Goofynomics
L’economia esiste perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale. Per contribuire a una lettura più equilibrata della realtà abbiamo aperto questo blog, ispirato al noto pensiero di Pippo: “è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita”. Una verità semplice, ma dalle applicazioni non banali...
domenica 16 marzo 2025
sabato 15 marzo 2025
Il tramonto del moderatismo
(…per voi…)
Dichiaro aperta la discussione generale.
venerdì 14 marzo 2025
Due slides…
… dalla presentazione di domani, dove mi dicono che nell’aria si avvertirà la metaforica fragranza del prosecco tiepido e del lompo rancido (e io naturalmente porterò, a nome vostro, una parola di moderazione, di quella moderazione che, come è noto, ci fa tanto crescere nel consenso).
Una è questa:
Niente di particolarmente originale, ma qualcosa che la stragrande maggioranza dei nostri concittadini ignora, il che non le preclude il diritto all’elettorato passivo e soprattutto a quello attivo.
Un’altra è questa:
E questa probabilmente è un po’ più criptica. Fatto sta che la produzione industriale della Germania sembra muoversi insieme alla domanda di prodotti tedeschi da parte dei mercati del sud dell’Eurozona. Potremmo chiamarla la slide del ramo segato. Poi, con un minimo sforzo di immaginazione, facendo appello a un minimo di capacità di astrazione, potremmo immaginare di chiamare Germania il mitologico Nord dei ceti produttivi (aka prosecco tiepido), e il resto lo lascio immaginare a voi.
Il succo del discorso è che proprio perché vediamo quanto sia stato grande l’errore commesso dalla Germania nel distruggere il suo mercato di sbocco naturale, cioè il mercato unico, cioè il mercato interno dell’eurozona, dovremmo stare molto attenti a non commettere qui in Italia lo stesso errore, distruggendo il mercato interno italiano. Non dovremmo, o meglio non avremmo dovuto, trovarci di fronte al crollo di un importante mercato estero, quello tedesco, così come la Germania si è trovata ad affrontare la chiusura dei suoi mercati di sbocco esteri (Stati Uniti, Regno Unito, Russia, Cina) dopo aver bucato il salvagente del mercato interno (quello unico).
Tutto qua.
Con tutto il rispetto e tutta l’umiltà possibile: secondo voi, in una sala di 300 persone, da quanti riuscirò a farmi capire? Ma soprattutto: quanto è importante riuscire a farsi capire? Perché in fondo noi una cosa dovremmo averla capita, almeno una: la nostra libertà dipende molto meno dalla nostra capacità di far capire le nostre ragioni che dall’incapacità degli altri di comprenderle. Le illusioni illuministiche le abbiamo deposte, contiamo sulla capacità della storia di fare il lavoro sporco e faticoso al posto nostro, utilizzando la sua capacità persuasiva, quella che ci ha regalato i trent’anni gloriosi, e anche i settant’anni di pace. Poi, naturalmente, siccome siamo tutti animati da spirito agonistico, continueremo ad impegnarci pensando di essere migliori dei tanti che ci hanno preceduto, e che non sono riusciti, come non riusciremo noi, a evitare che le cose vadano come devono andare.
Good night and good luck!
martedì 11 marzo 2025
La logica del RearmEu
(...è ovviamente un'applicazione della logica eurista, sulla quale ci siamo spesso intrattenuti, l'ultima volta qui, dove trovate anche il rinvio alle cinque puntate precedenti...)
Luebete ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Un'utile sintesi":
Per come procede la discussione riguardo il riarmo europeo capisco che:
- dobbiamo armarci contro una nazione che fino a ieri combatteva con le pale e i chip delle lavatrici
- dobbiamo armarci contro una nazione che ci vuole colpire per obbligarci a comprare il suo gas che è più economico (perchè siamo furbi)
- impiegheremo anni per armarci e la nazione contro cui dovremmo difenderci aspetterà tranquillamente tutto il tempo
- dobbiamo armarci per difenderci da una nazione che se ci attacca fa scattare l'art. 5 della Nato (visto che ci siamo tutti dentro) e che rischia di essere rasa al suolo
- dobbiamo armarci contro una nazione con un PIL più piccolo del nostro e che non avrebbe i mezzi per garantire la stabilità della zona che ha conquistato
- la spesa per armarci sarà scorporata dai vincoli europei, ma dobbiamo comunque trovare i soldi perchè gli 800 miliardi erano una trovata pubblicitaria
- per armarci dobbiamo comprare prodotti bellici esclusivamente europei dopo che, avendo distrutto la nostra industria, al massimo possiamo produrre cerbottane (che forse sono efficaci contro le pale)
- dobbiamo produrre acciaio e veicoli bellici, ma io devo comprare l'auto elettrica per salvare il pianeta, così che le forze armate possono usare un carro armato che va a bitume.
- dobbiamo armarci per avere i carri armati col dubbio che i ponti sul Po possano reggere il peso
- i 70 anni di pace che ci ha dato Lueropa, erano proprio 70 e sono, purtroppissimo, finiti
- dobbiamo armarci proprio ora che l'unico conflitto europeo sta volgendo al termine
- per armarci dobbiamo fare il debito comune (denominatore o multiplo?) che però non può essere garantito dalla BCE che non è qui per chiudere lo spread (nostro)
- dobbiamo armarci, ma chiudiamo gli ospedali che così nel caso i soldati si facciano male vanno alla clinica privata
- dobbiamo armarci per difenderci i confini che però sono brutti perché "immagina un mondo senza confini"...
Io, boh...
Pubblicato da Luebete su Goofynomics il giorno 11 mar 2025, 11:42
(...sinceramente credo che non ci sia altro da aggiungere sul piano di riarmo. Sull'esercito comune avevamo già detto tutto qui anni or sono. Direi che possiamo passare ad altro...)
Un'utile sintesi
Qui:
trovate un'utile sintesi di tante cose che si siamo detti ultimamente, ma anche non tanto ultimamente.
Se non lo aveste sentito, ve lo segnalo. Molto di più oggi non posso fare, ho due appuntamenti importanti in settimana, domani con investitori, e sabato all'evento pre-congressuale di Ancona:
dove dovrò esporre le tesi economiche (ovviamente non tutte: la parte che mi compete, quella macroeconomica).
Un'utile occasione per far capire a chi non se ne fosse accorto (tipicamente iSondaggisti e iComunicatori, cioè il Male con la M di cioccolata) che lu moderatisme s'ha mort, e magari per ricordare a tutti perché:
Perché dovremmo essere alla C di crescita e siamo alla D di depressione, e quando eravamo alla B di Bagnai (e di Borghi) qualcuno lo aveva pronosticato...
Se volete assistere all'evento di Ancona iscrivetevi tramite questo modulo. Spero di vedervi.(...ogni tanto riesco anche a essere ipocrita e falso, quando la causa lo richiede...)
domenica 9 marzo 2025
I parrocchetti
Cammino per una Roma domenicale mattutina e deserta, anche per recuperare rispetto a una giornata relativamente sedentaria (cinque gazebo: Sulmona, Ortona, Francavilla, Pescara, Avezzano, fra i quali mi sono dovuto necessariamente muovere in macchina). Nel silenzio tombale mi disturba un grido sgraziato. Alzo gli occhi al cielo, sapendo già quello che vedrò: il volo maldestro di un parrocchetto, non so se monaco o dal collare, perché da lontano non riesco a vedergli il becco.
Una volta il risveglio a Roma era un’esperienza diversa.
Iniziava ante lucem il codirosso, si aggiungeva flautato il merlo, interveniva stridulo lo scricciolo, col rinforzo del pettirosso, e poi il fringuello. Subentrava in crescendo il rumore di fondo della città, il traffico della tangenziale, il clacson dei genitori imbottigliati di fronte all’ingresso della scuola, che impediva di apprezzare l’inesauribile capacità mimetica dello storno (genio incompreso e misconosciuto). Si chiama, anzi si chiamava, biodiversità, quella cosa che alla sinistra tanto piace quando riguarda gli animali, con particolare attenzione a quelli che rompono i coglioni (caso di specie: gli astuti cervi, uno dei quali non più tardi di un paio di settimane fa voleva sedersi in macchina al posto di Scarpetta di Venere, entrando però dal parabrezza, atteso che la sua natura di ungulato artiodattilo gli precludeva una efficiente gestione della maniglia della portiera: sarebbe un problema anche per il suo distante cugino delfino, che però, stranamente, non rompe i coglioni); sì, la stessa biodiversità che però la medesima sinistra schifa e ha contribuito a distruggere in infiniti altri campi, dalle banche, al commercio, alla cultura, insomma: all’umanità (la nostra).
Non è chiaro da dove siano arrivati questi illegal aliens, o meglio: non è chiaro come siano arrivati, perché da dove lo si sa, si sa dove sono specie autoctona, e un’unica certezza è possibile nutrire: che con le loro forze qui, da soli, non sarebbero mai riusciti ad arrivare, nonostante in astratto avessero buoni motivi per provarci, perché il fatto stesso che qui siano diventati specie egemone dimostra che qui, a differenza che a casa loro, non hanno antagonisti naturali, e anzi sfruttano le nicchie ecologiche dei nostri autoctoni (ad esempio, del picchio rosso). Insomma: anche i parrocchetti fuggono dalla guerra (coi serpenti arboricoli), poverini! Fuggono anche dalla dittatura, quella dell’essere umano, che, inspiegabilmente insofferente di veder distrutti i propri raccolti, in palese violazione della “Convenzione di Civitaluparella sui diritti degli uccelli che rompono i coglioni” (una fondamentale fonte del diritto sovranazionale, sottoscritta il settordici ottembre duemilacredici dagli alti rappresentanti degli Stati membri dell’Organizzazione non utile), quando può (cioè più o meno ovunque, dati gli standard di quelle regioni) gli spara addosso.
E quindi che fai, non li accogli, poverini!? Non gli lasci radere al suolo qualsiasi forma di vita NSGC (ma sì, dai: abbandoniamoci anche noi al delirio europeo degli acronimi), aka ΙΧΘΥΣ, per gli amici “er Pesce”, ci abbia donato per allietare le nostre giornate!? Distruggere le altre specie di uccelli è un loro diritto, in quanto specie di uccelli, no!? È diritto di Loretta la parrocchetta identificarsi in un falco pellegrino: è un suo diritto in quanto psittacide!
È la globalizzazione, bellezza! Carta vince, carta perde. Anzi, parrocchetto vince, merlo perde. Con quale guadagno per l’ambiente circostante lo saprà apprezzare chi è dotato di orecchie, esattamente come chi è dotato di narici può apprezzare quale sia stato il guadagno di sostituire la fragranza dei forni, delle pasticcerie e delle rosticcerie, del loro pane, dei loro dolci, dei loro spiedi, col tanfo internazionalmente omogeneo del simpatico kebab.
(…auguri, Matteo!…)
sabato 8 marzo 2025
Emancipazione e subalternità
Per chi se lo fosse perso (qui, credo, pochi) metto qua sotto l’ultimo webinar di a/simmetrie, dedicato al piano di riarmo:
Aldilà di tutte le considerazioni giuridiche, finanziarie, amministrative, politiche, non vi sfuggirà il punto macroeconomico: nelle condizioni date il piano di riarmo, esattamente come il taglio dei gasdotti, è una misura che serve a incrementare le esportazioni americane, cioè a ricomporre quei mostruosi squilibri macroeconomici globali che vi ho documentato nel convegno di mercoledì e nei due post precedenti. Ci hanno detto che l’Europa si sarebbe stata fatta nelle crisi, e sarebbe stata la somma delle soluzioni apportate a queste crisi, intendendo che sotto la sferza dello stato di necessità i popoli europei avrebbero trovato lo stimolo e il modo di emanciparsi. Argomento di un paternalismo stucchevole, che, fra l’altro, in questo caso è manifestamente falso: la reazione dell’Unione Europea alla sua attuale crisi (perché la crisi è solo sua: lei ne è causa e lei ne sarà vittima) vuole presentarsi come un gesto di emancipazione, come l’anelito di sottrarsi alla tutela degli Stati Uniti per difendere da sé il proprio territorio in presenza di (molto improbabili e fino a ieri denegate) minacce esterne. In realtà, questa reazione altro non è che un esercizio di subalternità estrema nei confronti della potenza imperiale, che beneficerà della gran parte di questa “potenza di fuoco“, ove mai si riuscirà a metterla in campo. Noi qui siamo stati oggettivamente i primi a “mettere a tema“ (come si dice a sinistra) le asimmetrie europee, quindi siamo ben posizionati per evidenziare una simpatica simmetria. In questo momento l’Unione Europea vuole “emanciparsi” dagli Stati Uniti finanziando nei fatti la sua industria, esattamente come fino a pochi anni, anzi, mesi, anzi, giorni fa voleva “spezzare le reni alla Russia” continuando a comprare il suo gas. Un progetto politico guidato da una élite di frustrati che riesce a fare la voce grossa solo con i più deboli dei suoi componenti, quelli che si supponeva fosse nato per proteggere, come la Grecia, ma che nei confronti delle potenze esterne sa fare un’unica cosa: piegarsi e pagare, ovviamente con i nostri soldi.
Quanto potrà durare questo bel gioco, ora che è evidente la sua rischiosità?
venerdì 7 marzo 2025
Governance UE e scenari globali
(...dal minuto 58, ma ovviamente anche quello che c'è dopo, e soprattutto prima, vale la pena di ascoltarlo! Le slides sono qui...)
(...fra pochi minuti avremo un webinar ad a/simmetrie sul tema del RearmEurope. Non sarete sorpresi. La svolta bellicista era nella natura delle cose. Dopo aver distrutto il mercato interno, cioè dopo aver segato il ramo su cui era seduta, come documento nel mio intervento, la Germania è andata in cerca di mercati altrui aiutandosi con una pesante svalutazione competitiva dell'euro, che abbiamo documentato qui; respinta con perdite, prima ha cercato di riconvertire la sua economia al "green", sfruttando la paura della crisi climatica. La CO2 però come spauracchio non ha funzionato benissimo. Dopo aver distrutto il nostro tessuto industriale, presa a sberloni dai suoi elettori la leadership tedesca sta tornando indietro di gran carriera sull'agenda green, e per risolvere il problema di tener viva la propria manifattura si è data a un grande classico: fomentare la paura di un nemico esterno per convertirsi all'industria dell'armamento. Chissà se la paura di Putin farà più presa su quelle anime semplici dei tedeschi della paura della CO2! Il buonsenso comanderebbe prudenza: la CO2 ti scalda - se ti scalda lei! - sempre meno di una bomba termonucleare, ma l'idea archetipica dei cosacchi che invadono le capitali europee fa sempre presa. Quindi forse questa volta non possiamo contare sugli elettorati altrui perché ci tolgano le castagne dal fuoco. Altra storia è se dobbiamo contare su di loro. Ha senso volere che le cose vadano bene? Per toglierci di torno la fonte degli squilibri - e qui sapete tutti qual è - un conflitto mondiale è una tappa ahimè inevitabile...)
domenica 2 marzo 2025
Cinquant'anni di squilibri europei e globali
(...preparando il convegno del 5 marzo. Aiutatemi a capire se è comprensibile: dopo sette anni finalmente, mangiando ogni giorno con santa pazienza il cucchiaino di quella cosa che non è cioccolata, abbiamo l'opportunità di spiegare alla politica alcune cose che qui sono patrimonio comune. Sento la responsabilità di non perdere l'occasione, perché il momento è veramente cruciale...)
La governance europea ha esportato nel resto del mondo gli squilibri causati dalla moneta unica. La risposta ritorsiva minacciata dagli Stati Uniti è una diretta conseguenza di queste dinamiche perverse. Senza riconoscerle, capire come rispondere sarà complesso. Vediamo se i dati possono aiutarci...
Il grafico rappresenta il saldo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti: esportazioni meno importazioni, valori sopra la linea indicano un surplus, sotto la linea indicano un deficit.
Ho deciso di rappresentare distintamente la Germania dagli "Altri Europei" (costruiti come somma algebrica dei PIGS e della Francia, trascurando Paesi più piccoli), perché la storia degli ultimi cinquant'anni è sostanzialmente quella della lotta della Germania per la supremazia commerciale. Il saldo complessivo dell'Eurozona, rappresentato in grigio, fino al 1997 è approssimato dalla somma algebrica fra Germania e Altri Europei: l'approssimazione è buona, come vedremo sotto, e comunque non altera il senso del discorso.
Dal 1975 al 2003 gli scambi fra Paesi europei si sono svolti in un contesto di sostanziale equilibrio. Il punto è semplice: se quando la Germania esportava un po' di più (come dal 1986 al 1991, periodo dello SME credibile), gli altri Paesi importavano un po' di più, uno sbilancio compensava l'altro dentro l'Eurozona senza creare squilibri globali (nota bene: dico "l'Eurozona" per semplicità, mentre correttamente dovrei dire: l'area che sarebbe poi divenuta l'Eurozona. Ma questo so che voi lo capite).
Idem, quando gli altri esportavano un po' di più, come dal 1992 al 2002, la Germania importava un po' di più, i due sbilanci si "nettavano" dentro l'Eurozona, e non si riversavano sui mercati globali.
In effetti, in quel periodo i Paesi cui gli Stati Uniti imputavano di essere causa degli squilibri globali erano altri:
Negli anni '80 soprattutto il Giappone (vedete che la linea gialla sale quando la blu scende e viceversa), poi anche la Cina.
Dentro l'Eurozona le cose cambiano in modo vistoso dal 2004:
Nel breve volgere di quattro anni il surplus tedesco "schizza" (come direbbe un operatore informativo) a circa 200 miliardi. Simmetricamente, però, il saldo degli altri crolla a circa -200 miliardi, e quindi il risultato netto sul saldo dell'Eurozona è sostanzialmente nullo (200-200=0), a parte un picco di deficit nel 2008 in corrispondenza della crisi globale (che aveva colpito gli altri prima di noi europei, motivo per cui noi continuavamo a importare quando loro avevano già smesso di farlo, mandandoci appunto in deficit).
Che cosa stava succedendo?
A parte lo shock del 2008, quello che vediamo dal 2004 al 2011 è un mondo in cui i tedeschi vendono (surplus di bilancia dei pagamenti) e gli altri europei comprano (deficit di bilancia dei pagamenti). L'Eurozona continua così a essere mercato di sbocco a se stessa (il Sud lo è per il Nord), il mercato unico quindi ancora funziona, ma in modo sempre più asimmetrico, con squilibri formidabili, mai visti prima. Che cosa li abbia resi possibili lo vedremo dopo (suggerimento: la deflazione salariale).
Prima però vediamo come evolveva lo scenario globale:
Nel 2008, quando scrivevo The role of China in global external imbalances, tutti erano preoccupati, appunto, dalla Cina, cioè dalla linea rossa in surplus nel grafico (che all'epoca era in crescita verticale). L'Eurozona sembrava inoffensiva: nessuno sembrava notare, e a dire il vero non lo notavo nemmeno io, il potenziale destabilizzante di una situazione in cui il Paese ricco incassava duecento miliardi di dollari l'anno dai Paesi poveri (che ovviamente a questo scopo dovevano indebitarsi). Una cosa però mi era chiara, questa:Per contribuire a riassorbire gli squilibri esterni globali, piuttosto che schiacciarsi sulle posizioni americane (ricorda qualcosa?), che all'epoca pretendevano una drastica rivalutazione del renminbi, l'Unione Europea avrebbe dovuto spingere sulla crescita, non lasciando soli gli Stati Uniti nel ruolo inevitabile, ma scomodo, di compratore di ultima istanza. Nota bene: questa raccomandazione vale ancora oggi ed è quella con cui chiuderei il mio intervento, naturalmente con la raccomandazione di non finanziare questa crescita con "strumenti comuni", ma semplicemente di favorirla sospendendo le assurde regole di bilancio (cosa inevitabile perché ora serve agli altri).
Arriva la crisi, ed è lì che la "programmatica profondità", come direbbe Savinio, ovvero l'ottusità, tedesca, dà il meglio di sé. Nell'ansia di rientrare dai crediti offerti al Sud per comprare i suoi beni, la Germania impone ai Paesi del Sud politiche di austerità. Risultato: al Sud crollano i redditi, quindi crollano le importazioni, quindi i Paesi del Sud si trovano in surplus, quindi il surplus tedesco non è più compensato all'interno dell'Eurozona dal deficit degli altri. Insomma, invece di essere la somma del surplus del Nord e del deficit del Sud, il surplus dell'Eurozona diventa la somma di due surplus, entrambi rivolti ai mercati esteri, e quindi il surplus dell'Eurozona si impenna!
Si passa cioè dal simpatico mondo Germania + Altri Europei = 200 + (-200) = 0 (saldo dell'Eurozona sostanzialmente nullo), al mondo Germania + Altri Europei = 300 + 100 = 400 (saldo dell'Eurozona gigantesco e quindi fonte di risentimento Usa, come il saldo giapponese negli anni '80 o quello cinese negli anni '10). Come abbiano fatto i tedeschi a convincere per un po' il resto del mondo a comprare i beni che il Sud Europa non poteva più comprare lo sapete: svalutando l'euro:
(ne abbiamo parlato qui).
A questo punto il quadro globale si altera un po':
Dal 2013 in poi il surplus dell'Eurozona domina quello cinese, e se per un po' la spinta della Cina sulla domanda interna riesce a tenere sotto controllo il surplus (la linea rossa scende), dopo lo shock del COVID la Cina torna in forte surplus, forzando gli Stati Uniti sotto i 1000 miliardi di deficit. Una soglia psicologica non da poco, tale da destare l'attenzione, ma guardando il grafico si vede bene che lo squilibrio più rilevante, il surplus più importante, è il nostro, causato, fra l'altro, da una svalutazione competitiva della nostra valuta, ed è destinato a restare tale almeno fino al 2029 nelle proiezioni del Fmi.
Capito quindi perché si parla di dazi?
Perché distruggendo il proprio mercato di sbocco interno (i Paesi del Sud) con le politiche di austerità la governance europea ha esportato nel resto del mondo i propri squilibri commerciali (l'immenso surplus tedesco).
E capito quindi perché in un'ottica bilaterale i dazi a noi preoccupano poco?
Perché anche se siamo un'economia in moderato surplus, a chiunque non sia completamente digiuno dei fatti o completamente stupido non sfugge che il problema è causato dalla Germania.
Ma facciamo un passo indietro.
Visto che i tedeschi da sempre hanno questa fissa di crescere coi soldi degli altri, come mai riescono a realizzarla solo nel 2004, e come fanno a riuscirci così rapidamente?
In altre parole, come hanno fatto i tedeschi a diventare improvvisamente così tanto competitivi da moltiplicare per sette il loro surplus in quattro anni?
Beh, questo lo sapete perché lo ha detto Draghi a la Hulpe:
e anche perché qui ne abbiamo già parlato:
e no, le cose non sono andate come le racconta l'animale mitologico!
Allineando i dati, e costruendo un indice dei salari degli "Altri" con Italia e Spagna (la Francia va avanti per i fatti suoi, la sua grandeur questo le impone, un gran finale, una Waterloo, una Verdun...), vediamo che il gioco si è svolto in due tempi:
e:
dove il motore della storia è, ovviamente, il salario, che determina il costo dei beni sui mercati esteri.
Quindi il racconto del nostro amico Uva è scorretto sotto plurimi profili:
- non "we pursued", ma "Germany pursued", gli altri sono stati costretti a seguirla;
- non "after the sovereign debt crisis", ma "before the sovereign debt crisis": la deflazione salariale è stata causa della crisi, non risposta alla crisi;
- non "combined with a procyclical fiscal policy", ma "followed by a procyclical fiscal policy imposed to peripheral countries": l'austerità è stato lo strumento con cui il Sud ha inseguito il Nord sulla strada della deflazione.
Eh già!
Perché i dati mostrano bene quello che del resto voi già sapete, cioè:
- che la politica aggressiva di deflazione salariale (svalutazione interna) competitiva fu iniziata dalla Germania con le riforme Hartz, per mettere in opera le quali violò le regole del Patto di stabilità;
- che questo comportamento, forzando il deficit dei Paesi del Sud come abbiamo visto, causò il loro massiccio ricorso all'indebitamento estero dei Paesi del Sud (e quindi di fatto la crisi debitoria, che non fu da debito pubblico, come Giavazzi ammise già nel 2015 e Draghi ancora fa finta di non sapere nel 2025: noi ci aprimmo il blog);
- che l'austerità arrivo solo dopo, nel 2012 (con qualche timida avvisaglia da noi fin dal 2011: Berlusconi fu cacciato perché non se la sentiva di fare il lavoro sporco, come vi avevo anticipato all'epoca), e serviva sostanzialmente a costringere i lavoratori del Sud a tagliarsi i salari, facendo collassare il Pil e quindi alzare il tasso di disoccupazione.
Sorgono due domande: perché la Germania non l'aveva fatto prima? E quali effetti collaterali ha avuto la sua politica beggar-thy-neighbour?
La risposta alla prima domanda (perché la Germania non ha fatto prima politiche salariali aggressive) è semplice e la sapete: se avesse praticato una simile politica di deflazione salariale in regime di cambi flessibili o aggiustabili (quindi prima del 1999), il vantaggio competitivo (e quindi il surplus) conseguente alla svalutazione del salario sarebbe stato azzerato da una rivalutazione del marco, cioè da quello che era stata la regola negli anni del dopoguerra, come vi ho mostrato qui:
L'euro non è stato fatto, voi lo sapete, per impedire alla lira di svalutare, ma per impedire alla Germania di rivalutare, tant'è che quando invece la Germania ha avuto bisogno di svalutare ha tranquillamente lasciato scivolare l'euro, come abbiamo visto qui. fdrcrfdeee [questo lo lascio perché l'ha scritto Otto].
Insomma, il valoroso alleato alemanno, prima di picchiarci, aveva bisogno che noi ci legassimo le mani dietro la schiena. So che è un po' urticante come metafora, ma lo è perché è calzante, non perché sia originale:
(neanche l'esito è originale: si sta ripetendo proprio in questi giorni...). Si potrebbe obiettare che i cambi erano de facto fissati dal 1997 e che in quel periodo la Germania non se la passava benissimo, quindi avrebbe avuto un incentivo ad aggredire, ma... si dimentica che per fare i tagli salariali occorre il macellaretto dal grembiule rosso! Nel 1997 c'era Kohl! Le riforme Hartz (con i minijob e tutte le cose che conoscete) furono messi in opera da Schröder, dopo la sua riconferma nel 2002, con una traballante maggioranza rosso-verde, ma naturalmente un progetto così meticoloso di smantellamento dei diritti e dei salari non si fa in un giorno. L'elaborazione avvenne durante il primo governo Schröder, che riportava a sinistra l'asse della politica tedesca dopo vent'anni di governi del cavolo (Kohl).
Più preoccupanti sono le conseguenze di questa race to the bottom. La corsa al ribasso sui salari ha avuto due effetti catastrofici ed epocali, uno legato allo strumento utilizzato per realizzarla (l'austerità), uno legato direttamente agli effetti della deflazione salariale.
L'austerità ha causato un arresto della crescita italiana di dimensioni epocali. Una cosa simile, come ben sapete, non si era mai vista:
Stiamo parlando di una distruzione di reddito di dimensioni epocali, che non ha pari per intensità, ma soprattutto per durata, nemmeno nella più sanguinosa e distruttiva (per noi) delle due guerre mondiali, e se zoomiamo sull'ultimo pezzo del grafico possiamo farci un'idea, se pure approssimativa, di quanto reddito sia stato perso, confrontando il risultato storico col controfattuale costruito estrapolando la tendenza dal 1950 al 2007:
Ci siamo fumati 7000 miliardi così...
Ma non è tutto qui, i danni sono stati profondi e strutturali. La deflazione salariale ha causato una errata allocazione del fattore lavoro, come vi ho spiegato all'ultimo #goofy:
Le forze in gioco sono almeno tre: l'effetto Ricardo, ovvero lo spostamento verso tecniche a più alta intensità di lavoro, meno produttive ma più convenienti se il lavoro costa troppo poco; l'effetto precarietà, che scoraggia l'investimento in competenze (cioè, in soldoni, se sai che ti cacciano chi te lo fa fare di imparar bene il mestiere?); e il salario di efficienza, cioè il fatto che l'impegno del lavoratore è proporzionato alla remunerazione che riceve. Questi effetti, a partire dal 2004, susseguono e si combinano agli effetti di cattiva allocazione del capitale che la moneta unica ha determinato, anch'essi secondo plurimi canali:
e il risultato è quello che molti non vogliono vedere:
e che qui vi propongo coi dati dell'OCSE: dopo quasi trent'anni di recupero della produttività europea nei confronti di quella statunitense, dall'ingresso nell'unione monetaria le due produttività si divaricano nuovamente, e la stagione della deflazione salariale segna una marcata accelerazione del fenomeno.
Riassumendo: la pervicace volontà della potenza egemone (la Germania) di alimentare la propria crescita con la domanda dei Paesi circonvicini (esportazioni) anziché con investimenti e consumi, cioè un modello di crescita export-led anziché wage-led, ha condotto alla crisi debitoria, ha interrotto la crescita, ha compromesso la produttività.
Ciononostante, pur avendo subito un enorme danno, noi usciamo da questa crisi dopo un tempo infinito ma in condizioni che ora sono migliori di quelle di chi in questa crisi ci ha cacciato, perché alla fine, se nel mondo non esiste giustizia, in economia esiste l'equilibrio. Un'economia industriale come quella tedesca non può andare avanti per decenni sottoinvestendo in infrastrutture, ad esempio, e poi, naturalmente, vale sempre l'adagio che chi esporta beni importa problemi.
L'arrogante surplus tedesco non poteva passare inosservato a chi si era già inalberato per il surplus giapponese e per quello cinese.
Ma queste cose le sapete.
Ora vi lascio, magari domani, o nei commenti, facciamo qualche considerazione pro futuro, anche se le conclusioni da trarre mi sembrano piuttosto ovvie: se è chiaro dove abbiamo sbagliato, sarà chiaro che cosa dobbiamo fare per risollevarci.
Il contrario.
(...buona notte! Tutta questa roba in 15 minuti non riesco a dirla, quindi aiutatemi voi a immaginare che cosa possa essere più "impressionante" per dei colleghi...)
(...vi avevo promesso di dimostrarvi che la somma algebrica del saldo "Germania" e del saldo "Altri europei" approssimava bene il saldo complessivo dell'Eurozona verso il resto del mondo. Ecco il grafico:
e come vedete l'andamento è assolutamente allineato...)
TikTok
Mi sono messo su TikTok. Chi lo desidera mi trova qui. Penserete che sia per parlare ai ggiovani, e pensereste male. A me la retorica delle generazioni future dà un immenso fastidio, superato solo da quello cagionato, appunto, dalle generazioni future. Credo che lo scandalo USAID, una volta fatta chiarezza, ci consentirà di riabilitare e vedere nella giusta prospettiva un governante che ha immeritatamente goduto di pessima stampa.
Il fatto è che c'è una cosa che non sapete: oggi TikTok è il social dei vecchi!
Me ne sono accorto parlando con un militante abruzzese al tempo del grande scandalo suscitato dal nuovo codice della strada (a proposito, se ne parla più? Mi pare di no. Vedete che quando gli altri strepitano basta tenere botta?). Mi chiedeva argomenti, e io glieli davo. A un certo punto, visto che lui si profondeva in ringraziamenti, je sò ditte: "Scusa, però: queste cose sono nei social di Matteo, li ha postati su Twitter e su Facebook, e poi Claudio Borghi su Twitter ha fatto una spiegazione accuratissima di cosa cambia e cosa non cambia, e ha spiegato che queste sono fake news, e per finire l'ufficio stampa ha fatto delle infografiche che vi ho anche distribuito in chat regionale. Ora: non dico star dietro a tutte le chat, non dico seguire i parlamentari più rilevanti, non dico seguire il parlamentare del tuo collegio, ma almeno Matteo!..."
Risposta: "C'hai ragione onoré, ma io su Twitter non ci sto perché non riesco a seguirlo, su Facebook non ci sta più nessuno, e a me queste notizie false me le aveva dette mio suocero perché le aveva viste su TikTok!..."
Replica: "Fai bene a non stare su Twitter, e ti prometto di mettermi su TikTok!"
Promessa mantenuta!
(...per parlare ai suoceri, in attesa di pubblicare "Contro i giovani", progetto editoriale al quale mi dedicherò dopo la ristampa del Tramonto e il quindicennale di Goofynomics...)