Fedeli al nostro principio di non occuparci dell'attualità, che è l'unico modo per anticiparla (come mi accingo a dimostrarvi), tralascio il commento del fatto del giorno (l'esito del voto amministrativo), che per quel che mi riguarda può essere riassunto da questo tweet:
(ovviamente su questa antropologia ci sarebbe molto da discutere e altrettanto ovviamente in questo blog se n'è ampiamente discusso) per tornare sul nostro ultimo post, quello in cui ci si interrogava sui
misteri della fede contabile.
Tre giorni fa, cioè quattro giorni dopo il nostro post, l'ANSA ci informa che:
i senatori provano "disagio" (vedi il
dizionario).
Ci sarebbero molte considerazioni da fare, per chi il Dibattito lo ha seguito. Potremmo ad esempio chiederci perché colleghi che hanno plaudito all'austerità quando qui, fedeli al nostro compito di essere inattuali, annunciavamo come sarebbe andata a finire, ora si dissocino in disordine e senza speranza dal metodo di governo che hanno rivendicato con tanta orgogliosa sicurezza. Potremmo anche ricordare che l'applicazione di questi occhiuti controlli non ha impedito al debito di esplodere proprio a partire dall'approvazione della legge che nel 2012 che ha introdotto il cosiddetto "pareggio di bilancio" in Costituzione (e se una legge non funziona, forse andrebbe cambiata - dico forse, eh!).
Per aiutarvi ad anticipare, però, vorrei svolgere con voi due considerazioni forse meno ovvie, ragionando brevemente con voi di teoria lamarckiana delle élite, e di marchettificio. Sono considerazioni che ho avuto modo di esporre nel corso dell'ultimo weekend a diversi imprenditori e professionisti del mio collegio territoriale, saggiandone la resistenza dialettica, e qui ve le offro, a voi che siete il mio collegio digitale.
Partiamo dalle élite.
Dato l'argomento, potreste legittimamente supporre che l'aggettivo "lamarckiano" si riferisca a Roberto IV de La Marck, duca di Bouillon, conte di Braine, signore di Sedan e di vari altri luoghi, nonché maresciallo di Francia e capitano dei cento svizzeri della guardia reale (questo e altri dettagli sulla sua famiglia qui). Più élite di lui! Scelto per comandare un corpo scelto: se élite viene da eligere, cioè da scegliere, non potremmo trovare esempio migliore!
Ha un solo difetto: non c'entra nulla con quello che volevo dirvi. La mia personale teoria delle élite non è lamarckiana nel senso di Robert ma in quello di Jean-Baptiste, il Lamarck del collo delle giraffe, per capirci, quello che: "l'uso sviluppa l'organo".
Ecco, appunto: se l'uso sviluppa l'organo, un Paese colonizzato fatalmente avrà élite di qualità scadente, per il semplice motivo che a mano a mano che si restringono i suoi spazi decisionali, compressi da condizioni e condizionamenti (quelli che voi chiamate "condizionalità") della più svariata natura, cioè a mano a mano che diminuiscono le scelte da fare (perché sono fatte altrove), l'organo che deve farle, cioè l'élite, si atrofizza. Le élite italiane sono ampiamente atrofizzate. Episodi come quello stigmatizzato da Liturri su La Verità di ieri:
(la tardiva notifica alla DG COMP della misura "Decontribuzione sud") sono all'ordine del giorno e sono sintomatici di questa atrofia (si potrebbe ragionare sul caso MPS, ad esempio...).
Ci viene detto che se non siamo in grado di difendere i nostri interessi in "Europa" è colpa nostra, perché non andiamo in quelle sedi a difendere i nostri interessi. Ma si dimentica sempre di dire che chi per lavoro dovrebbe difenderli, questi interessi, non ha alcun incentivo, neanche economico o di carriera, a farlo, perché appartiene a un blocco di potere che trae la propria legittimità dal compiacere i voleri del podestà straniero.
Capite bene che la sfida intellettuale, culturale, antropologica che questo stato delle cose pone si situa a un livello sideralmente distante dalla pur comprensibile ottusità di chi "voto PD perché la punturina" (vedi la prima figura di questo post). Vorrei solo ricordare, per far capire ai petulanti di che cosa stiamo parlando, che i contratti sul noto siero della discordia sono contratti europei, fatti e segretati in Europa. Ora che i petulanti hanno capito che stiamo parlando anche dell'unica cosa che interessa loro, nella loro tardiva presa di coscienza, possiamo riprendere il nostro cammino, lasciando che i bambini continuino a prendere a calci la gamba del tavolo sul cui spigolo hanno sbattuto la testa perché erano distratti (da trent'anni, ma va bene così).
Per cambiare questo stato di cose occorre un lavoro lento e paziente. Se i tempi di questo lavoro non sono compatibili con gli umori dell'elettorato, questo lavoro non arriverà a compimento. Non è un mio problema: sono anni che qui descriviamo le più varie sfaccettature politiche, sociologiche, antropologiche, perfino neurologiche del fenomeno! E conseguentemente sono anni che qui ci siamo rassegnati a un dato: se uno stato delle cose insostenibile è anche irreversibile (così ci è stato detto) la transizione verso uno stato sostenibile sarà necessariamente traumatica. Ci siamo anche raccontati più volte che per attenuare le conseguenze di quel trauma sarebbe stato meglio se ci fosse arrivati con (i) una presa di coscienza più ampia possibile e (ii) una presenza minima di senzienti (cioè di persone in grado di capire le dinamiche profonde in atto e quindi di anticipare gli eventi) nelle istituzioni. Tuttavia, dal bilancio degli ultimi due anni traiamo due considerazioni relativamente nuove: intanto, per quanto ampia possa essere la presa di coscienza, non potrà mai esserlo abbastanza in un contesto in cui il controllo dei media è della controparte e i social media sono sempre più soggetti a censure e inquinamenti di vario tipo (un bel pezzo dei "nonvivotopiuuuh", come vi ho più e più volte dimostrato su Twitter, sono parte di questo inquinamento, trattandosi per lo più di gente che non ci ha mai votato - tralascio anche il fatto che non avendo mai voluto il consenso non ho nemmeno più "e sti gran cazzi!?" da offrire loro in risposta...). Aggiungo, sul tema "presa di coscienza", che l'autentica presa di coscienza è quella promossa da solidarietà: insisto sul fatto che chi si sveglia perché sono venuti a mettergli le mani addosso sotto questo profilo è e resta totalmente inutile. Sul tema "contenuto minimo di senzienti", l'esperienza fatta dentro la macchina ha luci ed ombre. Le persone consapevoli sono un po' ovunque e nei ruoli più svariati, ma metterle in rete è un compito arduo se non impossibile, in primo luogo perché una visione alternativa del Paese, quella di un Paese non colonizzato, è soggetta ovunque a uno stigma sociale di fronte al quale quello di cui tanti ultimi arrivati si lamentano è poca cosa (e qui dovreste saperne qualcosa, e forse dovreste aver finalmente capito che declassare il patriottismo a sovranismo non è stata un'idea geniale, come spiegato a suo tempo). Aggiungo che è difficile anche solo quantificare il contenuto minimo di senzienti organizzati necessario per fare un lavoro che vada oltre la dimensione testimoniale, che possa incidere sulle scelte cruciali. Certo, in alcune situazioni anche un singolo uomo può fare la differenza, nelle piccole come nelle grandi cose (esempio recente: se non mi fosse venuto in mente di farvi leggere la bozza di relazione finale della Commissione amore, con tutte le cose che ho da fare, sarebbe passato un documento che esortava ad assoggettare i fondi europei alla "lotta contro l'odioh" e propugnava l'istituzione di una authority "contro l'odioh"). Resta il fatto che la trasmissione efficiente di un indirizzo politico richiede il coinvolgimento di una quantità sterminata di persone, il che ci riporta a una considerazione qui più volte svolta: con buona pace del racconto moralizzante e irenico di quelli che si vantano di aver vinto una guerra che il Paese aveva perso, l'Italia è stata ricostruita coi e quindi (anche) dai fascisti, e così la costruzione di una nuova autonomia strategica non potrà prescindere dall'apporto di quelli che stavano tanto bene in un paese ad autonomia ridotta. Vedo che invece sui social continua a prevalere l'atteggiamento sillano-grillino della "lista di proscrizione". A Silla non è andata bene e a Grillo non sta andando meglio, ma si sa che la storia insegna ecc. Qui però qualcosa abbiamo imparato, e quindi, oltre a proseguire nell'ammagliare la rete sparsa di chi è consapevole, impariamo a relazionarci con gli inconsapevoli, nell'attesa di doverli coinvolgere.
Sempre sperando che a quel punto il loro collo si allunghi, cioè, fuor di metafora (altrimenti i norimberghisti equivocano), che dovendo prendere finalmente delle decisioni, maturi rapidamente in loro l'orgoglio e la capacità di farlo.
Proseguiamo (rapidamente) col marchettificio.
Nessuno può sospettarmi di antipolitica: tutta la battaglia culturale (persa) di questo blog è stata indirizzata a mettervi in guardia contro una cosa ovvia: in una democrazia parlamentare chi scredita il Parlamento lo fa per privare il popolo della capacità di incidere sull'indirizzo politico del Paese. Al termine di questo degrado ci siamo trovati con un Governo che esplicitamente indirizza il Parlamento e esplicitamente rifiuta di accettare gli indirizzi parlamentari. Il giochino dell'antipolitica, oltre a essere ovvio, è anche del tutto scoperto: si squaderna ogni giorno davanti ai vostri occhi, ma sono pochi, veramente pochi quelli che non si lasciano distrarre, e sarei tentato, se non mi fossi imposto per metodo di non farlo, di pensare che siamo oltre il punto di non ritorno. Fatta questa premessa, vorrei dire che la levata di scudi contro la Ragioneria a campagna elettorale iniziata (ma come? Non è finita? No, è iniziata! Visto che siete sempre in ritardo?...) si presta in effetti a essere interpretata come una difesa strumentale del "marchettificio", e forse, per essere totalmente onesti, lo è. Se il Parlamento fosse effettivamente favorevole a una (o più) misure cui il Governo oppone la mancanza di risorse, potrebbe anche decidere di votare contro il parere del Governo, come più volte ha fatto. Del resto, il grafico del post precedente ci chiarisce il mistero per cui in assenza di uno scostamento di bilancio degno di questo nome si siano però trovati "nelle pieghe del bilancio" svariati miliardi per sovvenire alle più varie esigenze (in particolare, all'aumento dei costi dell'energia). Le risorse se si vuole si trovano. Ma allora, perché il Parlamento non si impone?
In parte credo dipenda dalla natura esageratamente ibrida di questa maggioranza, che rende sostanzialmente impossibile trovare un tema comune sufficientemente forte da giustificare un'opposizione trasversale, o comunque la creazione di una maggioranza alternativa, tant'è che quando si è riusciti a mandare sotto il Governo lo si è fatto su temi che avevano una loro trasversalità geografica... L'idea di farsi dare la croce addosso da tutti i giornali per un atto di ribellione non sufficientemente "resistente" spiace ai gruppi, e quindi invece di prendere in mano la situazione ci si lamenta. Fatto sta che quando queste critiche vennero espresse più di due anni or sono dal nostro capogruppo, non si riuscì a trovare un gran consenso, anzi!
Ci sarebbero poi altre considerazioni da svolgere sulla disciplina di partito e sul PNRR. Ma le faremo più tardi: ora iniziano le riunioni...