Che poi alla fine, la domanda è una e una sola, semplice, essenziale: ma se qui ci sono voluti venire i longobardi (per non farla lunga), e poi i normanni (con vari interludi a base di bizantini e saraceni), e poi gli svevi, e poi gli angioini, eccetera (la storia la sapete), ma un motivo ci sarà, o no?
In queste strade lastricate di pietra bianca, come a Montescaglioso, o a Conversano, spira lo stesso vento tiepido e secco, si palesano allo svoltare di un angolo gli stessi torrioni, le stesse facciate di cattedrali, testimonianze di un passato vivo e glorioso su cui forse si è voluto distendere il manto dell’oblio, nel deliberato intento di non accoglierlo nell’alveo della storia patria.
Ma io qui sto bene, meglio di dove si potrebbe supporre che io possa stare bene, cioè in quella Toscana dove sono nato, ma che, anche secondo i toscani che ci sono rimasti, purtroppo non esiste più. L’acqua del fiume di Eraclito non si è limitata a scorrere: è stata anche inquinata profondamente e irrimediabilmente. Qui, forse, sarà anche successa la stessa cosa, ma il mio vantaggio è che non me ne accorgo, perché, anche se a casa degli Altavilla mi sento come a casa mia, questa non è casa mia. I beni informati, peraltro, fra cui il prezioso Mauro, sostengono che esistano da queste parti insospettabili oasi di autenticità, sfuggite ai turisti e agli antropologi (ma non sempre ai prefetti, che nel sacro nome della sicurezza abrogano con un tratto di penna tradizioni millenarie - quando forse la soluzione più corretta sarebbe tenere fuori dai coglioni i turisti, soprattutto quelli attirati dai social).
La guida del castello mi spiegava Carlo Gesualdo, ed io, che sono persona di buon cuore, me lo lasciavo spiegare, salvo che, a sentirlo collocare nel tardo Seicento, non potevo trattenere un “forse un pochino prima…”.
Naturalmente, siccome siete ovunque, siete anche qui, e quindi c’era qualcuno che aveva visto la slide del post precedente, e che ha fatto la domanda dello studente (quella di cui sapeva la risposta). Ma io ho parlato prevalentemente di altro, sono partito dal grafico di Wolff, ho fatto notare che il gap fra produttività e salario reale va riempito con tanto debito, ho raccontato un po’ di storia del debito, e siamo andati avanti per un paio d’ore e oltre, con tante domande.
Ma forse la cosa che mi porterò dietro di questa giornata è un’altra, anche perché legata a un ricordo particolarmente tenero, quello di una vacanza fatta con Uga giù in Puglia da amici (li conoscete entrambi). Il legame in realtà è abbastanza tenue: un autogrill sulla Telesina dove avevamo mangiato bene e dove da allora mi fermo ogni volta, anche oggi, quando passo da queste parti. Mi siedo e sto per ordinare, quando da un tavolo si avvicina una signora poco più che mia coetanea, molto distinta e ammodo, che direttamente mi chiede: “Ma lei è Bagnai?”
Una delle tante agnizioni che hanno punteggiato la storia di questa bella d’erbe famiglia e di lettori, fra le quali resta insuperata quella del maestro Iacomini a Scurcola Marsicana: “Ma tu somigli a Bagnai!” “Ma io sono Bagnai!” (e l’un l’altro abbracciava).
Comunque, oggi ho risposto semplicemente: “Sì!”, e la signora ha proseguito: “La seguo su Facebook, lei fa i video dalla macchina!” (e io pensavo: per forza, il blog non esiste! Ma quanta gente vede questi video che a giudicare dalle statistiche sono così poco virali?…), aggiungendo: “Di che partito è?” Ovviamente, io che non mi tolgo la cravatta neanche in piscina, come dice il mio capo, non mi tolgo l’Albertino neanche in spiaggia, come non mi sarei tolto le spalline da sottotenente quando ero in servizio, però, siccome evidentemente oggi ero di buon umore, invece di indicare il marchio della bestia come faccio di solito, benignamente rispondevo: “Sono nella Lega, sono con Salvini!” E la signora, accorata ma misurata, dignitosa, composta, affidandosi, aprendosi, mi ha detto: “Mi raccomando tre cose: le ZTL, il gender nelle scuole, e il lavoro delle donne.” E mentre le prime due cose mi erano abbastanza chiare, sulla terza forse si intuiva che avevo bisogno di qualche delucidazione: “Io ho sei figli, mio marito è già pensionato, il lavoro nelle donne dovrebbe essere organizzato diversamente, dovrebbe almeno tener conto degli orari delle scuole”.
E insomma questa signora, che molto evidentemente non era community, che stava andando per motivi che comprenderete a Pietrelcina con due amiche altrettanto distinte e molto più che mie coetanee, e che per motivi imperscrutabili la mattina mi ascolta parlare su Facebook delle cose di cui parlo con voi, dopo un percorso più che decennale, cose che non sempre sono immediatamente intuitive per chi il percorso non lo ha seguito, e che possono legittimamente sembrare prive di attinenza con la realtà, astratte, fumose, per qualche motivo che ignoro, ma che mi ha commosso, ha sentito il desiderio di condividere con me queste preoccupazioni tanto concrete.
E qui ci sarebbero tante considerazioni da fare, ma ne faccio due. La prima è: perché io? E la seconda è: ci siamo abituati a considerare centrali dei temi che strutturalmente lo sono, ma che rispetto a quelle che tante persone perbene percepiscono come minacce immediate sono oggettivamente laterali (a meno di non dedicare un tempo che forse nessuno ha a ricostruire il percorso che conduce da una certa organizzazione dei rapporti sociali di produzione alle ZTL, al gender, alla negazione della maternità).
Le persone non vogliono spiegazioni, vogliono soluzioni e hanno tutto il diritto di volerle. Alla fine è anche per questo che Claudio e Massimiliano ci misero un bel po’ a convincermi…