L’economia esiste perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale. Per contribuire a una lettura più equilibrata della realtà abbiamo aperto questo blog, ispirato al noto pensiero di Pippo: “è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita”. Una verità semplice, ma dalle applicazioni non banali...
Nel post precedente Ciaone ha chiesto come mai la Polonia abbia conservato la propria valuta nazionale, rilevando che questo le conferisce un vantaggio sugli altri Stati membri. Non ha reagito benissimo al mio caloroso "benvenuto fra noi!" che non aveva lo scopo di mettere lui di fronte alla sua ignoranza (non mi permetterei mai), ma di mettere tutti voi di fronte all'ignoranza del resto del mondo. Sono reduce da una serata in cui, sia pure in modo piacevole e per certi versi "progressivo", si è comunque reinventata la ruota, come dicono gli inglesi. Chi sta qui da un po' non ha idea di quale sia il suo vantaggio comparato sul resto del mondo, e anzi commette l'errore di pensare che quanto qui abbiamo appreso in quattordici anni di percorso comune, di mutuo arricchimento culturale, sia patrimonio condiviso.
Non è così!
Le domande che mi sono sentito fare questa sera denotavano una totale inconsapevolezza dell'esistenza di serie criticità (per essere gentili) nel progetto europeo, per non parlare poi di analisi di ordine superiore circa le motivazioni e la genesi di queste criticità. La gente semplicemente non sa, semplicemente non capisce che il suo mondo (il mondo in cui lei vive) è una loro rappresentazione (una rappresentazione orchestrata e gestita dai suoi nemici di classe). Nel momento in cui apri un giornale invece di un libro, hai già perso la lotta di classe, e di libri non ne mancano, e presto ce ne sarà uno particolarmente utile (anche se nel titolo c'è una parola particolarmente dannosa). I giornali puoi sì leggerli, ma solo dopo aver capito bene come vengono scritti, quale fabbrica del falso siano, quali stregoni della notizia ci lavorino.
Prendiamo una delle tante cose che secondo me pochi sanno: l'Eurozona non coincide con l'Unione Europea, che a sua non coincide con l'Europa e in questo momento è ad almeno tre "velocità" (cioè coesistono in essa tre regimi):
1) Stati membri (dell'Unione) la cui valuta è l'euro: Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Grecia, Slovenia, Cipro, Malta, Slovacchia, Estonia, Lettonia, Lituania, Croazia (dovrebbero essere venti, magari ricontateli, fosse successo qualcosa nella notte...);
2) Stati membri che conservano la valuta nazionale in virtù di deroghe (clausole di opt-out) definite nei Trattati: prima erano due (Regno Unito e Danimarca), ora ne è rimasto solo uno (sapete quale);
3) Stati membri che non hanno ancora adottato l'euro ma non beneficiano di una deroga, quindi a tendere lo adotteranno (in teoria): Svezia, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania, Polonia, Bulgaria;
e fino a qui siamo a 20+1+6=27 Stati membri dell'Unione, ma se ci riferiamo all'Eurozona dobbiamo sapere anche che esistono:
4) Stati non membri dell'Unione che hanno adottato l'euro in seguito ad accordi bilaterali: Andorra, Monaco, Vaticano e San Marino (piccoli, ma non trascurabili);
5) Stati non membri eurizzati, cioè che hanno deciso di adottare unilateralmente l'euro: Montenegro e Repubblica del Kosovo,
dove la differenza fra (4) e (5) è che i Paesi sub (4) possono coniare monete (ma non stampare banconote), mentre i paesi sub (5) (cioè gli "eurizzati") non possono nemmeno coniare le monete.
Vi sembra abbastanza complicato?
No, è peggio di così, perché, ad esempio, non tutti gli Stati la cui valuta non è l'euro lasciano fluttuare liberamente il cambio. Basta fare il disegnino (sono solo 7):
Sicuramente il leu si è svalutato molto, il forint ha ceduto in misura minore, zloty e krona hanno avuto alterne vicende e la koruna invece si è tendenzialmente rivalutata (nota bene: sono quotazioni incerto per certo, quindi se salgono significa che ci vogliono più unità di valuta nazionale per acquistare un euro, cioè che la valuta nazionale vale meno). Se togliamo queste cinque valute, noteremo una differenza fra le restanti due:
il lev (che non ha opt-out)ha cambio praticamente fisso (a parte qualche mal di pancia iniziale), mentre la krone (che ha un opt-out) oscilla in una banda ristretta, nonostante formalmente entrambi abbiano adottato (la Danimarca non essendo tenuta a farlo) il regime ERM-2 o AEC-2 che dir si voglia. Quindi, pensate un po': dei due Paesi con opt-out, uno lasciava fluttuare il cambio (il Regno Unito) e l'altro no (la Danimarca), quest'ultimo era entrato in banda di oscillazione ristretta non essendo tenuto a farlo, mentre la Bulgaria in realtà non è esattamente entrata in banda di oscillazione ristretta (il che comporterebbe che stesse iniziando il suo percorso verso l'euro), ma ha semplicemente ereditato un precedente aggancio valutario con il marco tedesco (un currency board in vigore dal 1997), e se l'è tenuto, difendendolo con qualche difficoltà, il che significa però che è di fatto nell'euro, pur non essendo un Paese eurizzato.
Se vi è venuto un lieve mal di testa vi capisco, considerando che siamo a circa sette diversi regimi, e ovviamente non stiamo considerando l'Europa non unionale, che presenta Stati non banali come Svizzera e Norvegia.
Ora: quanti di voi la sapevano tutta? O, di converso, quanti di voi identificavano "Europa" e "euro"?
Se facciamo un focus sulla Polonia, il Paese che interessava a Ciaone, la situazione è questa:
una bella svalutazione di quasi il 30% in occasione della crisi del 2009, descritta a pag. 75 de L'Italia può farcela, poi recuperata, e da lì in avanti una tendenza alla svalutazione fino al 2022, poi recuperata anch'essa.
Ora, a voi è stato raccontato che l'euro è stato fatto per non indurci in tentazione, per non farci svalutare, ma vi ho spiegato e mostrato coi fatti che la realtà era un'altra: il suo scopo era quello di impedire alla Germania di rivalutare, lo scopo dell'euro era cioè di inibire un meccanismo di mercato che avrebbe corretto il gigantesco surplus tedesco, che la Germania non voleva correggere. Ma le cose stanno peggio di così! Eh sì, e dovreste averlo capito: perché mentre da un lato la Germania manipolava la propria valuta impedendole di rivalutarsi in modo da conservare competitività di prezzo rispetto ai Paesi terzi (fra cui gli Stati Uniti), dall'altro, però, uno dei suoi principali subfornitori, la Polonia, che è il secondo Paese di provenienza delle sue importazioni dopo gli Stati Uniti, svalutava progressivamente la propria valuta, cioè la Germania (l’euro) si rivalutava rispetto allo zloty, rendendo così sempre più convenienti la componentistica e i semilavorati polacchi per l'industria tedesca.
Insomma: la Germania, con questo bel guazzabuglio di arrangiamenti monetari a millemila velocità, è riuscita nel duplice scopo di manipolare al ribasso la propria valuta verso i suoi clienti, mentre beneficiava di un ribasso della valuta dei suoi fornitori! Vendi sottoprezzo e ti rifornisci sottocosto: che vuoi di più dalla vita? Guadagni competitività perché svaluti rispetto al dollaro e perché rivaluti rispetto allo zloty, cioè lo zloty svaluta rispetto a te...
E così abbiamo anche risposto alla domanda di Ciaone: "a chi faceva comodo?". La domanda non è mal posta, ma forse un po' superflua. I rapporti di forza vigenti finora rendevano la risposta sufficientemente ovvia: a chi comanda(va), cioè alla Germania. So che molti di voi storceranno il nasino, ma against this backdrop qualsiasi cosa faccia comandare un po' di meno la Germania mi sembra debba essere visto come un successo, o almeno come la mitigazione di un danno, anche se comporta scelte geopolitiche urticanti per alcune sensibilità.
Liberi voi di pensarla diversamente: io la penso così, e credo di avervi spiegato oggi il perché.
Un paio di anni fa vi feci vedere che prima della Strafexpedition tedesca (per restare in tema di 25 aprile) contro gli Untermenschen colpevoli solo di aver acquistato beni tedeschi gli squilibri commerciali fra Paesi europei erano rimasti all'interno dell'Eurozona. Falcidiate le popolazioni periferiche con una raffica di austerità, nell'inverno del '43 (no, scusate, quelli erano i Limmari, che ora risarciremo, forse, coi soldi del PNRR, cioè coi soldi nostri), nell'inverno del '13 la Germania, non potendo invadere la Polonia, che ora si difendeva con l'arma più potente (la flessibilità del cambio) invase gli Stati Uniti con le proprie auto:
Questo è il grafico che vi mostrai all'inizio del 2023 nel post sui banchieri filantropi, mentre qui trovate l'analisi più dettagliata che ho esposto al nostro convegno del 5 marzo, descrivendo 50 anni di squilibri europei e globali:
Non sapevo, nonostante che gli squilibri globali fossero già all'epoca un mio tema di ricerca, e apprendo oggi da un amico che se ne era nel frattempo dimenticato, che un paio di anni prima che l'Unione Europea adottasse, sotto l'egemonia del Reich millenario, politiche deliberatamente volte ad alimentare questi squilibri, uno de passaggio aveva esplicitamente chiesto ai Governi del G20 di attuare politiche per ridurli:
E no, non lo mandava Trump: lo mandava Obama! Pensate un po'! Quello che Draghi è venuto a farfugliare in Senato, Geithner lo diceva chiaro e tondo al G20 quindici anni prima (nell'anno 1 a.G.):
Ci sarebbero diverse riflessioni da fare, ma vado di corsa perché devo essere alle 20 a Bucchianico per accogliere l'ex direttore amministrativo dell'Ospedale San Giacomo di Roma. Mi limito a quella ovvia: le istituzioni multilaterali hanno fallito nel guidare i Governi mondiali verso una soluzione cooperativa di quello che veniva all'epoca percepito come un problema, e l'Unione Europea, addirittura, implementò due anni dopo il richiamo di Geithner politiche che andavano frontalmente contro l'idea di spostare l'asse della crescita dalla domanda esterna alla domanda interna, e lo fece perché questa è la sua natura, perché sono i suoi Trattati a chiederle di comportarsi in modo "competitivo" (cioè beggar-thy-neighbour): citofonare Barra Caracciolo per esaustiva trattazione del tema!
L'Unione Europea resta quindi una minaccia per un ordinato e pacifico sviluppo dell'economia mondiale, anche se mi rendo conto che questo sia impossibile da far capire a quelli che dopo aver cacciato (da soli?) i tedeschi dalla porta, li hanno poi fatti rientrare dalla finestra, costringendoci per la seconda volta in un secolo a condividerne il destino, quando la principale lezione della Storia del XXI secolo era proprio che convenisse tener separata la propria politica da quella di nazioni animate da una grottesca Wille zur Macht. Legarsi al più suicida dei nazionalismi non è combattere il nazionalismo, ma hai voglia a insistere: è un dialogo fra sordi, o, forse, come si direbbe a Roma, fra sòrdi (cioè fra grandi capitali).
E ora vado a riverire una persona che ha fatto del bene, perché ha saputo cambiare vita.
Non poteva che finire così: l'autore del blog che non c'è non poteva che diventare il rappresentante di una Regione che non c'è, la cui arte, geografia, storia non fanno parte del bagaglio culturale dell'italiano colto. Dell'orso sanno tutti, delle piste da sci troppi, degli arrosticini molti, i più ardimentosi si spingono fino ai trabocchi, i più appassionati ricordano gli alianti di Skorzeny, i più dotti (forse) Bominaco, o Saturnino Gatti, o (ma la vedo difficile) Andrea De Litio, e poi, va da sé, qualcuno conosce Flaiano, molti credono di conoscerlo, e tutti conoscono D'Annunzio (o pretendono di conoscerlo).
Dimentico qualcosa, di quanto sapete voi?
Lo confesso: all'inizio (e parlo quindi di vent'anni fa, perché sono ormai vent'anni che lavoro in Abruzzo, e sette che indegnamente lo rappresento), quando giravo per certe città o paesi di questa Regione (di cui comunque preferivo, nella mia connaturata misantropia, le creste e gli altopiani isolati) non potevo nascondere un sentimento di sufficienza nell'imbattermi in spiacevoli soluzioni di continuità: talvolta un rudere diroccato, o un cumulo di macerie, o ancora qualche palazzina moderna, tutta cemento, intonaco e alluminio anodizzato. Lacerazioni vistose del tessuto architettonico dei centri storici, niente a che vedere col travertino di Montepulciano o col cotto di Pienza, i paesi della mia infanzia, pressoché intatti nella nitidezza del loro disegno rinascimentale; episodi che prima facie se non a trasandatezza o scarsa attenzione delle amministrazioni, potevano rinviare a storie di povertà, economica o culturale che fosse. Solo da poco ho capito una cosa che non sarebbe poi stato così difficile intuire, soprattutto a conoscere la storia dell'Abruzzo: se tanti borghi hanno perso in tutto o in parte il loro fascino antico, i loro palazzi gentilizi, le loro chiese, le loro case dagli infissi squadrati in pietra scolpita dagli scalpellini di Pennapiedimonte, le loro ringhiere in ferro battuto dagli artigiani di Guardiagrele o di Pescocostanzo, se il loro tessuto urbano è così dolorosamente lacerato, se presenta cicatrici così mal rabberciate e risarcite, un motivo c'è, ed è un motivo commovente e angoscioso, che mi fa guardare con affettuoso e coinvolto rispetto, considerandolo come testimonianza di un impreveduto e immeritato martirio, ciò da cui prima distoglievo un po' altezzosamente lo sguardo.
La Regione che non c'è è stata vittima della sua geografia che nessuno conosce, ma che la Wehrmacht conosceva bene. Si vis pacem, para bellum, e i tedeschi, in questo affini al vostro autore preferito, pensando che se qualcosa avesse potuto andar male lo avrebbe fatto, prima che le cose cominciassero ad andar male avevano mandato, travisati da turisti, dei loro cartografi a zonzo per l'Italia centromeridionale, alla ricerca di linee che si prestassero a organizzare una difesa. The Hamptons is not a defensible position, ma la sinistra orografica del Sangro (sarebbe il versante Nord, per quelli meno addentro) lo è, oh se lo è!, soprattutto, ça va sans dire, se la potenziale minaccia si immagina possa arrivare da Sud. E così i monti Pizzi, e in particolare Pizzoferrato, da dove si vede tutto, da Vasto alle montagne dello spartiacque, attrassero la loro attenzione, quella dei cartografi, e qui venne attrezzata la linea Gustav, dove vi ho portato in più di una diretta Facebook. Più in generale questa Regione, fatta di fiumi (Trigno, Sinello, Sangro, Aventino, Moro, Foro, Alento, ecc.) che scendono a pettine dalle montagne verso il mare, perpendicolarmente, creando altrettante trincee, fu il luogo dove si combatté una battaglia di ferocia uguale a quella combattuta a Ovest della cresta spartiacque, ma totalmente caduta nel dimenticatoio. Di Montecassino saprete tutti, ma della battaglia del Sangro credo sappiano pochi. La cosa che perdevo di vista era appunto questa: quello che ha fatto perdere a tanti paesi il loro antico fascino, preservato integralmente in pochi casi (Pescocostanzo fra tutti), è proprio questo: i Liberator dei liberatori, e gli Immergrün degli invasori.
Città come Orsogna, o Castel di Sangro, o la stessa Ortona
vennero completamente piallate dall'artiglieria, mentre i tedeschi resistevano alla pressione dell'ottava armata inglese di Montgomery, e dei reparti alleati: canadesi, neozelandesi, poi polacchi. E certo oggi Tommaso riposa in una diversa basilica:
che ma un motivo c'è, e va ricercato nella storia.
Una storia cui si intrecciano tante altre storie di eroismo e di viltà, fra cui suggerirei, per chi non la conoscesse, quella della brigata Maiella, che ha avuto uno dei suoi episodi culminanti proprio nella chiesa in cui ho inciso il mio ultimo disco:
(se ingrandite, vedrete nell'abside i fori delle pallottole, che i cittadini di Pizzoferrato non hanno voluto stuccare - e hanno fatto bene!).
Qualche mese fa (era a gennaio), salendo lungo la costa a Ortona da San Vito, dove ero stato a incontrare un collega per apprendere da lui alcune delle mille storie del mio collegio (perché anche questo fa parte dell'impegno che ho preso con i miei elettori: avere l'umiltà di ascoltare chi ne ha viste più di me), avendo, per una volta, tempi non troppo contingentati, mi sono lasciato tentare da una deviazione:
Their name liveth for evermore!
Quando c'è, perché alcuni sono ignoti, cioè, come si dice nella loro lingua:
Known unto God (ed ho imparato che questa formula così ispirata ed espressiva era stata scelta da un poeta nominato dalla Imperial War Graves Commission: ci sono anche burocrazie che funzionano...). Tirava un vento porco, ma non sentivo freddo (era l'11 gennaio e poi l'avrei pagata). Erano i canadesi: passavo in rassegna smarrito e colpevole il loro schieramento:
più ordinato e solenne di quello dei miei VAM di Torricola, e pensavo che l'inglese, in fondo, è una bella lingua:
o almeno così risultava, in quelle lapidi, al confronto con la da me tanto amata e frequentata lingua francese. La sintesi e la concisione conferivano alla lingua imperiale una potenza certo amplificata dalla sacralità del luogo.
Poi, a Ortona, a casa di un altro rispettabile politico di lunga esperienza, mi sono imbattuto in un bel libro sulla battaglia di Ortona, apprendendo così dell'esistenza del "Moro river":
Chissà che età aveva il ragazzo della prima foto, chissà se ha portato la pelle a casa, se ha ancora un nome, o se è noto solo a Dio. Chissà che cosa stavano osservando i suoi occhi sgranati sotto al Brodie. Chissà se ci era voluto venire, sulla sponda Sud del Moro river, o se ce lo avevano costretto, o se non si era posto troppe domande, nel partire, ritenendo che quello fosse un suo dovere, o magari ignorando che cosa questa decisione, presa o subita, significasse: fango, sangue, terrore... Noi oggi non possiamo concepire, perché non vogliamo vedere. Sta succedendo ancora, non ha mai smesso di succedere, quelli che ci hanno propinato il mito irenico dell'Europa sono gli stessi che non hanno voluto, e tuttora non vogliono, fare i conti con quello che è successo, perché vogliono rimuovere quanto sta succedendo, e soprattutto il perché stia succedendo, e il perché potrebbe succedere di nuovo (cioè il perché potrebbe succedere a noi, perché è sufficientemente chiaro, e la storia dei punturini ce lo ha definitivamente chiavato in testa, che finché non succederà a noi non capiremo che la Storia non è finita).
Vorrei dirvi molte altre cose, ma devo dormire. Non mancheranno occasioni.
(...oggi, rientrando da Pizzoferrato verso Fortunati con Rex,
a Casale Greci - c'è anche Casale Turchi, Pizzoferrato è stato costretto all'inclusività dalla sua lunga storia - due cani ci hanno aggredito. Pareva ce l'avessero con lui, che non si sottraeva. Devo dire che la mia prima reazione è stata quella di lasciare che se la spicciassero da soli. Ho sempre avuto paura dei cani: l'appostismo non è una loro virtù, la troppa confidenza con l'uomo li rende pericolosi. Quando poi ho capito che Rex era in difficoltà, ho pensato che fosse troppo facile abbandonare al suo destino qualcuno che aveva avuto la cortesia di accompagnarmi dove avrei preferito non essere solo, e allora ho fatto l'uomo: ho deciso che comandavo io, che in cima alla piramide alimentare c'ero io - anche se a mani nude avrei potuto essere smentito - e mi sono convinto di avere coraggio, "facendo brutto" ai due aggressori. Ripristinata la gerarchia naturale - cioè artificiale - delle cose, Rex si è venuto immediatamente a rifugiare fra le mie gambe, come mi hanno detto che facciano i cani quando sentono il lupo - o una sua convincente imitazione - mentre io invitavo col mio proverbiale garbo i suoi distanti cugini ad andarsene per i fatti loro. Evidentemente sono riuscito a convincerli che non mi spaventavano, ma non era così. D'altra parte, Rex è community, ormai - e qualcuno di voi sa che per quanto vi possa trovare appiccicosi e indigesti, quamdiu fecistis uni de his fratribus meis minimis, mihi fecistis. Entro certi limiti, non sempre gestibili, la paura è una scelta. Sarebbe bello non dover sondare questi limiti, ma purtroppo, come ci ricorda questo racconto, e la sua foto d'apertura, questo non è sempre possibile. Non abbiate paura... o almeno non fatelo vedere!...)
Scusate: un rapidissimo post di servizio per chiedervi una mano.
Qui ormai i “veci” sono pochi, o forse i “bocia” sono troppi. Credo che possa essere utile, per aiutare i nuovi arrivati a orientarsi, rimettere un po’ di ordine nelle pagine “chi sono” e “per cominciare” (e forse anche in altre pagine, come “video”). Sono quelle che vedete nei menù qui:
o qui:
a seconda del dispositivo che state utilizzando.
Mi è venuto in mente vedendo Wendelgee rispondere a idivev sul riferimento al paper di Reinhart e Sbrancia, uno dei paper fondamentali per lo sviluppo del nostro pensiero e per la comprensione di quello che potrebbe accadere (ci tornerò con calma domani sera dalla montagna).
Credo che l’ultima revisione di quelle pagine risalga a almeno 10 anni fa, e nel frattempo sono successe tante cose: abbiamo incontrato sul nostro percorso altre letture fondamentali (ad esempio Io sono il potere), abbiamo scritto dei post che possono esservi sembrati più utili di post magari precedenti nel vostro percorso di comprensione, può essere successo che alcuni link si siano corrotti e vadano aggiornati, o magari preferireste vedere quelle informazioni presentate in modo diverso (io la mia biografia oggi la scriverei in modo diverso, ad esempio, visto che oggi sono un politico e non un accademico). In generale, ci saranno certamente delle cose che a vostro avviso potrebbero essere utili per aiutare chi arriva qui a recuperare il suo “decennio perduto”, quello passato ignorando il Dibattito.
Se vi va di perder tempo a dare un’occhiata a quelle pagine e a darmi qualche consiglio, mi fate una cortesia. Ho visto che vengono ancora visitate (nelle ultime 24 ore, ad esempio, una ventina di persone sono atterrate sulla pagina “per cominciare”, e al posto loro io me ne sarei andato per sempre!), e poi si presentano in continuazione esigenze specifiche come quella che vi riferivo sopra.
Quindi, ricapitolando, una mano a togliere roba obsoleta e aggiungere roba che invece ritenete “fondante“ (con la “a”) per il nostro discorso sarebbe gradita al padrone di casa e agli eventuali avventori occasionali. I meno occasionali sanno come orientarsi, ma proprio per questo a loro io sono meno utile.
(…ci vediamo dopo. Ora S.A.S. deve presentarmi una persona. Una roba così, per capirci! Come passa il tempo…)
Oggi è un giorno di cordoglio, per chi lo prova, e di retorica, la retorica degli “ultimi”, con cui i “primi”, imponendola indiscriminatamente a tutti, si candeggiano la coscienza, come è naturale che sia. Forse qui a qualcuno sarà sorta in mente una riflessione, probabilmente prematura perché attiene alla dimensione storica, che riporto sine ira et studio e con sconsolata mestizia: che posizione ha preso in tutti questi anni la Chiesa cattolica sul fiscal overkill che ha “compromesso il nostro modello sociale”? Non sono mai riuscito a capirlo, direi a percepirlo, perché forse una posizione non c’è stata, e forse non ci doveva nemmeno essere, o forse avrebbe potuto essere desunta dalle posizioni prese sul tema più ampio e assorbente della globalizzazione, o forse, semplicemente, per mia ignoranza. Fatto sta che spesso, leggendo e talora riferendovi le parole dei tanti penultimi che sono venuti qui a condividere le loro miserie e il loro travaglio, avviliti da una narrazione egemone colpevolizzante, deumanizzante, ho avvertito, abbiamo avvertito, la loro solitudine spirituale, il loro senso di abbandono.
Deus meus, Deus meus, ut quid dereliquisti me?
(…vado. Oggi ho una sostituzione in Commissione bilancio, poi tanto lavoro di ufficio…)
Il post in cui estendevo all'Eurozona il grafico proposto da Milanovic (e nel 2015 da noi) sul declino dell'Italia (qui) ha scatenato una serie di troll di qualità scadente, peggiorata dal ricorso all'AI, come abbiamo visto qui.
Evidentemente, e comprensibilmente, il fatto che l'Eurozona sia un gioco a somma negativa, cioè il fatto che il danno inflitto al nostro e ad altri Paesi della "periferia" non sia compensato nella media della zona dai vantaggi conseguiti da altri Paesi del "centro", dà fastidio, perché smentisce frontalmente la retorica dell'unirsi per affrontare le sfide della globalizzazione (nel nostro lessico famigliare, la retorica dell'"oggi c'è la Ciiiiiiinah!11!", ma sono pochi a ricordare chi e quando pronunciò questa frase...), la retorica della locomotiva tedesca, ecc.
Per quanto possa capire questo fastidio, i tentativi di negare, anzi: di negazionare il declino dell'Eurozona sono destinati a fallire miseramente nel ridicolo (soprattutto, ma non necessariamente, se chi li perpetra è già ridicolo di suo). Infatti, da un lato l'arretramento relativo dell'Eurozona è ormai un "fatto stilizzato", cioè una tendenza espressa dai dati che si prende per assodata e incontrovertibile, quand'anche vi possa essere un dibattito teorico sulle cause che l'hanno determinata. Dall'altro, prima che questo simpatico esperimento sociale iniziasse, i più autorevoli economisti mondiali avevano prefigurato come sarebbe andato a finire. Devo a Marino Badiale il suggerimento di raccogliere in questo post i pronostici più autorevoli (tutti infausti, ovviamente). A Marino era chiaro che, data la particolare succubanza dei piddini al principio di autorità, a quell'ipse dixit che li dispensa dalla fatica - non a tutti accessibile - di pensare con la propria testa, un post simile avrebbe potuto essere utile. Mi piace riportarvi qui le parole di uno dei tanti economisti preveggenti, Krugman, secondo cui: "Il pericolo immediato ed evidente è che l’Europa diventi giapponese: che scivoli inesorabilmente nella deflazione, e che quando i banchieri centrali alla fine decideranno di allentare la tensione sarà troppo tardi" (sono parole di ventisette anni fa, le trovate ancora oggi sul sito del MIT).
Questa idea di un'Europa "giapponese" (in realtà, un po' peggio, ma non insisto ora su questo punto) si traduce, nel linguaggio giornalistico, in un ricorso sempre più frequente all'espressione "decennio perduto", che nella letteratura economica fino a una ventina di anni fa era associato, appunto, al Giappone.
Per quanto attiene a quest'ultimo, la locuzione lost decade credo sia stata lanciata da Hayashi e Prescott nel 2002, in un articolo che ha avuto (solo!) 1391 citazioni (qui una delle ultime), dando vita a una letteratura piuttosto cospicua (Scholar indica 24.500 lavori), dove i temi più discussi erano naturalmente la produttività (come ti sbagli?), o il più esoterico quesito se l'economia giapponese si trovasse o meno in una liquidity trap (spiegata - male - qui). Ma insomma, fra chi attribuisce la stagnazione a una LM orizzontale (trappola della liquidità), chi a una IS verticale, chi alla produttivitah (da Hayashi e Prescott in giù), c'è anche chi di questo decennio perduto dà la spiegazione che mi avete spesso sentito dare, riconoscendo l'importanza dei fattori internazionali e monetari, come Hamada e Okada:
Ora, non mi interessa qui dirimere in mezzo post quello su cui decine di colleghi stanno ancora dibattendo, ognuno col suo pezzettino di verità, anche se, col vostro permesso, conservo una preferenza umanamente scusabile per chi vede le cose come le vedo io. Semplicemente, evidenzio che a nessuno salta in mente di dire che gli anni '90 non siano stati un decennio perduto per il Giappone!
Nel caso dell'Unione Europea lo spettro del "decennio perduto" ha cominciato a ossessionare la letteratura scientifica una dozzina di anni fa grazie a Wright (2013) (per quel che mi risulta), seguito da Eichengreen et al. (2014). Alle sagge parole di Krugman, il primo a parlare di una giapponesizzazione dell'Europa, nessuno pensava più, a dire il vero, e il tono di questi articoli era esortativo: l'Europa può, o dovrebbe, ancora evitare il suo decennio perduto, si diceva (ovviamente evitando di menzionare l'euro, per non farsi incenerire dai referee). Fatto sta che oggi il decennio perduto, o, se volete, il declino dell'Europa (e in particolare dell'Eurozona, anche se, va detto, i due concetti sono largamente coincidenti, atteso che l'Eurozona a 20 esprime circa l'84,4% del Pil dell'Unione Europea a 27) è un dato di fatto ampiamente riconosciuto anche dalla stampa più mainstream. Al netto di alcuni buffi tentativi di farla più complicata di quello che è, come l'articolo di questa simpatica reporter secondo cui farebbe differenza calcolare la crescita a prezzi costanti in dollari o in valuta nazionale (la risposta ovviamente è no per i motivi spiegati nel post precedente, e fa un po' sorridere che un giornale così prestigioso cada in errori simili: forse siamo stati troppo severi col povero troll), il fatto che:
la crescita economica sia stata più lenta nell'Eurozona che negli Stati Uniti o in Giappone nessuno lo contesta (l'articolo da cui è tratto il grafico è questo), se pure si può supporre che nel caso in specie giochi un certo ruolo un intento agiografico:
e se si preoccupano loro qualsiasi gesto apotropaico sarà scusabile. Del resto, una banale ricerca di "Europe lost decade" vi confermerà che dubbi in merito possono venire solo a persone molto distanti dai temi del dibattito economico. Per sicurezza, comunque, mi sono rifatto il grafico coi dati del WDI, ottenendo lo stesso profilo:
Non stupisce quindi che chi cerca di negare questa evidenza condivisa debba necessariamente arrampicarsi sugli specchi facendo la figura dello sprovveduto.
Già da questo (cioè dal fatto che sia patrimonio comune della professione, nella sua dimensione specialistica e pubblicistica, il fatto che l'Unione Europea abbia perso un decennio di crescita) si capisce che per un economista incontrare un tizio che cerchi di argomentare il contrario fa lo stesso effetto di trovarsi a cena in un'ambasciata e vedere che il commensale di fronte si sta scaccolando le orecchie con la forchetta: se non l'ultima, è la penultima cosa che ti aspetteresti di vedere in un contesto simile! Ma la cloaca nera di Twitter ci ha insegnato che è possibile andare oltre.
E allora andiamoci. Prendo ad esempio un commento di Valerio Santoro su questo blog:
Valerio Santoro ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Ancora sul declino":
Se si ripete l'esercizio anche con Regno Unito e Stati Uniti, si otterranno parabole simili. Evidentemente, non può essere l'euro la principale causa di tale fenomeno.
Pubblicato da Valerio Santoro su Goofynomics il giorno 21 apr 2025, 09:53
Sicuro?
A me veramente sembra che non siano parabole e non siano simili: gli Stati Uniti tengono botta fino all'inizio della crisi dei subprime, e d'altra parte l'espansione della Cina, cui implicitamente la maggior parte dei negazionisti cerca di dare la colpa, inizia prima ed è un processo privo di sostanziali discontinuità: non c'è un'accelerazione visibile nel 2001. Un declino dal 2001 ce l'abbiamo solo noi.
Questo, veramente, l'avevo anche fatto notare nel post:
ma chi sono io per chiedervi di astenervi dalla porca rogna di dire la vostra prima di avere non dico capito, ma almeno letto la mia, o almeno quella del Financial Times?
Comunque, già che ci siamo, vi faccio vedere un paio di semplici elaborazioni descrittive basate sull'ultimo grafico. Se immaginiamo che nei prossimi anni il tasso medio di crescita sia quello registrato fra 2000 e 2023, cioè questo:
l'evoluzione delle quote del Pil ci porterebbe nel 2038 ad una quota di Pil mondiale a una cifra:
In realtà non credo che le cose andranno esattamente così, per i motivi che vi spiegai a suo tempo qui. L'idea che la Cina possa crescere per sempre fra l'8% e il 10% è semplicemente non compatibile con quanto sappiamo dell'economia. Lo si capisce meglio se si estende il grafico al 2069 (quando avrò 107 anni):
Ora, è vero che di cose che mai mi sarei aspettato di vedere quando studiavo macroeconomia ne ho viste parecchie: una è questa
Ma è pur vero che una simile esplosione della quota del Pil cinese su quello mondiale non la vedrà nessuno (nemmeno io, che mi sto attrezzando per campare fino a 107 anni), perché, come capite bene, prima di arrivarci necessariamente scoppierebbe un conflitto.
Naturalmente l'esperienza storica, come vi spiegavo commentando il referaggio fatto al mio articolo sulla Cina, presa sic et simpliciter non è di per sé un buon indicatore delle performance future. Il Fmi prevede per i prossimi anni un tasso di crescita dell'economia cinese attorno al 4%, per l'Eurozona all'1.2%, confermando per gli Usa il 2.2%, e già questo, ipotizzando la costanza nel tempo di questi tassi, cambierebbe molto il quadro, rendendolo meno palesemente assurdo:
(noi andremmo a una cifra nel 2047).Al netto di questo divertissement statistico, resta il fatto che, avendo di fronte a noi un contesto così solcato da profonde tensioni, ci siamo dati delle istituzioni che non ci aiutano a tener botta, e che il nostro declino, sul quale sarebbe urgente interrogarsi, e che viene apertamente discusso sia dalla letteratura scientifica che dalla pubblicistica più autorevole, qui viene ancora negato perché disturba un certo tipo di racconto.
… riparte la fiera del servo encomio, nel cui letamaio ogni tanto si rinvengono delle perle: persone che non vedevi da tempo e che non devono chiederti nulla (e cui magari hai dato qualcosa) ma eccezionalmente si ricordano di te (e questo fa piacere); persone con cui hai una consuetudine più frequente, ma a rischio di usura nella frenesia dei rapporti quotidiani (che per l’ansia di essere dappertutto e con tutti ti costringono a essere da nessuna parte e con nessuno), che si abbandonano a un messaggio più personale ed espansivo; persone di cui ti eri dimenticato e che ti fa piacere ricordarti.
Poi ci sono gli auguri inviati a tutta la rubrica (non rispondo), quelli messi in chat (posto un santino e archivio la chat), quelli che già dal venerdì santo ti seccano dicendoti “non voglio disturbarti il giorno di Pasqua“ (senza considerare l’opzione di non disturbare mai), quelli che sanno di non dover mandare vocali, ma te li mandano “perché è Pasqua“, costringendoti a rimettere in discussione due secoli e mezzo di civiltà giuridica da Beccaria in poi, e poi ci siete voi.
E siccome a voi voglio bene, e questo argomento lo abbiamo affrontato centinaia di volte su questo blog, se dimostrate di non sapere come si usa il numero di telefono dell’ecclesiarca, con affetto e per tutelarvi da possibili errori vi ritrovate bloccati. D’altra parte, se siete qui è perché volete andare controcorrente: quindi oggi Lui risorge, e alcuni di voi finiscono nel sepolcro dei bloccati.
Ah, a proposito: se un ci si vede, auguri!
(…mi dimenticherete quando vorrò essere ricordato: direi che più che una previsione è un fatto, perché qui forse un due per cento sa dove si trova e perché ci si trova. La cosa è assolutamente fisiologica e fa parte delle normali dinamiche umane. Per simmetria, però, chiedo - senza eccezioni - di non tritarmi i coglioni quando vorrei riposarmi…)
Per gestire le interazioni nella cloaca nera ci eravamo dati leggi e regole, riportate in questo post.
Quella che oggi fa al caso nostro, come vedremo più avanti, è la seconda legge, quella sulla baio in inglisc, detta anche sindrome di LinkedIn, che sarebbe questo ricettacolo di cretini autoreferenziali:
(penso di essere stato il primo a iscrivermi e il primo a cancellarmi in Italia: il video non è vero, perché è satirico, ma proprio per questo è particolarmente veritiero).
Come abbiamo amaramente constatato più volte, il baio è un cavallo (piuttosto diffuso), ma il "baio in inglisc" (altrettanto e più diffuso) è un somaro, o forse, visto che quasi sempre è specializzato, un cretino, dato che "oggi anche il cretino è specializzato" (come Flaiano aveva intuito), dal che desumiamo, peraltro, che tutti i cretini sono specializzati ma non tutti gli specializzati sono cretini (anche se trovare gli esempi del contrario è impresa progressivamente più ardua).
Con questa premessa, il cui senso si chiarirà leggendo, consentitemi di introdurvi l'argomento di oggi.
Il grafico sul declino dell'Eurozona:
introdotto in questo post, nella sua fredda e irrefutabile eloquenza ha dato parecchio fastidio. Eppure, un pattern, un andamento simile è esattamente quello che dovremmo aspettarci dall'Eurozona così come ce l'ha descritta Draghi! Per capire cosa intendo, però, occorre prima un breve ripasso de #lebbasi. Permettetemi quindi di ripetere brevemente che cos'è e come si misura il Pil. Questo servirà anche a fare un discorso di verità sull'intelligenza artificiale, strumento caro ai cretini naturali.
Che cos'è il Pil?
Di questo abbiamo parlato infinite volte (una delle ultime qui). In buona sostanza, in un'economia di mercato il valore della produzione realizzata in un determinato lasso di tempo coincide col valore delle remunerazioni erogate ai fattori produttivi che l'hanno posta in essere e col valore della spesa effettuata per acquistarla. I tre concetti devono coincidere: in un'economia di mercato si produce per vendere (quindi il valore della produzione coincide con la spesa) e si vende per guadagnare (quindi il totale della spesa coincide col totale dei redditi distribuiti). Ne consegue che i tre metodi di calcolo del Pil (quello del valore aggiunto, quello della spesa, e quello dei redditi), cui corrispondono tre diverse definizioni di Pil, conducono necessariamente allo stesso risultato. Una delle infografiche più chiare su questo tema è questa:
Ora, è parte della mia, e credo anche della vostra esperienza quotidiana, il fatto che chi parla di economia generalmente non abbia alcuna idea di che cosa sia il Pil.
Le distorsioni ideologiche della teoria della decrescita si basano appunto sul non comprendere che cosa sia il Pil, come spiegammo in uno dei primissimi post di questo blog (togliendoci dai coglioni una legione di invasati), semplicemente perché il mondo più pulito e come oggi si dice "sostenibile" che in teoria vorrebbero i decrescisti è un mondo con più, non meno Pil, dato che le tecnologie che consentono di ridurre gli impatti ambientali richiedono investimenti e consumi piuttosto ingenti (e quindi per definizione non puoi avere riduzione degli impatti ambientali senza aumento di Pil).
Un altro dato che emerge nitido a chi sa che cosa sia il Pil è che un incremento della spesa pubblica è in re ipsa un incremento di Pil. Il motivo è semplice: la spesa pubblica considerata nella definizione di Pil corrisponde ai consumi di servizi pubblici da parte dei cittadini (consumi collettivi), e siccome questi servizi pubblici non hanno un prezzo di mercato (il poliziotto che regola il traffico o interviene dopo un incidente non vi rilascia fattura, come non lo fa il medico di pronto soccorso o l'insegnante di vostro figlio), vengono misurati con un particolare criterio di imputazione: con la somma delle retribuzioni corrisposte a chi materialmente li eroga (i dipendenti pubblici). Capite quindi anche come questa spesa entri nella definizione di Pil dal lato delle retribuzioni (i consumi collettivi sono in re ipsa retribuzioni). Ovviamente questo non significa che "allora basta aumentare gli stipendi degli statali per fare Pil!" o altre sparate del genere. Significa però che quando si ipotizza che un aumento della spesa pubblica di un euro porti a 0.5 euro di aumento del Pil si sta dicendo che qualche altra voce del Pil diminuirà di 0.5 per effetto dell'aumento dei consumi collettivi, e di converso che quando si ipotizza che un taglio di un euro della spesa pubblica porti a una diminuzione di 0.5 euro del Pil si ipotizza che qualche altra voce di domanda aumenterà di 0.5 euro. Siamo sicuri che sia sempre così? In Grecia non è andata così, come hanno poi ammesso i criminali che l'hanno massacrata.
Infine, non vi sfuggirà che per mera necessità algebrica un taglio dei salari (cioè delle retribuzioni) è un taglio del Pil, anche perché è, per forza di cose, un taglio della spesa (se meno soldi vengono corrisposti al fattore lavoro, meno soldi vengono spesi dai lavoratori e meno soldi vengono fatturati dalle aziende) e quindi un taglio della produzione. Anche qui, è chiaro che il discorso non finisce qui: ma è da ignoranti non sapere, e da cretini non ammettere, che il primo effetto di un taglio dei salari è per definizione un taglio di Pil. Con questa informazione, il grafico del declino europeo diventa immediatamente più leggibile, se ricordiamo le parole di Draghi...
Come si misura il Pil?
Dobbiamo però fare un approfondimento sulle possibili misure del Pil.
Consideriamo per fissare le idee il calcolo dal lato della produzione (metodo del valore aggiunto). Ogni singolo Paese offre una quantità sterminata di prodotti eterogenei, non tutti materiali e tangibili (non ci sono solo merci ma anche servizi, e ci sono anche elementi intangibili come i marchi o i brevetti, che pure si scambiano...). Ovviamente, "sommare le pere con le mele" è impossibile! Quello che è possibile è sommare il valore delle pere e delle mele (e dall'acciaio, e di una cura canalare, e di un concerto, e di un appartamento, ecc.). Per ottenere il valore di una data produzione ci occorre sapere qual è il prezzo di mercato del prodotto, dopo di che moltiplicando le quantità prodotte per il loro prezzo si ottiene il valore monetario di quella produzione, che sommato ai valori di tutte le altre ci dà il valore complessivo del prodotto, cioè il Pil (che coincide con i redditi corrisposti ai fattori produttivi e con la spesa effettuata da residenti e non residenti per acquistare il prodotto realizzato).
Tutto chiaro?
In caso affermativo, siete già sopra il nono decile di chi parla di economia sui grandi media. In caso contrario rileggete, perché "io più chiaro di così non lo so dire" (cit.), o meglio: saprei certamente dirlo, ma non credo sia opportuno più di tanto per un docente seminare il degrado incoraggiando l'imbecillità. Magari non sempre si riesce a incoraggiare una riflessione, ma anche se potrei farvi il disegnino con una pera e una mela, i rispettivi prezzi, ecc., mi spiace, ma qui mi rivolgo a persone dotate di capacità di astrazione, che poi sono le uniche che possano capire. Alle altre puoi dare l'illusione di aver capito, ma senza astrazione non c'è comprensione.
Sorgono a questo punto almeno due ordini di problemi che i più acculturati di voi già conoscono, i più vispi avranno intuito, e per gli altri esplicitiamo.
Confronti intertemporali: pil nominale, reale e deflatore
Dice: non si sommano i prodotti fisici ma il loro valore e quindi occorrono i prezzi di mercato.
Sì, va bene, ma i prezzi cambiano per via dell'inflazione! E quindi: prezzi di mercato di quale anno?
Qui subentra la differenza fra Pil nominale e reale. Se la produzione di ogni anno viene valorizzata ai prezzi di ogni singolo anno (accettando quindi il rischio di scambiare per aumento della produzione un mero aumento dei prezzi) otteniamo il Pil nominale (il termine "nominale" in economia indica le grandezze calcolate a prezzi correnti). Se invece la produzione di ogni anno viene valorizzata ai prezzi di un determinato anno preso come base di riferimento (assicurando così che ogni aumento del Pil corrisponda a un effettivo incremento dei volumi fisici di produzione) otteniamo il Pil reale (il termine "reale" in economia indica le grandezze depurate dall'effetto dei prezzi, cioè calcolate a prezzi costanti, prendendo i prezzi di un anno base).
Se chiamiamo Y (maiuscolo) il Pil nominale e y (minuscolo) il Pil reale valgono queste relazioni:
dove p è il deflatore del Pil, un indice aggregato di prezzo che può essere utilizzato per calcolare il tasso di inflazione (gli altri indici utilizzabili sono il deflatore dei consumi privati e l'indice dei prezzi al consumo: la logica sottostante a ognuno di essi è diversa e diversi sono i risultati, ma qui si entra in sottigliezze per voi superflue).
Confronti internazionali: dollari e PPP
La differenza fra reale e nominale ci aiuta a intendere correttamente l'evoluzione del Pil nel tempo. Ad esempio, se siamo interessati a valutare la produttività, è chiaro che la misura che ci occorre è quella reale, perché altrimenti basterebbe una ventata di inflazione a farci sembrare più produttivi! I confronti intertemporali sono utilissimi e comunque centrali nell'agenda politica: tutte le gnagne dell'opposizione in questi giorni sono concentrate proprio su un confronto intertemporale, il tasso di crescita (che confronta il Pil di domani con quello di oggi, o quello di oggi con quello di ieri).
C'è un altro tipo di confronto però che riveste particolare importanza, e se guardate il grafico da cui siamo partiti capite subito qual è: il confronto internazionale.
Qui la difficoltà è dovuta al fatto che in Paesi diversi generalmente si usano valute diverse (salvo i casi miserevoli e miserabili di Paesi che decidono di concludere quel matrimonio infelice noto come "unione monetaria"), e quindi non avrebbe particolarmente senso confrontare direttamente i valori del Pil, sia esso nominale o reale, ognuno espresso in una diversa valuta, ovvero in una diversa unità di misura! Si ritornerebbe al caso delle mele e delle pere!
Per fare un esempio: se prendiamo il reddito pro capite in valuta locale (LCU, Local Currency Units) a prezzi correnti
sembrerebbe proprio che in Tanzania si stia meglio che negli Stati Uniti (questi dati e i successivi sul Pil sono tratti dai WDI), e che in Afghanistan non si stia poi così peggio rispetto all'Italia. Qui il problema non è tanto il tasso di inflazione, tant'è che se invece di prendere le serie a prezzi correnti prendiamo quelle a prezzi costanti il risultato è sostanzialmente inalterato:
(unica differenza: così pare che alle Bahamas si stia meglio che in Italia...). Le cose cambiano se misuriamo tutte le serie in dollari, e naturalmente potremmo farlo a prezzi correnti:
e già da qui si ottiene un quadro leggermente più compatibile con quello che sappiamo del mondo, ma ovviamente il confronto più sensato è anche in questo caso quello depurato dall'inflazione, cioè a prezzi costanti:
ancora più nitido. Il senso, molto semplicemente, è che 2.916.849 scellini della Tanzania equivalgono ad appena 1093 dollari a prezzi 2015, e quindi no: non sono più ricchi i cittadini della Tanzania (strano, vero?).
Ora, per avvicinarci al discorso del cretino specializzato, devo dirvi una cosa che da specializzato non cretino a me non sfugge, ma potrebbe sfuggire ad altri. Il tasso di cambio è un prezzo. Questo significa che se consideriamo serie misurate in dollari ai prezzi del 2015, stiamo in effetti parlando di serie misurate ai prezzi e al tasso di cambio del 2015.
In altre parole, se si raffrontano serie a prezzi costanti espresse in una comune valuta di riferimento (il dollaro) si effettua un confronto che è depurato non solo dagli effetti dell'inflazione, ma anche da quelli di apprezzamenti o deprezzamenti del cambio. Questo uno specializzato non cretino lo sa (e discende dalla definizione di tasso di cambio: prezzo relativo fra due valute), mentre un cretino specializzato potrebbe tendere a ignorarlo.
Cerchiamo di dare un senso ordinato a questa riflessione, con un esempio concreto, riguardante il nostro Paese. Lo facciamo con questa tabella, che riporta le varie misure del Pil nazionale e i loro rapporti:
Le colonne (a) e (b) sono in miliardi di euro, le (c) e (d) in miliardi di dollari, sulle altre vi darò ragguagli via via.
Siete pronti?
Nella colonna (e) abbiamo il deflatore del Pil p, cioè il rapporto fra il Pil nominale (a) e il Pil reale (b). Potremmo immaginarlo come il "prezzo in euro" del Pil italiano (anche se questo ragionamento è un po' impreciso, ma ci aiuterà).
Nella colonna (f) abbiamo il deflatore del Pil in dollari, cioè il rapporto fra il Pil a dollari correnti (c), che risente delle variazioni dei prezzi e del tasso di cambio, e il Pil a dollari costanti (d), che non risente né delle variazioni dei prezzi né di quelle del tasso di cambio. Potremmo immaginarlo come il "prezzo in dollari" del Pil italiano.
Se prendiamo il rapporto fra le colonne (e) (prezzo in euro) e (f) prezzo in dollari, abbiamo, nella colonna (g), qualcosa di simile al tasso di cambio espresso in euro per dollaro (quotazione incerto per certo).
In effetti, la colonna (h) riporta il tasso EURUSD, che è quotato certo per incerto, e quindi in dollari per euro, e la colonna (i) ne riporta l'inverso, cioè il cambio quotato incerto per certo (numero di euro per un dollaro), e si vede bene che le colonne (g) e (i) hanno sostanzialmente lo stesso andamento, con l'unica differenza che l'indice ricavato nella colonna (g) è normalizzato a uno nell'anno base dei prezzi (il 2015).
Da tutto questo però che cosa ricaviamo? Che il Pil espresso in dollari ai prezzi 2015 non risente della variazione del tasso di cambio. Infatti, se prendiamo il rapporto fra la colonna (b) (Pil reale in euro) e la colonna (d) (Pil reale in dollari) vediamo che questo rapporto è costante e pari al valore del tasso di cambio nell'anno base (2015).
Questo che cosa significa?
Significa che se rapportiamo le serie riferite a due Paesi calcolate entrambe in dollari ai prezzi (e tassi di cambio) del 2015 il rapporto non sarà influenzato né dalle inflazioni nazionali né dalle variazioni del tasso di cambio.
Ripeto: è una mera conseguenza del fatto che il tasso di cambio è un prezzo, e che quindi quando si parla di "prezzi 2015" si afferma che si sta utilizzando il cambio di quello specifico anno, per cui la serie in LCU e quella in $ differiscono solo di un fattore di scala costante: il valore del cambio in quel singolo anno. Il loro rapporto può essere alterato, nel senso di slittare verso l'alto o verso il basso, dalla scelta di un diverso anno base, che comunque manterrebbe invariata la dinamica crescente o decrescente del rapporto, cioè, per quanto ci riguarda qui, l'impietosa rappresentazione del nostro inesorabile declino.
Trattasi di mera aritmetica (e di basic economic reasoning, quello che ai somari, anzi, ai bai in inglisc non entra proprio in testa).
Potremmo a questo punto aggiungere un ulteriore elemento, volendo.
Vi ho già parlato del Big Mac Index costruito dall'Economist: lo abbiamo trattato nel post su Lampredotto, ed è un modo rozzo ma efficace di considerare il fatto che i prezzi non variano solo nel tempo, ma anche nello spazio, e che il tasso di cambio nominale non sempre riesce a tenere conto di questa variazione internazionale. Un modo più raffinato è utilizzato dalle Penn World Tables. In alcuni Paesi la vita costa di più (il potere d'acquisto di una certa somma di denaro è più basso), in altri costa di meno (il potere d'acquisto di una certa somma di denaro è più alto) e in linea di principio per impostare confronti internazionali sensati, oltre a non confrontare dati espressi in valute diverse, ma in una uguale valuta a prezzi e quindi tassi di cambio costanti, può avere un senso affidarsi alle stime del cambio a parità dei poteri d'acquisto.
Tornando all'esempio fatto sopra, la tabella diventerebbe:
dove constatiamo quello che di solito si constata in simili raffronti: nei Paesi veramente sfortunati generalmente il confronto a PPP fornisce un quadro lievemente meno fosco, perché è vero sì che in quei paesi si guadagna poco, ma è anche vero che di solito in quei paesi la vita costa (e spesso non vale) niente...
Questa roba qui, però, non altera drammaticamente il profilo temporale delle serie, semplicemente perché riflette caratteristiche economico-sociali che evolvono lentamente, troppo lentamente.
Tenetelo presente, perché ne parleremo subito dopo.
I babbei
Armati di questo bagaglio di nozioni che chi è qui da un po' già possedeva (ma saranno pochi quelli cui questo ripasso è stato inutile), affrontiamo ora un singolare pezzo di babbeo, lui:
La baio in inglisc ce l'ha, quindi sicuramente è un somaro. Ora godetevi lo scambio che inizia sotto questo mio tweet:
Simone dà subito la risposta giusta, ma il babbeo incompetente ovviamente non la capisce (e forse anche alcuni di voi, prima della lunga premessa, avrebbero avuto qualche difficoltà: ma non si sarebbero impancati a dar lezioni a uno che ha tre decenni di pubblicazioni scientifiche sulla materia, credo...). Del resto, se il rapporto fra due serie che per definizione sono misurate a tasso di cambio dell'anno base costante (cosa che solo i cretini ignorano) potesse essere influenzato dal tasso di cambio (cosa impossibile per definizione), il suo andamento dovrebbe essere dominato dalla variabilità del tasso di cambio, cosa che evidentemente non è, come si percepisce immediatamente mettendo accanto il rapporto in questione con la serie del tasso di cambio:
(i dati sul tasso di cambio vengono da Eurostat). Le due serie, com'è ovvio per chiunque non sia un baio in inglisc (cioè un somaro) non si parlano proprio, tant'è che il declino del Pil pro capite europeo in rapporto a quello mondiale inizia nel 2001 in una fase di protratto e violento apprezzamento del cambio, che va avanti fino al 2007! Per sette anni, insomma, il declino relativo del Pil è accompagnato da una violenta rivalutazione del cambio, esattamente come, del resto, nei cinque anni dal 1979 al 1984 una violenta svalutazione del cambio si era accompagnata a un sostanziale recupero del Pil pro capite europeo rispetto al dato mondiale. Evidentemente il babbeo non ha idea di quale sia il profilo temporale del tasso di cambio del dollaro nell'ultimo mezzo secolo: esattamente quello che ci aspettiamo da un "Investor/entrepreneur"!
Ma insomma, questo grafico, anche se l'ho voluto metter qui a futura memoria, è inutile per chiunque non sia un babbeo, per chiunque abbia un minimo di capacità di astrazione: mi spiegate in che modo un grafico costruito utilizzando serie in cui il tasso di cambio viene mantenuto costante potrebbe riflettere la variabilità del tasso di cambio (visto che questa è sterilizzata per costruzione)? Chiunque non fosse un cretino lo capirebbe.
La solfa invece va avanti:
(Simone Bonomi santo subito). Il babbeo, cercando di calciare la palla in tribuna con concetti che gli consentano di sembrare familiar with the matter, tira fuori la PPP, che, come gli fa notare Simone, non c'entra nulla. Per avere comunque (a beneficio dei meno esperti) anche un tangibile riscontro di quanto il passaggio alla PPP non cambi le cose, eccovi il grafico a PPP, che però parte dal 1990 (i dati antecedenti non sono disponibili sui WDI, anche se forse si potrebbero ricostruire con le PWT):
e anche qui si vede la stessa cosa: una crescita (debole) fino al 2001, una decrescita pronunciata dal change over in poi. Ma tutto è inutile, il babbeo insiste mostrando dati che non c'entrano assolutamente nulla (estratti da chissà dove, peraltro):
Lo stolido e pretenzioso babbeo, con la sua sicumera da "baio in inglisc", dimostra di non aver nemmeno capito quello che la legenda del grafico chiariva e che comunque avrebbe chiarito la lettura del post (ma figurati se un analfabeta funzionale simile si mette a leggere un post!): il mio grafico rappresentava un rapporto, che cazzo c'entra il fatto che il numeratore cresca? Neanche la differenza fra numeratore e frazione...
Con grande pazienza Simone spiega... ma lui insiste:
continuando ad avvitarsi su se stesso, fino a quando, all'improvviso, il genio! Ma prima, permettetemi una digressione.
Intelligenza artificiale e cretini naturali
Questa mattina ho ricevuto da un amico di a/simmetrie la segnalazione di un suo articolo all'insegna del veloavevodettismo (che è un po' la nostra maledizione) su un tema di grande attualità: i cretini naturali. Tutti i nodi dell'IA vengono al pettine, ci segnala Enrico. Non solo lugrin, ma anche ludiggital (che fra l'altro non è grin) s'ha mort, sostanzialmente perché
cioè perché, di converso, e per metterla con le parole di un informatico pratico:
La cloaca pullula di cretini che utilizzano l'IA (che è un raglio) per dirimere questioni in materie di cui nulla sanno. Ma come dice l'altro Enrico, quello teorico:
Un minus habens privo di alfabetizzazione economica al punto da non distinguere un rapporto dal suo numeratore e di non avere una contezza se pure elementare delle unità di misura dell'economia in che modo potrebbe trarre beneficio dall'utilizzo dell'IA per sostenere una conversazione economica?
In nessun modo, e infatti...
Babbei e IA (che è un raglio)
Immancabilmente e inesorabilmente entra nella conversazione l'IA, il micuggino digitale. Al nostro povero babbeo l'IA ha detto che:
Ora, qui si vede bene come l'IAG sia un realtà un amplificatore di cretinate piddine! Intelligenza infatti vorrebbe che si capisse che se la stessa unità di misura è utilizzata al numeratore e al denominatore il rapporto fosse adimensionale, ma lasciamo stare. L'amico insiste:
e qui la cosa si fa surreale. Inutile dire che l'amico attira l'immediato consenso dei suoi simili:
ma questa diventa rapidamente una breve storia triste, quindi la lasciamo stare:
Paulo maiora canamus: le origini del declino
Lasciato alle nostre spalle il mondo dei babbei incompetenti, e validato l'uso delle serie a dollari 2015 come perfettamente consone al nostro scopo (a detta della stessa IAG, peraltro, che andando a casaccio ogni tanto ci coglie), poniamoci invece qualche domanda seria sull'evidente declino europeo. Vi ricordo che il mio educated guess è che, rebus sic stantibus, fra circa quindici anni la quota dell'Eurozona sul Pil mondiale sarà a una cifra (e solo una cosa potrebbe evitare questo infausto destino: l'uscita della Germania dall'Eurozona, secondo la nostra storica proposta).
Lasciato il mondo delle contestazioni sciocche e disinformate di babbei e analfabeti funzionali poniamoci una domanda che potrebbe aiutarci a capire la natura del problema: il declino europeo è dovuto solo a quello italiano, o è comune agli altri Paesi? In altre parole, siamo noi ad aver zavorrato la zona, nonostante il forte impulso datole dalla locomotiva tedesca (daje a ride), o tutti i Paesi hanno cominciato a dare segni di affanno? La risposta a questa domanda dovrebbe essere abbastanza semplice, no? Ricordate le parole del Migliore?
(riportate qui). Dato che i salari sono Pil (nella definizione basata sul reddito), razionalmente ci aspettiamo che questa race to the bottom reciproca abbia riguardato tutti i principali Paesi dell'Eurozona, e in effetti è proprio così:
In Italia il fenomeno è stato più pronunciato, ma ha riguardato tutti, e si vede molto bene come in Germania il declino del Pil pro capite rispetto al valore mondiale, iniziato nel 1992, cioè con la rivalutazione del marco, si sia accentuato nel 2003, quello in cui sono entrate a regime le riforme Hartz, l'anno dell'aggressiva deflazione salariale competitiva che ha quasi mandato in cocci l'Eurozona sette anni dopo. Se la rivalutazione esterna non ha aiutato, la svalutazione esterna ha fatto peggio, e questo qualche indizio sulla natura del problema dovrebbe darcelo (in piena sintonia con le parole di Draghi).
Ora, è chiaro che il fatto che per definizione un taglio del salari sia un taglio di Pil non esaurisce il discorso, perché naturalmente ci sono effetti di secondo, terzo, ennesimo ordine. Per capirci, e riprendendo l'apparato analitico che abbiamo utilizzato per spiegare il miracolo lettone:
Y = C + I + NX = W + GOS + TS
un taglio di W (salari) potrebbe determinare un aumento di NX (esportazioni nette) sufficientemente elevato, nel qual caso l'austerità potrebbe, in astratto, determinare un aumento o almeno una ricomposizione del Pil (a vantaggio dei profitti): il flusso monetario in entrata via NX potrebbe più che compensare la distruzione di Pil via W, ovviamente determinando un aumento dei profitti GOS, e poi, magari, a ricasco, consentendo anche una redistribuzione su W. La scommessa era un po' questa, ma che cosa l'ha fatta fallire? Semplice! La fallacia di composizione, cioè il non capire che ci sono cose che funzionano finché le fai solo tu, ma non funzionano se le fanno tutti. La strategia beggar-thy-neighbour tedesca poteva funzionare se l'avesse praticata solo la Germania, che tra l'altro poteva permettersela perché, partendo dal reddito pro-capite più alto, poteva tollerarne una diminuzione senza generare uno stress sociale troppo intenso. In questo senso, la Germania razionalmente avrebbe dovuto impedire che gli altri Paesi aderenti al mercato unico la seguissero sulla strada della deflazione salariale: sarebbe stata la sua principale assicurazione del fatto che il suo surplus industriale avrebbe trovato uno sbocco nel mercato unico. Invece, come sapete, la Germania ha imposto (via sorrisetto della Merkel, austerità, ecc.) la deflazione agli altri, cioè ha tolto soldi dalle tasche dei propri clienti! Come sarebbe andata a finire era chiaro ad alcuni (lo sapete) e ad altri non sarà mai chiaro (lo constatate), ma chest'è! E siccome ciò che obbliga ad aggiustare la competitività deprimendo i salari è l'appartenenza all'Unione monetaria, finché esisterà l'euro proseguirà il declino dell'Eurozona, di cui, volta a volta, incolperemo i PIGS (ma abbiamo appunto visto oggi che loro non c'entrano: tutti sono andati giù insieme per i motivi illustrati da Draghi), la Cina, l'America, la Russia, i marziani (che non esistendo ci impediscono di vivere in un mondo in cui ogni Paese sia esportatore netto), e via dicendo.
In tutto questo, vorrei che non perdessimo mai di vista perché ci stiamo suicidando! Perché l'austerità non ha come obiettivo il consolidamento della finanza pubblica: quello è un pretesto, il vero obiettivo è alterare la distribuzione del reddito a favore delle rendite finanziarie:
Quello che vi ho sempre detto, cioè che l'austerità, la svalutazione interna, la svalutazione del salario, era per definizione una politica redistributiva, oggi si affaccia timidamente anche alla mente di quelli bravi. Guardate ad esempio questo lavoro:
assolutamente accessibile per chi è qui da un po'. Anche all'estero, col loro connaturato ritardo (non essere italiani è oggettivamente un handicap) cominciano a capire che il problema non è Italia-Germania 4 a 3, ma Capitale-Lavoro 1 a 0.
Credo sia interessante analizzare le sfaccettature che nei vari Paesi hanno spinto la sinistra a perdere di vista la difesa della quota salari, le diverse modalità e le diverse motivazioni di questo tradimento. Ci interessa sia da persone che vorrebbero tutelare il potere d'acquisto della propria remunerazione, sia, eventualmente, da politici cui il potere (molto relativo!) è stato consegnato appunto da questo tradimento, e che quindi devono interpretarlo e almeno fingere di porvi rimedio, se al potere vogliono restare per consolidarlo ed esercitarlo allo scopo di effettuare l'unica riforma strutturale di cui abbiamo bisogno. Insomma, si torna sempre alla conversazione con Luciano Canfora: per capire se e in che modo fare qualcosa di sinistra da destra è indubbiamente utile capire per quali motivi la sinistra si sia condannata a fare cose di destra (e nonostante le apparenze anche questa lo è: so che fa male ammetterlo, ma lo è...).
Bene.
Tanto vi dovevo per questo piovoso weekend di Pasqua. Come vedete, i temi di fondo sono i soliti, il problema resta il solito, la soluzione razionalmente e astrattamente è disponibile. Ci vorrà molto tempo e molta pazienza, ma alla fine la violenza dei fatti prevarrà sullo stupido egoismo di pochi. Guidare il Paese in acque così insidiose non sarà semplice: se ci riusciremo, sarà anche per merito di chi si sarà affidato a chi per primo ha dimostrato di capire che cosa stesse succedendo e come sarebbe andata a finire.