sabato 30 giugno 2018

Le infinite


(...towards Pontida...)


Sempre odioso mi fu quel roco “urge”,
E quella fretta, che da tanta parte
Del politico agire ognuno esclude.
Ma vivendo e studiando, interminati
Spazi di là da quello, e sovrumani
Obiettivi, e infinito potere
Io nell’agir constato; ove per poco
Il cor non si spaura. E come l’urge
Odo gracchiar tra le mie email, io quello
Infinito potere a questo urge
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e l’urger suo. Così tra questa
Urgenza non s'annega l’agir mio:
E naufragar vi lascio in questo urge.


(...le infinite email, con il corredo di infinite rotture di coglioni... Urge, urge, urge! Qualche giorno fa parlavo con Giorgetti: "Non voglio nemmeno immaginare cosa possa essere il tuo telefonino...". Il mio, quando i gazzettieri presunsero che io volessi diventare sottosegretario, rischiò di fondersi - apprezzate il genio: se volessi qualcosa, per prima cosa lo farei sapere a loro, no? Ragazzi, non so come dirvelo: ci avete votato, giusto? E avete fatto bene, ma era scontato: peggio del PD non potremmo fare nemmeno volendolo, anche perché ne mancano i presupposti: tutto quello che poteva essere distrutto da comportamenti incauti o rapaci è già stato distrutto, con pochissime eccezioni sulle quali stiamo già lavorando. Quindi fidatevi, e lasciate che alle priorità ci pensiamo noi. Sono nel dibattito da sette anni, e sono sette anni che ogni sette giorni qualcuno arriva e mi parla di qualcosa che secondo lui è un punto di non ritorno, anzi:

IL PUNTO DI NON RITORNO

le colonne d'Ercole della politica, oltre le quali - urge! urge! urge! - qualsiasi spazio di ragionevole azione politica sarebbe irrimediabilmente precluso, e si aprirebbero scenari distopici, orwelliani, dai quale urge (urge! urge! urge! urge!) preservarsi, facendo esattamente la cosa tale o tal'altra, la cui urgenza urge capire: è questione di vita o di morte. I volenterosi carnefici dell'urge (carnefici delle mie gonadi, si intende) non sono minimamente sfiorati dalla constatazione di un singolare isomorfismo: quello fra il loro "urge" antisistema e il simmetrico "fate presto" di sistema. Uno si sfianca a far capire che forse per combattere efficacemente l'avversario bisogna sovvertirne le categorie, e quindi il lessico ed il metodo, e gnente: intorno è tutto un "urge stampare moneta", o qualsiasi altra urgenza urga all'urgitore di torno. Poi dice che uno non ce la fa più! Ma io ce la faccio ancora, perché dentro di me, oltre alla parodia, porto l'originale. Noi vinceremo, perché Deus vult, perché siamo qui, perché la globalizzazione e, soprattutto, i suoi utili idioti di sinistra, hanno tirato troppo la corda, perché viviamo ora una reazione che è comparabile per intensità, e sarà comparabile per durata, a quella che due secoli fa fu provocata dal cosmopolitismo borghese dei philosophes. Quindi: calma! Non urge. Credetemi. Niente trionfalismi - non abbiamo ancora vinto - ma anche niente ansie: non possiamo perdere. Sarebbe utile distinguere fra battaglia e guerra, fra tattica e strategia. Ma fra le tante cose che non urgono, non urge nemmeno questo. Chi è qui e mi ha conosciuto sa cosa pensare. A chi arriva ora non ho molto da dire: ogni percorso inizia dal primo passo, non dall'ultimo, e capisco che sia complesso a chi arrivi da fuori capire cosa succede qui. Ma, appunto, nell'immensa vastità del non urge, non urge nemmeno capire questo. Semplicemente, succede, e continuerà a succedere...)

domenica 24 giugno 2018

"Aizzare le folle"

Qualche giorno fa Ugo Panizza, prestigioso docente di economia i cui studi sul debito privato, molto interessanti, hanno avuto ampia risonanza in questo blog, si è avventurato su Twitter a sostegno delle opinioni espresse da un certo Burioni (medico) in ordine alla sostenibilità del debito pubblico italiano (argomento che ci sta moltissimo a cuore, subito dopo la salute, naturalmente, anche se forse non affideremmo né la prima né la seconda a certi dottori...). In questa discussione, originata da un'affermazione azzardata dell'ex ministro Calenda, Panizza confondeva il concetto di stato "senza" l'euro con quello di stato "che esce" dall'euro. Insomma, per capirci, Panizza confondeva qualcosa di analogo al Giappone con qualcosa di simile, ipoteticamente, alla Grecia di qualche anno fa (che è poi una fissazione comune a buona parte degli economisti cosiddetti mainstream, come ricorderete). Così facendo, Panizza negava quella che è un'evidenza ampiamente riconosciuta dallo stesso mainstream, ovvero il banale dato di fatto che l'adesione alla moneta unica comporta, per tutti i paesi coinvolti, la perdita di controllo della moneta in cui è definito il debito cosiddetto sovrano (che poi sarebbe quello pubblico). Questo dettaglio, inutile nasconderlo, qualche difficoltà la crea (in questo blog vi ho citato spesso questo studio di De Grauwe, che spiega benissimo in cosa consista la difficoltà: e stiamo parlando di un consigliere di Barroso, non di un pericoloso "antieuro")! Il fatto che Panizza non fosse consapevole di certe difficoltà, o le rimuovesse psicanaliticamente, è irrilevante: per fortuna noi, che ne siamo consapevoli, e non lui, che ne è inconsapevole, siamo stati chiamati a gestirle, queste difficoltà. Sarebbe veramente pericoloso se alla guida del paese ci fossero persone che confondono la nostra situazione con quella di stati dotati di sovranità monetaria. Sono situazioni ben diverse, ed è essenziale esserne coscienti per agire in modo responsabile, come stiamo facendo (vale il discorso tenuto in Senato dal Ministro Tria).

Colpito da questa infelice posizione, presa per difenderne ultra vires una ancora meno felice, intervenivo rimproverando a Panizza la scarsa limpidezza della sua affermazione, veramente deludente (la discussione è qui). Chiudeva la discussione un mio lettore, Alessandro Greco, mostrando a Panizza queste sue parole:


tratte da una delle tante pubblicazioni prestigiose dello stesso Panizza (questa), con le quali il Panizza studioso smentiva il Panizza polemista: il primo infatti ammetteva quello che il secondo negava, ovvero che essere "dentro" l'euro comporta difficoltà aggiuntive nella gestione del debito (ed espongono, in particolare, al pericolo di crisi self-fulfilling, ovvero al fatto che il paese si trovi in crisi perché ci si aspetta che esso vada in crisi). Difficoltà cui devono, ovviamente, corrispondere maggiori assunzioni di responsabilità da parte di tutti: non solo di chi governa, ma anche di chi informa sulle condizioni economiche del paese, e anche, perché no, dai colleghi che intervengono nel dibattito.

Nel corso di questa discussione il Panizza faceva un'altra affermazione discutibile, anzi: diffamatoria. Questa:

Dopo un pianterello di autocommiserazione sul fatto che i "privilegi" della politica mi permetterebbero di insultare impunemente gli avversari (cosa che non avevo fatto, limitandomi a manifestare una certa delusione per il fatto che anche Panizza, come tanti altri colleghi, dicesse nel dibattito pubblico una cosa, e nelle segrete stanze della letteratura scientifica - inaccessibile ai più, compresi i colleghi scienziati di discipline non affini - un'altra), Panizza mi accusava di aver teorizzato l'uso degli insulti come strumento per aizzare le folle (non si sa a quale scopo, forse per riscuotere consenso politico).

Un'accusa violentemente e, come vedrete, bassamente diffamatoria, nel merito (perché quelle parole non sono mai state dette) e nel metodo (perché la riservatezza della corrispondenza mi risulta essere, fino a prova del contrario, un diritto costituzionalmente garantito, tant'è che quando pubblico vostre lettere vi chiedo sempre il permesso, e le rendo comunque anonime).

Dato che non mi ricordavo di aver mai espresso un concetto simile, perché non mi interessa né insultare né aizzare (né mi interessava farlo quando avevo più tempo libero!), gli chiedevo di mandarmi l'email, se l'aveva ancora. Avendola ricevuta, la condivido con voi, chiarendo il contesto, che ha una sua importanza. Il 21 maggio del 2014 Panizza mi aveva inviato, per un mio commento, un suo lavoro sul debito pubblico italiano, avvertendomi che probabilmente non sarei stato d'accordo, ma ci teneva ad avere un mio parere. Rispondevo il giorno stesso chiedendogli il permesso di farlo circolare fra altri colleghi (La Malfa, Gawronski, ecc.), perché questo vuole la cortesia accademica (vuole che si chieda il permesso), e offrendogli di pubblicare il suo contributo su a/simmetrie, per renderlo accessibile al dibattito italiano, dato che personalmente mi sembrava corretto dare voce a tutte le posizioni. La risposta fu che Panizza preferiva di no, perché a/simmetrie era associata a un certo lato del dibattito sull'euro, col quale Panizza preferiva non essere a sua volta associato (scelta comprensibile).

E qui viene la mia lettera, che nella mia qualità di autore e di persona offesa pubblico per le vostre valutazioni, dopo aver rimosso i nomi di persone che ritengo non debbano essere citati in questo contesto che oscilla pericolosamente fra il puerile e il penale:

Il 21/05/2014 12:09, Alberto Bagnai ha scritto:
Come desideri. In realtà in a/simmetrie abbiamo Xywsxhj che credo la pensi esattamente come te. Il mio scopo è quello di creare occasioni di dialogo, però mi rendo conto che siccome per dare voce a una parte conculcata da 30 anni di informazione one way ho dovuto usare mezzi non sempre ortodossi, qualcuno possa nutrire perplessità. Non lo ho fatto, però, nel contesto di asimmetrie, ai cui eventi ho invitato personaggi assolutamento ortodossi come YwtHsfgd o Khywghwq.

Allora continuiamo così: lavoce.info non pubblicherà me, e io non pubblicherò te!

A lavoce.info questo non ha portato molto bene (stesa in termini di letture), ma questo non c'entra. Però se hai una versione postata da qualche parte alla quale posso comunque dare più visibilità, fammelo sapere.

A presto.

A.

Nota bene: la mia lettera, molto esplicitamente, si riferiva, come tutti possono capire, al fatto che per portare nel dibattito argomenti che né le riviste scientifiche, né i media tradizionali desideravano discutere, mi ero dovuto servire di mezzi non ortodossi ai fini della divulgazione scientifica, come i social, e di forme non molto ortodosse ai fini della divulgazione tout court, come la novella (ad esempio, Il romanzo di centro e di periferia, o la triste storia del re di Ruritania). Punto. Nessun accenno al fatto di insultare chicchessia né di aizzare chicchessia a qualsiasi fine.

Quindi quella di Panizza tecnicamente è diffamazione.

Questa storia, di per sé infima, mi riempie di tristezza. Una volta avrei lasciato perdere. Ma ora, purtroppo, non sono più da solo, sono in una squadra, e non posso accettare che il nome della squadra venga infangato da chi accusa un suo elemento di teorizzare l'insulto come forma di strategia politica. Queste accuse non hanno fondamento se non in una lettura faziosa, al limite dell'allucinato, di quanto da me scritto. Non avrei mai immaginato che colleghi stimabili si riducessero così, e tuttora non capisco come, né perché, né a quale scopo. Solo La messa per la città di Arras, secondo me, offre una chiave di lettura valida di questa degenerazione tanto abominevole quanto sconcertante, che è senz'altro il frutto più amaro di decenni di scelte radicalmente sbagliate - come sa meglio di me chi quelle scelte le difende ancora oggi contro ogni ragionevole evidenza, e per questa ottusa ostinazione è stato rasato via dal panorama della politica italiana.

Sed de hoc satis.

martedì 19 giugno 2018

A Dragan

Questa sera ero a cena con un amico che mi somiglia molto: perfezionista, narcisista, populista, ma ha anche dei difetti. Mi trovava ringiovanito, come mi hanno trovato ringiovanito iMercati, che sono venuti a trovarmi a Palazzo Madama (di passaggio da New York verso Milano), e spiegavo, al mio amico (ma anche a iMercati) che sì, può darsi che sembri rasserenato, perché ora dormo. "E perché non dormivi?" Perché, come vi ho detto tante e tante volte, non era bello andare in giro a spiegare a sale piene di gente che sì, eravamo in trappola, una trappola che peraltro era nota a tutti, inclusi quelli che ce ne avevano aperta la porta, come qui sapete. Arrivava sempre la domanda: che fare? E questa domanda la portavo a casa con me, e lavorava dentro di me, bruciava dentro di me: crollavo esausto, ma poi, se alle tre o alle quattro qualcosa mi svegliava, non riuscivo a riaddormentarmi, e non c'era chimica che potesse restituirmi all'oblio. Che fare? Ora una risposta ce l'ho: votate Lega! Resta, naturalmente, il compito di dimostrarvi la risposta era giusta: un compito formidabile, ma sempre meno del compito di trovarla, questa risposta, cioè di elaborare il lutto della sinistra. Perché, spiegavo al mio amico (non a iMercati, che giustamente se ne battono...), prima di archiviare il caso dovevo essere convinto che la colpa del mio fallimento nel coinvolgere persone come la compagna De Petris (che oggi è venuta a dirmi che avrei dovuto firmare la loro, di mozione: e se non è successo, un motivo ci sarà...), la colpa non fosse solo mia. Io avevo sbagliato, ho sbagliato, sbaglio, sbaglierò, ma la morte termica della sinistra, quella, ecco, quella non dovevo prenderla sulle mie spalle: il mio carattere di merda, certo, un po' nel mio fallimento c'entrava, ma c'entravano molto, molto di più quelle tendenze oggettive che Michéa descrive tanto bene, e che rendono oggi il conservatorismo l'unica soluzione sensata ed eticamente fondata per chi voglia "agire" uno spazio politico (come dicono, appunto, quelli "de sinistra", specializzati nel dire tutto senza dire niente). E allora il mio amico mi chiedeva: "Ma ora, riesci a fare tutto quello che facevi prima? Roberta come sta?" Come prima: non mi vedeva prima, non mi vede ora. No, tutto non riesco a farlo. Ho quasi smesso di suonare, e del resto se finora non ho smesso è solo perché, divina institutione formatus, mi legavo le mani con i concerti e i dischi. Così, sotto stress, per non far fare figuracce, e soprattutto per non farle fare alla squadra, una volta preso il precommittment mi toccava fare mio malgrado, controvoglia, di malavoglia, musica. Quella musica che, come diceva un mio amico (quello che suona il violoncello qui: presto faremo l'analisi - che non è Lanalisi - di questo pezzo, ma la vostra beatitudine mi costringera a prenderla larga, anzi: larghissima...), quella musica, disait-il, che i dilettanti fanno per il piacere di far musica, che poi è quello di far musica male (aggiungeva lui beffardo): perché l'intuizione estetica è una forma di feticismo: puoi raggiungere il piacere solo a certe, ben precise condizioni, il cui raggiungimento, o la cui concomitanza, di per sé costa una certa sofferenza, o quantomeno una discreta fatica! E aveva ragione... "Ma perché sei così perfezionista? Perché siamo perfezionisti?" chiedeva il mio amico (che ha anche dei difetti: manager di enorme e meritato successo, padre orgoglione, ecc.). Ma, credo che sia una forma di insicurezza: evidentemente ho bisogno dell'approvazione degli altri (che, com'è noto, faccio di tutto per sollecitare). "Sì, è così anche per me: dipende, credo, dal rapporto con mio padre. Ma tu come eri da bambino?"


E qui mi è venuto in mente Dragan.

Perché solo lui, credo, con la sua formidabile memoria e la sua sterminata cultura letteraria, potrà essersi imbattuto, e potrà ricordarmi, in quale novella francese ho letto una frase che ricordo con precisione. La novella (non credo fosse Maupassant) raccontava di una canaglia, un tipo losco, che viveva di espedienti, egoista, passabilmente sordido, cui a un certo punto, perché la vita è fatta così, muore la madre. E lui, come ogni canaglia, si impietosisce verso se stesso, e si dice un cosa del tipo: "Non c'è più l'unica persona che si ricorda di come ero da bambino". Che è, se ci fate caso, molto più il lutto dell'innocenza perduta, che della madre perduta (della quale mi par di ricordare che il tipo in questione si servisse come di un bancomat, un po' come fa er Palla con me: e anche questo è umano...).

Due giorni fa è morta, e domani verrà sepolta, l'ultima persona che si ricorda come ero da bambino: la più cara amica di mia madre, che considerava come una sorella, e che io consideravo una zia, la Zanna (zia Anna). Schiacciata da un veicolo in manovra. Io sono convocato domani alle 9 al gruppo: elezione del nuovo capogruppo, definizione delle commissioni, ecc., e non credo che riuscirò ad essere nelle Marche per assistere al funerale. A mia madre non lo dirò, perché non credo che lo capirebbe: non penso che si ricordi di come ero da bambino, perché non si ricorda nemmeno chi sono. Quindi, a lei, sarebbe del tutto inutile far vedere questo breve spezzone:


Del resto, le ultime due frasi che ricordo di lei sono che Napolitano "è tanto una brava persona" e che Tito Boeri "è un bell'uomo". Due affermazioni che, pur essendo incontestabili, lasciavano non so come presagire una certa perdita di lucidità...

La Zanna, invece, se lo sarebbe goduto, come nonna Rosina si sarebbe goduta Uga, se avesse potuto vederla. Ma non hanno fatto in tempo.

La vita è fatta così.

Ieri ho rischiato di perdere un amico perché a un camion in corsia di sorpasso è esploso uno pneumatico, causando la perdita di un estintore che, per fortuna, si è incastrato nel parafango dell'auto che seguiva (anziché sfondarne il parabrezza).

Siamo fragili, tanto fragili, così fragili che spesso viene da chiedersi se sia giusto che un'esistenza così breve e tribolata sia piagata anche dalle zanzare e dai piddini. Ma a questa domanda puoi rispondere solo Tu, qui facis mirabilia.

Faremo in tempo?

Credo sia meglio entrare nell'ordine di idee che non è così importante.

L'importante è dormire la notte.

Quindi: buona notte.








(...vi dico solo questo: Mario Monti mi ha fatto i complimenti. Ed era sincero. Dove ho sbagliato?...)

(...Dragan, se tu o qualcun altro mi ritrovate quel pezzo, cercate di farmelo avere: fra le tante cose che ho smesso di fare, c'è anche il leggere cose belle: leggo solo lammerda che scrivono i miei colleghi, con il consueto ritardo di fase...)

sabato 16 giugno 2018

Una domanda retorica


Vi aspetto, anche se la risposta non è molto interessante, come non lo è, in termini scientifici, tutto il dibattito che ha fatto di noi, qui, la comunità politicamente e culturalmente più rappresentativa del secondo Risorgimento.




(...soffro molto nel non potervi dedicare più tempo, ma voi ne intuite benissimo i motivi. Ci sono no eclatanti da dire, e ci sono anche dei no meno risonanti, ma non meno importanti da dire. Le strutture si stanno completando, mancano, come sapete, i presidenti di Commissione, e poi si potrà partire, ma intanto bisogna far rete con chi c'è, conoscere i (pochi) che non si conoscevano, coinvolgere, informare, motivare... I miei post tecnici, adesso, non sono più per voi, ma per pochi intimi, quelli che dovranno servirsene per prendere decisioni. E ora vi lascio, ho per cena un paio di sottosegretari...)

giovedì 14 giugno 2018

Aquarius e fake news

(...dal nostro amico giurista Guidubaldo, che l'ultima volta - salvo errore - si era fatto vivo qui,  ricevo e doverosamente condivido. Consoliamoci! In tutta evidenza i nostri politici non sono fra i peggiori in circolazione…)


Caro Alberto,

Solo per segnalarti un simpatico caso di fake (legal) news che sta circolando indisturbato sui nostri media. Il Ministro (Ministra?!) della Difesa spagnolo Dolores Delgado (che dovrebbe essere per giunta un Pubblico Ministero...) ha dichiarato a Radio Cadena Ser che la gestione della vicenda Aquarius da parte dell’Italia potrebbe comportare “responsabilidades penales internacionales” per violazione di patti e convenzioni internazionali e che la vicenda è una questione di “derecho humanitario”. Si tratta di una serie di non sequitur colossale.

Intanto, la responsabilità penale può solo essere personale e dunque non ci vuole un’aquila per capire che uno Stato in quanto tale non può in alcun modo essere soggetto a una giurisdizione penale, nazionale o internazionale che sia. Che si fa, si processa la bandiera? E chi si mette in galera in caso di condanna? Mistero...

Anche volendo provare, per assurdo, a ragionare di responsabilità individuali (del Ministro? Di chi altro?), non sussiste nessuno degli elementi di contesto che possano configurare crimini internazionali come, ad esempio, il crimine contro l’umanità di deportazione. Il richiamo poi al "diritto umanitario" è una scemenza da bocciatura all’esame di diritto internazionale. Esso è il diritto che si applica in costanza di un conflitto armato e la cui violazione può, a certe condizioni, configurare crimini di guerra. Non mi risulta che ci sia in atto un conflitto armato tra Italia, Spagna, Malta o chi altri (per ora…).

Se invece la ministra si riferisce alla responsabilità per la violazione di trattati internazionali in tema di diritti umani, quali ad esempio la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo o il Patto sui diritti civili e politici, credo che parimenti non ve ne siano - allo stato dei fatti - gli estremi e comunque potranno occuparsene in prima battuta e se interpellati i giudici italiani e/o spagnoli ed eventualmente la Corte di Strasburgo. Quella stessa corte che lo scorso ottobre ha accertato all'unanimità la violazione da parte della Spagna del divieto di espulsioni collettive per fatti avvenuti a Melilla nel caso N.D. and N.T. v. Spain (nos. 8675/15 and 8697/15), ora al vaglio della Grande Camera…da che pulpito!

Non che la leggerezza e la doppiezza morale dei politici spagnoli, unita a quella dei nostri giornali che gli danno seguito, mi stupisca. Anche considerata l’operazione di maquillage del nuovo governo spagnolo tanto filo-UE e rosacomenonmai era il minimo che ci si poteva attendere…

Per il nulla che conta la mia opinione, sono dell’idea che l’atteggiamento tenuto dal Governo italiano in questa vicenda non sia ovviamente risolutivo del problema più ampio della gestione degli sbarchi e dei flussi migratori, ma abbia senz'altro dimostrato che la solidarietà se non arriva in modo spontaneo, può arrivare in modo “spintaneo”. Vedremo se ciò basta a far capire che l'Italia non è più disposta a farsi prendere in giro da quella autentica barzelletta di Stato che è Malta, o dalla retorica irresponsabile degli altri sedicenti partner umanitari a corrente alternata.

Un caro saluto e come sempre un augurio di buon lavoro!


(...cosa vuoi aspettarti da chi sugli immigranti spara? Che faccia una lezzzioncina sbagliata a chi li accoglie! Vi ricordate quando pubblicai la mia risposta alle corbellerie di Moscovici sul deficit italiano? Bene. Mi sembra di poter dire, con grande soddisfazione, che sto diventando inutile: ora c'è chi risponde meglio e più autorevolmente di me agli attacchi dei farisei europei. Era ora, nell'interesse di tutti. Mettere le cose in chiaro è il primo passo verso un rapporto costruttivo. La filosofia politica della subalternità totale, impersonata dal PD, ha distrutto il paese: ora basta! Domani, a Bolzano;



aleggerà fra gli astanti il ricordo del momento più abietto di questa subalternità: quelle riforme del sistema bancario a trazione UE il cui risultato (e verosimilmente il cui obiettivo) è stato spossessare il paese della parte più sana e più italiana del proprio sistema bancario, incuranti dei danni collaterali che ne sarebbero derivati in termini di esproprio dei risparmi, vite distrutte, e collasso del credito...)

lunedì 11 giugno 2018

...e quindi:



(...anche perché se non si fosse potuto fare, questo avrebbe significato che la cosiddetta Europa non esisteva, e in quel caso sarebbe stato giocoforza trarne le conseguenze fino in fondo. Invece esiste, ed è un luogo che coordina, ma la cui esistenza non abolisce, gli interessi nazionali. Questi ultimi devono continuare ad essere rappresentati e difesi dai governi nazionali, e meritano di essere rappresentati e difesi perché sono gli interessi dei grandi e dei piccoli appartenenti a una comunità. Tu chiamalo, se vuoi, fascismo...)

domenica 10 giugno 2018

I nemici del paese

L'austerità, chi è qui lo ha capito da tempo, e chi non è qui lo sta capendo a sue spese, è non tanto e non solo una politica sulla quantità del reddito (le spese pubbliche sono per definizione redditi privati: nessuno immagina che i Ministeri gettino banconote nel cratere dell'Etna), quanto e soprattutto una politica di redistribuzione del reddito. Innalzare il livello di disoccupazione serve ad abbassare le pretese dei lavoratori e quindi i loro salari, a beneficio di chi vive di profitti. Questa politica potrebbe non sembrare del tutto razionale: a cosa serve avere una fetta più grande di una torta più piccola? Ma una razionalità c'è: il fatto è che, a loro volta, quelli che si spartiscono la fetta più piccola sono sempre meno (si chiama "svuotamento della classe media": l'eutanasia sociale di piccoli imprenditori, grandi professionisti, ecc.).

Naturalmente l'austerità è una politica dolorosa. Non per nulla i fascisti la battezzarono accortamente nel 1926 (come spiega Clara Elisabetta Mattei, in un articolo poi pubblicato qui), dandole questa connotazione morale, sperando che ciò bastasse a renderla palatable (come dicono quelli fichi) agli elettori. Fatto sta che la retorica moralistica non basta ad annichilire la giusta percezione che di norma e in media gli uomini hanno dei propri interessi (percezione che spiega perché il mercato, pur fallendo, sia meglio dell'alternativa: se poi lo Stato ne corregge i fallimenti, è ancora meglio). E allora, come spiegavo ieri a un illustre collega, forse il più famoso worldwide, qui in Italia i governi che ci hanno preceduto, e le loro incrostazioni che ancora resistono, hanno dovuto ricorrere a un'altra retorica, molto più cogente, quella dell'emergenza: FATE PRESTO! Per convincere gli elettori ad accettare politiche che li danneggiavano, li si doveva convincere che la Patria fosse in pericolo. Altro stilema fascista, naturalmente: date oro (o pensioni, o tutele del lavoro, o prestazioni sanitarie...) alla Patria!

Per sostenere questa retorica interessata occorreva, naturalmente, dare dell'Italia una visione distorta in senso negativo, come di un paese che fosse sull'orlo del baratro; e questo è infatti quello che ci sentiamo dire, con brevi pause, da oltre trent'anni (un buon excursus lo trovate all'inizio di La costituzione nella palude). Fatto sta che siccome il mondo è piccolo, e i mercati mormorano, questa "narrazione" (o, per dirla ancor più cialtronescamente: "narrativa") fatta ad uso degli elettori nazionali, è diventata egemone preso gli investitori esteri, i quali sono effettivamente convinti che l'Italia sia un paese spacciato, senza chiedersi come mai un paese che da trent'anni sarebbe spacciato a detta di chi lo governa, dopo trent'anni sia ancora in piedi nonostante chi lo ha governato.

Non aiuta i mercati il fatto di non aver fatto pace con i dati, con la buona teoria economica, e nemmeno con le comunicazioni delle istituzioni (teoricamente) più prestigiose, quali, ad esempio, la Commissione Europea, che fino al 2015 confermava come il nostro debito fosse sostenibile (dal 2015 il giudizio è meno favorevole, essenzialmente perché le politiche di austerità, facendo aumentare il rapporto debito/Pil di 13 punti, hanno peggiorato la "initial fiscal position", come abbiamo mostrato qui: che è poi il motivo per cui non vogliamo altra austerità). Ma il punto non è tanto questo (cioè la sfolgorante economic illiteracy di alcuni operatori di mercato: d'altronde, se fossero tutti bravi, per definizione non ci sarebbero crisi...), quanto quello di fondo, che spiegavo all'illustre collega: la percezione che dell'Italia si ha all'estero è stata criminosamente distorta dai governi italiani che volevano usare la retorica dell'emergenza per imporre una loro agenda classista agli elettori, estorcendone il consenso col ricatto.

Tuttavia, questa percezione non corrisponde alla realtà, come gli stessi governi cialtroni e nemici del paese che hanno finora imperato sono stato costretti ad ammettere quando hanno capito che spalando merda su un'intera comunità di persone di norma e in media laboriose, ingegnose e oneste, stavano segando il ramo sul quale erano essi stessi seduti. Sono nati così progetti quali pride and prejudice (già il titolo la dice lunga), nei quali gli "esperti" di quelle stesse forze politiche che avevano vilipeso il paese rasentando (e secondo me oltrepassando, ma io faccio solo il parlamentare) il limite del codice penale, dicevano, con il consueto ritardo di alcuni anni, quanto i miei lettori sanno benissimo, ovvero che i fondamentali economici del Paese sono solidi.

Spiegavo, quindi, all'illustre collega, che scommettere contro l'Italia non è essere particolarmente lungimiranti. Certo, ci si possono fare dei soldi, anche dei bei soldi, magari, nell'immediato, e si possono creare problemi, anche grossi problemi al paese. Ma, anche astraendo dal fatto che in questo periodo di rifiuto della globalizzazione non credo convenga ai mercati dichiararsi nemici della democrazia (Trump c'è), e in questo periodo di elezioni europee non conviene all'Unione Europea dichiararsi nemica dell'Italia (volete una maggioranza euroscettica all'Europarlamento?), resta il fatto che i soldi veri li farà chi scommetterà a favore, chi scommetterà sulla capacità degli italiani di creare valore col loro ingegno e la loro tenacia. Quanto a noi, alla nostra comunità, occorre che riprendiamo coscienza del nostro valore partendo dai dati, e che, nel rispetto dello stato di diritto, facciamo valere quei pesi e contrappesi che sono l'argine contro derive eversive, cominciando dal chiedere nelle sedi opportune a chi per evidenti fini strumentiali di manipolazione del consenso politico o del mercato vilipende la nazione, o ne pronostica in sedi inappropriate una futura, imminente catastrofe, su quali basi appoggi i suoi argomenti, e quali dati abbia che smentiscano le (postume) slides del MEF.

Attendiamo fiduciosi.

sabato 9 giugno 2018

Un dialogo

(...vi sto trascurando. Sono momenti complessi, lo capirete. D'altra parte, questa comunità, che tanto ha contribuito ad arricchirmi umanamente e scientificamente, rimane per me anche una bussola per orientarmi nel procelloso mare della politica, di quella cosa che io non so fare come hanno ripetuto usque ad nauseam quelli che non sono diventati senatori volendolo, e ora devono convivere col fatto che io lo sia diventato essenzialmente non volendolo - potrebbero testimoniarvelo Claudio e Massimiliano! In che modo mi aiutate ad orientarmi? Ma è semplice! Per non sbagliare, per andare avanti, per portare il dibattito a un livello superiore, mi basta fare il contrario di quello che mi chiedete: prima era #famoerpartito - e spero che abbiate capito, finalmente, perché era una scemenza! - ora è #faierministro - e non mi metto nemmeno a spiegarvi perché è una scemenza! Dice: "Ma tu sei bravo!" Dico: "Grazie, ma che c'entra? Non funziona così, non deve funzionare così. Uno non è bravo perché conoscendo la teoria dei saldi settoriali vede le economie morte, come è accaduto per Francia e Finlandia (ex multis). Uno non è bravo perché, sapendo le basi di contabilità nazionale, alle genti svela di che lacrime grondino e di che sangue certi miracoli economici, come quello lettone o quello portoghese. Questo, certo, è un pezzo della soluzione, ma ci sono tante altre cose da imparare, da capire, a partire da come funziona la macchina dello Stato, ecc. Tutta roba che non si studia sui libri: bisogna essere lì. Ora siamo lì, ora siete lì, non siamo, non siete soli, saremo sempre di più, siamo lì per restarci, e lavoreremo per il cambiamento, che non è un assalto alla baionetta, ma una cosa un po' più complessa: si sale col passo del montanaro..." Ma tanto, che ve lo dico a fare? Qui c'è gente che ancora non ha chiaro perché S-I=X-M. Figurarsi concetti un po' più articolati! Quindi, oggi non vi parlerò né di politica, né di economia...)


Lui: "Hai qualche soldo per mangiare?"

Io: "Ecco."

(...lo guardo negli occhi. Mi ricorda un altro giovane, della Sierra Leone, quello che a un seminario dell'UNECA si alzò per dire a un mio gentile collega: "Scusi, lei ci dice che cresciamo poco perché siamo corrotti e poco democratici, ma voi? Voi avete mandato avanti un progetto politico senza chiamare gli elettori al voto, nei pochi posti in cui è successo siete stati sconfitti, e li avete fatti rivotare finché non hanno votato come volevate voi, e venite a spiegare a noi cos'è la democrazia?"...)

Io: "Da dove vieni?"

Lui: "Ghana."

(...una delle economie più stabili e prospere del continente...)

Io: "E come sei arrivato qui da noi?"

Lui: "Do you speak English?"

Io: "Yes, I do. How did you get here? Did you take a boat?"

Lui: "Yes, I did."

Io: "Whence did you leave? Libya?"

Lui: "Yes, Libya."

Io: "When did you come?"

Lui: "Two years ago."

Io: "And how did you get to Libya? The travel must be horrible, you have to cross the desert."

Lui: "I lost three friends."

Io: "How?"

Lui: "In the sea. I did not know the travel was so horrible. If they had told me, I would never quit my country."

Io: "Did you work, in your country?"

Lui: "I was a stylist. But it is impossible to find a work in Italy."

(...poi qualcosa che non ricordo sul permesso di soggiorno...)

Io: "I know. The unemployment rate in Italy is more than twice that of your country."

Lui: "Yes. But if I told my friends there, they would never believe, and they would still like to come here."


(...gli ho stretto la mano e sono andato via, dimenticando la domanda più importante: "If someone would give you the opportunity to go back to your country in a decent way, would you accept it?" Solo che sinceramente stavo perdendo lucidità. Perdere tre amici... Mendicare da due anni... Perché?... Da un paese politicamente stabile, che nell'ultimo decennio è cresciuto a una media del 7% all'anno... Venire a ficcarsi qui, in questa polveriera, perché? Perché? Come fa una persona mediamente intelligente, come lui era, a pensare che attraversare il Sahara sia una cosa agevole? Mi sembra tutto così strano: tutti mi raccontano la stessa storia, mi dicono che se avessero saputo non sarebbero partiti... Ma se questo fosse vero, allora bisognerebbe concludere che anche a casa loro, come a casa nostra, quello che uccide è la disinformazione, la menzogna. La mia fiducia nell'umanità mi impedisce di pensare che quest'ultima risponda all'intimo bisogno di trarre in inganno il proprio simile: più facile pensare che risponda al bisogno materiale di arricchirsi, a qualunque costo...)

(...ho mentito anch'io: vi ho parlato di politica, e di economia...)