(...come promesso nell'odierna diretta. Date un'occhiata, ne vale la pena. Aspetto i vostri commenti...)
Goofynomics
L’economia esiste perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale. Per contribuire a una lettura più equilibrata della realtà abbiamo aperto questo blog, ispirato al noto pensiero di Pippo: “è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita”. Una verità semplice, ma dalle applicazioni non banali...
giovedì 12 dicembre 2024
lunedì 9 dicembre 2024
Tre paesi, tre bilance
(...un po' come tre pesi, tre misure...)
Riprendo il discorso di ieri e entro un po' in dettaglio.
Intanto, parliamo di "bilancia" dei pagamenti perché in inglese il saldo di un conto (la differenza fra poste attive e passive) si chiama balance. La "bilancia" sarebbe quindi il saldo fra i pagamenti ricevuti e quelli effettuati dagli operatori residenti da e verso gli operatori non residenti. Già chiamarlo saldo aiuterebbe, i barbarismi non sono solo un danno estetico, ma pace: questo ormai ce l'abbiamo e ce lo teniamo.
I pagamenti possono riguardare:
1) merci (grano, ferro, ecc.);
2) servizi (turismo, trasporto, ecc.);
3) redditi primari (cioè derivanti direttamente da lavoro, attività finanziarie e risorse naturali, quindi: retribuzioni, interessi o dividendi, rendite, ecc.)
4) redditi secondari (cioè derivanti dalla redistribuzione del reddito, e quindi: imposte, contributi sociali, rimesse degli emigrati, ecc.)
Il database Eurostat riporta tutto in grande dettaglio, ma intanto vi faccio vedere il quadro macro, così vi fate subito un'idea. In ordine alfabetico:
Segue spiegazione.
La linea blu è il saldo complessivo delle partite correnti ed è la somma algebrica delle tre barri verticali che sono rispettivamente il saldo "beni e servizi" (GS), i redditi primari (PI) e i redditi secondari.
Partiamo dalla linea blu, che ci racconta la storia che sappiamo. In Francia il saldo estero peggiora progressivamente, passando in territorio negativo nel 2007, in Germania è sempre positivo, in Italia c'è stato un reversal: prima era negativo e stava scendendo, poi è salito fino al 2019, poi è sceso con la crisi e ora sta risalendo.
Ci sono altre cose abbastanza intuitive: un Paese che, come la Germania, è in surplus strutturale, e quindi esporta capitali, ha ovviamente un saldo dei redditi primari positivo (gli interessi e dividendi sui capitali esportati, cioè prestati, investiti, all'estero superano quelli pagati all'estero sui capitali investiti in Germania). La Germania ha "importato" molta mano d'opera, ed è quindi normale che siano negativi i redditi secondari (escono dal Paese le rimesse degli immigrati turchi, siriani, ecc.).
Questo, se ci fate caso, succede anche in Italia. Dopo il reversal del 2012 il Paese va in forte surplus, accumula crediti e decumula debiti esteri, e quindi dopo un po' appare un saldo positivo dei redditi primari (attorno al 2016).
Quello che è veramente anomalo è lo sbalorditivo livello del saldo redditi primari (positivo) e secondari (negativo) della Francia, che rendono le dinamiche commerciali in senso stretto piuttosto irrilevanti.
Il dettaglio del saldo dei redditi primari è questo:
Le componenti sono tutte positive, tranne il reddito da investimenti (II) nel solo anno 2002. Le altre componenti, cioè le remunerazioni (CE) e gli altri redditi primari (OP, trascurabili) sono sempre positivi. La componente più importante è di gran lunga l'investment income (II), che possiamo dettagliare ulteriormente, nella speranza di capire come mai un Paese con un debito estero netto sempre più imponente ha redditi netti da capitale positivi e sempre più imponenti.
La risposta è piuttosto intuitiva, anche per chi non la sapesse già:
I redditi da investimenti (II, investment income) sono tirati giù dagli investimenti di portafoglio (principalmente interessi pagati su titoli di debito, barre grigie), ma sono tirati su dagli investimenti diretti (principalmente dividendi percepiti su aziende detenute all'estero, barre arancioni), mentre gli altri investimenti (OI, barre gialle) non manifestano una tendenza ben precisa.
Insomma: quello che spiega perché un Paese con problemi strutturali di competitività, con un saldo beni e servizi persistentemente negativo, che paga un bel po' di interessi all'estero, ha comunque dei redditi da investimento positivi, è lo shopping di buone aziende che ha fatto all'estero (e, asimmetricamente, l'aver impedito che dall'estero si acquisissero le sue aziende). Pensate alla nostra filiera del lusso, ma anche (e soprattutto) alla grande distribuzione, ai servizi finanziari, ecc. Quella barra arancione positiva che va sempre più su siete voi a mandarla su, ogni giorno, impercettibilmente, involontariamente, con pressoché qualsiasi gesto della vostra vita quotidiana: dal prelevare contante (in una certa banca anziché in un'altra), all'andare a fare la spesa (in un certo supermercato anziché in un altro), al pagare l'assicurazione della macchina, ecc.
Chiaro, no?
Questo è quello che si capisce dai flussi di reddito, magari domani lo vediamo anche nella composizione degli stock di attività e passività, col database Eurostat o con un altro database.
Quindi, per tornare al discorso di ieri: la situazione della Francia è delicata, certo, ma altrettanto certamente non come quella della Grecia nel 2010, e non è assolutamente una questione di rapporto fra interessi sul debito pubblico e Pil (che in Francia è minore rispetto alla Grecia di quattordici anni fa), come vi direbbe un SDHIC: è molto più una questione di composizione del portafoglio di investimenti del Paese (che, a giudicare dai rendimenti netti che offre, in Francia è molto migliore che in Italia e in Germania).
Questo i mercati lo sanno, e quindi per ora stanno a guardare...
domenica 8 dicembre 2024
Current account reversals
Avrei molte cose da dirvi, su vari argomenti. Siamo in un momento particolarmente lurido, quello che Claudio aveva magistralmente descritto dodici anni or sono:
(purtroppo la fonte originale, cioè il suo intervento a "L'Ultima Parola", non sono in grado di fornirvela), e i cambi di paradigma (per dirla con un termine che vi diventerà familiare fra una settimana), o, se vogliamo, i voltafaccia, sono all'ordine del giorno. Potrei parlarvi del Giavazzo bifronte (e in effetti dal 25 aprile scorso ho in bozza un post così intitolato...), potrei parlarvi di come le istituzioni europee confessano senza rendersene conto il proprio fallimento, potrei parlarvi di tante cose, ma oggi questo può farlo anche un operatore informativo!
I voltafaccia del Giavazzo, dopo quello del sette settembre 2015 (chi se lo ricorda?), non credo ci stupiscano! Le ammissioni delle istituzioni europee, dopo quella di Draghi a La Hulpe, sono solo una banale rifinitura di questioni di dettaglio. Non credo valga la pena di perdere il sonno appiccicati a un PC né per descriverle né per farsele descrivere.
Vale invece certamente la pena guardare avanti, e oggi vorrei farlo nel modo che di solito è più produttivo, cioè guardando indietro. Il nuovo Piller & Gumpel (qualcuno si ricorda i vecchi?) sul panorama social è un tal Robin J. Brooks, che, se avete bisogno di tirarvi su il morale, trovate qui. Si tratta di un SDHIC (single-digit h-index colleague) con 10 documenti citati su Scopus:
Non saprei dirvi se in Italia potrebbe avere un'abilitazione da ordinario, ma è un fatto che su Twitter può dire oggi quello che Oscar Giannino diceva da noi una dozzina di anni fa. Il suo paradigma non ha risentito del voltafaccia del Giavazzo bifronte (il voltafaccia del 2015, intendo): la colpa è del debbitopubblico, ecc. Sono inciampato per caso nel tweet di un tal Daniel Kral, che invece non mi sembra uno stupido, in cui questi, forse senza saperlo, ribaltava la tesi di Brooks, secondo cui la BCE starebbe aiutando l'Italia, e l'ho commentato al volo così:
auspicando che queste menti elette, questi economisti di professione (più antica del mondo) si confrontassero e ne venissero a una su un punto non banale: la BCE fa politica (con altri mezzi) o no?
Mi sono poi messo a seguire un po' il Kral, che come l'Heimberger è uno che fornisce dati interessanti, anche se per noi non particolarmente sorprendenti, e ho trovato in particolare un'osservazione che mi sembra condivisibile e che quindi vi sottopongo:
Per un'associazione di idee non particolarmente originale, questa osservazione mi ha riportato a una mia vecchia ricerca, fatta col Prof. Manzocchi della Luiss (che all'epoca non era della Luiss ma era già professore associato), quella sui Current account reversals in developing countries, cioè sull'inversione di tendenza del saldo delle partite correnti nei paesi in via di sviluppo. Si trattava insomma di una generalizzazione del fenomeno che più o meno negli stessi anni Guillermo Calvo definiva un sudden stop (la sua definizione poi ha prevalso in letteratura). Generalizzazione perché Calvo si soffermava solo sui casi in cui in arresto improvviso (sudden stop) dei finanziamenti esteri si rifletteva in un brusco miglioramento del deficit delle partite correnti, cioè nel passaggio da un rilevante deficit estero (importazione di capitali) a un deficit estero meno rilevante (minore importazione di capitali) o addirittura a un surplus (esportazione di capitali, cioè rimborso di debiti esteri).
Questo fenomeno noi lo chiamavamo positive reversal: un cambio di segno delle partite correnti dal meno al più.
Nel nostro paper (che qui trovate in preprint) consideravamo però anche il caso opposto: quello in cui un Paese passa da una situazione di esportazione di capitali (e quindi di surplus delle partite correnti) a una situazione di importazione di capitali (cioè di deficit delle partite correnti): insomma, quello che molti anni dopo qui avremmo imparato a riconoscere come l'innesco di un ciclo di Frenkel e avremmo descritto nel Romanzo di centro e di periferia e che all'epoca chiamavamo negative reversal, cioè un cambio di segno delle partite correnti dal più al meno.
Il nostro articolo aveva quindi un ambito più ampio, il che fu probabilmente una delle cause del suo successo relativamente scarso (75 citazioni su Google Scholar e 11 su Scopus, dove il mio paper più citato è questo, con 37 citazioni: ma ne parleremo un altro giorno). In effetti, noi ci soffermavamo anche su una cosa che forse si preferiva non investigare, ovvero in che modo i Paesi in via di sviluppo si mettono su un percorso che poi li condurrà a una crisi finanziaria.
Tornando ad oggi, nel frattempo i bravi economisti nell'ordine ci hanno spiegato due cose:
1) che i Paesi che si indebitano in una valuta che non controllano sono de facto Paesi in via di sviluppo (questo ce lo ha spiegato De Grauwe qui):
2) che la crisi europea non è stata una crisi di sostenibilità del debito pubblico ma di sostenibilità del debito estero, cioè un sudden stop (e questo ce lo ha spiegato il Giavazzo bifronte nel suo primo spettacolare voltafaccia qui):Quindi, se i Paesi europei erano strutturalmente affini a quelli in via di sviluppo (De Grauwe dixit), e se la loro crisi era una crisi da sudden stop (Giavazzo dixit), la mia ricerca (con Manzocchi) sui sudden stop nei Paesi in via di sviluppo si applicava perfettamente al caso nostro!
Due osservazioni:
1) gli operatori informativi, porelli, non possono saperlo, perché non sono del mestiere, anche quando sono bravi, ma non è certo in questo fine settimana che il Giavazzo bifronte ha ammesso che alla fine il debito pubblico non c'entra un gran che con le nostre crisi e quindi (implicitamente) se ne potrebbe anche fare un po' di più! Si può tranquillamente risalire al 2015 per una simile ammissione, come vi ho documentato.
2) io in realtà me ne ero accorto molto prima del 2015: sul fatto che questa fosse una crisi da debito estero e non da debito pubblico ci aprii questo blog il 16 novembre del 2011, cosa che vi ho ripetuto usque ad nauseam, ma, cosa che forse sapete di meno, ci ero anche intervenuto su un blog ben più paludato, quello dei Bocconi boys, parlando, il 26 luglio di quello stesso anno difficile, de Lo spettro del 1992.
Il mio punto era molto simile a quello che il buon Kral ci ripropone tredici anni dopo: quello che preoccupava era l'indebitamento estero, soprattutto per la parte dovuta ai crescenti pagamenti di interessi sul debito estero! Kral in realtà si sofferma sui pagamenti di interessi sul debito pubblico (vabbè, anche lui, poverino, come Brooks, vive nel paradigma precedente al voltafaccia del Giavazzo), ma il punto è che, indipendentemente da chi lo detenga, il problema del debito è pagarci gli interessi, è il suo "servizio", che ovviamente dipende dalla sua entità ma non solo. Dipende, ad esempio, anche dal peccato originale, cioè dal fatto che tu debba o meno procurarti all'estero la valuta per pagarci sopra gli interessi, cioè, in sintesi, dal fatto che tu sia o meno un Paese del terzo mondo, o un Paese dell'Unione Europea (che finanziariamente sono la stessa cosa).
Perché mai mi interessavo a questa astrusa variabile? Perché dodici anni prima, nel nostro articolo del 1999 (coevo der Palla), le stime che avevamo fatto portavano a questi risultati:
Ve li commento in breve, come all'epoca non avrei saputo fare, perché questi fenomeni erano per me un oggetto astratto e distante di studio, non un elemento presente e concreto nel quotidiano. La tabella forse conviene leggerla da destra a sinistra, cioè dai fattori che determinano un peggioramento dei conti correnti (colonna 2) a quello che succede quando si è costretti a farli migliorare (colonna 1).
Nella fase di peggioramento del saldo estero, ovviamente aumenta il debito estero (il coefficiente del debito estero è quindi negativo a -0.11 e significativo),
(...la faccio stretta per i non statistici: per capire se il coefficiente è statisticamente significativo bisogna guardare il numero fra parentesi tonde riportato sotto di esso: è un test di significatività statistica noto come t di Student e a spanne se è maggiore di due il coefficiente è statisticamente rilevante...)
peggiora il deficit pubblico (il coefficiente del deficit pubblico è positivo, cioè i due deficit si muovono insieme, ed è pari a 0.56, il che significa che ogni punto di peggioramento del deficit pubblico porta a un peggioramento di 0.56 punti del deficit delle partite correnti), ma naturalmente si cresce molto, e quindi il tasso di crescita dell'economia ha un coefficiente molto significativo e negativo, pari a -0.54, a significare che ogni punto di crescita in più fa diminuire il saldo estero di 0.54 punti percentuali di Pil.
Nella fase di miglioramento, cioè di sudden stop, descritta nella colonna 1, le cose cambiano abbastanza. Il deficit estero resta associato a quello pubblico, nel senso che una stretta di un punto del deficit pubblico (un suo "miglioramento") determina un miglioramento di 0.44 punti del deficit estero, ma il debito estero perde di significatività (e quindi il sudden stop non è necessariamente associato a un suo abbattimento, almeno non in rapporto al Pil, il che si può anche capire perché la stretta fiscale fa diminuire anche il denominatore, cioè il Pil), e il tasso di crescita dell'economia perde qualsiasi rilevanza: spingere in recessione l'economia non sembra essere di grande aiuto, ma noi lo abbiamo comunque fatto, "pe nun fasse mancà ggnente", come dicono a Roma...
Va bene, ora devo dormire: la giornata è stata lunga e nevosa: ne parliamo domani, e magari andiamo un po' a fondo agli argomenti di Kral: come erano messe la Grecia nel 2010 e l'Italia nel 2011? E com'è messa oggi la Francia? Penso anch'io che per certi versi sia messa meglio degli altri due Paesi citati, ma eventualmente perché (e quindi per quanto manterrà questo vantaggio), e quali variabili occorre monitorare?
Ecco, questo mi sembra un esercizio più utile della Schadenfreude, o del rimarcare che un certo ingegnere, per sopravvivere a se stesso, è costretto a dire nel 2024 quello che noi dicevamo nel 2011.
Parce sepultis.
(...e a questo proposito devo anche una risposta al dottor Cartabellotta, ma preferisco prepararmi meglio il discorso di Venezia: gli risponderò dal treno...)
mercoledì 4 dicembre 2024
Marine et Emmanuel
Solo per lasciare traccia del fatto che oggi, con una mossa non inattesa, Marine Le Pen ha lasciato a piedi Barnier. La maggioranza del governo francese si reggeva sui suoi voti, su quelli di Marine, e non ci voleva molto a capire come sarebbe finita. A beneficio degli aritmeticamente disagiati, sottolineo come a noi fosse impossibile giocare un simile scherzo al Migliore.
Mazzalai sostiene, non senza fondamento, che la scelta del tempo sia dettata anche dalla necessità per Marine di tornare al voto, in particolare quello presidenziale, prima che l’attacco giudiziario cui è stata sottoposta, arrivi a segno, determinandone l’ineleggibilità.
Il ragionamento ha una sua tenuta, e, purtroppo, anche in questo campo siamo stati precursori. Non so quanto si parlino i due, ma l’esempio di Salvini ha assunto rilevanza internazionale, ed è quindi un monito per tutti i politici europei.
Ma c’è anche un’altra dimensione sotto la quale siamo stati anticipatori, come lo è stato del resto questo blog, e in modo non indipendente dalle ragioni per cui lo è stato questoblog: esattamente come qui abbiamo imparato che nel lungo periodo le politiche di destra favoriscono solo la destra, abbiamo anche imparato che nel breve periodo sostenere la sinistra indebolisce inesorabilmente la destra! Insomma: nel 2011 era facile prevedere che la sinistra, sostenendo Monti, avrebbe consegnato il paese alla destra, e infatti, per dirla come gli scienziati, lo predissimo (😇). Ma nel 2021 era altrettanto facile prevedere che, sostenendo Draghi, avremmo perso supporto. E infatti lo perdemmo (per dirla come le persone normali).
Anche questo è un esempio che deve essere stato ben presente a Marine. Non so molto di diritto costituzionale francese, non so quanto potrà reggere Macron nel suo fortino, so solo che errori di breve periodo possono rallentare, ma non fermare, né invertire, il percorso verso un esito che è inevitabile politicamente perché è inevitabile macroeconomicamente.
Prendiamoci il buono dell’unità europea!
In cosa consiste, chiederete voi? Ma, semplicemente nel fatto che non occorre che voi continuiate a sostenere chi vi ha indicato un percorso di libertà. Se non lo fate voi qui, lo farà qualcun altro da un’altra parte. Del resto, qui come lì, chi ha visto la via di uscita l’ha vista perché qualcuno gliel’ha indicata.
(…chissà se qualcuno di voi era lì? Io, evidentemente, c’ero, e ne resta traccia. Se il mondo cambierà, potremo dimostrare che un pochino sarà stato anche merito nostro…)
domenica 1 dicembre 2024
Quota e aliquota
(...dedicato ai parico' dell'81° AUC...)
Consideriamo un sistema di pura flat tax: una singola aliquota al 23%. Questa proposta non è quella della Lega, ma questo qui non ci interessa particolarmente. Ci interessa solo fissare alcuni concetti teorici. In un sistema simile, chi guadagna 0 paga 0 (e fino a qui ci siamo), chi guadagna 1000 paga 230, cioè la sua imposta aumenta di 230 (cioè del 23% del suo aumento di reddito), chi guadagna 2000 paga 460, cioè la sua imposta aumenta da 230 a 460 (cioè di 230, cioè del 23% del suo aumento di reddito, pari a 1000, da 1000 a 2000), ecc.
Il rapporto fra imposta pagata e reddito (cioè l'aliquota effettiva media) è sempre del 23%, quello fra incremento dell'imposta pagata e incremento del reddito (cioè l'aliquota marginale effettiva) è sempre del 23%.
Se dovessimo mettere queste informazioni in una tabella le vedreste così:
(e giù così verso il reddito di Bill Gates e oltre) e se dovessimo rappresentarle graficamente, concentrandoci sulle aliquote effettive, ovviamente le vedreste così:
(ne vedete una sola perché le due coincidono).
Ovviamente questo sistema non funziona perché "non è progressivooooooh11!1!1!", e in effetti non lo è: è un'imposta proporzionale pura, come quelle che vigono sui redditi da capitale (12,5% sugli interessi dei titoli di Stato, 26% sulle plusvalenza da vendita di titoli o sull'incasso di dividendi azionari), sui redditi da impresa (24% sui redditi delle società), ecc. (solo per ricordare en passant che ai redditi dei ricchy la progressività non si applica comunque...). In quanto tale, si può argomentare che essa non sia conforme al dettato costituzionale.
Immaginiamo allora di adottare un sistema a due aliquote: il primo scaglione, cui si applica l'aliquota al 23%, arriva a 28.999,99, mentre allo scaglione da 29.000,00 in su applichiamo un'aliquota più elevata, del 38%. Qui c'è la prima cosa che il piddino non capisce: la progressività funziona per scaglioni. Quindi, non funziona che se sei "ricco" (inteso come uno che guadagna magari 29.001,00 euro) ti viene tolto il 38% del reddito! Fino a 28.999,99 ti viene sempre tolto il 23%. Questo significa, ovviamente, che qui, a partire da un certo punto, l'aliquota marginale e quella media divergono.
Lo si può vedere con una tabella:
ma probabilmente è più espressivo vederlo con un grafico:
(...per i più - giustamente - sofisticati: sto discretizzando a incrementi di 1000 euro la scala dei redditi, e questa è ovviamente una forzatura didattica che però non altera il senso del messaggio. La distribuzione dei redditi è comunque discreta, perché sotto al centesimo di euro non si può andare...)
Allora, dunque...
Sì, ora un po' di progressività c'è: i ricchy pagano progressivamente più imposta, ma la progressione è molto lenta. Il rapporto fra imposte e reddito infatti è dato dall'aliquota media, la linea arancione, non (come talora si crede) dalla linea azzurra, che descrive solo il rapporto fra gli incrementi di imposta e reddito. Quindi, insomma, i ricchy così piangono troppo poco, ovvero, in termini aulici: non c'è abbastanza progressività.
Bene!
Allora aumentiamo il numero delle aliquote!
Potremmo pensare a un sistema a tre scaglioni, dove da 56.000,00 euro in su si applica un'aliquota del 43%. "Oh!", pensa l'odiatore sociale, finalmente appagato, "Questo significa che il mio vicino, che ha una RAL di 56.001,00 euro, finalmente pagherà 24.080,43 euro di IRPEF!"
No, naturalmente non è così, perché il 43% lo pagherà solo sull'ultimo euro, ma questo al nostro amabile interlocutore ideale rinunciamo a farlo capire. Da qui in avanti abbandoniamo queste figure al loro destino (infelice, perché ci sarà sempre qualcuno che ha qualcosa più di te...) e proseguiamo con la solita tabella:
ma soprattutto, o forse soprattuttamente (dato il tema...) con il solito grafico:
...e insomma: sì, i ricchy piangono un po' di più, ma in fondo mica poi così tanto! Il sistema diventa progressivo solo da un certo punto in poi, a chi guadagna (poniamo) 1000 euro al mese (12000 l'anno) ne rimangono in tasca solo 770 (il 23% in meno), mentre l'odiato vicino che guadagna 56.000,00 euro paga "solo" 17.130 euro di imposta, cioè il 30.6%.
Presto!
Urge aumentare il numero delle aliquote!
Quando nell'autunno del 2021 mi sedetti al tavolo del MEF con i colleghi responsabili economia dei partiti (Misiani, Guerra, ecc.) per ragionare insieme con il ministro Franco su come ridurre da cinque a quattro le aliquote, la situazione era questa:
cioè quella descritta in questo utile articolo dell'IPSOA:e, se ci fate caso, aumentando il numero delle aliquote, o innalzandole, la situazione non è che cambiasse poi in modo così drastico, soprattutto per i meno abbienti, che restavano comunque soggetti a un regime proporzionale almeno fino ai 15.000 euro.
Ma la situazione non era esattamente questa, e perché?
Perché, come vi ho sempre detto, e come cercavo di far capire ai miei gentili interlocutori televisivi, in Italia la progressività non è assicurata dal sistema delle aliquote, ma da quello delle detrazioni!
Che cosa significa? Significa che all'imposta che i "poveri" dovrebbero pagare in teoria, in pratica si sottrae un certo ammontare, e quindi solo i "ricchi" pagano l'imposta che deriverebbe dall'applicazione delle aliquote formali.
Esempio: decidiamo che a chi guadagna fino a 24.000,00 euro si detraggono dall'imposta 1.880 euro. Ovviamente, con questo sistema uno che guadagna 7.000,00 euro all'anno, e quindi paga 1.610,00 euro d'imposta perché soggiace all'aliquota del 23%, dovrebbe pagare un'imposta di 1.610,00-1.880,00 = -270.00 euro, cioè sarebbe soggetto a un'aliquota media negativa di -270/7000 = 3,86%. Però non funziona così: se guadagni "troppo poco", cioè se la tua imposta lorda è inferiore alla detrazione, lo Stato semplicemente ti esenta dall'imposta, così non paghi tu, ma non paga nemmeno lui! Ricordo che al tempo del reddito di cittadinanza si parlò di sistemi a imposta negativa: qui vedete come potrebbero venire fuori. Ma analizziamo con le solite tabelle e grafici questo sistema (detrazione di 1.880,00 euro dall'imposta per lo scaglione fino a 24.000,00 euro).
La tabella si presenta così (non ve la metto tutta per ovvi motivi di impaginazione):
e forse già vedete che c'è un problema e ne intuite il motivo, ma se vi metto le aliquote in forma grafica non potrete non vederlo:
OMG!
Houston, abbiamo un serio problema con l'aliquota marginale! Siccome al raggiungimento dei 25.000,00 la detrazione cessa, nel passaggio fra i 24.000,00 e i 25.000,00 l'incremento dell'imposta effettivamente pagata (quella al netto della detrazione) è la somma dell'imposta che paghi in più perché hai guadagnato di più (270 euro, perché in quello scaglione l'aliquota è al 27%), più l'imposta che paghi in più perché non sei più soggetto a detrazione (cioè 1880 euro, ovvero l'importo della detrazione). Insomma: sui 1.000,00 euro in più che guadagni passando da 24.000,00 a 25.000,00 di reddito, paghi 1.880,00+270,00 = 2.150,00 euro di imposta in più: un'aliquota marginale del 215%.
Risultato: mentre il tuo reddito lordo aumenta da 24.000 a 25.000, il tuo reddito netto diminuisce da 20.000 a 18.850 (lavori di più per guadagnare di meno): un bel disincentivo, no?
Ma guardiamo anche il bicchiere mezzo pieno, che si vede di meno. Per vederlo bene, riportiamo al 50% il massimo della scala verticale del grafico: questo significa che non vedremo l'orrendo picco al 215% (resterà fuori dal grafico) ma potremo confrontare meglio quello che succede all'aliquota media rispetto a quanto accade nel sistema senza detrazioni:
Qualcosa di positivo in effetti c'è! Ora i povery non pagano per nulla imposta, poi c'è una progressività che, a dire il vero, è più accentuata nel segmento povery che nel segmento ricchy, ma è pur sempre meglio di nulla.
Siccome il blip nell'aliquota marginale dipende, come abbiamo visto, dal fatto che la detrazione termina in modo abrupto (lo so, non si può dire, ma a me piace così!), per salvare capra e cavoli potremmo pensare di farla sfumare, di applicare quello che viene definito un décalage. In effetti, la situazione che trovammo quando ci sedemmo al tavolo delle cinque aliquote era quella che vedete descritta qui:
(...apro e chiudo una parentesi per evidenziare come chi nel dibattito accusava il sistema di Armando Siri di essere troppo complesso forse non si era studiato come funzionava il sistema vigente...)
e prevedeva un décalage spalmato fino ai redditi da 55.000,00 euro, cioè una roba di questo tipo:
che forse è più comprensibile nella rappresentazione grafica, dalla quale salta fuori una impercettibile anomalia:
La vedete? Oltre i 55.000,00 l'aliquota marginale diminuisce. "Ma come diminuisce!? Ma se sono più ricchy!?" Sì, sono più ricchi, ma il problema è che oltre i 55.000 cessa l'effetto del décalage: negli scaglioni precedenti l'aliquota marginale è superiore perché a mano a mano che il reddito aumenta dall'imposta ti viene tolto un po' di meno, e quindi ha, spalmato su tutti i redditi dall'inizio a 55.000, quel picco abnorme che si vedeva nel grafico precedente. Se ci perdete un po' di tempo, lo capirete anche voi, come lo capii anch'io all'epoca.
Ma... attenzione! La storia mica finisce qui!
Perché, come sapete, le detrazioni erano due: c'era anche il bonus Renzi. Ora, questo bonus è stato camaleontico almeno quanto il suo escogitatore, ma all'epoca la forma che prendeva era quella di una detrazione che da un massimo teorico di 100 euro al mese (1200 all'anno) scendeva con un décalage piuttosto rapido, arrestandosi dopo i 39.000,00 euro:
Se avete seguito fin qui, avrete capito che (non) è strano come una rapida diminuzione di una detrazione all'aumentare del reddito somigli a un consistente aumento dell'aliquota marginale! E infatti con il bonus Renzi l'aliquota marginale mostrava una discreta gobba:
che, per avviarmi a concludere, si potrebbe sintetizzare così: a noi ci stanno mettendo in croce perché gli ha detto micuggino che sta al quinto piano di San Macuto (l'UPB) che noi abbiamo portato l'aliquota marginale al 50%, ma loro l'avevano portata oltre il 60%! E non è tutto: forse ve lo siete dimenticato, forse non lo avete mai saputo, ma se questa era la situazione che avevo trovato io nel 2021, la situazione determinata dal bonus nella versione originaria era ben peggiore, determinando un'aliquota marginale che raggiungeva l'80% (a causa di un décalage ancora più repentino del bonus).
Chiaro il concetto?
Spero di sì: io più chiaro di così non so essere.
Oggi, all'inaugurazione della piscina di Castel di Sangro, ho incontrato il segretario regionale del PD e je so ditte: "Scusa: ma noi facciamo talmente tante scemenze, che chi ve lo fa fare di attaccarci proprio su quella che avete fatto peggio di noi? Guarda che l'UPB, dando un quadro parziale della faccenda, vi manda in giro a dire una storia, quella dell'aliquota marginale al 50%, che da domani non attaccherà più, perché spiegherò ai miei che voi avete fatto peggio!"
Ecco: ogni promessa è debito (dopo di che, soprattutto sul territorio, siamo tutti amici, soprattutto fra avversari, quindi nelle mie parole non c'era alcuna acredine ma solo una genuina sollecitudine).
E con questo abbiamo esaurito l'argomento aliquote: spero che abbiate fissato in mente i seguenti punti:
1) la progressività di un sistema fiscale dipende molto più dalle detrazioni che dalle aliquote;
2) le imposte che si pagano sono misurate dall'aliquota media;
3) una aliquota marginale alta ha un effetto disincentivante, ma solo nel caso in cui superi il 100% determina un calo di reddito netto.
Aggiungo che questo discorso è puramente ipotetico, perché ci sono decinaia e decinaia di situazioni: le spese mediche, le spese per le ristrutturazioni edilizio, i figli a carico (un tempo), che determinano una pletora di ulteriori detrazioni, per cui sapere quale sia effettivamente la propria aliquota marginale non è (solo) impossibile: alla fine diventa anche inutile, perché quante imposte pagherai dipende da eventi che spesso sono fuori dal tuo controllo (come tipicamente lo sono le spese mediche, quelle spese che tutti preferiremmo non fare)...
Ma insomma, così si allargherebbe il discorso.
Mi basta però avervi fatto capire quanto sia disonesta la semplificazione da talk show, quella secondo cui il problema dell'ingiustizia sociale si risolverebbe esclusivamente agendo sulle aliquote degli scaglioni più alti. Gli esempio che avete visto qui mostrano che a meno di misure esteticamente improponibili (aliquote al 110% oltre certi redditi, per capirci...) l'effetto sull'aliquota media non è poi così determinante, e per quanto riguarda il gettito complessivo torno a ricordarvi che i miliardari non pagano l'IRPEF, e non perché la evadano (hanno sufficienti soldi per pagarla senza accorgersene) ma perché i loro redditi veri sono soggetti a forme sostitutive flat (che si tratti di interessi, di dividendi o di capital gain).
E buona notte!
(...si, vabbè, aliquota abbiamo capito perché. Ma perché quota? Perché ieri, come vi avevo detto, dopo Sky TG, sono corso su, perché sapevo che oggi sarebbe stato così:
e me ne sono andato un po' in giro, prima di fare i miei tre incontri, a pestare la neve prima degli altri, ma non di tutti gli altri:
Mi avevano detto che era in giro da quelle parti, e in effetti qualcosa si vedeva, ma era già stata quasi riempita dalla neve. Non ci andrei di notte, e non senza il mio amico, che questa volta si era svegliato tardi...)
(...correzione di bozze a vostro carico, domani voglio camminare ed è già fin troppo tardi...)
giovedì 28 novembre 2024
Unicredit
…ma con tutte le rogne che ho, pure questa!?
Io (sconsolatamente) boh…
E voi che invece sapete sempre tutto, come la vedete?
sabato 23 novembre 2024
La kuestione salariale
Questa osservazione del Comico (l'infiltrato del complesso ecologista-industriale cinese: qui nun se famo mancà ggnente...):
Il Comico ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Un giorno ci pagheranno le pensioni...":
Cito solo un paio di articoli (se mi spiegate come mettere i link metto anche quelli). putroppo il tempo a mia disposizione è limitato: mi piacerebbe andare sui vari siti (OCSE, ISTAT, EUROSTAT) e fare un fact checking ancora più puntuale, ma al momento bastano questi due estratti per dire quello che voglio dire:
Salari reali, nel 2024 l’Italia è (ancora) il Paese con il maggior calo: -6,9% rispetto al pre-pandemia. di Diana Cavalcoli (Corriere.it, luglio 2024)
Nel primo trimestre del 2024, i salari reali erano ancora inferiori del 6,9% rispetto a prima della pandemia. «L’inflazione è stata a livelli record nell’Ocse e i salari in tutti i Paesi ci hanno messo del tempo a reagire - ha spiegato Andea Garnero, economista dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico-. In Italia non solo la reazione è partita in ritardo, ma è anche decisamente lenta. Si è creata una perdita di potere d’acquisto che richiederà tempo per essere colmata».
"Secondo il rapporto dell’Ocse la crescita dei salari reali dovrebbe rimanere contenuta nei prossimi due anni in Italia. Si prevede che i salari nominali (retribuzione per dipendente) in Italia aumenteranno del 2,7% nel 2024 e del 2,5% nel 2025. Sebbene questi aumenti siano «significativamente inferiori a quelli della maggior parte degli altri Paesi Ocse», consentiranno comunque un recupero di parte del potere d’acquisto perduto, dato che l’inflazione è prevista all’1,1% nel 2024 e al 2% nel 2024." di Giorgio Pogliotti, sole24ore, 27/07/2024
"A settembre, dopo tre mesi di crescita, l’occupazione è risultata in diminuzione (0,3%, pari a -63mila unità)" (...) "Il livello di occupazione (calcolato sulla base dei dati mensili provvisori) è comunque in aumento nel terzo trimestre (+0,4% rispetto al secondo, una crescita di 84mila occupati); a questo andamento si associa una diminuzione delle persone in cerca di lavoro (-8,5%, pari a -147mila unità) e un aumento degli inattivi (+1,1%, pari a +138mila unità). "
fonte: Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2025 e bilancio pluriennale per il triennio 2025-2027 (C. 2112-bis) Audizione del Presidente dell’Istituto nazionale di statistica Prof. Francesco Maria Chelli
Dunque: sarà che i salari non sono fermi al palo, ma siamo ancora sotto ai livelli pre-covid. Stiamo sbandierando come successo il processo di adeguamento dei salari all'inflazione, che peraltro è arrivato in ritardo.
Chiudo:
Che l'immigrazione sia un fenomeno che va gestito, in quanto porta con sè delle conseguenze problematiche, non ci sono dubbi. Non è di destra nè di sinistra. E' solo ragionevole. Questo vuol dire che vada favorito? assolutamente no.
Rimane quanto detto prima: questo governo sta ulteriormente criminalizzando l'immigrazione, gettando i presupposti per lo sfruttamento dei migranti e la riduzione dei diritti dei lavoratori (tant'è che, come se servisse un'ulteriore prova, chi protesta e sciopera viene dileggiato). E, mentre tutti parlano di una nave che naviga verso l'Albania, distratti, nessuno si accorge del fatto che le retribuzioni reali sono ancora ai livelli pre-covid.
ripeto l'appello all'onesta intellettuale
Pubblicato da Il Comico su Goofynomics il giorno 22 nov 2024, 13:12
che, conformemente al nostro scrupolo filologico, vi restituisco nella sua disgrafia (va pure detto che l'interfaccia di questo blog non è molto agevole da usare...), e che non ho tempo di analizzare in dettaglio (non oggi, ovviamente: ma ci torneremo), mi ha messo voglia di riprendere un vecchissimo post, quello sulla svalutazione competitiva dei salari tedeschi. Perché se le cose stanno come ha detto LVI a La Hulpe:
(e come diceva Luciano Barca alla direzione del PCI, peraltro), allora bisogna ammettere che i tedeschi sono stati veramente furbi. Come vi ho spiegato più e più volte, nel blog e nei libri, la strategia di recupero della competitività basata compressione dei salari considerata sic et simpliciter non è necessariamente destinata al successo. Mi spiego: supponiamo che in un ipotetico mondo "di prima" la Germania riuscisse a contenere il costo del lavoro offrendo prodotti di prezzo relativamente accessibile se confrontato alla qualità dei prodotti stessi. Questo avrebbe ovviamente spinto su le esportazioni tedesche. Nel mondo "di prima", però, la domanda di beni tedeschi (cioè le esportazioni tedesche) era essenzialmente in primo luogo domanda di valuta tedesca, e causava quindi un apprezzamento del cambio. Come vi ho spiegato, non era l'Italia a svalutare: era la Germania a rivalutare e i dati lo mostrano con chiarezza:
Affinché il suo particolare modello di relazioni industriali potesse conferirle un vantaggio definitivo, la Germania aveva quindi bisogno di bloccare questo meccanismo compensativo. Picchiare uno più piccolo di te è relativamente facile, ma nel caso in cui tu sia tedesco, per rendere questo esercizio più divertente devi anche legargli le mani dietro la schiena...La successione temporale è stata perfetta, così azzeccata da portarmi a escludere, dopo anni di esperienza in politica attiva, che dietro ci sia stato un qualche pensiero strategico: prima si sono legate le mani dietro la schiena agli altri Paesi fissando il loro cambio in modo irrevocabile, e poi si è praticata una pesantissima svalutazione competitiva interna (taglio dei salari reali) guadagnando un vantaggio che solo una cosa poteva a questo punto compensare: il fallimento dei concorrenti. In effetti, un taglio dei salari del 6% in un Paese in cui non si sta malissimo è più sostenibile che in un Paese relativamente arretrato. Quindi la cosa va così: prima tu, relativamente ricco, tagli i salari; poi gli altri non ti possono seguire (a pena di rivolte di piazza) e quindi cominciano a comprare i tuoi beni; per farlo si indebitano (con te); alla prima crisi finanziaria tu vuoi i soldi indietro e li mandi per stracci; a questo punto, e solo a questo punto, ti rendi conto che non hai più a chi vendere i tuoi beni; aggredisci il mercato anglosassone; vieni respinto con perdite; crolli e ti tiri dietro tutti gli altri.
Non è meraviglioso?
Comunque: come ricorderete, dodici anni fa c'era qualche imbecille che negava il dato statistico del taglio dei salari in Germania, nonostante di esso avesse menato vanto niente meno che un importante consulente della Merkel, Roland Berger, elogiando la crescita dei salari "inferiore a quella della produttività" (altra cosa cui nessuno credeva e che vi ho poi documentato qui) e la creazione di un segmento del mercato del lavoro a bassi salari (i famigerati minijob). Feci quindi i calcoli in questo post:
e oggi ho passato il pomeriggio a rifarli per vedere se quella fisiologica riscrittura della storia che chiamiamo armonizzazione o adeguamento delle basi dati avesse in qualche modo alterato la situazione. Sono quindi andato a riprendere le stesse fonti sui database dell'OCSE e del Fmi (i dettagli sulle variabili sono nel post del 2012 e ho ripetuto i calcoli non solo per la Germania, ma anche per gli altri tre grandi Stati membri dell'Eurozona. Vi risparmio quindi la tabella (che non entrerebbe nella pagina: ma se lo desiderate cerco di metterla su Telegram o in altro luogo raggiungibile) e vi faccio vedere i risultati grafici. Ovviamente questo lavoro non è un mero Amarcord, ma è prodromico a entrare nel merito di quanto ci dice (de relato) l'amico Comico.
Cominciamo allora dalla triste storia dei salari alamanni (e non solo) dodici anni dopo. La vedete qui:
Allora: per l'Italia Excel ha scelto il grigio, perché la situazione era abbastanza grigia, in effetti, caratterizzata da quell'elettrosalariogramma piatto di cui abbiamo parlato più volte (ieri sera anche in TV). Ma il motore del casino in cui ci stiamo dibattendo è, tanto per cambiare, la Germania (in arancione). Si vede molto bene come dal 2003 al 2008 il salario medio annuo in termini reali (cioè espresso in termini di effettivo potere d'acquisto) cala dell'8,8%. All'arrivo della crisi, per compensare, Spagna prima, e Italia poi, devono giocare il gioco descritto da LVI, tirando giù i salari reali rispettivamente del 9,9% e 6,7%. Altro modo di rianimare la domanda estera non c'era se non distruggere quella interna amputando i salari.
L'operazione è riuscita, il chirurgo è morto.
Vi faccio rapidamente vedere gli stessi dati espressi come indice, in modo che ne sia chiara la dinamica, astraendo dalla scala del fenomeno (che è ovviamente diversa nei vari Paesi, perché gli stipendi tedeschi non erano e non sono quelli spagnoli, per dire):
La storia è la stessa, ma si apprezzano meglio alcuni dettagli (ad esempio, il fatto che Zapatero sia stato un bancarottiere - o uno stolto - di ragguardevoli dimensioni: non a caso era l'idolo della nostra sinistra coccodè).
Per venire incontro al Comico (è un caro ragazzo) dobbiamo però passare dal dato annuale a quello trimestrale, visto che quello viene commentato nelle fonti che il nostro amico ci cita. Ma prima di farlo vorrei che fosse ben chiaro un punto: in una unione monetaria il saggio di crescita dei salari non lo detta la produttività (cha cha cha), ma la crescita dei salari del Paese più forte: se lui taglia, gli altri devono tagliare, prima o dopo una crisi di debito estero (di solito dopo). Quindi, volendosela prendere con una donna il cui nome inizia per "M", forse Merkel è una candidato più idonea di Meloni (cui qui abbiamo voluto bene da tempi non sospetti).
Chiaro?
Sicuri?
E allora vediamo i dati trimestrali:
che poi ci raccontano la stessa storia, "spalmata" sui trimestri. Attenzione però: una differenza c'è. Qui l'indice dei prezzi al consumo non viene dal Fmi, ma dall'Eurostat (è l'HIPC, l'indice armonizzato dei prezzi al consumo). Le altre variabili (compensation of employees e total employees) sono sempre di fonte OCSE, anche se, a dire il vero, non ho visto se siano congruenti col dato annuale (cioè se, nel caso del flusso di salari, la somma dei dati trimestrali restituisca il dato annuale: ma a occhio direi di sì e sarebbe più un problema loro che mio, atteso che se due basi dati diversa dicono la stessa cosa - e la dicono - il mio ragionamento esce rafforzato).
E fino a qui ci siamo: possiamo anche mostrare gli stessi dati in forma di indice:
operazione utile perché ci permette di capire chi è che sta veramente male male male...
(...un aiutino per i diversamente perspicaci:
Ora lo vedete? Perché era una roba che andava avanti dal 2017, e i più attenti sanno bene perché...)
Ma sento che il Comico freme e urge: lui vive nel futuro, nel mondo delle girandole cinesi, e l'infastidisce questo ozioso risalire alle cause. Veniamo quindi alla sua preoccupazione, che lo deve veramente destabilizzare psicologicamente, se lo porta ad accusarmi di "propaganda governativa" e "disonestà intellettuale". Poverino: soccorriamolo nella sua angoscia.
Allora, intanto il dato OCSE citato dall'operatrice informativa ("Salari reali, nel 2024 l'Italia è ancora il Paese con il maggior calo"), viene dall'OECD Employment Outlook 2024, di cui vi raccomando soprattutto il sottotitolo, e specificamente da pagina 31, dove trovate questo bel grafico:
dal quale, in effetti, si constata che, paragonando l'ultimo dato disponibile all'ultimo dato del 2019, l'Italia è messa maluccio. Coi dati dei nostri grafici, in effetti, a primavera 2024 la Francia è il 3% sotto all'autunno 2019, la Germania il 2,7%, l'Italia il 4,2%. Non è il -6,9% di cui parla questa pubblicazione, ma è comunque un risultato deludente. La differenza fra le nostra ricostruzione e quella fornita dall'Employment Outlook potrebbe dipendere da vari fattori relativi a definizione e misurazione delle variabili, su cui non mi soffermo, perché sono senz'altro meno determinanti del dato macroscopico, che credo vediate da voi e che comunque vi evidenzio:
Beh, sì, noi ora siamo (di poco) sotto Francia e Germania, ma il problema è che laggiù ci ha tirato LVI, the best one. Il fondo lo abbiamo toccato nell'autunno del 2022, quando ce lo siamo scrollato di dosso, e da allora abbiamo ricominciato a crescere, tornando verso Francia e Germania.
D'altra parte, come volete che uno che vi ha detto in faccia che lo scopo del gioco è tagliare i salari potesse giocare un gioco diverso?
Il mio educated guess è che a questo Governo (se proprio vogliamo parlare di politica) questo gioco piaccia meno che a LVI. E quindi chi fa propaganda? Chi ci dice che dall'autunno 2022 alla primavera 2024 i salari reali italiani hanno ripreso il 4,2% (quelli tedeschi hanno perso lo 0,8%), o chi non ci dice che dall'inverno del 2021 all'autunno del 2022 avevano perso l'8,3% (in Germania il 4,6%)?
(...ma perché, perché, perché?...)
(...devo scappare, i refusi li lascio a voi...)
venerdì 22 novembre 2024
Ancora sulla sanità (pe' malati c'è la china...)
Dunque: cominciamo dai dati, che stanno al PD come l'aglio sta ai vampiri (ricordo sempre che invece Aristotele sta ai piddini come un crocefisso ai vampiri). Li trovate qui. Chiarisco subito che sto utilizzando, in questo post (o parte di post, dipende da quante rotture di scatole soggiungeranno) il database COFOG (Classification Of the Functions Of Government) dell'Eurostat perché mi interessa fare qualche confronto internazionale. Il semicolto piddino è per sua intima indole "indernescional", rappresentando la malattia senile di quel cosmopolitismo borghese che, come è noto agli intellettuali di sinistra, si è storicamente posto in contraddizione con l'internazionalismo proletario (esempio pratico: l'internazionalismo proletario è sempre stato contro l'importazione di manodopera o di crumiri a basso costo, il cosmopolitismo borghese è sempre stato animato da un afflato filantropico rousseauiano di accoglionanza verso il "bon sauvage"...). Facciamogli quindi vedere qualche confronto internazionale. Ovviamente la necessità di armonizzare i dati determina una non adeguata tempestività delle informazioni, quindi quello che guadagniamo in appeal "indernescional" lo perdiamo in aderenza all'attualità: COFOG a oggi si ferma al 2022, cioè a quello fatto da LVI, il migliore (the best one). A questo rimedieremo coi dati del ministero, che sono parzialmente diversi (quindi non confrontabili internazionalmente) ma più tempestivi (con le previsioni della legge di bilancio arrivano al 2025). Non so se questo update riesco a darvelo oggi, ma ci provo.
Qui avete il confronto fra i livello assoluti della spesa nominale:
Il dato che emerge è la divergenza fra Italia e Germania (la Francia mantiene la barra) nel periodo successivo alla crisi dei subprime. La spiegazione non è difficile: da noi arrivarono le politiche di austerità, da loro un aiuto insperato e di cui non avevano necessità: le politiche di quantitative easing (acquisto di titoli pubblici) da parte della Bce seguivano la cosiddetta capital key, erano cioè proporzionali alle dimensioni dei Paesi, non dei rispettivi problemi, e quindi la Germania poteva finanziare la spesa pubblica a tassi sostanzialmente negativi mentre noi passavamo il calvario che ricorderete.
Questo "fatto stilizzato" è utile tenerlo presente, in particolare per ricordare chi ha tagliato cosa, ma è chiaro che il confronto fra valori assoluti della spesa lascia il tempo che trova, dato che si riferisce a Paesi di dimensioni molto diverse.
Può essere interessante però mettere in evidenza la dinamica dei volumi di spesa, ponendo il 1995 uguale a 100:
Ovviamente questo, che è un indice, va letto come un indice, nel senso che ci informa sulla dinamica del fenomeno. Dal 1995 alla crisi dei subprime in Italia la spesa è cresciuta più che nella media dell'Eurozona, in qualche modo, nonostante gli sforzi per entrare nella moneta unica. Il divario si stava colmando. Poi tutto si è fermato (sindacati e medici muti).
Può però essere più utile una normalizzazione, e ve ne propongo due, cominciando dalla più ovvia, quella rispetto al Pil (che è fornita direttamente da COFOG):
Naturalmente i dati sono sempre quelli e quindi raccontano, in un modo o nell'altro, la stessa storia, con ulteriori sfumature che vanno sottolineate. Intanto, la percentuale di spesa sanitaria pubblica rispetto al Pil è andata aumentando un po' ovunque, come risultato, immagino, dell'invecchiamento della popolazione e del progresso tecnologico, che ci ha fornito strumenti diagnostici più efficaci ma anche più costosi. Poi, è evidente che l'Italia nel 1995 partiva molto svantaggiata in termini comparativi, ma la dinamica sostenuta della sua spesa le consentiva di recuperare posizioni, superando nel 2005 il dato tedesco e tenendosi incollata fino al 2012 alla media dell'Eurozona. Dopo, com'è ovvio per voi, la situazione si deteriora rapidamente, con un'inversione di tendenza verso la fine, dovuta al COVID, e una brusca discesa (dovuta a un'espansione del Pil nominale più vigorosa che in altri Paesi). Anche qui, quando e chi ha causato il problema mi pare sia evidente.
Vi propongo anche un'altra normalizzazione, che non so perché non viene mai discussa in pubblico: quella rispetto al numero di abitanti. Perché in effetti non è il Pil ad ammalarsi, come dice l'amico Quirino Biscaro: sono le persone, quindi magari è utile vedere quanti soldi mette lo Stato a testa, no? Lo vedete qui:
Nota bene: COFOG questa statistica non la fornisce, quindi i dati sulla popolazione li ho presi dal World Economic Outlook del Fmi. Che cosa vediamo in questo grafico? Che, come prima, a metà degli anni '90 l'Italia partiva svantaggiata in termini di spesa nominale pro-capite (indicatore che comunque va anch'esso preso con le pinze, visto che i prezzi in Italia, Francia e Germania non sono gli stessi: ma dati a parità internazionale di potere d'acquisto non ne abbiamo). Dopo di che, in virtù della dinamica che vi ho evidenziato, l'Italia recupera e si allinea alla Germania, il Paradiso terrestre dei piddini (e in effetti, se non suonasse come una deportazione - che è contraria ai miei principi etici - li manderei tutti a stare lì...). Dopo di che arriva la crisi subprime ecc.
A scanso di equivoci come quelli sollevati dal comico "Il Comico", mi sembra sufficientemente ovvio che in tutta questa roba il Governo Meloni non c'entra né sotto il profilo ideologico (adesso sono un parlamentare di maggioranza, ma che il PD stesse macellando il Paese era fattuale e lo avevo preannunciato quando ero un intellettuale di estrema sinistra) né sotto il profilo cronologico (il Governo Meloni arriva alla fine del 2022, cioè in corrispondenza dell'ultimo dato rappresentato in questo grafico). Questi grafici quindi descrivono la situazione prima dell'arrivo dell'attuale Governo: una situazione molto eloquente e che dovrebbe indurre alla prudenza, se non al silenzio, chi si accorge solo oggi, per motivi evidentemente tattici, che nella sanità qualcosa non torna. Cosa non torni e da quando (e quindi per responsabilità di chi) è sufficientemente ovvio dalla lettura dei grafici.
Per vedere invece come stanno andando le cose ora, dobbiamo rinunciare ai confronti internazionali e tornare sui dati italiani, approfondendo l'analisi già svolta qui.
Ma questo lo facciamo in un'altra occasione: per oggi abbiamo abbastanza materia!
(...ho scritto di corsa e senza occhiali: se ci sono refusi, mettete nei commenti e poi li tolgo. Rileggere fa bene all'ortografia ma fa male alla salute, e devo mediare fra queste due esigenze...)
giovedì 21 novembre 2024
Un giorno ci pagheranno le pensioni...
...ma intanto frenano produttività e salari, anche perché si prestano a eludere le norme a difesa dei diritti dei lavoratori, se pure, facendosi carico dei lavori più rischiosi, riducono l'incidentalità dei residenti (ma purtroppo non la propria).
Strano!
Ma non fatevi sentire: una volta dirlo sarebbe stato di sinistra:
Oggi è da fascisti, e credo che a voi dispiacerebbe passare per brutte persone, no? Che cosa volete che sia rinunciare a un po' di diritti, a un po' di salario, e a un po' di sicurezza, per difendere il supremo valore del bon ton?
Fate i bravi e ci vediamo domani in TV.
(...3, 2, 1: "hai fatto cherry pickiiiiiing!11!!!"...)
mercoledì 20 novembre 2024
Gli accopp(i)amenti giudiziosi: tragicommedia in due atti
Gli operatori informativi
Gli operatori sanitari
(...scioperi dei medici nel 2012 ne ricordate? Io no. Questo che cosa significa? Non saprei dirvelo. Certo, se le professioni giornalistica e medica - e anche un'altra che non cito per carità di patria - si sono screditate, la colpa non pare essere tutta del destino cinico e baro: ci hanno messo del loro, e pesantemente! La faziosità nel sostenere chi avrebbe distrutto il Paese semplicemente perché si pensava che potesse sbarazzarli di un avversario politico ha avuto conseguenze per tutti. Anche i giornalisti, anche i medici hanno segato il ramo su cui erano seduti. Ora nessuno gli crede più, ma si può sempre aggiungere al discredito il ridicolo: basta mettere i dati in prospettiva, e la riflessione sorge spontanea: o stavano troppo bene prima, talché, quando la spesa sanitaria si è arrestata per un decennio, in fondo questa purga non li ha troppo debilitati, o vedono il mondo al contrario, talché ora che la spesa ha ricominciato a crescere, a loro sembra che stia calando. Altre spiegazioni non so darmele. Che peccato quando istituzioni in cui vorremmo avere fiducia, o peggio ancora in cui siamo costretti ad avere fiducia per mancanza di alternative, si fanno strumentalizzare da una parte politica! Poi ci si lamenta della perdita di fiducia e di rispetto dei cittadini! Ma considerando come i giudici di sinistra trattano gli imputati di destra, perché un paziente di destra dovrebbe fidarsi di un medico di sinistra, soprattutto se un giornale di sinistra invece lo esorta a fidarsi - e a quel punto fuggire a gambe levate diventa l'unica strategia razionale! La faziosità cattiva e sciocca del PD ha lacerato il tessuto sociale e istituzionale del Paese in un modo difficilmente ricomponibile e le querimonie postume dei medici PD-diretti sui tagli alla sanità sono solo la punta di un iceberg che in realtà è uno Scheissberg...)
(...la fonte dei dati sulla spesa sanitaria è riportata qui, quella dei dati sul Pil è riportata qui...)