione non dico passi, ma si allarghi anche a questi temi di libertà, che qui sono sempre stati centrali, ma trattati in una chiave volutamente elitaria (li grafichi, 'e tabbelle, ricordate? Tutte quelle cose che gli amici - del PD, come poi s'è capito - mi dicevano di non mettere, altrimenti il mio discorso non sarebbe stato coinvolgente...).
Altro esempio: oggi, come dieci anni or sono, sarà Claudio il nostro candidato, e come dieci anni or sono oggi ripeterei e ripeterò la mia stessa identica dichiarazione di voto di dieci anni fa, che, al rileggerla, mi sembra non abbia poi perso freschezza. Certo: alcune cose sono cambiate, è sufficientemente ovvio. In particolare, sono ritornato sulla mia scelta di non impegnarmi in un ruolo politico, nonostante che sia ancora del tutto sottoscrivibile il fatto che in Italia ci sia, cioè ci sarebbe, bisogno di una voce autorevole, ma indipendente e terza. Alla terzietà ho rinunciato: ho barattato un po' dell'autorevolezza che mi derivava dal non essere parte in causa con una quantità insospettata di conoscenza del funzionamento della macchina. Alla fine lo scambio è stato vantaggioso, e ora il mio ruolo non è più quello di alfiere, ma di uomo macchina, e a quel ruolo mi dedico, con disciplina e abnegazione, contro le previsioni di chi, imputandomi un narcisismo irredimibile, pronosticava una mia inguaribile incapacità di stare al posto mio. L'alfiere ancora oggi è Claudio, e la scelta di questo ruolo, che Claudio sta assolvendo con la consueta abnegazione e genialità (guardate ad esempio #ilComunepiùBorghidItalia:
scaturisce anch'essa dai ruoli che la squadra ci ha assegnato. Da Presidente di una bicamerale delicata era più opportuno che mantenessi un profilo "basso", perché questo mi consente di intervenire in modo sufficientemente chiaro nelle sedi istituzionali senza che mi venga contestato il movente di una facile cattura del consenso:
e così al fronte la community schiera Claudio. Ognuno di noi si impegna in squadra nel ruolo - visibile o non visibile - che chi ci coordina ci attribuisce. La nostra forza è questa, e le accozzaglie di fetecchie narcisiste che si propongono come alternativa "pura e dura" semplicemente mancano di massa per essere una squadra e di capacità critica per agire come squadra. La soddisfazione di portare quello che ogni giorno porto alla causa mi compensa dalla frustrazione di non potermi intrattenere più a lungo con voi o di non poter girare a raccogliere applausi in giro per l'Italia - soddisfazione che peraltro con l'intento di sostenere i candidati mi sto comunque concedendo:
(con l'occasione vi segnalo la necessità di iscrivervi al canale dell'Insorto: Fausto è tornato, l'ho preso nella mia segreteria, perché le squadre funzionano così: no man left behind!m mi sta aiutando, e voi aiutatelo con sottoscrizione e campanellina...).
Il post che volevo scrivervi oggi riguarda proprio il mio ruolo in Commissione Enti Gestori, dove domani avremo il piacere di ricevere Assogestioni che ci parlerà di previdenza complementare. Ma per arrivare al punto devo partire da un po' lontano...)
Un'amica cui tengo molto mi ha segnalato questo evento:
sollecitandomi in particolare ad ascoltare l'intervento di Giorgio Matteucci, che inizia attorno al minuto 40 del video. Le cose da dire sarebbero molte, e molte ne diremo nel prossimo evento che a/simmetrie sta organizzando per il 10 luglio (con De Martin, Frezza, Tafani, e appunto anche Matteucci). Il punto che mi ha colpito di più, del quale secondo me nemmeno l'autore ha colto pienamente la verità e la pregnanza, è quello in cui l'autore evidenzia come la perenne ansia impostaci dalla "governance" sovranazionale di inseguire un futuro che non c'è si traduca in un sostanziale nichilismo, nella negazione del valore del presente, che viene visto non nella sua attualità di momento in cui concretamente si realizza la nostra esistenza, ma solo nella sua potenzialità di momento preparatorio di un futuro "migliore", che sarà il vero tempo in cui varrà la pena vivere, salvo scoprire, una volta arrivatici, che esso è un altro presente da negare in funzione di un ulteriore futuro.
Questa è la retorica del mondo dell'istruzione ("formare a professioni che non ci sono ancora..."), ma questa è, in generale, la retorica della sinistra, del progressismo, che, come vi dicevo ieri, è passato dalla negazione del passato in nome del "mai più" (come abbiamo imparato da Michéa), dalla proiezione verso il futuro visto come necessariamente, ontologicamente migliore del presente (il "progressismo" è innanzitutto questa visione rettilinea della storia), a una ulteriore radicalizzazione: non più la negazione del passato perché il futuro sarà migliore, ma la negazione del presente affinché il futuro sia migliore!
C'è una logica in questo: la visione rettilinea della storia non va più tanto di moda. Non tutti sono esperti di cointegrazione, ma sul fatto che rispetto ai "trenta gloriosi" abbiamo perso terreno chi c'era non ha dubbi! Il fallimento del nostro presente si ritorce contro chi in passato ce l'aveva indicato come un radioso futuro, illuminato dal sol dell'avvenire, e l'ovvia ritorsione qual è? Ovviamente quella di dire che se il futuro di ieri, cioè il presente di oggi, non ha mantenuto le promesse sinistre, la colpa è nostra: non ci siamo abbastanza sacrificati nel passato (cioè nel presente di ieri) e non ci stiamo sacrificando abbastanza oggi (cioè nel passato di domani) per poter aspirare a quello che non ci siamo meritati: un futuro di ieri, cioè un presente, decente, e che non ci meriteremo: un futuro di oggi, cioè un domani, migliore.
La sinistra sposa così non solo come tributo, come guidrigildo del pactum sceleris che la lega al grande capitale internazionale, ma come strumento dialettico che le apra uno spiraglio di sopravvivenza, la logica paternalista dei "sacrifici" che un tempo imputava all'odiato "neoliberismo". Come si cambia, non "per non morire", ma durante la putrefazione...
Ora, il problema di questa retorica futurologa, di questo nichilismo antiumano e antiumanistico (non solo perché nec minimum credula postero, ma anche perché le "professioni del futuro" sono ovviamente la dittatura delle STEM), è che non funziona. Il 10 luglio vedremo meglio perché non funziona nel campo dell'istruzione (nell'intervento di Matteucci c'è già molto), e qui mi limito a ricordare perché non funziona in ambito economico.
Pensare di risanare i conti di un Paese con l'austerità è esattamente come pensare di inventare un'ascensore mettendo i piedi dentro a un secchio e tirandone su il manico. Se si insiste non solo si resta dove si è, ma ci si fa del male. La distruzione di Pil, necessaria (come dice sopra Draghi) per recuperare competitività, è però nociva per il risanamento dei conti di qualsiasi operatore pubblico o privato. Lo abbiamo visto:
1) qui con riferimento al rapporto debito/Pil (aumentato);
2) qui con riferimento al primo pilastro previdenziale (messo in oggettiva difficoltà dal calo del gettito contributivo indotto dal mix di disoccupazione e taglio delle retribuzioni);
e oggi, lellero lellero, arriva Panorama a dirci quello che, in qualche modo, ci dirà domani anche Assogestioni (e che ieri pomeriggio mi avevano detto in un incontro privato ma non riservato i rappresentanti di AEPI e Ancot):
Ma tu guarda! Ci informa compunto Panorama che se un giovano ha un salario di ingresso di 1600 euro e vive a Milano gli risulta complesso accantonare almeno 160 euro al mese per costruirsi una seconda pensione integrativa. La dottoressa Grazia Arcazzo, economista di rango internazionale (insegna a Princeton) e massima esperta mondiale di sistemi pensionistici, saprebbe spiegarci con dovizia di dettagli tecnici le ragioni di questa difficoltà, per la quale qui mi affido alla vostra intuizione.
Aggiungerei che se un autonomo deve versare dei minimi contributivi attorno ai 4000 euro l'anno (e a salire) per assicurarsi la pensione obbligatoria, ci sta anche che non riesca ad accantonare per la facoltativa.
Ve la metto giù piatta: l'idea che per avere uno stipendio decente bisognasse averne due ce l'hanno fatta digerire presentandocela sotto le nobili vesti della lecita aspirazione di tutti all'indipendenza economica e all'emancipazione. Scopo nobile, che però avrebbe comportato, una volta raggiunto, che in famiglia si guadagnasse il doppio: invece, se va bene, il tenore di vita che si riesce a permettere lavorando in due è più o meno quello che si aveva quarant'anni fa con un solo stipendio, o almeno questa è la percezione (in termini di capacità di risparmio, di tempo libero disponibile, ecc.; qui ci sono anche tante variabili sociologiche da considerare, ma insomma accontentiamoci anche qui della percezione).
L'idea che per avere una pensione decente bisognasse averne due è stata invece condita con la retorica dei sacrifici e con una narrazione truffaldina di cosa fosse il "contributivo": non un sistema (a capitalizzazione), ma un metodo di calcolo il cui scopo era quello di abbattere il tasso di sostituzione (il rapporto fra prima pensione e ultimo stipendio), rendendo così necessario ricorrere al "secondo pilastro", da finanziare con quello che resta di uno stipendio sempre più striminzito (perché "we have pursued a deliberate strategy of trying to lower wage costs") al netto di una contribuzione obbligatoria sempre più onerosa (perché il taglio dei salari ha ridotto l'ammontare dei contributi e quindi si devono innalzare le aliquote contributive nel tentativo di riportare il montante al livello precedente).
Un avvitamento senza fine verso un abisso di miseria e disperazione che nasce dall'ignoranza: l'ignoranza delle frazioni improprie, come spiegato qui.
Non solo l'austerità, distruggendo gli investimenti, ha distrutto la crescita. Non solo l'austerità, distruggendo la crescita, ha fatto aumentare il rapporto debito/Pil. Non solo l'austerità, abbattendo salari e pensioni, ha ridotto il gettito fiscale e contributivo compromettendo la sostenibilità delle pensioni obbligatorie future. Ma ha anche impedito lo sviluppo di quei fondi pensione, di quelle pensioni complementari a capitalizzazione, che nei sistemi finanziari progrediti cui in teoria certi "tecnici" aspirerebbero a traghettare il Paese, sono il motore di crescita dei mercati finanziari e quindi, secondo loro, dello sviluppo del Paese.
Il discorso di morte dei Draghi, dei Monti, del PD, è lugubremente contraddittorio: se volessero quello che dicono e dicevano di volere è del tutto ovvio, come lo era allora, che non avrebbero mai dovuto fare quello che allora ci dicevano fosse necessario, e oggi ci confessano essere stato dannoso.
Ma questi "errori" tecnici, che errori, come sapete, non sono, ma strategie deliberate di redistribuzione del reddito dai piccoli ai grandi, non sarebbero stati accettati, o almeno non sarebbero passati inosservati alle loro vittime, se non fossero stati sostenuti dalla macabra retorica nichilista della sinistra.
Questa è la responsabilità politica dei moderni collaborazionisti, e a questa responsabilità dovremo richiamarli a giugno.