mercoledì 22 gennaio 2025

Una rondine non fa primavera (i dazi di Trump)

 (…per quanto a noi questo sembri assolutamente anomalo, è successo che per una volta un’agenzia di stampa abbia ripreso le mie parole, senza nessun intervento dei miei uffici, e li abbia riprese in modo corretto. Godi, popolo!…)




La (de)globalizzazione

Scusate, un post rapidissimo, perché fra un po’ sono in onda da Borgonovo, solo per mettere in evidenza un’osservazione forse non molto originale che ho fatto in risposta a Sergio Giraldo in un post precedente. Cresce l’inquietudine per il surplus estero cinese, che comunque solo recentemente è tornato sopra a quello tedesco. A me sembra abbastanza ovvio che se un Paese viene trasformato nella fabbrica del mondo, i beni poi da quel Paese devono in qualche modo uscire! In altre parole, chi ha visto nella globalizzazione l’opportunità di sfruttare una manodopera civilizzata e a basso costo come quella cinese (specifico subito che è un “chi” collettivo, non è un complotto ma lo spirito dei tempi) ha anche voluto regalare alla Cina una posizione di esportatore netto di beni e quindi di capitali. Sotto questo profilo, il ribilanciamento del modello di sviluppo cinese dalla domanda estera a quella interna è più mitologico che logico, perché non puoi pensare che la produzione della fabbrica del mondo sia assorbita dalla domanda di un pezzo, per quanto grande, di mondo. Aggiungo che questo particolare modo di risolvere il conflitto distributivo (delocalizzare dove i lavoratori costano di meno) ha anche posto le basi per regalare a un paese che era eccezionalmente rimasto indietro (eccezionalmente in termini storici, perché, come sapete, negli ultimi due millenni, la Cina ha contato più o meno sempre per circa un terzo del Pil mondiale) l’opportunità di un rapido recupero, regalandole di fatto le nostre tecnologie, nelle quali non ha faticato a  contenderci posizione di leadership. Se è successo ci sarà un perché, probabilmente non poteva andare in modo diverso, ma non dobbiamo stupirci di quella che è una conseguenza logica del modo in cui abbiamo organizzato i nostri rapporti sociali di produzione su scala internazionale. Inutile dire che fra le tante contraddizioni della sinistra c’è quella di aver sostanzialmente avallato questo tipo di processo storico che, fra le varie esternalità negative, ha anche quella di costringere a spostare da una parte all’altra del globo, con tecnologie di trasporto piuttosto inquinanti, una quantità di beni che magari potrebbero essere prodotti in patria, ovviamente se si decidesse di non giocare la corsa al ribasso dei salari. Ma la sinistra, che si è acquistata un salvacondotto vendendo la pelle dei proletari, cioè rinunciando a difenderne il salario (ricordavamo nel post precedente la triste storia degli accordi di luglio), non si è resa conto che, così facendo (cioè avallando la globalizzazione/delocalizzazione in un afflato di cosmopolitismo borghese), poneva le basi per togliere a questi proletari anche il lavoro! L’inquinamento da mezzi di trasporto (e non parlo delle utilitarie diesel Euro 6, ma del grande traffico marittimo) è in effetti uno dei presupposti della delirante rivoluzione green in nome della quale si sta perpetrando la deindustrializzazione dei nostri Paesi. Non stupisce quindi che oggi la sinistra preferisca sorvolare su questa contraddizione fondamentale, dichiarando Musk nemico del popolo ed ergendosi a paladina di pregevoli minoranze arcobaleno (che con Musk sono tutt’altro che in contraddizione)!

La vocazione maggioritaria è solo un ricordo, come lo è la difesa del salario.

RIP.





lunedì 20 gennaio 2025

Voltafaccia (s.m.)

(...proseguiamo con la nostra analisi lessicale...)


"Sta venendo giù tutto! Si riposizionano! Abbiamo vinto!..."


Calma!


Da qualche giorno sto cercando di condividere con voi un paio di concetti, ma tutte le volte che ci provo la diretta salta per la telefonata "a secco" di qualche sconsiderato. Questo weekend mi sono ritagliato un po' di tempo per metterle qui a verbale, sperando che non scoppi qualche altra grana che mi impedisca anche di scrivere.


(...sarebbe ora che mi imparassi a stare zitto: da quando scrivevo queste parole venerdì scorso è successo l'inverosimile, tant'è che mi ritrovo a chiudere questo post oggi! Devo assolutamente ricordarmi del fatto che le mie parole hanno valore performativo: se dico "a meno che non scoppi qualche grana", poi la grana scoppia...)


Forse converrebbe partire dalle conclusioni, ma prendo il rischio, invece, di partire da un episodio storico che ignoravo e che ben esemplifica quanto vorrei condividere.

Tutti qui sappiamo (rectius: crediamo di sapere) che dopo la crisi valutaria del 1992 Mario Monti ammise che svalutare ci aveva fatto bene:

Questo articolo del 13 settembre 1993, che trovate ancora qui, ci era stato segnalato da Alberto, che ogni tanto vedo ancora con piacere affacciarsi, il 25 novembre del 2011 in un commento al secondo post di questo blog, quello in cui spiegavo che Monti avrebbe dato la risposta giusta alla domanda sbagliata.

Veniamo alla cosa che non sapevo.

Un altro lettore, KitKot3 (forse erede di un Kit Kot che è con noi dal 2017), ci ha segnalato tre giorni fa da fonte secondaria (un saggio di Sergio Ricossa), come il 20 giugno 1992 invece Monti fosse fieramente avverso all'ipotesi di svalutazione, e come si fosse espresso in tal senso dalle colonne del Corriere della Sera. KitKot3 non aveva il riferimento diretto, ma io ho la biblioteca del Parlamento e quindi eccoci qua:


Uno dei pochi autentici privilegi della casta è quello di poter alimentare la memoria! La lettura di quel numero del Corriere:


ha suscitato in me emozioni contrastanti. Ero nei miei 30 anni, Tangentopoli era iniziata da 142 giorni, Amato stava facendo le consultazioni, avendo ricevuto due giorni prima da Scalfaro l'incarico di formare il Governo (le Camere erano state sciolte a febbraio da Cossiga, che si sarebbe poi dimesso ad aprile dopo le elezioni politiche), e se ne andava in giro per Roma in motoretta:


come quel matto di "Supergiovane" (cit.), mentre Forlani esibiva ancora per poco il suo smagliante sorriso... 

Où sont-ils les lapins d'antant...

Ma torniamo a noi: se restiamo ai titoli, il voltafaccia è clamoroso!

20 giugno 1992: "Perché oggi non si può svalutare".

13 settembre 1993: "La svalutazione ci ha fatto bene".

Da qui, suppongo, la solita solfa scipita e petulante: "Ma come fa a dire il contrario di quello che ha detto prima? Ma era in buona fede? Ma perché i giornalisti non lo inchiodano alle sue contraddizioni?" e via dicendo...

Decisamente non è in simili circostanze che date il meglio di voi!

Tralasciando la questione che temo ormai irrisolvibile del farvi capire che quando si parla di politica, e non della compravendita di un fondo agricolo, di un'auto usata o di una lavatrice, il concetto di "buona fede" non ha alcuna rilevanza pratica (semplicemente perché ritengo che esplorare la dimensione soggettiva di chi danneggia i nostri interessi non ci aiuti a difenderli: gli voteremmo a favore se sapessimo che era "in buona fede"? Di converso: ci lasceremmo sparare addosso da una persone perché in buona fede pensa che vogliamo aggredirla?), a domande tanto accorate quanto vuote credo che se ne potrebbero opporre due, asciutte: "Ma perché leggete solo i titoli?", anzi: "Ma perché non leggete nemmeno i titoli?"

Partiamo dalla prima domanda: i titoli in effetti non andrebbero proprio letti, perché essi sono il Male assoluto, sono il prodotto della cosiddetta "sintesi giornalistica", una elegante perifrasi con cui si suole indicare la menzogna più abietta e miserabile. Fermarsi ad essi è quindi un errore che si paga nel modo più sanguinoso: facendosi manipolare dai nemici dei nostri interessi!

Monti non ha detto che la svalutazione ci aveva fatto bene

Prendiamo l'articolo del 1993, il cui titolo è un virgolettato: "La svalutazione ci ha fatto bene". Inutile dire che nel testo queste parole non le troverete (provare per credere). Sì, è vero: nell'intervista Monti si addentra in una prolissa palinodia che, con moltissima buona volontà, e (immagino) con una certa irritazione dell'interessato, potrebbe anche riassumersi in quel modo. Ma in effetti Monti non dice da nessuna parte che la svalutazione ci ha fatto bene, anzi: sta bene attento a distanziarsi da chi, dopo il fattaccio, prendeva questa posizione. Testualmente, il Mario minor afferma: "vi è una tendenza in Italia a considerare la svalutazione come uno degli elementi positivi del nuovo panorama, anche da parte di coloro che fino al 13 settembre scorso si erano pronunciati a favore del mantenimento del cambio. Io sono tra questi [intendendo, evidentemente, "coloro che fino al 13 settembre scorso si erano pronunciati a favore del mantenimento del cambio", non certo quelli che "tendono" a considerare la svalutazione un elemento positivo, NdCN] e perciò mi sono chiesto ogni tanto in che cosa fosse giusta e in che sbagliata la posizione [sottinteso: mia e che non rinnego, NdCN] che poi è stata smentita dai fatti".

Insomma, il Mario minor non afferma che il riallineamento ci ha fatto bene ma riferisce che sta cercando di capire perché non ci ha fatto tanto male quanto lui credeva che ci potesse fare. I timori che avrebbe nutrito nel 1992 erano, secondo quanto riferiva nel 1993, che il riallineamento:

  1. avrebbe avuto conseguenze inflazionistiche;
  2. avrebbe interrotto il processo di risanamento della finanza pubblica.

Monti riconosce che questo non è successo, e quindi non riconosce che "la svalutazione ci ha fatto bene", ma, mi ripeto, riconosce che "la svalutazione non ci ha fatto male", e cerca di spiegarsi perché.

Sul primo punto la spiegazione è questa: 

In sintesi, le drammatiche conseguenze inflazionistiche paventate sarebbero state smorzate dalla recessione e dagli accordi di luglio 1992 con cui venne soppressa la scala mobile

Sul secondo punto, la spiegazione invece è questa:

In sintesi, la svalutazione sarebbe stata così catastrofica da impaurire le parti sociali determinando consenso attorno alla manovra restrittiva (da una cinquantina di miliardi...).

Ora, prima ancora di valutare nel merito (scarsissimo) questi argomenti, cosa che mi ripropongo di fare dopo aver analizzato il contenuto dall'articolo precedente, vi faccio notare che già da questo capiamo che il voltafaccia è solo nel titolo: Monti non ha mai detto che la svalutazione ci aveva fatto bene.

Monti ha detto che la svalutazione ci avrebbe potuto fare bene

D'altra parte, se facciamo un passo indietro e torniamo all'articolo del 20 giugno 1992, basta rileggerne bene il titolo: "Perché oggi non si può svalutare". Monti non dice: svalutare ci farebbe male (nel qual caso, se nel 1993 avesse poi detto - ma non l'ha detto - che svalutare ci aveva fatto bene si sarebbe contraddetto)! Monti dice: oggi non possiamo, ma domani ci farà bene!


(...a beneficio di tutti i fuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuurbi che abbiamo incontrato in tanti anni di Dibattito, di quelli che la sanno lunga, di quelli che vengono a spiegarmi che Giorgetti così e che Fedriga colà, e che l'euro non è una buona idea, ecc.: troppi panini dovete mangiare prima di arrivare al livello del Mario minor, figuriamoci di quello maior!...)

Eh già, visto che sorpresa? Mentre non abbiamo evidenza che Monti ci abbia mai detto che la svalutazione ci aveva fatto bene, abbiamo prova provata (scritta) del fatto che Monti ci ha detto che l'inflazione avrebbe potuto farci bene! Esattamente il contrario di quello che pensavate voi, esattamente nell'articolo in cui voi pensavate (fuorviati da Ricossa) che avesse detto il contrario di quello che in effetti ha detto.

Ma anche qui giova entrare nella linea del ragionamento, in particolare per apprezzare la capacità, che molti di voi non hanno, ma il Mario minor sì, di scegliere con estrema cautela il lessico, di celare le proprie intenzioni dietro perifrasi accuratamente ponderate. Eh già! Perché il Mario minor, come il Mario maior, difendono gli interessi di persone intelligenti, che quindi sanno leggere (e leggono) fra le righe: non di analfabeti funzionali sobillati da arruffapopolo da strapazzo, dagli scopiazzatori di Goofynomics, da quelli che pensano che il 2025 sia il 2011, e quindi cercano il like sulla base di modalità di comunicazione tatticamente inappropriate...

Quanta pazienza ci vuole: ma non con Formigli, con voi!

Il ragionamento del Mario minor nel suo articolo del 1992 (tre mesi prima del riallineamento) è piuttosto lineare. Riallineare il cambio nell'estate del 1992 sarebbe stato impossibile perché gli altri Paesi membri non ce lo avrebbero consentito:


(e questa ovviamente è una sciocchezza, tant'è che poi abbiamo riallineato), ma soprattutto (e la ciccia del ragionamento è qui):


Capito? La preoccupazione del Mario minor era che, senza il ricatto di un cambio forte, non ci sarebbe stata una "profonda modifica nei rapporti fra lo Stato e il mercato del lavoro". Frase sibillina: che rapporti ha lo Stato col mercato del lavoro? Lo Stato lo disciplina, lo Stato vi accede (per le assunzioni), che cosa vuol dire Mario minor? Ma lo dice, basta leggerlo! La svalutazione "renderebbe meno cogente la pressione perché quegli interventi, che incontreranno profonde resistenze, siano impostati e realizzati". Insomma: se si fosse riallineato c'era il rischio che saltassero quelli che poi, il mese successivo, sarebbero stati battezzati come accordi di luglio, cioè l'abolizione della scala mobile.

Discussione e conclusioni

Rimetto le cose in ordine, perché magari vi siete persi.

Il 20 giugno del 1992 Monti non dice che la svalutazione ci avrebbe fatto male: dice che ci farà bene se però prima avremo riformato il mercato del lavoro smantellando la scala mobile, cosa che nel caso fosse venuta meno la "pressione" esercitata dal cambio forte si sarebbe rischiato di non fare.

Il 13 settembre del 1993 Monti non dice che la svalutazione ci aveva fatto bene: dice che non ci aveva fatto male come lui credeva perché non aveva impedito le politiche di rigore (e non aveva causato inflazione).

Non c'è alcuna contraddizione: c'è una coerenza assoluta attorno a un'agenda politica (se vogliamo proprio chiamarla così: io parlerei semplicemente di indirizzo politico) orientata a redistribuire il reddito dal lavoro al capitale. E non c'è alcun "complottismo"! Che l'economia funzioni così, cioè che il cambio forte serva a esercitare una pressione su alcune parti sociali (quelle più deboli) è materia da libro di testo! Non ci credete? Ecco qua:



(tratte da La politica economica nell'era della globalizzazione, di Nicola Acocella, che adottavo nei miei corsi): "introdurre un elemento esterno di disciplina al comportamento di alcuni operatori... contrastare politiche salariali ritenute inflazionistiche...".

Tutto chiaro, no?

Ovviamente qualcuno potrebbe dire: "Ma nel pensiero del Mario minor, oltre a non esserci contraddizione - che effettivamente non c'è, perché leggendo il testo degli articoli non ci si trova quello che lettori frettolosi credono di aver letto in un titolo ambiguo e in un altro truffaldino - c'è anche sollecitudine verso il povero lavoratore: il Mario minor vuole salvare da se stesso l'elettore che, non essendo disciplinato, si esporrebbe all'inflazzzzzzzzzzzzzzzione, la più iniqua delle imposte ecc. ecc.".

Ecco.

Questa è la scemenza che va di moda nel Paese dei campanelli, quella secondo cui un riallineamento dello x% si traduce in una variazione dei prezzi interni dello x%. Il Monti del 1993 potrebbe giustificare quello del 1992 dicendo: "Ma io volevo solo evitare che i salari reali venissero falcidiati dall'inflazione! Ed è stata la riforma della scala mobile a evitare che lo fossero! Quindi ho fatto bene a sconsigliare un riallineamento nel 1992, e posso spiegare con le riforme intervenute il fatto che poi nel 1993 a riallineamento effettuato non ci sia stata una fiammata di inflazione!"

Ma noi sappiamo che questo argomento sarebbe specioso: lo sapevamo ex ante e lo sappiamo ex post. Ex ante, le stime del pass-through fra riallineamento e prezzi interni sono piuttosto basse! Lo studio più esaustivo resta ancora quello, che vi ho citato spesso, di Goldfajn e Verlang (2000), da cui traiamo questa tabella:


secondo cui dopo un anno al più un terzo della eventuale svalutazione si traduce in inflazione, e nei casi di crisi valutaria il trasferimento è ancora più lento:


tant'è che gli autori riconoscono che:


Ma anche ex post abbiamo visto che la modifica profonda delle istituzioni del mercato del lavoro non ha minimamente alterato il trasferimento di shock esterni all'inflazione interna! Ricordate questo grafico?


Lo avevamo visto insieme qui, e ci dice sostanzialmente che il trasferimento dei costi delle materie prime sull'inflazione interna è oggi assolutamente proporzionale a quello che era stato negli anni '70. Questo significa, in buona sostanza, che tante riforme del mercato del lavoro non hanno alterato in modo significativo la risposta del sistema.

Ora: si può mandare assolto il Mario minor per il fatto di non aver letto nel 1993 un articolo scientifico uscito nel 2000, come pure per non aver constatato nel 1992 che nel 2023 gli shock esterni avrebbero avuto più o meno lo stesso impatto che nel 1973! Non occorre a questo scopo troppa indulgenza per chi come noi è affezionato ad Aristotele e al calendario! Direi però che è molto, molto grave che nel 2025 ci siano ancora dei cretini che vanno in giro a dire che "una svalutazione produce un beneficio illusorio perché l'inflazione prodotta si mangia i salari reali". Non succede mai, come abbiamo documentato qui, l'unica eccezione essendo il Messico, proprio perché fa eccezione anche nel grafico di Goldfajn e Verlang!

Torno però al punto, che andrà sviluppato ulteriormente:


KitKot3 ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "La svalutazione è una droga!":

«Monti è sempre stato piuttosto rilevante, e se avesse detto che era opportuno svalutare ...»

Comprendo questa sua argomentazione, però qui non si tratta di un'intervista, bensì di un articolo sul Corriere che riporta la sua firma e titolato: Perché, [sic!]] oggi non si può svalutare.

Fonte: «Corriere della sera» del 20 giugno 1992.

Perché scrivere un articolo in merito se intellettualmente non condivideva la difesa della lira e politicamente una sua dichiarazione contraria avrebbe avuto ripercussioni politiche di cui non voleva assumersi le responsabilità? Non sarebbe stato più opportuno tacere?

Pubblicato da KitKot3 su Goofynomics il giorno 15 gen 2025, 18:56


Chiaro cosa c'è che non va in questo approccio? Chiare le motivazioni del collega Monti? Chiaro il loro fondamento politico, e la loro (in)consistenza economica?

Ecco.

Credo che questo case study possa essere utilizzato per mettere in prospettiva anche alcuni voltafaccia più apparenti che reali cui abbiamo assistito negli ultimi tempi (diciamo dal 2015 in poi). A conclusione, riporto due considerazioni che ho espresso nelle mie ultime dirette.

La prima è questa: ognuno di noi si sente unico (perché lo è), ma da qui a ritenere che la sensazione di vivere tempi unici sia fondata ce ne corre.

La seconda è questa: la vera svolta non sarà quando loro verranno a dirci le nostre verità, ma quando noi saremo lì a dire le loro menzogne.

(...immagino i commenti...)

domenica 19 gennaio 2025

Svalutazione e dazi

Al prossimo piddino che si straccerà le vesti dicendovi che "Oddio! Adesso arriva Trump, mette i dazi e siamo rovinati, l'economia rallenterà, poveri noi, che ne sarà della nostra economia, [ecc. ecc. ecc.]" suggerisco di rispondere con un asciutto: "Magari! Hai mai pensato a quale sarebbe l'alternativa?"

Poi, approfittando del suo sconcerto, spiegate non a lui, ma agli astanti, perché i dazi potrebbero essere un'alternativa preferibile. Ma prima cercate di capirlo voi! Provo a spiegarvelo...

Parto da una constatazione ovvia. Un Paese che si trova in una simile situazione di squilibrio con l'estero:


qualcosa dovrà pur fare: al limite niente, nel qual caso i mercati penseranno a correggere lo squilibrio, riallineando il valore della sua valuta!

Può essere utile ricordare come vennero corrette le due precedenti situazioni di squilibrio. Quella dei primi anni '80, causata dall'apprezzamento del dollaro a sua volta causato dall'innalzamento dei tassi di interesse Usa (Volcker shock), fu curata svalutando il dollaro, cioè facendo apprezzare lo yen (accordi del Plaza). Lo si vede bene mettendo insieme il tasso di cambio reale con il saldo delle partite correnti:


Il secondo squilibrio, quello che culmina attorno al 2006, fu corretto dalla Grande crisi finanziaria (a partire dalla crisi dei subprime nel 2007).

Ora, escludendo (nell'interesse di tutti) uno scenario globale catastrofico, ed escludendo l'applicazione di politiche di austerità da parte del Governo degli Stati Uniti, per correggere lo squilibrio dal lato delle importazioni Usa (distruggendo l'American way of life e un nostro significativo mercato di sbocco), i due elementi che possono contribuire a "chiudere" abbastanza rapidamente il gap fra importazioni ed esportazioni sono un riallineamento del cambio e l'imposizione di dazi.

Il riallineamento è chiaro come dovrebbe operare: dato che gli Usa sono in deficit e l'Eurozona in surplus, il dollaro dovrebbe cedere (simmetricamente: l'euro dovrebbe rafforzarsi). Una svalutazione del dollaro poniamo del 10% (la si potrebbe facilmente avere nell'arco di un anno, è già successo di peggio in passato) per il cittadino statunitense avrebbe effetti indiscriminati: implicherebbe che tutti i prodotti di ogni Paese che adotta l'euro (quindi anche tutti i prodotti italiani) aumenterebbero di prezzo del 10%. Diciamo che per noi non sarebbe il massimo, soprattutto considerando che non siamo i principali responsabili dello squilibrio commerciale verso gli Usa:


I dazi, che tanta preoccupazione suscitano, consentono invece un'applicazione selettiva. Volete un esempio? Eccolo qua:


Nel quadro di una delle più lunghe dispute commerciali fra Stati Uniti ed Europa, quella fra Boeing e Airbus, nel 2019 gli Stati Uniti decisero di imporre un dazio ritorsivo sui vini provenienti da Francia, Spagna, Germania e Regno Unito.

E sui nostri?

Sui nostri no (per ovvi motivi: non davamo fastidio).

Questo, ovviamente è solo un esempio, un aneddoto, il cui plurale non sarebbe "dati". Tuttavia, i dati dicono che durante la temibile epoca dei "dazzzi di Trump" (diciamo dal primo trimestre del 2017 all'ultimo del 2019, perché poi c'è stato l'Armageddon che ricorderete) le nostre esportazioni verso gli Usa sono cresciute del 22%, quelle francesi del 20%, quelle tedesche dell'11%:


 L'atteggiamento di Trump è sempre stato favorevole ad accordi bilaterali:

e continua ad esserlo. Tanto meglio. Il nostro Paese, il nostro Governo, per inciso anche il mio partito non sono posizionati male, non devono, almeno in teoria, temere mosse aggressive. Lo stesso non può dirsi di altri Paesi e di altri Governi (quelli ai quali già la prima volta non andò benissimo).

Mi sembra quindi ovvio che fra un aggiustamento di mercato che comporterebbe una indiscriminata perdita di competitività per tutti i nostri prodotti (perché tanto per cambiare il valore della nostra moneta risulterebbe artificialmente gonfiato in conseguenza delle politiche della Germania) e interventi mirati dell'amministrazione Usa per ridurre gli squilibri bilaterali più fastidiosi e artificiali (determinati dal fatto che la Germania continua a godere di un cambio per lei eccessivamente favorevole) non c'è dubbio su quale sarebbe la soluzione preferibile per noi.

Vedo più difficile che l'amministrazione Trump ci lasci proseguire sulla strada della svalutazione competitiva dell'euretto, che vi ho documentato qui, e alla quale del resto già nel primo mandato Trump aveva in qualche modo messo un freno.

E la morale della favola è che, salvo prova del contrario che saremo lieti di valutare insieme, sia per il passato che per il futuro, vale per i dazi quello che vale per tante altre cose: se gli operatori informativi ce ne parlano tanto è perché, alla fine, non sono poi così rilevanti per noi.


(...il che non esclude, ovviamente, che non siano un bello e meritato stress test per il progetto leuropeo: ma questo ci preoccupa?...)

Caciccato (s.m.)

Poche ore fa Claudio ha sollevato un'onda nella cloaca nera con questo suo tweet che mette in evidenza un aspetto interessante del processo politico visto nella sua concretezza. Se ne sono diramate dopo un po' una serie di ampie discussioni, in una delle quali rinvengo questa risposta che vorrei rapidamente commentare con voi:


Dialetticamente questa risposta è ineccepibile, come testimonia anche il vicolo cieco in cui ha mandato a cacciarsi l'espertone di turno:


(uno dei tanti che volevano tutto e subito, e destabilizzati dall'impazienza hanno preferito risolvere l'incertezza arruolandosi nella folta schiera delle amanti tradite).

Ci sarebbe da ragionare su tanto (ad esempio, sulle "posizioni minoritarie che poi diventano maggioritarie". Esempi? Spiegazioni?), ma qui mi soffermo su un aspetto, quello che ho evidenziato in giallo.

La risposta di Claudio in tanto è efficace dialetticamente in quanto si appoggia a un falso preconcetto dei suoi interlocutori, quello secondo cui il sistema proporzionale (sottinteso: con preferenze espresse) meglio si presterebbe a dare voce "ar bobolo" (giusto e santo per definizione), a quindi a consentire al sullodato "bobolo" di scardinare i meccanismi autoreferenziali de #aaaaabolidiga, garantendo che tutte tuttissime le opinioni, compresa quella di

IO

possano trovare una rappresentanza nelle sedi parlmentari, propagando il seme della dissenting opinion, e creando così il presupposto perché la grama opinione minoritaria attecchisca e nel tempo si trasformi nella robusta sequoia di una opinione maggioritaria.

Insomma: il sistema proporzionale sarebbe più "politico" del sistema maggioritario, più favorevole al radicarsi nelle sedi parlamentari di uno spettro di opinioni più diversificato. Se non ricordo male, anche qui qualcuno aveva fatto questo discorso, una quindicina d'anni fa, ormai: "Se ci fosse un voto proporzionale puro, potremmo fare "er partito di Goofynomics" e così avremmo in Parlamento qualcuno che gliele canterebbe chiare!"

Il famoso "famoerpartitismo" contro cui mi sono sempre, per vostra e mia fortuna, risolutamente schierato.

Ora, e premesso per completezza che:

  1. l'obiezione di Claudio è non solo dialetticamente, ma anche letteralmente corretta (certo: col proporzionale puoi votare chi vuoi, ma anche col maggioritario: diciamo che "votare chi si voleva" va ovviamente inteso nel senso di "esprimere per il candidato di proprio gradimento un voto di preferenza tenendo conto dell'alternanza di genere", e quindi comunque un voto per "chi si vuole" nel contesto dei soggetti inclusi dai partiti nelle liste di un determinato collegio);
  2. incidentalmente, 20.000 voti sarebbero molti in un collegio abruzzese, ma sono niente a livello nazionale, e per accedere al Parlamento nazionale si viene però candidati in collegi di dimensione al massimo regionale, quindi tutto il consenso che vedevate qui o al #goofy in realtà elettoralmente non esisteva - esattamente come di converso certe performance elettorali stellari non riempirebbero la sala del Serena Majestic: unicuique suum;
  3. ormai ne sapete abbastanza di come funzioni in concreto la politica da poter considerare immediatamente come un delirante narcisista chiunque vi proponga uno spiaggiamento di mera testimonianza nel gruppo misto;

il punto su cui volevo attirare la vostra attenzione è un altro.

Se lo si considera nella concretezza di come effettivamente si svolge nel contesto delle regole attuali, il voto "proporzionale", inteso come voto con preferenze, senza listino bloccato, è molto ma molto meno "politico" del voto maggioritario, e questo dovreste averlo capito anche voi. Il motivo è semplice: se servono i voti, si candida (verbo transitivo: si mette in lista) chi porta i voti, non chi porta una verità della quale non frega un cazzo a nessuno per quanto rispettabilissima!

Scusate la franchezza, ma ogni tanto bisogna anche essere espliciti (e parlare quindi in franco o francese che dir si voglia).

Può piacere o non piacere, potete crederci o meno, ma i voti li hanno gli animali da territorio, gli uomini da marciapiede (in Abruzzo: marciappiede, non chiedetemi perché...), non i Buffagni, i Musso, e nemmeno i Bagnai (nonostante abbiano un seguito "social" superiore a quello dei sullodati esponenti del dibattito). Per scrivere il nome di qualcuno bisogna che quello abbia fatto qualcosa per te, qualcosa di concreto, e no: aprirti gli occhi non basta! Non sto parlando di voto di scambio né di altre fattispecie illegali: anche nel contesto della più stretta aderenza alle rigorose normative catare, un conto è essersi esposti su un provvedimento concreto (la realizzazione di un'infrastruttura che ti accorcia i tempi di percorrenza, un bando per il finanziamento della tua attività, o della zona in cui risiedi, ecc.), un conto è proporre una visione alternativa che può magari scaldare i cuori (di una ristretta nicchia), ma mai abbastanza da far impugnare la matita.

Volete la dimostrazione?

Semplice!

Con un listino bloccato su collegio unico nazionale ora avremmo a Bruxelles Marco Zanni: saremmo cioè riusciti a rieleggere il parlamentare che più ha contribuito, nella legislatura precedente, all'affermarsi degli equilibri fra i gruppi che stanno caratterizzando questa legislatura, e che quindi meglio saprebbe interpretarli. Con il voto a preferenza su macro-collegi regionali abbiamo dovuto seguire una strategia completamente diversa, totalmente avulsa dalle logiche che qui vi sembrano determinanti, e quindi in re ipsa inabilitata a tenerne conto e a dar loro rappresentanza. Questo naturalmente non è un giudizio di valore sugli ottimi colleghi che ora ci rappresentano a Bruxelles: è un giudizio di fatto che spiega perché noi non potremo avere mai una figura come questa (e averne, finché dobbiamo giocare questo gioco, ci servirebbe).

Con questo sistema (inesistente) dei partiti, con questo ritaglio (assurdo) dei collegi elettorali, posto che comunque le liste non sorgono per generazione spontanea dalla fermentazione del corpo elettorale, ma vengono decise dai vertici di partito, una lista bloccata paradossalmente veicolerebbe un voto molto più ideologico di quello implicito nel meccanismo delle preferenze! Banalmente: vi ricordate quando secondo i giornali noi saremmo dovuti entrare nel PPE? Indovinate un po' perché invece abbiamo votato (e fatto votare) contro la von der Leyen!? Servono altre spiegazioni?

Si potevano cambiare le regole? Sì, si sarebbe potuto. Lo abbiamo chiesto? Sì, lo abbiamo chiesto. Ci siamo riusciti? Evidentemente no. 

L'inefficienza della legge elettorale per le europee è una delle principali cause della nostra subalternità a Bruxelles, e forse per questo non si riesce a cambiarla. Un altro motivo immagino sia che avere un "megasondaggione" di metà mandato fatto su un campione rappresentativo (l'intero corpo elettorale) evidentemente fa comodo, nonostante che l'esperienza dimostri che questo sondaggione non solo non è poi così significativo (e qui ce ne eravamo accorti), ma può anche essere destabilizzante (come l'esperienza del 2019 ci ricorda).

Questo lo dico a futura memoria.

Il problema non è tanto la legge elettorale, quanto quello che le sta a monte: l'esistenza o meno di un sistema dei partiti in grado di svolgere la propria funzione di corpo intermedio, l'esistenza o meno di una filiera amministrativa dove i partiti possano far crescere i propri rappresentanti (oggi questa filiera è infartuata dalla cosiddetta abolizione delle province).

Ovviamente questo discorso è fatto a beneficio di chi si pone su un livello di comprensione superiore rispetto a chi invece continua a chiedere un discorso di mera testimonianza, di mero, narcisistico, martirio.

Buona domenica!

giovedì 16 gennaio 2025

Renzi avrebbe fatto anche cose buone

L’epitaffio di cotanto contadino (Rignano è nel contado) lo fecquimo (sic) qui e non ci torniamo su. Ci vogliamo tuttavia crogiolare nell’illusione di aver contribuito anche noi, coi nostri umili scritti, al plateale fallimento di quella spregiudicata scommessa (persa) che fu il referendum. Del resto, erano ancora recenti gli anni in cui il #goofy nei trending topics superava la Leopolda. Ma non è di questo che voglio parlarvi ora (ho deciso di tornare qui, perché mi sono reso conto che iTagli™️ sono un lavoro piuttosto lungo). Volevo solo condividere una considerazione sul significato di una proposta riformatrice di Renzi che credo di aver fatto spesso a voce, anche in pubblico, ma di non aver mai messo qui a verbale. Mi ha condotto a pensarci questo scambio in uno dei post precedenti:


La riduzione del numero dei parlamentari, in effetti, ha inflitto un vulnus significativo alla loro capacità di incidere, non solo negli organi parlamentari di controllo, ma in generale in tutti gli ambiti in cui si esplica la loro attività. Tuttavia, c’è un’altra cosa che impedisce ai parlamentari di lavorare bene sotto il profilo dell’attività legislativa, e che condiziona pesantemente il tempo che hanno da dedicare alle altre attività di vigilanza, controllo, inchiesta, eccetera.

È l’abuso della decretazione d’urgenza.

Apprendo da letture casuali che Mortati era scettico sull’inserimento del decreto-legge in Costituzione, prevedendo che di questo strumento si sarebbe abusato. La conseguenza di questo abuso, però, forse non è chiara a tutti. L’abuso di decreti legge si traduce in un monocameralismo di fatto. Formalmente il sistema rimane caratterizzato da un bicameralismo paritetico (non direi perfetto, perché i due rami del Parlamento hanno regolamenti interni diversi, ma questo dibattito nominalistico non mi interessa, e non ho neanche le competenze per sostenerlo). Praticamente, l’obbligo di conversione entro 60 giorni fa sì che nella prassi la legge di conversione venga esaminata approfonditamente solo da un ramo del parlamento, e arrivi, come si suol dire, “blindata” all’altro ramo del Parlamento, che, nei fatti, non può modificarla (cioè non può emendare il decreto legge), e anzi deve approvarla in fretta e furia con un voto di fiducia che si traduce nell’ennesimo sfogatoio delle opposizioni (sfogatoio che sarebbe anche giustificato, se non fosse che gli addetti ai lavori hanno memoria abbastanza lunga per ricordarsi che quando le opposizioni erano al governo, facevano anche di peggio).

Ora, in questo senso la riforma di Renzi avrebbe fatto anche una cosa buona, un’operazione di onestà intellettuale: adottare un monocameralismo de iure, laddove tanto il regime è monocamerale de facto. È un po’ il discorso che abbiamo fatto tante volte rispetto alla Presidenza della Repubblica: siamo in una Repubblica presidenziale de facto, il che, se da un lato ci consente di crogiolarci nella illusione di essere in una Repubblica parlamentare (luogo in cui solo i gonzi credono di vivere!), dall’altro ci priva dei contrappesi che il potere della Presidenza incontra nelle repubbliche presidenziali de iure, e non mi riferisco tanto all’ipotesi melodrammatica di impeachment, quanto alla più banale responsabilità politica derivante ad esempio da una elezione diretta. Probabilmente un giurista sorriderà della rozzezza del mio ragionamento, ma io continuo ingenuamente a pensare che sia meglio allineare le due Costituzioni, quella formale e quella materiale. Questo perché all’interno di una Costituzione formale è più facile esplicitare e quindi più probabile che esistano delle garanzie, appunto, formali, di equilibrio fra i poteri.

Così, in un sistema che fosse presidenziale anche de iure, quella che sempre più platealmente si configura come la detentrice ultima dell’indirizzo politico, cioè la Presidenza della Repubblica, verrebbe soggetta ad una responsabilità politica, ad esempio attraverso il meccanismo di elezione diretta del suo vertice. Non accadrebbe così, come ho visto accadere nella mia breve esperienza politica, che l’attività di un Parlamento restasse bloccata per circa un semestre nel tentativo di scongiurare che un parlamento di sinistra eleggesse con una elezione di secondo livello un presidente di sinistra in un Paese di destra. In questo senso, il riallineamento della costituzione formale a quella materiale consentirebbe ai detentori della sovranità di ristabilire loro un certo equilibrio fra i poteri.

Un ragionamento simile si può fare per il monocameralismo. Soprattutto dopo il taglio dei parlamentari, ma in realtà anche prima, un passaggio esplicito al sistema monocamerale avrebbe allungato in modo significativo i tempi dell’unico passaggio parlamentare cui un decreto è sottoposto. Risparmiando la decina di giorni dedicati alla pulcinellata della fiducia sul decreto blindato nell’altro ramo per dedicarli a ulteriori approfondimenti sul testo, ulteriori confronti col governo, ulteriori attività di audizione e di emendamento, in un sistema monocamerale de iure il Parlamento potrebbe arginare e indirizzare in modo più efficace l’attività legislativa d’urgenza di iniziativa governativa. Anche in questo caso, un riallineamento della Costituzione formale a quella materiale consentirebbe un migliore equilibrio fra i poteri. 

Notate che escludo la possibilità di riallineare la Costituzione materiale a quella formale: il meccanismo del piano inclinato non vige solo nei rapporti con l’Europa, vige anche nei rapporti fra le istituzioni repubblicane. La Presidenza della Repubblica per un verso e il Governo per l’altro ormai hanno esondato, e qui si pone, e come se si pone, un problema di tubetto e dentifricio! Possiamo crogiolarci nell’idea di riavvolgere il nastro, ma non funziona così. Sarebbe meglio riconoscere pragmaticamente che, se le cose si sono spinte troppo oltre, va creata una nuova linea di difesa. Forse nelle proposte riformatrici di Renzi (mi riferisco in particolare al monocameralismo) era presente anche, in parte, uno spirito simile. E quindi forse, ed è un gigantesco forse, Renzi avrebbe fatto anche cose buone, se ci fosse riuscito.

Ma perché non ci è riuscito?

Direi per narcisismo, cioè perché non ha capito quanto lui di persona personalmente stesse sui coglioni alla maggioranza degli italiani, che quindi gli hanno votato contro semplicemente per scrollarselo di dosso, nella speranza, rivelatasi poi vana, che lui tenesse fede alla promessa fatta di andarsene, se avesse perso. Lo chiamerei, se non temessi di nobilitare troppo il contadino, l’effetto Rostov: ricordate quando alla sua prima carica il giovane ussaro si rende conto che i nemici gli stanno sparando addosso e si chiede perché mai ce l’abbiano con lui, perché dovrebbero uccidere un giovane cui la sua famiglia vuole tanto bene?

Al netto dei dati caratteriali, gli italiani stupidi non sono, e non potevano non vedere come un nemico chi li aveva privati di salario e diritti. Questo ha senz’altro giocato un ruolo, ma un ruolo altrettanto determinante è stato giocato da una comunicazione truffaldina che ha spostato l’attenzione su un falso problema, quello della “navetta”. Qui forse hanno preso il sopravvento i comunicatori, che in ossequio al mitologema della sciura Maria devono aver spiegato agli alti vertici che il passaggio al monocameralismo andava giustificato in ragione della maggiore speditezza derivante dalla singola lettura. Il problema era esattamente opposto: era l’eccessiva speditezza di una singola lettura delle leggi di conversione dei decreti in un sistema che continua a dover far finta di fare due letture. Può darsi che questo la sciura Maria non lo capisca, e magari che io non sia riuscito a farlo capire a voi. Ma può anche darsi che raccontando le cose come stanno, anziché inventarsi balle per il piacere di inventarle e venendo smentiti dalle statistiche sarebbe servito a far capire prima anche a me che una persona che non merita attenzione stava portando avanti proposte che meritavano una riflessione.

Ma appunto, se quella persona avesse meritato attenzione, sarebbe stato un testimonial meno pessimo di simili proposte, e forse la storia avrebbe preso comunque un’altra piega.

Che è poi un modo per dire, concludendo, che Renzi avrebbe fatto anche cose buone se non fosse stato Renzi, cioè una persona da cui nessuno comprerebbe un’auto usata e nemmeno una riforma nuova.

Di lui, quindi, possiamo tornare a non occuparci senza eccessivi rimpianti (rimpiango solo le spille della Lega che Sua Puerilità mi ha sottratto)! Del principio stabilito però, cioè del fatto che astrattamente penso sia preferibile allineare la Costituzione formale a quella materiale, forse dovremmo continuare ad occuparci, anche perché non escludo che abbia ulteriori declinazioni, oltre a quella di riflettere sulla Repubblica presidenziale e sul sistema monocamerale (che se esistono de facto forse sarebbe meglio che esistessero de iure). 

Aggiungo una considerazione. Se i Governi abusano della decretazione d’urgenza, è perché qualcuno glielo permette, e chi dovrebbe impedirglielo, secondo una certa dottrina, è proprio la presidenza della Repubblica. Qui non si tratta di contestare il potere di iniziativa legislativa del Governo. Qui si tratta di rivendicare, salvo casi realmente eccezionali, dei tempi umani di analisi dei provvedimenti governativi da parte del Parlamento. Si tratta cioè di rispettare un’esigenza di equilibrio fra i poteri, perché il vero problema nella grammatica dei nostri poteri costituzionali non è quello della separazione, ma quello dell’equilibrio. A voler essere maliziosi, ma sapete che io non lo sono, si potrebbe quasi pensare che questo abuso, in quanto si traduce in una ulteriore compressione dei poteri effettivi nei vostri rappresentanti, sia allegramente tollerato da una istituzione che, nella fattoria delle istituzioni tutte uguali, molto evidentemente aspira con successo ad essere più uguale delle altre.

Ma perfino io, che sono una brutta persona, non riesco a pensare a un simile atteggiamento tattico!

Concludendo: le strade attraverso le quali potreste, potrete (?), tornare a incidere sono plurime. Non possiamo escludere che una ci sia stata indicata dal simpatico smargiasso che continua a dare pessimi consigli, non potendo più dare un pessimo esempio. Ci va comunque fatto un pensiero…

Chiuso per tagli

(… la giornata di oggi in Commissione Morte contiene una morale che ad alcuni di voi apparirà evidente, e per gli altri applicheremo la prima legge della termodidattica. Qui vorrei parlarvi di tante cose, ma in particolare di voltafaccia, e di come non capirli. Tuttavia, dopo una giornata in cui ho avuto addosso un po’ tutti, essendo stato privato di “quel diaframma di protezioni che nel corso del XX secolo hanno progressivamente allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere”, perché guarito io, si è ammalato il mio capo staff, forse faccio anche a meno di mettermi sul blog, e mi dedico un po’ a quel cibo che solum è mio, per recuperare poi nel weekend…)

Ieri sera ho finito gliAscolti™️: tutti i take sono stati corredati dal rispettivo minutaggio. Questa sera, per sciacquarmi un po’ la mente, vorrei provare a iniziare iTagli™️, anche per vedere quanto tempo mi prende quest’altra attività.

Si tratta quindi di scegliere per ogni sezione il take migliore, e poi eventualmente, ove necessario, di prendere dagli altri take degli inserti per correggere eventuali cose poco convincenti. Devo anche mettermi d’accordo col tecnico per fargli capire quello che voglio, perché è la prima volta che lo faccio, e quindi anche la prima volta che lo faccio con lui. Immagino una cosa del tipo: “per la prima sezione iniziamo al minuto 4:37, la battuta tre prendila al minuto 2:24, il trillo di battuta nove prendilo al minuto 5:46…”. Dopodiché, il dottor Frankenstein confezionerà il master (anziché il monster). In teoria saprei farlo anch’io, perché nel mio secondo diploma, quello specialistico in flauto dolce, il corso di informatica musicale prevedeva anche questa roba qua. Ma naturalmente non posso lamentarmi di dover sempre fare tutto io se quando c’è qualcosa che gli altri possono fare meglio di me non gliela lascio fare!

Quindi: largo ai giovani!

Nel weekend avremo tempo per parlare di altro…

Commissione Morte

(...ci siamo occupati a lungo della Commissione Amore, ora ci occuperemo per un po' della Commissione Morte: due concetti legati dalla letteratura e talora, ahimè, in vario modo, dai percorsi delle nostre esistenze. Per quanto mi riguarda, le due Commissioni sono accomunate in primis et ante omnia da un tema che oggi è finalmente riconosciuto come centrale, rispetto a quando lo ponemmo, otto anni fa: quello della libertà di espressione del pensiero. Ma intanto vi suggerisco di dare un'occhiata - come faccio immediatamente anch'io - a quello che è successo questa mattina, mentre presiedevo la Enti Gestori. Claudio, che invece non aveva Copasir, caldeggia la visione...)


(...occhio ai commenti: ricordiamoci che i fascisti hanno già tirato giù vari canali che si occupavano di questa materia, come ha confessato uno dei capi delle loro squadracce, e io il blog non me lo faccio tirare giù, chiaro?...) 



mercoledì 15 gennaio 2025

Chiuso per disco

 (…nell’ordine: visita e pranzo alla Camera col vincitore del Finday - che è poi risultato essere uno che zittii col mio consueto garbo a un #goofy, a riprova del fatto che un inquadratore non deve necessariamente essere carino e coccoloso - a seguire rapido incontro in Sala del Governo e poi question time al ministro Giorgetti sul credito alle PMI, a seguire prima riunione di staff, poi ramoscello di ulivo chiarificatore da un’azienda non banale, poi visita di un’associazione di categoria con interessanti condivisioni [e dopo sette anni in questo frullatore, inevitabilmente si scoprono tante amicizie comuni], poi riunione con lo staff della Commissione Enti Gestori per organizzare audizione e ufficio di presidenza di domani [i meno distratti sapranno perché], poi riunione di agenda col mio capo staff [il 24 sono ad Arona, se interessa], poi “c’è qualcuno che siamo in sala Mappamondo a votare?”, e io sono ahimè qualcuno, e quindi sono andato a votare all’ora in cui avevo pensato di essere e casa a scrivere… ma, come sempre, è andata in un altro modo!…)

Sto terminando gli ascolti del disco che ho inciso con Musica Perduta alla chiesa della Madonna del Girone di Pizzoferrato. Ci ho messo, fra l’altro, il primo:


e l’ultimo:



brano di Frescobaldi che ho studiato: rispettivamente, la Canzona terza del Secondo libro (Roma, 1627), che era in un’antologia di storia della musica di mia madre, dove cercavo cose da suonare a sedici anni, e la Fantasia prima del Primo libro (Milano, 1608), che mi sono scaricato da Internet tre mesi fa perché ritenevo che nel disco ci dovesse essere una fantasia per organo, visto che ci saranno anche tante fantasie per basso di violino.

Ora devo fare gliAscolti™️.

Funziona così: per ogni sezione del brano si fanno più prese (non essendo un live), il tecnico in ripresa le numera progressivamente (1, 2, 3,…), segna sulla partitura quello che gli piace (es.: 3+++: “nel terzo take questa battuta è venuta benissimo”, 1-: “la prima fa cagare!”, ecc.), poi manda tutto in un gigantesco file audio, che tu ti riascolti segnando con diligenza a che punto inizia ogni singola ripresa (ad esempio, il secondo take dell’attacco della canzona, che al tecnico è piaciuto, inizia al minuto 1:26 del file), e annotandoti via via quello che ti convince di più o di meno (ad esempio, a battuta 8 del secondo take secondo me il tempo cede un po’ troppo: devo verificare…). Alla fine, si segna cos’è venuto meglio, e si manda a un altro tecnico che mette insieme i take migliori, dopo di che si riceve il master e lo si manda a una casa discografica.

E da tutto questo che cosa si capisce?

Che da giovani si apprende meglio, o forse anche che da giovani si vuole sembrare tanto bravi, perché, come vedete, per la Fantasia, che Frescobaldi scrisse da giovane e io studiai da vecchio, i take necessari sono stati infinitamente di più che per la Canzona, che io studiai da giovane e Frescobaldi scrisse da vecchio (il chiasmo, per chi sa cos’è, servirà a far capire che io mi sento giovane, motivo per cui con una bronchite incipiente me ne vado a spasso sotto la neve a -4 e con le raffiche a 80 Kmh)…

Se arrivo in fondo a questo sudoku lo dedicherò a mia madre, che nel primo certificato di morte risultava deceduta per “polmonite contratta in comunità” (dopo circa sei anni che non usciva di casa per il semplice motivo che non si ricordava dove fosse la porta), e a un vero organista, morto nel suo letto la notte dopo aver fatto quello che pensava fosse suo dovere fare.

Nil inultum remanebit, ma quella è un’altra musica…

lunedì 13 gennaio 2025

Chiuso per influenza

 


Ieri era così.

Un vento che buttava in terra…

Ho convocato chi sapete voi:

e ho provato a fare un giro che in primavera sarebbe stato banale, e anche piacevole, fra i roseti in fiore


ma in inverno un po’ meno, tant’è che alla fine ho deciso di tornare sui miei passi, anche perché di andare sui suoi:

non me la sentivo tanto.

Così sono rientrato, ho pranzato, poi mi sono messo ad ascoltare le tracce del prossimo disco (per fortuna avevo conservato gli appunti del tecnico del suono, altrimenti sarebbe stato tutto molto più faticoso). Verso ora di cena mi sono accorto che non avevo fame, ma in compenso avevo le nausee. Esclusa una gravidanza indesiderata (anche se di questi tempi non si sa mai: almeno fino al 20 gennaio potrebbe capitarmi, dopo diventerà meno probabile), non restava come ipotesi che l’influenza: in effetti subito dopo sono partiti degli squassanti brividi di freddo e la febbre che, misurata col termometro digital (e suppongo anche sustainable) del mio amico arrivava a ben 36,6 (!), ma sarà stata almeno 39 (visto che ora sto bene e ho 38)!

Aridatece er mercurio!

Finalmente ho capito perché da tre giorni avevo un lievissimo velo di catarro, senza alcun altro fastidio. Il vairus mi stava insidiando! Io l’ho sfidato, e ho perso… Cose che capitano quando non hai più 21 anni: avere tre volte 21 anni non è la stessa cosa!

Avrei un po’ di cose da dirvi, cioè da scrivervi, ma preferisco leggere (“Sorvegliata speciale”: un po’ ripetitivo, ma repetita juvant) e dormirci sopra, perché da domani pomeriggio riparte la giostra.

Voi intanto divertitevi con Marco, e non stropicciatelo troppo! Quando ce ne ricapita uno così!…