lunedì 24 gennaio 2022

Net neutrality

A proposito del post precedente, su Twitter mi segnalano questo:


Che volete che vi dica? Il segnale è chiaro: in linea di principio, se vi interessa un accesso non orientato alla rete dovreste cambiare gestore, ma naturalmente nulla vi garantisce che altri gestori della rete non filtrino a loro volta i contenuti. Anche se in modo meno smaccato e pacchiano di quanto accade sui media tradizionali, il cui target restano casalinghe e politici (due professioni che lasciano poco tempo per la riflessione, posso affermarlo per esperienza diretta di entrambe!), rimane vero anche sui social media che il vostro mondo è comunque una loro rappresentazione. Sarebbe opportuno non dimenticarlo mai, non solo quando sono così naïf da farvelo capire!

Potremmo anche provare a dare una chance alla "Commissione antidiscriminazione" verificando che abbia convocato i gestori delle infrastrutture, e in caso contrario chiedendo di convocarli per farci dare informazioni su come essi intendano la net neutrality (i più maliziosi fra voi potrebbero insinuare che per una Commissione a presidenza de facto PD il fatto che un parlamentare della Lega venga silenziato è più un'opportunità che è un problema, e una volta lo avrei pensato anch'io, ma entrando in politica si impara a deporre certi retropensieri, che non portano a nulla, e ad accumulare fatti, che restano).

E poi c'è il tempo.

Dovete solo resistere, dovete essere testardi, dovete avere la testa dura, come ce l'hanno, appunto, i fatti. Mi rendo conto delle vostre urgenze, che sono anche le mie, altrimenti non sarei qui con voi, ma, com'è noto, abbiamo solo due certezze: la morte, e le tasse.

Io mi occupo di tasse.


(...ovviamente, finché voi mi darete col vostro voto, e Matteo, mi darà con la sua fiducia, l'opportunità di occuparmene. Poi mi occuperò di altro, non mi mancano gli interessi...)

domenica 23 gennaio 2022

Meno uno: il protocollo di Schrödinger

Cadono le braccia a pensare che secondo alcuni operatori informativi questi due documenti non sono mai esistiti!

Valutate voi:

  1. Circolare recante "Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-COV-2" del 30 novembre 2020;
  2. Circolare recante "Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-COV-2" aggiornata al 26 aprile 2021. 
Non me li sono certo scritti da solo, né ho falsificato io la firma digitale dei riveriti firmatari. Sì, si tratta proprio delle due versioni del famoso protocollo domiciliare "paracetamolo e vigile attesa".

Nel primo, quello del novembre 2020, si legge:


(più una serie di altre indicazioni per cui vi rinvio al documento originale). Nel secondo, quello di aprile 2021, si legge:


e credo vediate che la musica nel frattempo era un po' cambiata, verosimilmente anche a causa di quello che era successo in Senato l'otto aprile:


a sua volta conseguenza di quello che era successo sempre in Senato il primo aprile - nel video linkato vedete Bernini, Romeo, e altri... a indicare che un po' di peso politico era stato messo sul piatto della bilancia per far muovere il pachidermico ministero: una iniziativa presa con un discreto anticipo rispetto alla scoperta dell'acqua calda europea:


Ora, non entro nelle varie sfaccettature tecniche di questi documenti, che in larga parte eccedono le mie competenze (non nella parte in cui potrei raccontarvi quanto c'è voluto per passare dalla prima alla seconda versione: un'epopea che in parte risulta agli atti parlamentari ma sotto la quale c'è un lungo romanzo d'appendice fatto di contatti con tecnici, colleghi del proprio e di altri partiti, consulenti esterni, ecc., con cui non vi annoio).

Diciamo che con la revisione di aprile 2021 il Ministero ha sostanzialmente ammesso di aver sbagliato strada omettendo di menzionare i FANS, che poi erano i farmaci su cui fin dall'inizio si era concentrata l'attenzione dei medici di medicina generale che volevano curare i pazienti (già a febbraio 2021 - parlo per esperienza di prima mano - a Roma Nord la prescrizione di qualsiasi medico, ma anche di qualsiasi farmacista, a seguito di tampone positivo su soggetto non altrimenti a rischio era di andarsene a casa e prendersi l'ibuprofene - che non è il paracetamolo - e quella è rimasta, generalmente con buoni esiti: il Ministero è arrivato dopo, a forza di spintoni; ovviamente so, perché se una cosa la sapete voi, significa che io la so già, che in altri territori del nostro Paese - tipicamente: alcune zone del Piemonte - tutto questo era ampiamente noto molto tempo prima, ma anche in questo non mi attarderei, per il momento...).

Mi diverte però una cosa di questo protocollo che secondo alcuni giornalisti non sarebbe mai esistito: il fatto che, come il gatto di Schrödinger, esso sia al tempo stesso vivo e morto!

Eh già...

Perché è sostanzialmente morto per il Consiglio di Stato, quando ci dice che "il documento contiene raccomandazioni e non prescrizioni", motivo per cui non gli si può imputare né di aver impropriamente vincolato l'attività professionale dei medici, né tanto meno di averla indirizzata verso uno specifico principio terapeutico sulla cui appropriatezza da mesi (ormai possiamo dire da anni) sono stati sollevati molti autorevoli dubbi (perché incide sul metabolismo del glutatione: non chiedetemi che cosa sia, relata refero, anche se credo di poter spiegare che cosa c'entra in questo discorso più di certi autorevoli tromboni che abbiamo visto confondere antipiretici e antinfiammatori: magari un giorno succederà anche a me di confondere una curva di domanda con una di offerta, e quel giorno, vi prego, abbattetemi...).

Ma al tempo stesso il protocollo della vigilante attesa pare sia anche vivo, visto che viene utilizzato dagli ordini dei medici per minacciare di sospensione o radiazione (non è chiaro) dei medici che non lo hanno applicato alla lettera:


Mi sembra evidente che c'è qualcosa che non va: e la prima cosa che non va è che non è vero che non c'è un giudice a Berlino: ce ne sono troppi; e non è vero che il problema dei tempi della giustizia (umana) è che sono lunghi: è che sono variabili. Ci vuole pazienza, e ci siamo detti (ma è solo un educated guess) che dovremo averne fino a settembre.

Ora, io non so dove sia il torto e dove la ragione, e per fortuna non è mio mestiere deciderlo. Tuttavia, nella mia carriera universitaria ho studiato diritto privato, diritto pubblico, diritto pubblico dell'economia e diritto commerciale. Diritto quantistico non l'ho mai studiato e dubito che lo si insegni da qualche parte. Di conseguenza, starei un po' attento a radiare medici sulla base dell'inosservanza di un protocollo che secondo il Consiglio di Stato contiene "mere raccomandazioni", se veramente di questo si tratta. Il protocollo o è vivo (ma allora deve fare attenzione in primis chi lo brandisce) o è morto (ma allora brandirlo non ha senso). Il mio, ovviamente, è solo un consiglio disinformato e disinteressato di un pover'uomo affezionato alla logica aristotelica: poi, come sempre, se fate come vi pare, poi mi diverto di più... 

Intanto, io domani me ne vado al drive inDi questa, come di tante altre cose, non avevo bisogno di fare esperienza diretta, perché il mio lavoro è sapere le cose. A differenza del mio illustre e sfortunato predecessore però, ora che ci sono passato, oltre a sapere ho anche le prove. Va da sé che non dovete preoccuparvi: stiamo tutti benissimo, e siccome non fa scienza sanza lo ritenere avere inteso, potete immaginare che due anni passati in dialogo quotidiano coi massimi esperti mondiali del tema (che non sono la trista compagnia di giro lombrosiana che vi ammanniscono quotidie sui media) mi hanno permesso di affrontare in serenità e sicurezza anche questa vicenda potenzialmente rischiosa (ma nel mio caso del tutto observationally equivalent alla mia consueta allergia pre-primaverile a cipressi e mimose: comunque tranquilli, controllo tutto, la saturazione non è mai scesa sotto il 97% e la temperatura non è mai salita sopra 36,9...). Bisogna fare molta attenzione: ad alcuni amici è andata peggio e paradossalmente, in casi specifici, che ovviamente non menziono, proprio a quelli più "rocciosi". Indubbiamente questo virus è insidioso. Può intaccarti senza che tu te ne accorga, può capitarti di ritrovarti con una saturazione bassissima essendo praticamente asintomatico, ecc.

Quindi: l'attenzione non guasta mai!

Anche per questo non entro, perché non sarebbe responsabile, nell'infinito campo degli aneddoti, che sono come un'altra cosa: ognuno ha i suoi. Non entrateci nemmeno voi: sapete che certi argomenti non possono essere toccati nel dibattito pubblico sui social media. Non ve l'avrei nemmeno detto, perché sono fatti miei, se non fosse che domani lo avreste saputo dalla journaille, e dato il nostro rapporto non mi sembrava carino: magari vi sareste potuti preoccupare! Mi limito solo ad osservare che proprio perché è una malattia insidiosa e difficilmente riconducibile a una checklist (giusta o sbagliata che sia, e sopra avete un esempio di entrambe) ci sarà un giorno da fare un discorso molto sereno e articolato su quanto i pazienti del SSN abbiano avuto uguale accesso alle cure cui avevano diritto.

Lasciamo quindi divertire ancora per un po', senza commentarne le fatiche, i fantasiosi esegeti che in questi giorni rivedono la Costituzione sottoponendola alla lente deformante delle loro allucinate pulsioni discriminatorie. A quanti personaggi in cerca di editore la mamma non ha voluto abbastanza bene da piccoli! E queste piccole tragedie personali, quando non conducono a capolavori letterari, conducono a interventi spectacularly ill-timed, come disse qualcuno in un Dibattito che, anche se non volete capirlo, è esattamente questo dibattito.

Poi si farà sul serio, e per chi ora chiacchiera tanto a vanvera la faccenda diventerà meno divertente. Ma siccome non credo nelle soluzioni giudiziarie di problemi politici (o, più esattamente, siccome credo che anche le soluzioni giudiziarie dipendano in modo molto esplicito dai rapporti di forza politici), prima di arrivare a quel momento se non della verità, almeno della minore menzogna, occorrerà, in questo come in tutti gli altri settori del nostro vivere civile, che si sciolgano dei nodi politici (uno in particolare). Anche qui, se poteste fare meno rumore sarebbe tanto di guadagnato per tutti, a partire da voi. All'ultimo si contano le pecore. Io, comunque, non ho nulla da consigliarvi: fate come volete.

Ho dormito bene ieri, dormirò meglio oggi, e domani farò il mio dovere, come lo faranno i miei colleghi.

Spero altrettanto di voi.

mercoledì 19 gennaio 2022

Meno cinque: non mangiava il pesce...

...ma oggettivamente immaginarselo era molto difficile. Solo alici del Cantabrico. Inutile dire che la prima volta che lo invitai a pranzo a Roma fu in un ristorante di pesce. Ma lui, che ha dimostrato tanta compostezza in un momento ben più impegnativo:


da vero amico e da uomo di altri tempi non me lo fece notare. D'altra parte, ci sta: anch'io, invecchiando, sto diventando allergico alla materia prima del mio lavoro d'insegnante: l'ignoranza.

Vi ripropongo il suo intervento al nostro convegno del 2017:


Le sua lotta discreta ma determinata contro l'ospite che lo ha sopraffatto lo costrinse a rifiutare altri inviti, poi è iniziato il delirio in cui siamo tutti immersi, e i nostri incontri si erano rarefatti. Il nostro ultimo scambio risale al mese scorso, per una sua richiesta di dettagli sull'iter della delega fiscale (una cosa che, oggettivamente, è impossibile da comprendere su fonti di stampa).

Perdo una delle cose più simili a un fratello maggiore che abbia mai incontrato, una persona versatile, piacevole, impertinente, non convenzionale. Tutto il contrario della roba che ci viene inflitta quotidianamente e per la quale, quando sarà, saremo comunque così civili da esternare un contenuto rammarico di circostanza.

Questo, però, non lo è.

lunedì 17 gennaio 2022

Meno sette: flessibilità!

Rodion Romanovic ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "È la flessibilità, bellezza... (MMT vs. Phillips)":


Buonasera Professore, dov'è che posso trovare i dati completi sulla flessibilità del lavoro? Sul database OCSE le serie sulla protezione del lavoro dipendente risalgono indietro al massimo fino al 1985. Dove si possono trovare i dati dei due decenni precedenti che lei ha utilizzato per stimare il modello?

Inoltre, non riesco bene a capire com'è che sia stata ricavata la serie "FLEX" da lei utilizzata, forse facendo una media dei quattro indicatori forniti dal sito OCSE? Perché mi sembra dal grafico (forse ci vedo male) che abbia un andamento diverso rispetto alla serie "Temporary Constracts".

La ringrazio molto in anticipo. Un caro saluto!

Postato da Rodion Romanovic in Goofynomics alle 5 aprile 2020 20:36


Rodion Romanovic, fra i protagonisti di questo blog, è quello che ho più amato: non solo per la sua indimenticabile prestazione in Eurodelitto ed eurocastigo, ma anche per la scialba comparsata nel suo sbiadito prequel, Преступление и наказание, uno di quegli inutili e tediosi libri senza figure di cui voi, che essendo di destra non siete culti e leggete solo fotoromanzi, non credo abbiate sentito parlare. Non vi siete persi niente. Ma Eurodelitto ed eurocastigo, invece, consiglio spassionatamente di leggerlo, e di farlo ora (se non vi è capitato prima)...

Per un autore è un'inesprimibile emozione incontrare un proprio personaggio, anche quando è un personaggio altrui!

Un po' per questo, un po' perché il 5 aprile 2020 ero piuttosto impicciato nella lavorazione del "Cura italia", nonché in vigilante attesa (ma senza Tachipirina) del "Liquidità" (se pure nel comodo ruolo di oppositore, quello dal quale ora tronitrueggiano gli amici di Fratelli d'Italia), e un po', infine, perché la domanda era molto circostanziata, ed esigeva una risposta altrettanto circostanziata, mi ero lasciato questo lavoro indietro, nella coda di moderazione, ma non me lo ero dimenticato (io non dimentico e soprattutto non perdono). Torno ora a soddisfare la lecita curiosità di Rodka, sperando di arricchire le vostre (e senz'altro le mie) conoscenze.

Ma prima di entrare nel merito, devo fornire ai niubbi un po' di background information. Di che cosa stiamo parlando? Perché ci interessa? E perché non mi è stato possibile rispondere subito?

Stiamo parlando di una cosa di cui avete sentito parlare decine di volte, non nella vostra esistenza: oggi. Ogni giorno, ogni singolo giorno che Dio mette in terra, per decine di volte al giorno, sentite parlare di riforme. La journaille può accontentarsi dello slogan. Gli científicos, invece, per sembrare tali, le riforme devono misurarle! Gli indicatori di cui parla Rodja, quelli di flessibilità del lavoro, sono appunto destinati a misurare la madre di tutte le riforme: la riforma del mercato del lavoro! Lo scopo di queste riforme, generalmente, è quello di risolvere il padre di tutti i problemi: come pagare di meno il lavoro per recuperare competitività di prezzo (e quote di profitto). Siamo nel meraviglioso mondo dei tecnici "offertisti", gli unici tecnici di cui disponiamo, quelli per cui se c'è carenza di domanda, bisogna comunque flessibilizzare l'offerta, per produrre di più a minor costo. Difficile capire come questo possa risolvere il problema di domanda, perché abbassare i salari significa in effetti ridurre ulteriormente la domanda aggregata (i soldi che circolano), e su questo ormai direi che un effimero consenso si è raggiunto (evaporerà, ma per ora c'è).

Questo ovviamente non significa che il mercato del lavoro debba essere sclerotico, che un rapporto di lavoro debba richiedere, per essere sciolto, una quantità ingente ma imprevedibile di soldi e la consulenza di un avvocato rotale! Vuol dire solo che ci sono problemi che possono essere risolti agendo sull'offerta e la sua eventuale rigidità, e problemi che possono essere risolti agendo sulla domanda e la sua eventuale carenza: risolvere i secondi (poca domanda) con la ricetta utile per i primi (maggiore flessibilità) non rende l'economia più forte né la crescita più rapida, un po' come amputare la gamba sana crea più problemi di quanti non intenda risolvere.

Misurare la flessibilità quindi è interessante, esattamente come chiedere "riforme" può essere giustificato. Poi bisogna valutare il contesto. In un contesto di austerità, cioè di domanda deficiente, solo un deficiente può pensare che il problema possa essere risolto dal lato dell'offerta, cioè con riforme e "flessibilità". Questo è il film che abbiamo visto negli ultimi dodici anni, un film che nonostante l'indubbia qualità dei suoi personaggi ci ha fatto ridere ben poco.

Prima di ragionare sul come si misuri la flessibilità, vi chiarisco un punto che credo possa interessarvi. L'OCSE, che produce dati, ma talvolta anche opinioni travisate da dati, per qualche strano motivo dal 2013 aveva smesso di aggiornare le serie di questi indicatori. Il mio educated guess, espresso implicitamente qui


era che questa scarsa solerzia dipendesse da uno spiacevole incidente di percorso, questo:


Nel 2013 il mercato del lavoro italiano era diventato meno "protetto", e quindi più flessibile, di quello di Germania e Francia (linea verde sotto le linee nere e blu). Si può ragionare se questo risultato, determinato dalla "riforma Fornero" del mercato del Lavoro (legge 28 giugno 2012 numero 92) sia stato un bene o un male. Diciamo che fra il 2012 e il 2013 il tasso di disoccupazione passò dal 10.9 al 12.4, quindi, come dire, questo booster di flessibilità sembrava non aver dato i risultati sperati...

Ma se per l'Italia questo risultato non era esattamente un bene, per l'OCSE e i suoi willing executioner era decisamente catastrofico!

Pensate!

Che cosa si fa quando una riforma, o in generale una politica (anche sanitaria) visibilmente non funziona? Ma è semplice: si dice che ce ne vuole di più (più "dosi", più "riforme ", più "flessibilità" ecc,)! La colpa non è mai del medico ma sempre del paziente, perché non ha fatto sufficienti compiti a casa.

Bene.

Ma nel momento in cui i dati indicavano che l'intensità delle "riforme" italiane era superiore a quella delle riforme francesi e tedesche, che cosa restava da fare ai simpatici amici dell'OCSE? Semplice: mutismo e rassegnazione! Non potevano certo dire di fare più riforme a un Paese che aveva dimostrato di essere più realista della Germania, cioè più tedesco del re, cioè, scusate: più realista del re.

Per sei (6) lunghi anni le statistiche non vennero aggiornate. Ogni volta che andavo a Parigi, e quando ero un uomo libero ci andavo spesso, mi ritrovavo a cena con gente di quel milieu e con un fare un po' narquois, fra un os à moelle e una svogliatura di Pont-l'Évêque, dopo aver ascoltato qualche aneddoto divertito e divertente degli allievi di cotanto maestro (la vita è una cosa meravigliosa...), lasciavo cadere nel discorso una frasetta del tipo "Ma flessibilità ne abbiamo? Ma i vostri amici quando li escono questi dati?"...

Seguiva un certo imbarazzo (ampiamente previsto)... perché non c'era una ragione precisa per non produrre quei dati, e quindi, come dire, il mio educated guess restava l'unica opzione valida in campo (una storia che, se ci fate caso, ricorda molto questa:


cioè la prima di una serie di spiacevoli vicende in cui il ministro Speranza si è andato a cacciare, dopo aver adottato misure che evidentemente non danno fastidio solo a noi - il riferimento letterario è a questo thread). Un po' come Speranza vorrebbe smettere di conteggiare i contagiati per raccontarci che le sue misure rapsodiche e infondate sono state efficaci, così l'OCSE aveva smesso di misurare la flessibilità per non dover ammettere che le politiche da lei raccomandate avevano fallito.

Uguale, no?

Capito perché non mi sorprendo se non di una cosa: della vostra sorpresa? Si fa così, sono i ferri del mestiere: quando le opinioni si rivelano sbagliate, si cambiano o si occultano i fatti:


Datovi nel modo più circostanziato possibile il quadro politico, entro nel quadro tecnico: come si misura la flessibilità (cioè come la misura l'OCSE)? Come era costruita la variabile FLEX usata nel modello costruito nel 2014 con l'aiuto di Mongeau Ospina?

Sul primo punto (come si misura la flessibilità), ora che ha ripreso a pubblicare gli indicatori, posso rinviarvi al sito dell'OCSE sugli indicators of employment protection. In buona sostanza, l'OCSE sintetizza in un unico indicatore numerico, dopo averle in qualche modo standardizzate, una serie di variabili quantitative che indicano il grado di rigidità (se crescono) o flessibilità (se calano) del mercato del lavoro. La descrizione tecnica è in questo capitolo dell'Employment Outlook del 2020, che annuncia la ripresa della pubblicazione dopo questa prolungata eclissi, e per capire come funzionano gli indicatori basta dare uno sguardo alla Tavola 3.1:


Le variabili considerate sono roba tipo la durata del preavviso richiesto per il licenziamento (ovviamente, più il preavviso è lungo più il mercato è rigido), la possibilità di essere riassunti in caso di licenziamento senza giusta causa (se questa possibilità esiste, il mercato del lavoro è più rigido), l'entità del TFR, ecc.

Diverte molto apprendere nel Par. 3.2 dagli economisti dell'OCSE che i loro indicatori sono fondamentali per lo studio dell'economia, ma siccome purtroppissimo per sei anni hanno avuto lezione di judo, non hanno potuto pubblicarli perché boh:


Non è bellissimo?

Se il mio educated guess fosse stato corretto, le nuove serie, per essere "migliori" (cioè più funzionali alla narrazione) sarebbero state costruite in modo da occultare quello spiacevole incidente (l'Italia più "brava" della Germania!? Impossibile...).

Comunque: dopo avervi detto come l'OCSE misura la flessibilità, devo dire a Rodka come è costruito l'indicatore FLEX: come media ponderata dell'indicatore riferito alla rigidità dei licenziamenti individuali per i contratti regolari (a tempo indeterminato) e di quello riferito alla rigidità dei licenziamenti individuali per i contratti a tempo determinato (indicatori epr_v1 e ept_v1), scelti perché solo per questi la versione precedente del database forniva una serie sufficientemente lunga (dal 1985 al 2013), utilizzando come peso l'incidenza dei rispettivi tipi di contratti (a tempo indeterminato e a tempo determinato). Quindi, ad esempio, l'indicatore FLEX dell'Italia veniva fuori da questo calcolo:


dove t.d. è la percentuale di lavoratori a tempo determinato, epr l'indice riferito ai contratti a tempo indeterminato, ept quello riferito ai contratti a tempo determinato, e FLEX la media ponderata (che potete verificare). Quindi, per capirci, e con riferimento alla prima riga, l'indicatore composito FLEX deriva dall'operazione: 2.76 x (1-0.062) + 4.75 x 0.062 = 2.89 (con un lieve errore di arrotondamento). Dato che i contratti a tempo determinato sono una percentuale ridotta, se pure crescente nel tempo, l'andamento della serie è dominato dall'indicatore epr (flessibilità degli impieghi "regolari", cioè a tempo indeterminato), e in particolare il "salto" verso la minore rigidità (con passaggio da 2.66 a 2.44 dell'indicatore medio FLEX dipende dal salto da 2.76 a 2.51 dell'indicatore epr.

E con questo termina la mia risposta a Rodja.

Ora mi devo togliere una curiosità, e me la tolgo qui, in diretta con voi. Che una organizzazione sovranazionale rinunci per ben sei anni a pubblicare un dato così centrale nella narrazione che lei stessa porta avanti ("Le riformeeeeeeeh! La flessibilitaaaaaah!") è, lo capite bene, un'anomalia piuttosto vistosa. Il dubbio è che questi sei anni siano serviti a trovare il modo di "raffinare" i #datigrezzi pubblicati fino al 2013, in modo da piallare la fastidiosa eccezione data dal fatto che nel 2013 l'Italia aveva fatto più riforme della Germania, o quanto meno possano essere serviti a riprendere la pubblicazione in un anno in cui l'evoluzione dei dati consentisse di sostenere la narrazione moralistica delle "riforme" (vedremo che entrambe le cose sono vere).

Per verificarlo, nella Tabella precedente aggiungo la Germania:


e poi replico gli stessi calcoli prendendo i dati estratti dall'ultima edizione (quella del 2021):


e il risultato è una cosa del genere:


dove, con scarsa sorpresa, vediamo che truccando misurando in modo più accurato i dati l'OCSE può raccontarci che l'Italia ha sempre dominato strettamente in termini di (maggior) rigidità del mercato del lavoro la Germania, cioè ha sempre avuto bisogno di "riforme", anche nel 2013, dopo la legge Fornero, con una sola eccezione dal 2016 al 2018 (dovuta al famigerato jobs act). Ovviamente la pubblicazione dei dati è ripresa nel 2020 (evidentemente in smart working i nostri funzionari lautamente remunerati si annoiavano), anche perché siccome il Decreto dignità (DL 96/2018) ha disciplinato in modo più restrittivo i rinnovi dei contratti a tempo determinato (la storia è qui), l'Italia dal 2019 è di nuovo più "rigida", e quindi dal 2020 è di nuovo possibile invitarla a fare "le riforme" (senza che qualcuno faccia notare che le riforme sono già state fatte).

Io i complimenti dal 2016 al 2018 per le riforme fatte però non me li ricordo (a me facevano abbastanza schifo, ma questo è un altro discorso)!

Capito che cosa significa essere padroni della narrazione?

Ma possiamo anche consolarci dicendoci che quando l'unico elemento tattico su cui contare è la forza dell'avversario, avere a che fare con un avversario così ingenuamente prevedibile probabilmente è un vantaggio...

sabato 15 gennaio 2022

Meno nove

Oggi ero al telefono con Elisabetta e nel commentare alcune recenti evoluzioni normative in materia di istruzione (quella che i semicolti chiamano "educazione"), andando di fronda in fronda, mi son trovato a confluire nell'alveo di una riflessione iniziata qui:


quella sullo scostamento fra Costituzione formale e Costituzione materiale, un tema banale per i giuristi, che però, pur essendo in grado di trattarlo con grande raffinatezza, difficilmente possono comprenderne la pregnanza a meno di non essere coinvolti direttamente, in prima persona, e non come visitatori, in alcuni organi costituzionali dello Stato (tipicamente, nel Parlamento).

Personalmente non ho capito lo scandalo suscitato, anche in molti di voi, dalle parole di verità dette da un mio collega. Quella che è stata interpretata come una proposta in realtà era una fotografia: non è azzardato dire che in Italia vige un presidenzialismo de facto, nel preciso senso che la Presidenza della Repubblica esercita, in vari modi, funzioni di indirizzo politico che debordano dal ruolo arbitrale disegnato dalla Costituzione. Il tema politico, più urgente, che tutti vedono, sta ovviamente nello scegliere chi mandare a svolgere un ruolo così delicato e molto più penetrante di quanto appaia, ma poi c'è anche un tema intellettuale, più di lungo respiro, che era appunto quello del dibattito tenuto quattro anni fa al nostro convegno annuale. Il disallineamento fra Costituzione formale e materiale determina infatti un problema non indifferente in termini politici: quello posto da un soggetto che esercita significativi poteri di indirizzo politico in un totale vuoto di responsabilità politica, perché di questa è privo ai sensi della Costituzione formale (articolo 90), che lo "scherma" da responsabilità politica, presumendo che egli agisca da arbitro imparziale (cioè che non gli possa essere imputato quello che non può fare [ma fa!]: impartire un indirizzo politico). Da lunghi anni non è così, da lunghi anni - in effetti da decenni - l'arbitro ha abdicato al suo ruolo imparziale, forse non è mai stato così, certamente è umano che non sia così, e magari non è proprio possibile che le cose funzionino così (qui ci vorrebbe veramente un esperto di diritto costituzionale comparato).

Ma allora bisognerà a un certo punto prenderne atto.

Continuare a sdilinquirsi sulla "più bella del mondo" sbrodolando che "signora mia siccome c'era stato il fascismo oimmèna il presidenzialismo no perché è la strada maestra per l'avvento dell'uomo forte!" non è, a mio sommesso avviso di umile artigiano avventizio delle istituzioni (che però da studente di economia si era letto anche qualcosa di Crisafulli), un modo di ragionare particolarmente corretto. Intanto, dopo aver crocefisso uno che aveva, con espressione su cui si può discutere, chiesto agli italiani "pieni poteri", nel senso di piena legittimazione popolare conseguente da elezioni che riallineassero il Parlamento alle intenzioni del corpo elettorale, ci siamo sorbiti un altro che i pieni poteri se li è presi, ed era una persona tanto per bene ed elegante. Quindi, come dire: se il problema è questo, quattro anni dopo il nostro dibattito abbiamo visto che lasciare la Costituzione com'è non lo risolve (il Tempo è sempre un grande medico e un grande risolutore).

Si può comunque argomentare che sia una scommessa rischiosa quella di supporre che il passaggio a una repubblica presidenziale ripristini una qualche forma di accountability. Giusto, purché si abbia sempre ben presente che lasciare tutto così com'è, anzi, peggiorare la situazione indebolendo il contrappeso parlamentare, ci consegna alla certezza di una totale assenza di accountability.

C'è poi un altro aspetto, solo apparentemente accessorio: guardate che sforzi si stanno mettendo in campo per evitare che la Presidenza di un Paese di destra vada a un politico di sinistra!

Perdonate la brutale semplificazione, perdonate se ometto i rituali "centrini" da interno piccoloborghese (centrodestra e centrosinistra), perdonate (mi perdonino quelli "de sinistra") se per sintesi definisco l'Italia un Paese "di destra" (è sicuramente un Paese tradito dalla sinistra e questo blog è la storia di quel tradimento), ma insomma: ogni tanto bisogna capirsi, e credo che così ci siamo capiti. Dal momento che il Presidente ha un potere di indirizzo e lo esercita, ma che l'indirizzo in teoria dovrebbe darlo il popolo, viene naturale concludere che forse il Presidente dovrebbe sceglierlo il popolo. Questo ragionamento è volutamente, ostentatamente semplicistico, e ho molti amici che lo rigettano con ottime ragioni. Tuttavia, in questa fase politica in cui il Parlamento rispecchia debolmente la volontà degli elettori, il fatto che l'elezione del Presidente sia un'elezione di secondo livello si sta rivelando a mio avviso un elemento particolarmente tossico. Se l'elezione del Presidente fosse diretta, i partiti, invece di invilupparsi in una appassionante (?) partita a scacchi, dai risvolti spesso enigmatici per gli stessi addetti ai lavori, potrebbero essere semplicemente se stessi, dichiarare le proprie idee, afferrare l'asta della propria bandiera, e confrontarsi in un modo comprensibile per i cittadini, perché a questi ultimi sarebbe poi rimessa la scelta. Il 99% della strategia (e della tattica) messa in campo in questa fase delicatissima verrebbe accantonata, diventerebbe superflua, se la scelta del Presidente della Repubblica fosse messa direttamente nelle vostre mani. Vi infliggo un'altra semplificazione brutale di cui mi scuso in anticipo: se chi comanda  (cioè il sovrano) non può essere responsabile a termini di legge, almeno sarebbe opportuno che fosse scelto dal popolo, laddove si voglia conservare l'idea che la sovranità al popolo appartenga.

Ma insomma, non mi ricordo nemmeno perché ne stavamo parlando, e forse non è un tema così appassionante. Eppure, sapeste quante cose che vi appassionano dipendono da questo tema che non vi appassiona...

venerdì 14 gennaio 2022

La locomotiva e il proiettile (QED 96)

Vi ricordate Margherita Hack? L'astrofisica (ma lei avrebbe detto: astrofisiha) fiorentina, fortemente impegnata anche in politica e nel sociale (qualche redattore malizioso o distratto di Wikipedia in questo momento le infligge un curioso lapsus calami


forse equivocando su un certo premio che le era stato conferito a Torre del Lago per certi motivi che qui nessuno contesta). A me piaceva ascoltarla in televisione, un po' perché la materia nella quale si era affermata, fra le tante che aveva praticato (o pratihato), mi affascina da sempre, come qualcuno potrà aver notato, e un po' perché risuonava in lei la mia lingua materna, cioè paterna, ma insomma: la lingua di quella nobil patria a la qual io forse fui troppo molesto (ma sempre meno di alcuni illustri giovani colleghi...).

Mi ricordo in particolare una sera in cui si infervorava cercando di spiegare a un intellettuale italiano (cioè a una di quelle persone che per mestiere non devono sapere nulla né di matematica - "io nun ce sò portato" - né di musica - "a me la musica piace tutta!") un concetto molto semplice: l'energia cinetica è la massa per la velocità al quadrato (sarebbe: per il quadrato della velocità), ovvero, come diceva lei, "l'energia cinetiha gli è la massa per la velocithà a iqquadrato!"

E in effetti è così.

Una locomotiva pesa 101 tonnellate (qui mi riferisco alla E636, quelle appunto della mia infanzia), ma se ti viene addosso a due all'ora ti fa meno male di un proiettile da 4 grammi che ti venga incontro a 920 metri al secondo (e qui mi riferisco all'AR70/90, fucile della mia giovinezza, perché a differenza di voi il militare l'ho fatto, e alle Cascine, anzi: alle Hascine).

E vi ricordate invece di quando, qualche post fa, parlavamo della spettacolare performance dell'Irlanda nel 2015? Una crescita al 25%, praticamente la velocità di un proiettile! Mi chiedo se i giornalisti irlandesi, in quell'anno mirabile, avranno descritto il loro verde Paese come "la locomotiva d'Europa".

Questa storia della locomotiva (che non è un proiettile) fa parte del repertorio più uggioso e logoro delle metafore stantie, le metafore dei travet del pensiero, che a differenza di quelle dei poeti, sottraggono, anziché aggiungere, senso al discorso. Ci siamo imbattuti in essa e nelle sue fallacie fin dall'inizio:


citando studi che la valutavano in senso critico, come quello di De Nardis.

Probabilmente chi la usa ha in mente un concetto che qui abbiamo sviscerato diverse volte: quello di contributo di un Paese alla crescita di una zona, un concetto non lontanissimo da quello di energia cinetica, perché è anch'esso il prodotto di una massa (la quota del Pil del Paese considerato sul totale della zona) per una velocità (il tasso di crescita dell'economia: la prima volta ne abbiamo parlato dieci anni fa e qui trovate tutte le spiegazioni tecniche). Insomma: per contribuire molto alla crescita della zona (per "tirare" il treno), cioè per essere locomotiva, un Paese deve correre molto, o essere abbastanza grande (se poi succedono entrambe le cose ovviamente è meglio).

Proviamo a dare concretezza a questo ragionamento con qualche numero. Nei 23 anni dal 2000 al 2022, i dodici Paesi dell'Eurozona iniziale hanno superato il tasso di crescita del 5% in soli 29 casi, sui 276 (ventitré anni per dodici Paesi) possibili. Una crescita così sostenuta si è avuta in un po' più del 10% dei possibili casi.

Nel 2000, ad esempio, la Spagna crebbe del 5.1% e l'Irlanda addirittura del 9.4%. Ma chi avrà dato il maggior contributo alla crescita dell'area, che nello stesso anno fu del 3.9%? Ovviamente la Spagna, dato che la sua economia pesava per il 9.8% del totale, contro l'1.6% dell'Irlanda, per cui la Spagna quell'anno espresse il 13% della crescita totale dell'Eurozona (0.5% su 3.9%), mentre l'Irlanda solo il 4% (0.15%, sempre su 3.9%). Non fu cioè il Paese relativamente più veloce, ma il Paese relativamente più grande, a tirare di più.

Perché dico "relativamente"? Perché naturalmente non furono né la Spagna né l'Irlanda a dare il contributo maggiore alla crescita dell'Eurozona in quell'anno, ma i due Paesi in assoluto più grandi, Germania (29% del totale) e Francia (21% del totale), nonostante la loro crescita relativamente più modesta (rispettivamente: 2.9% e 4.1%).

Insomma: i proiettili tendono ad andare più veloci, ma le locomotive tendono ad essere più grandi, ed è per questo che tirano di più.

Ci pensavo rileggendo alcuni titoli trionfalistici tutti incentrati sul concetto di velocità (della crescita):

Il problema dello scrivere certe cose è che poi, anche se le leggono in pochi, qualcuno che le legge ci crede, e questo può avere conseguenze. Intendiamoci: non che si contesti qui il dato: 6.3%, sperando che sia il dato effettivo, è un buon risultato, nessuno se ne può dolere. Fatto sta che questo, come altri titoli di giornale, è piuttosto impreciso: anche se il suo tasso di crescita è uguale al nostro, la locomotiva, cioè il Paese che dà il maggior contributo al tasso di crescita dell'area, è la Francia, che esprime il 21% del Pil totale, invece dell'Italia, che conta solo per il 15%. E così, del 5.1% di crescita dell'area nel 2021, la Francia, che è cresciuta come noi al 6.3%, ne esprime lo 1.3% (cioè il 25%, un quarto, del totale), mentre l'Italia ne esprime solo lo 0.95% (cioè il 19%, meno di un quinto, del totale).

Mi direte che non è poi così importante, mi direte che voglio essere disfattista. Assolutamente no, e anzi, per esortarvi a guardare il bicchiere mezzo pieno vi dico subito che quest'anno il nostro contributo supera quello della Germania, una cosa praticamente mai successa prima:


come vi mostra questo Excel pressoché illeggibile, dove ho evidenziato in rosa gli anni in cui un Paese ha dato un contributo superiore al 20% alla crescita della zona.

Va osservata una cosa, a questo proposito: Germania e Francia hanno quasi sempre dato un contributo alla crescita dell'area superiore al 20% (perché hanno più massa), noi quasi mai, tranne che nel 2009, nel 2012, nel 2013 e nel 2020, anni in cui abbiamo dato un grande contributo... ma nella direzione contraria, perché la zona stava decrescendo (era in recessione), e noi eravamo fra quelli che più contribuivano a tirarla giù!

Mi avvio a concludere (come dicono i politici).

Starei un po' attento a riposare sui binari... pardon: sugli allori della locomotiva, come trapela dalle esternazioni di alcuni membri del Governo e dalle confidenze di alcuni alti funzionari. In particolare, mi sembra un po' azzardata l'idea che "possiamo smettere di sostenere l'economia, siamo fuori dal tunnel, siamo la locomotiva d'Europa". Come ci siamo detti qualche post fa, la combinazione di SRAS e SARS non perdona, e qualcuno se ne sta accorgendo


Avevamo appena fatto in tempo a spiegare perché i nostri científicos si sarebbero presto preoccupati, ed ecco il QED, si stanno già preoccupando:


Noi, per non sbagliare, faremo il nostro lavoro, presentando qualche emendamento al milleproroghe (ad esempio, prorogando le moratorie sui crediti...). Questa storia di essere sempre più realisti del re non ci ha mai portato bene, e se l'UE ci lascia spazio per aiuti crediamo che sia comunque il caso di utilizzarlo. La cosa va studiata, sperando che nessuno si offenda: non è disfattismo, è pragmatismo, e anche un po' di allergia alle metafore giornalistiche.

Né la nostra massa né la nostra velocità ci consentono distrazioni: se andiamo a sbattere ci facciamo male, e le condizioni perché questo succeda ci sono tutte, e non dipendono da noi. Insomma, come diceva uno che risolveva problemi...

(...quelli che attendono l'evento catartico e palingenetico forse non sanno che cosa stanno aspettando: io, tutto sommato, preferisco combattere...)

lunedì 10 gennaio 2022

È così che succede...

Non amo le ricorrenze, le "giornate mondiali", o quelle di, del, dello o della. Non riesco a sottrarmi alla sgradevole impressione che il sapore stantio di certe liturgie nasconda la pervicace volontà di utilizzare i restanti 364 (o 365) giorni dell'anno per occuparsi d'altro.

Questo vale in particolare per la memoria, che in tanto è, in quanto è perenne.

Il rischio che la si celebri in un giorno per trascurarla nei restanti temo esista, e di questo vorrei parlarvi. Prima però vi ricordo che in questo blog abbiamo dedicato tanto spazio agli orrori della Seconda guerra mondiale, se non altro perché, sulla base di un'analisi delle dinamiche oggettive in atto, vedevamo in simili abomini un asintoto al quale il nostro sistema rischiava, e a mio avviso tuttora rischia, di tendere.  "Mai più!" non è una categoria politica, non è una categoria storica, non è una categoria utile, e quindi rischia di essere una categoria dannosa...

Ci è capitato solo nel 2012 di onorare questa memoria esattamente nel giorno in cui lo fanno gli altri, ma ci è anche capitato di farlo in sedi più prestigiose e col coinvolgimento di illustri personaggi:

Quest'anno nel giorno deputato cadrà molto verosimilmente il quarto scrutinio dell'elezione del Presidente della Repubblica, ed è quindi probabile che non abbia modo di intrattenermi con voi o che abbia altro di cui parlarvi. Mi porto quindi avanti col lavoro segnalandovi un esercizio di memoria che secondo me merita tutta la vostra attenzione e che vi ho già segnalato sui miei altri canali social (Telegram, Twitter): l'articolo di Ziona Greenwald (di cui so solo quello che vedo nel web: una giovane con un bel sorriso e un'ottima penna, chi ne sa di più ce lo faccia sapere...) pubblicato da The Times of Israel, dal titolo: This is how it happens, è così che succede.

L'articolo è importante perché a mio avviso pone il quadro concettuale e comunicativo corretto per fare quello che qui in Italia non si vuole fare, o almeno non si vuole fare nelle sedi istituzionali deputate, come la cosiddetta Commissione Antidiscriminazioni: riflettere approfonditamente sulla violenza discriminatoria insita nel recente quadro normativo per il contenimento della pandemia, un quadro che viola palesemente, senza che nessun giudice a Berlino intervenga, le precise indicazioni del Regolamento UE 2021/953 del Parlamento Europeo e del Consiglio, laddove parla appunto ripetutamente di non discriminazione e proporzionalità. Ma abbiamo capito che per il PD i Regolamenti europei sono soggetti a una sorta di "clausola della nazione più sfavorita": in tanto si applicano in quanto possano opprimere o danneggiare i cittadini italiani. Ove mai, per caso o per distrazione, accadesse il contrario, si disapplicano (mentre in questo caso una magistratura attenta dovrebbe disapplicare la norma italiana: ma non è del tutto un male che si crei un precedente in cui, involontariamente e per mero caso, la giurisprudenza ristabilisce una corretta gerarchia fra le fonti del diritto).

L'inerzia delle sedi istituzionali è aggravata dall'attivismo sguaiato e scomposto di tanti cittadini che sui social fanno una cosa che, come sottolinea in principio dell'articolo la Greenwald, non si può fare: stabilire sic et simpliciter un parallelo fra politiche COVID anche estreme, come la violazione del diritto al lavoro, e la destinazione di un intero popolo alle camere a gas.

"There is no equation, period".

Sono totalmente d'accordo, e inquadro questa osservazione nel principio qui più volte esposto del non lasciar scegliere il campo all'avversario: mettersi dalla parte del torto con affermazioni inaccettabili non serve a noi, ma ai nostri avversari, e siccome io non conosco certi personaggi in cerca d'editore che si abbandonano a simili comportamenti, non ne so valutare maggiore o minore buona fede, e soprattutto non mi interessa valutarla, li considero senz'altro dei nemici, come dobbiamo considerare oggettivamente chiunque ci danneggi, chiunque danneggi la battaglia di libertà che portiamo avanti, indipendentemente da quali possano essere le sue motivazioni (semplifico: indipendentemente dal fatto che siano poco intelligenti o siano agenti provocatori).

Qui termina quello che si può dire anche in Italia, e inizia quello che, a quanto posso capire, si può dire solo in uno Stato come Israele, la cui raffinata civiltà è stata temprata da tante drammatiche vicissitudini storiche. Perché la Greenwald, fatta la premessa condivisibile che vi ho esposto, afferma senza fronzoli e con risolutezza due altri principi che condivido e che però qui da noi non vedo esprimere se non da personaggi inutilmente (quindi dannosamente) folcloristici:

  1. "what began as a war on a virus... quickly turned into a war on human rights and freedom": quella che è cominciata come guerra a un virus si è trasformata rapidamente in una guerra ai diritti umani e alla libertà;
  2. la tragedia dell'Olocausto fu preceduta da una serie di segni premonitori ("those unfathomable horrors did not arise in a vacuum", quell'abisso insondabile di orrore non si manifestò dal nulla), e quindi "Those who pledge their commitment to “Never Again” but forget the graduated steps that led to that greatest human atrocity are liable to enable, and perhaps even commit, grave moral wrongs" (quelli che promettono il loro impegno al "Mai più!" ma dimenticano i passi graduali che condussero alla più grande atrocità umana sono sono suscettibili di permettere, e forse anche di commettere, gravi torti".

Mi è capitato, come sarà capitato anche a voi, di parlare con testimoni diretti di quegli orrori. Molti ricordano la gradualità con cui essi si presentarono: si cominciò con caricature come questa:


magari anche spiritose o divertenti (per alcuni, vittime incluse) e però tutte tendenti alla disumanizzazione di un gruppo, e poi, di passo in passo, in ossequio al noto principio: motus in fine velocior. Il punto quindi non è, né può essere, quello di un paragone statico fra due realtà inconfrontabili, ma di un paragone dinamico fra due traiettorie che potrebbero rivelarsi confrontabili, atteso che il loro inizio è marcato da epifenomeni sostanzialmente equivalenti, e quella attuale "could lead to even darker places if it is not called out".

Insomma, questa volta sarà sicuramente diverso, ma siamo sicuri che abbassare la guardia sia una buona idea? E perché proprio chi l'ha abbassata una prima volta, torna oggi ad abbassarla (fra le eccezioni visibili, quella della coraggiosa Ziona, cui speriamo non capiti quello che è capitato ad altre coraggiose intellettuali).

Credo dipenda da una cosa su cui ci siamo intrattenuti pochi articoli fa, parlando della carità, che abbiamo definito come "accorgersi delle cose prima che capitino a te", e del perché questa virtù sia così rara. Lo si potrebbe dire così: "mai più!" è una negazione, e da negazione a rimozione il passo è breve. Breve, ma scivolosissimo: l'abisso è al nostro fianco. Mi è capitato di sollecitare l'attenzione di intellettuali che in linea di principio avevano più di un motivo per voler conservare la memoria, producendogli evidenza di certe derive attuali. Mi aspettavo se non solidarietà, almeno interesse. Mi ha sempre sorpreso il loro atteggiamento de minimis, che lasciava dentro di me un irrisolto, un non detto, sciolto finalmente dal titolo della Greenwald: "è così che succede"!

Ora lo so.

Qualcuno ha detto che ci sono due modi di non essere caritatevoli, cioè, come direbbe la Greenwald, di "perdere la propria bussola morale": pensare che non ti toccherà mai, e pensare solo a quello che è toccato a te.

Preghiamo di non cadere in nessuno di questi due orrori.

(...e ora torno al day by day, che oggi prevede...)

(...-14...)

sabato 8 gennaio 2022

La ricchezza esterna delle nazioni

Questo blog nacque per affermare una tesi eretica (all'epoca in cui fu pronunciata), vale a dire che la crisi in corso dal 2010 in poi non fosse una crisi di debito pubblico, ma di debito estero, prevalentemente privato:


Prima di entrare in dettaglio, ricordo che con soli quattro anni di ritardo alle stesse identiche conclusioni arrivarono anche quelli bravi:


(ovviamente dimenticando che il poor crisis management era anche il risultato diretto delle scemenze dette da loro stessi, nelle loro auguste vesti di consigliere del Principe, all'epoca in cui a difendere il buon senso e la deontologia professionale eravamo veramente in pochi).

Avendovi rassicurati sul fatto che quanto nel 2011 era fake news dal 2015 è diventata scienza (e quindi lo stesso percorso sarà seguito da molte che oggi sono considerate fake news: e attrezziamoci però per chiedere il conto dei danni...), vi faccio notare che il mio approccio mi conduceva naturalmente a raccogliere e mostrare dati sui debiti, e quindi sui crediti, esteri (cioè verso una controparte non residente) dei vari Paesi.

I problemi infatti non sorgono quando lo Stato X ha un grande debito in valuta di X coi cittadini di X (grande debito pubblico detenuto da investitori interni e definito in valuta nazionale), ma quando il Paese Y ha un grande debito verso i cittadini di W in valuta di Z (grande debito - pubblico o privato - detenuto da investitori non residenti e definito in valuta estera).

In queste indagini mi sono giovato spesso di uno degli articoli più utili della storia dell'economia: Lane, P. R., & Milesi-Ferretti, G. M. (2007). The external wealth of nations mark II: Revised and extended estimates of foreign assets and liabilities, 1970–2004. Journal of international Economics, 73(2), 223-250, che non a caso su Scholar ha 3372 citazioni (e conseguentemente Gian Maria ha un meritato h-index da medico: 54, essendosi sempre occupato di cose concrete e interessanti). Lo scopo di questo articolo, scritto da Gian Maria Milesi Ferretti del Fmi con Philipp Lane, che ora è chief economist della Bce (e ci dice che l'inflazione non durerà), era quello, preziosissimo, di costruire partendo da fonti ufficiali un database il più possibile completo ed omogeneo delle posizioni debitorie e creditorie dei residenti nei singoli Paesi nei confronti dei residenti nel resto del mondo. Insomma: un database del debito estero, che, come sapete, può prendere diverse forme: da quella dell'investimento puramente finanziario (acquisto un titolo emesso in un altro Paese: per l'emittente è una passività, per me un'attività) a quella dell'investimento diretto (un investitore estero acquista una azienda nel mio Paese: per quell'investitore è un'attività, per il nostro Paese una passività).

Non è un caso se la prima volta che citai questo database fu nel contesto di un post sulla svendita delle aziende nazionali, che forse può tornarci utile oggi come profilassi.

Qualche giorno fa mi hanno dato un'ottima notizia: il database costruito con grande dedizione da Lane e Milesi-Ferretti ora è stato preso in gestione dalla Brookings Institutions, un prestigiosissimo centro studi di Washington (D.C.) cui nel frattempo Milesi-Ferretti si è affiliato, e quindi sarà aggiornato e mantenuto regolarmente. Lo trovate in questa pagina, dove vi viene anche succintamente spiegato il senso delle statistiche riportate e vi viene fornita qualche utile tabella riassuntiva, come questa:


che riporta i maggiori debitori e creditori netti verso l'estero misurati sia in rapporto al Pil, sia in miliardi di dollari.
Immagino che per un "laico" sia abbastanza difficile immaginarsi che cosa abbiano in comune Usa, Spagna, Francia, UK e Turchia... Sono in effetti storie abbastanza diverse fra loro, perché ci si può indebitare per mille ragioni, e si possono acquisire attività estere in molti modi. Tuttavia, se indebitarsi non è necessariamente un male (altrimenti gli Stati Uniti e il Regno Unito non sarebbero nella colonna di sinistra), essere creditori netti verosimilmente è un bene (almeno sotto il profilo dei fondamentali macroeconomici, perché poi non so se tutti noi saremmo disposti a emigrare in Cina, negli Emirati Arabi Uniti, o anche semplicemente in Germania).

Volevo usare questi dati per illustrarvi alcune implicazioni di un paio di cose che abbiamo visto nei post recenti (implicazioni spero non sorprendenti per i lettori "anziani").

Partirei dalle conseguenze della svalutazione interna, perché vi avevo promesso di approfondirle:


Domani, cioè il 6 gennaio, non lo abbiamo visto perché ho avuto altro da fare, ma oggi possiamo vederlo. L'andamento del tasso di cambio reale dell'Italia rispetto al nostro principale partner è questo:


e ci aspettiamo che l'indebitamento estero dell'Italia si muova a specchio, cioè peggiori (scenda verso valori negativi più grandi) quando il Paese rivaluta e migliori quando il Paese svaluta. In effetti l'andamento della posizione creditoria netta sull'estero dell'Italia rispetto al Pil conferma questa ipotesi:


Il motivo è, come sanno gli anziani, che quando il cambio reale del Paese si rivaluta (cioè quando i beni del Paese diventano troppo cari per gli acquirenti esteri, cioè quando il Paese perde competitività), le esportazioni diminuiscono, le importazioni aumentano, e il Paese deve indebitarsi con l'estero per finanziare i propri acquisti di beni esteri (importazioni). Il contrario avviene in una fase di svalutazione.

Per mettere le due serie nello stesso grafico prendiamo le medie annuali dei dati mensili sul cambio reale:


(coefficiente di correlazione: -0,6, per gli appassionati). Il grafico conferma quanto sapevamo a novembre 2011: le politiche di austerità (il "tirare la cinghia") sono servite in buona sostanza a rimborsare i creditori esteri, cioè a ridurre il nostro debito (netto) con l'estero (cioè la differenza fra attività estere detenute dagli italiani e attività italiane detenute da non residenti). In questo senso, cioè rispetto all'obiettivo che gli economisti professionisti conoscono, sono state efficaci. Rispetto all'obiettivo dichiarato invece, cioè rispetto al debbitopubblico, sono state disastrose, perché il debito pubblico è aumentato, come abbiamo visto molte volte (ad esempio nel fact checking di Monti), nonostante qualche economista paucisintomatico non lo abbia ancora capito

Un altro fatto che possiamo mettere in prospettiva utilizzando il database di Lane e Milesi-Ferretti è il formidabile exploit del Pil irlandese nel 2015, che visto nel post di Capodanno:


Come qualcuno ricorderà, il caso dell'Irlanda mi ha affascinato da sempre, fin da quando a dicembre del 2010 raccontai su lavoce.info la morale della favola irlandese, che era molto semplice: crescere coi soldi degli altri (cioè crescere sul debito estero) è molto facile, se non fosse che alla fine arriva il conto!

In altri termini, non bisognerebbe mai dimenticare che il capitale non si sposta per portare il cane a spasso, ma per essere remunerato. Questo vale sia per chi acquista un titolo del debito pubblico, sia per chi acquista un'azienda. Chi si esalta perché "arrivano i capitali esteri" (ad acquistare aziende nazionali) dovrebbe sempre ricordarsi non solo del fatto che i capitali, nel mondo d'oggi, come arrivano ripartono (ed è piuttosto vano tentare di arginare il loro deflusso, con la connessa chiusura di aziende, per decreto). Andrebbe anche ricordato che mentre i capitali restano, se ne vanno all'estero almeno in parte i loro profitti (perché, appunto, gli imprenditori esteri vogliono essere remunerati). Spiegai questa cosa con la dovuta delicatezza a Marco Spampinato, sempre su lavoce.info: gli IDE (cioè "i capitali esteri che arrivano perché siamo tanto attrattivi, signora mia!") non sono un free lunch: possono anche risolverti un problema, salvarti un'azienda, farti crescere, ma te ne creano un altro: ti piombano sia il conto capitale  (perché sono debito) che il conto corrente (perché comportano un deflusso verso l'estero di redditi) della bilancia dei pagamenti.

Lo spiegai con maggior dettaglio tornando sulla morale della favola irlandese quattro anni dopo (quando ovviamente le cose erano andate come dicevo io, non come diceva Spampinato)...

E allora, rileggendo questa nota dell'OCSE che spiega l'anomalia irlandese nel grafico del Pil pro capite, capirete anche l'anomalia irlandese nella tabella sul debito estero, cioè il fatto che la ridente e verde Irlanda ha la posizione creditoria netta più bassa al mondo in rapporto al Pil: -182%. Volete vederla la "relocation to Ireland" di "a number of large multinational corporations" avvenuta nel 2015? Eccola qui, in tutto il suo splendore:


Un bell'aumento dello stock di IDE passivi, cioè di investimenti diretti dall'estero nel Paese (in Irlanda), che per l'Irlanda sono un'opportunità, ma anche una sfida (perché dovrà remunerarli). 

Più in generale, -182% del Pil vuol dire che lo stock di finanziamenti esteri ricevuti dall'Irlanda (al netto dei finanziamenti erogati dall'Irlanda) è pari a quasi due volte il Pil nazionale! Le due anomalie quindi vanno insieme: per forza il Paese cresce, se assorbe una quantità così spropositata di soldi altrui! Il problema è che alla fine arriverà (nuovamente) il conticino (ma questo si vede su altre statistiche, quelle della bilancia dei pagamenti, che ci guarderemo un'altra volta).

E la morale della morale della favola qual è?

Mettendo insieme il post di ieri e quello di oggi, mi sembra evidente: se hai ragione (e noi tendiamo fastidiosamente ad averla) il tempo te la darà. Capisco che non è sempre così semplice lasciarlo passare,  il tempo, soprattutto quando si è nella cattiva compagnia di qualche ministro che proprio non ne vuole sapere di intendere ragioni, ma spesso non c'è alternativa.

Ancora un po' di pazienza...

(...meno 16...)

venerdì 7 gennaio 2022

La strateggiah (e la tattica)

Qui non siamo progressisti, non crediamo in un tempo storico rettilineo, non abbiamo paura di guardarci indietro, non dovremmo aver paura di imparare dal passato. Non ci stupisce quindi che all'inizio di un nuovo ciclo si ripresentino, con la fastidiosa regolarità di una stagione poco amata, fenomeni analoghi.

Nel 2012 c'erano quelli che venivano qui a darmi lezioni di politica. Nel 2022 l'argomento è cambiato: la strategia. I docenti sono più o meno gli stessi, nonostante che già dieci anni fa li avessi avvertiti che non giocavamo nello stesso campionato (e i fatti credo lo abbiano dimostrato). Non vorrei però ricambiare con altezzoso sgarbo tanta premurosa sollecitudine: agli amici che nel 2012 mi facevano lezioni di politica riconosco con gratitudine che esse mi sono servite. Sono arrivato qui seguendole con scrupolo e facendo esattamente il contrario di quanto mi veniva insegnato ("uniti si vince, famo er partito, famo er CLN, ecc.").

Una bussola è utile anche se indica il Sud, purché lo faccia con coerenza, e tutto si può dire tranne che chi si affaccia qui a insegnare non sia animato da una ferrea, prezzoliniana, coerenza.

Venuta l'ora delle lezioni di strategia, mi dispongo con umiltà ad ascoltarle determinato a fare il contrario di quanto mi viene e mi verrà insegnato, nella certezza che solo comportandomi così potrò salutarvi nel 2032 coi galloni di generale di brigata! Nel frattempo, per ingannare l'attesa, mentre i Sun Tzu da tastiera mi elargiscono la loro sapienza strategica, vorrei intrattenermi con gli altri, con chi, come me, è qui per imparare, avendo la capacità di farlo (anziché per insegnare, non avendo la capacità di farlo), su un tema complementare alla strategia: la tattica.

Quale possa essere lo "scopo od obiettivo predeterminato" che le forze in campo sono tese a raggiungere in questo momento credo sia piuttosto ovvio, o almeno lo spero (quota 50). Mi sembra invece che siate gravemente deficitari nella comprensione di quale potrebbe essere il "metodo utilizzato per conseguire questi obiettivi". Lo intuisco dalla ferrea determinazione con la quale vi accanite a domandarci di fare esattamente quello che il nostro nemico desidererebbe che facessimo. Siccome vorrei che restassimo amici, ma siccome (come vi ho già detto più e più volte) non esiste fuoco amico, a scanso di fastidiosi equivoci, spendo due parole sul punto, che è molto, ma molto semplice (e infatti stupisce, oltra a spiacere, che non ci arriviate).

Saremo d'accordo sul fatto che l'esigenza generale di non lasciar scegliere il campo di battaglia all'avversario implica, tra l'altro, che sia un errore fare quanto l'avversario desidera che facciamo. La tattica poggia su due principi fondamentali, ci spiega Wiki: massa e sorpresa. In tutta evidenza il nostro nemico desidera che ci spacchiamo, cioè che riduciamo la nostra massa.

La cosa giusta da fare è quindi non farlo: ne beneficeremo in massa e in sorpresa (visto che il nemico si aspetta, perché lo desidera, il contrario)!

I nemici esterni o interni, di destra o di sinistra, in questo momento nel conseguimento del loro obiettivo strategico possono trarre giovamento solo da una cosa: una frattura della Lega (e del centrodestra). Ma questo a voi proprio non entra in testa e vi accanite a chiederci di farci del male da soli. Eppure avete visto questo meccanismo all'opera per tutto il primo Governo Conte, quando il gioco era separare la Lega dai 5 Stelle, e molti di voi, sorprendentemente (?) proprio quelli che hanno deprecato che questo gioco alla fine sia riuscito, tornano qui a chiederci di giocarne uno del tutto identico!

Commuove (diciamo così) la sicumera con cui venite a spiegare a noi, che le viviamo da vicino e dobbiamo gestirle ogni giorno, le dinamiche interne alla nostra maggioranza o al nostro partito. Grazie! Voglio dirvelo una volta per tutte: senza di voi certe cose non sarei mai arrivato a capirle! Contenti? Ecco, allora adesso basta! Questa sicumera è parente stretta dell'insistenza con cui vi accanite a rifilarmi l'ultimo numero dei Chattanooga Papers of Stochastic Infectiology (sempre perché "Guarda, qui c'è l'articolo de-fi-ni-ti-vo! Ma non hai sentito l'intervista a Johnny Rotella? Scon-vol-gen-te! Guarda che l'avvocato Timballo ha presentato un ricorso che se verrà accolto cambierà to-tal-men-te lo scenario! Ti giro l'ultima sentenza del collegio dei probiviri del governatorato dei Ciukci che fi-nal-men-te..." e via delirando...).

Io non so come dirvelo con sufficiente affetto, senza sembrare una brutta persona, ma forse dopo undici anni dovreste aver capito che se un paper è arrivato a voi, prima è arrivato a me (e anzi forse è arrivato a voi da qualcuno cui l'ho dato io), per cui è totalmente inutile e anzi dannoso che me lo mandiate. In piena e perfetta simmetria, se c'è qualcosa che avete capito, o pensate di aver capito, di quanto sta succedendo (verosimilmente perché l'avete appreso dai giornali), è perfettamente inutile che veniate a dirlo a me, perché se ci siete arrivati voi, purtroppo prima ci sono arrivato anch'io.

Se proprio voleste stupirmi, potreste fare lo sforzo di arrivare dove, a quanto vedo, arrivano in pochi: capire che, come ci ammonisce l'Ecclesiaste, omnia tempus habent, e questo non è il tempo delle fratture.

Ve lo dice uno che vi ha anche detto "uniti si perde"! Ma quella era ed è un'indicazione strategica, che resta valida (e che continuate a non capire: guardate che ameni caravanserragli raduna in giro per il Paese il tema che in Senato abbiamo trattato qui). Oggi vi parlo di tattica: è da perfetti cretini immaginare che compiere in questo momento gesti eclatanti di qualsiasi genere, vociferare di rese dei conti più o meno motivate, seminare lo scompiglio nel proprio schieramento, sia una mossa tatticamente giusta.

Eppure, è proprio questo che continuate a chiedere sul social azzurro cesso (o almeno continua a chiederlo chi galleggia da quelle parti). Vi prego, almeno voi che siete qui: piantatela con la storia del "dimettetevi", "andate al gruppo misto", e consimili puttanate! Punto primo: omnia tempus habent; punto secondo: in politica chi se ne va ha perso, e quindi perché mai, se è vero che mi volete bene, dovreste chiedermi di dichiarare una sconfitta che non ho subito!? Ove mai fosse vero quanto immaginate e dite, e voi steste con me, dovreste chiedermi di cacciare gli ipotetici "altri", non certo di andarmene!

Lo dico a beneficio dei molti di voi che conosco personalmente da lunghi anni. Oltre una certa soglia, dovete scusarmi, ma la stupidità diventa preclusiva, perché viene naturale pensare che chi non arriva a capire certe cose non arrivi a capire e basta (e quindi sia inutile dedicargli tempo).

Poi ci sono quelli che invece non mi conoscono, e mi aduggiano con le loro invettive, immedesimandosi nel ruolo del fra Cristoforo al cospetto del don Rodrigo di turno (che sarei io): "Verrà un giorno che voteremo e io non ti voterò più!"

Ora, per capire quanto mi impressionino, mi turbino, mi sconvolgano, mi prostrino e mi contringano (voce del verbo contringere, che ho inventato qui per l'occasione: significa rendere contrito) simili minacce, per capirlo bene, se interessa (ma se non interessa, perché continuare con questa solfa?) ci sono due strade: la lectio difficilior è prendersi questo blog da qui e leggerselo tutto, in modo da capire quanto io abbia sempre tenuto al vostro consenso (zero); la lectio facilior è guardarsi questo breve video, e credermi quando vi dico che la notizia che non mi voterete più mi sconvolge quasi quanto apprendere che Saint-Vincent ha 4000 abitanti.

Non ho voluto il vostro voto esattamente come non mi è mai venuto in mente di studiare la demografia di Saint-Vincent. Voglio combattere la mia battaglia e continuerò a farlo con voi o contro di voi. Scegliete voi da che parte stare: la scelta sarà più facile per chi mi conosce di meno! Non credo di dovervi spiegare quale sia questa battaglia: insulterei la vostra intelligenza. Ma non venite a spiegarmi come combatterla se prima non imparate almeno a distinguere fra tattica e strategia (la "strateggiah", quella, la lasciamo agli intelliggenti: Schalen von Menschen, die das Blog ausgespieen hat...).

(...ne riparliamo dopo quota 50...)

mercoledì 5 gennaio 2022

Inflazione e tasso di cambio reale

 ...dies ante heri dicebamus!

E oggi l'ISTAT ci preannuncia l'inevitabile, ovvero che l'inflazione a dicembre è salita al 3,9% (la SRAS, che non è la SARS, sta salendo...). I prezzi salgono, poi vedremo che cosa succederà alle quantità (cioè alla crescita reale, al Pil). Siamo ancora alle stime provvisorie, quindi non abbiamo il dato consolidato e nel comunicato mancano le serie storiche, che però possiamo reperire nel comunicato riferito al dato di novembre, pubblicato il 15 dicembre. Per economizzare byte l'ISTAT nei suoi comunicati ci fornisce i dati storici mensili solo fino al 2019, e annuali solo fino al 2016. Un po' difficile quindi mettere in prospettiva quanto sta succedendo, ma possiamo aiutarci con il sito dati.istat.it:


o meglio potremmo, perché alle 11:43 del 5 gennaio la situazione è questa (meglio così: occhio non vede, cuore non duole)!

Ma che importa!

Noi siamo europei, e quindi abbiamo l'Eurostat. Nel corposo ed efficiente database andate a cercarvi questa variabile:


HICP sta per Harmonized Index of Consumer Prices, l'indice dei prezzi al consumo reso confrontabile fra paesi europei. Per inciso, lo riporta anche l'ISTAT nella sua tabella 8 (la trovate nel comunicato di novembre), chiamandolo IPCA (Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato), e i dati coincidono. Unico problema, si fermano a novembre perché prima di pubblicare dicembre Eurostat aspetta il dato definitivo dagli uffici statistici nazionali. Ma per la prospettiva l'ultimo dato è abbastanza superfluo, mentre è necessario avere a disposizione un pezzo sufficientemente lungo di storia, ed è utile poterla confrontare con quella di un altro Paese.

Ne propongo uno a caso: la Germania.

Dunque: facendo 100 il valore del gennaio 1999, gli indici armonizzati dei prezzi al consumo si sono mossi in questo modo:


I prezzi sono andati sempre crescendo, prima più rapidamente in Italia, e poi più rapidamente in Germania

(...ricordo ai newbies ma anche, più semplicemente, ai rompicoglioni che i numeri indici servono ad analizzare la dinamica di un fenomeno, quindi qualsiasi osservazioni "intelligente" del tipo "ma in Germania nel 1999 i prezzi erano più bassi! [ricordate Lampredotto?] o "hai alterato l'asse verticaleeeeh!11!!" in questo blog vi fanno solo passare per scemi. Gli indici servono a vedere quanto rapidamente crescano le variabili, la base [e quindi il livello di partenza] è largamente arbitraria, quello che conta è l'evoluzione...)

Di conseguenza, ci aspettiamo che in un primo periodo il tasso di inflazione dell'Italia, calcolato come variazione tendenziale (mese su corrispondente mese dell'anno precedente) sia stato superiore a quello tedesco, e dopo sia successo il contrario (e infatti è così):


(prima è sopra l'Italia - arancione - poi è sopra la Germania - blu).

Di conseguenza, ci aspettiamo che il rapporto fra i prezzi italiani e tedeschi, cioè il prezzo relativo del beni di consumo italiani rispetto a quelli tedeschi, prima sia aumentato (quando i prezzi italiani crescevano più rapidamente di quelli tedeschi) e poi sia diminuito (quando i prezzi italiani crescevano meno di quelli tedeschi, ed è inesorabilmente e tautologicamente così:


Il punto più alto di questo grafico coincide con giugno 2012: da lì in avanti, al netto delle oscillazioni stagionali (che potremmo filtrare con un filtro alle medie mobili o con un filtro passabanda un po' più raffinato) si vede bene che il rapporto fra prezzi italiani e tedeschi diminuisce in modo pressoché lineare, anche se il dato più basso del 2021, quello di luglio, è sempre del 2,3% sopra il punto di partenza (posto nel gennaio 1999, cioè al varo dell'Unione monetaria). Insomma, pare che come ci son voluti tredici anni a salire, così ce ne vorranno tredici a scendere (se ne parla nel 2025).

Come dovreste sapere, il prezzo relativo dei beni di due paesi (il rapporto fra due appropriati indici aggregati di prezzo espressi in una comune valuta) si chiama tasso di cambio reale. Ne abbiamo parlato infinite volte, una spiegazione spero a prova di pigrizia è qui. Quella che vedete nel grafico è quindi la storia della svalutazione interna (diminuzione del tasso di cambio reale effettuata agendo sul livello dei prezzi interni) dal Governo Monti (2012) ai giorni nostri, una storia singolarmente uniforme.

Facciamo un passo indietro, al primo post di questo blog:


La linea verde nella parte superiore del secondo grafico di questo blog corrisponde (con dati annuali) esattamente alla parte ascendente del terzo grafico di questo post (il rapporto fra gli HICP): si vede bene la crescita del rapporto fra i prezzi di Italia e Germania, prima più rapida, poi meno rapida. Non si vede l'inversione di tendenza perché questo grafico è del 2011, l'inversione di tendenza non c'era stata, e questo blog è stato aperto per avvertire sul come sarebbe stata ottenuta (con l'austerità).

Il grafico sul rapporto fra gli HIPC è quindi la madre di tutti i #sevedeva (per usare un termine del Dibattito, cioè del nostro lessico famigliare - io dico familiare, dovrebbero accendermi un fiammifero sotto l'unghia di ogni piede per farmi dire "famigliare", ma questa, come qualcuno avrà capito, è una citazione).

Ovviamente, se, seguendo il ragionamento del primo post, un aumento di questo rapporto, cioè una rivalutazione del tasso di cambio reale, faceva peggiorare l'indebitamento estero del Paese, una sua diminuzione, cioè una svalutazione del tasso di cambio reale, lo avrà nel frattempo fatto migliorare, e così è stato, ma lo vedremo domani. Sarete sorpresi (se leggete il Corriere della Sera) nel sapere che l'indebitamento con l'estero è quello che interessa i creditori esteri (strano - per un giornalista - ma vero!). Quindi sotto questo profilo (almeno questo) la situazione dovrebbe essere migliorata.

I precisini, che si sono tutti estinti, mi par di capire, visto che le ultime osservazioni critiche su questo blog oscillano fra un becero grillismo e un becero gianninismo (che poi, alla fine, coincidono nei mezzi perché coincidono nel fine: quello di delegittimare il Parlamento...), potrebbero obiettare una cosa giusta: i due indici di prezzo che stiamo confrontando non sono quelli più appropriati per verificare l'andamento della competitività di un Paese, la dinamica del suo tasso di cambio reale. Forse il confronto andrebbe esteso, più che ai beni consumati internamente, ai beni commerciati internazionalmente.

Giusto.

Ma una soluzione, come sapete, c'è, ed è quella di confrontare i veri indici del tasso di cambio reale, anziché questa stima dichiaratamente grossolana ottenuta rapportando gli HIPC. 

E allora andiamo qui:


dove troviamo i tassi di cambio effettivi dei Paesi europei. Ricordo che i tassi effettivi sono una media dei tassi bilaterali, quelli rispetto a singoli Paesi, e quindi in quanto tali forniscono una valutazione sintetica dell'effettiva forza di una valuta. Per completezza considererò gli indici costruiti considerando 37 Paesi partner - quindi, oltre ai membri dell'Unione Europea, che nel periodo sono variati di numero, almeno altri nove Paesi: Stati Uniti, Giappone, ecc.

I livelli dei tassi di cambio effettivo reale, ribasati sul gennaio 1999, evolvono in questo modo:


dove si vede lo scivolone dell'euro fra 1999 e 2000, e tante altre cose, ma soprattutto, ai nostri fini, si vede che all'inizio l'Italia mediamente rivalutò in termini reali più della Germania rispetto ai propri Paesi partner (lo si vede bene dal 2001 in avanti), cioè perse più rapidamente competitività, mentre da un certo punto in avanti accadde il contrario. Quindi, se prendiamo il rapporto dei tassi di cambio effettivi reali, otterremo un grafico sorprendentemente diverso da quello ottenuto rapportando gli HIPC:


no, aspè, anzi: sorprendentemente (per i precisini) uguale! Chi se lo aspettava? Io, perché dopo quaranta anni passati a macinare dati so che se una cosa nei dati c'è, c'è e basta (ed è per questo che ogni tanto mi vedete scrollarmi di dosso i precisini con un certo fastidio).

Torniamo un momento all'inizio, cioè al dato dell'inflazione italiana annunciato per dicembre: 3,9%, uguale al dato dell'inflazione armonizzata italiana di novembre, che è già stato 3,9%. Se tornate al primo grafico, constaterete facilmente che a novembre il dato tedesco era del 6%, come dire che la Germania stava rivalutando in termini reali del 2% rispetto a noi (per i precisini: 2,1%). Per quanto riguarda noi, valori superiori dell'inflazione si sono avuti solo fra giugno e agosto 2008 (prima del grande botto di Lehman, per capirci, senza voler stabilire alcun nesso di causazione), quando l'inflazione fu in media del 4,1%. Sarebbe curioso andare a recuperare qualche titolo di giornale dell'epoca. Per quanto riguarda la Germania, la situazione è senza precedenti da quando esiste l'Unione monetaria (potremmo divertirci ad andare indietro nei decenni, ma magari un'altra volta): possiamo supporre che siano preoccupati.

Se sono preoccupati loro, qualcuno conclude che dovremmo essere contenti noi.

La mia visione è un pochino più sfumata. Sì, è vero, negli ultimissimi mesi la velocità della correzione del tasso di cambio reale dell'Italia rispetto alla Germania sembra essere aumentata. Stiamo diventando competitivi più rapidamente. Però se mettiamo le cose in prospettiva non siamo ancora in grado di vedere un significativo cambio di passo: la nostra svalutazione interna, comunque la si misuri, procede linearmente con la stessa uniforme regolarità dal 2012 (in coerenza col fatto che tutti i Governi che si sono succeduti tranne uno si sono attenuti allo stesso programma: questo). Quindi non è detto che la nostra svalutazione reale, se pure accelerata negli ultimi mesi (motus in fine velocior) debba necessariamente comportare un maggiore riequilibrio degli sbilanci commerciali interni all'area euro (che peraltro già ci vedono in posizione eccedentaria), né in generale che possa rafforzarci politicamente, per il semplice fatto - che la pandemia evidenzia - che i dati non sono di alcun aiuto se si è deciso di non tenerne conto!

C'è viceversa da ragionare su quanto in Germania, a fronte di una simile dinamica dei prezzi, possano ritenere di aver bisogno di una svalutazione interna (deflazione) e di che cosa questa loro preoccupazione per l'inflazione di Weimar (le famose carriole, aka "pallottole in garage"), largamente indotta da una storiografia propagandistica, determinerà in termini di politiche monetarie della Bce e di proposte di riforma delle "regole".

Il problema, come tutti sappiamo, è lì, e le soluzioni proposte finora non sono entusiasmanti...