domenica 29 gennaio 2023

Brexit: il fenomeno dell'emersione

(...che è una cosa diversa dall'emersione dei fenomeni: quella si verifica su Twitter ed è seguita da un inesorabile affondamento...)


Professore,

vivo nel Regno Unito e la seguo da anni ma non riesco a commentare su Goofynomics… glielo dico qui, se le interessa: l’aumento delle iscrizioni AIRE nel Regno Unito non è indice di un aumento degli italiani nel Regno Unito, bensì di un fenomeno di emersione per cui italiani che erano nel Regno Unito magari da anni (cinque, dieci) fanno ora l’iscrizione in ritardo ora che gli serve usare i servizi consolari per passaporti, patenti, documenti o atti notarili.

Veda qui (2019: “350 mila i nostri connazionali qui residenti iscritti all’Aire, l’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero, ma il Consolato d’Italia a Londra calcola che per ogni iscritto ci sia un altro italiano che non si è ancora iscritto”).

Oggi siamo a 490000 iscritti a fronte di una stima di 550000 italiani in tutto. Il Consolato di Londra lo chiama “il fenomeno dell’emersione”.

Rimane vero che gli italiani farebbero carte false per venire nel Regno Unito (anzi: le fanno, e ogni tanto li beccano) che è super-attrattivo per un giovane vessato dal sistema fiscale italiano, ma le attuali leggi post-Brexit lo rendono impossibile (dato: meno di 8mila visti lavorativi concessi a italiani da gennaio 2021 a oggi) perché, UK non sa più come dircelo, di europei ne hanno abbastanza e a sbatterci la porta in faccia ci sono riusciti benissimo.

Uno de passaggio.


Dunque.

Mentre qui tende a starci sugli zenzeri chi le cose visibilmente non le sa e si pronuncia in modo apodittico, senza citare fonti, chi invece reca testimonianze sensate, compatibilmente col poco tempo che mi lascia la mia frammentata esistenza, su queste pagine normalmente riceve albergo. Le parole di "uno de passaggio", oltre a essere suffragate da studi e statistiche ufficiali, hanno l'accento della verità, anche se non cambiano il senso di quanto ci siamo detti due post fa: eventualmente lo accentuano (appunto). Per quanto strano possa sembrare, le persone preferiscono vivere in un Paese normale, e noi abbiamo scelto di non esserlo (in buona, o almeno variopinta, compagnia) alcuni anni or sono.

Restano le testimonianze degli awanaganians sul disastro che la Brexit avrebbe provocato all'industria finanziaria inglese (anche queste, ovviamente, basate su titoli di giornali "amici"). L'analisi delle società di consulenza è meno catastrofistica. La perdita del passporting ha costretto alcune aziende a dislocare parte dei servizi in sedi situate nei Paesi membri, ma nell'aggregato il disastro dopo il 2016 non si vede. L'andamento della quota di valore aggiunto dei servizi finanziari sul totale è questo:


(la fonte è questa, ho usato i dati a prezzi 2019). Non sono riuscito a trovare dati posteriori al 2020 neanche sul sito dell'OCSE, e quindi non so che cosa sia successo negli ultimi due anni, ma dubito che sia di un ordine di grandezza simile a quanto era successo prima del 2016 (la caduta dall'11% all'8% dei servizi finanziari sul totale del valore aggiunto).

Non so, leggendo le ultime parole di "uno de passaggio" ("di europei ne hanno abbastanza"), mi viene da pensare che gli expat che ululano contro la Brexit su Twitter siano in realtà zavorre di cui le rispettive aziende hanno colto il destro per liberarsi. Sarà che i "treider" con baio in inglisc mi sono sempre sembrati, quando li ho incontrati su Twitter, dei poveri grulli...

Ma è solo perché io, notoriamente, sono una bbruttaperZona! 

Moneta e guerra (sul ruolo internazionale dell'euro)

...che poi, tornando sul post precedente, per quel che mi riguarda alla fine il problema non è nemmeno se la Brexit abbia fatto bene o male al Regno Unito: saranno anche fatti loro!

La scelta è loro, le conseguenze anche, o almeno così dovrebbero pensarla quelli secondo cui il principale vantaggio dell'UE è quello di essere un pennello, pardon, un mercato grande, e quindi in quanto tale in grado di assorbire lo shock causato dall'inabissamento di un Paese che rappresenta solo il 2,1% del Pil mondiale (l'Italia l'1,7%, l'Europona il 14,8% - dal 20,4% del 1999, gli Stati Uniti il 15,5%, e la Cina il 18,6%: i dati sono, come sempre, qui).

Non è paradossale che chi vede freudianamente nelle dimensioni la soluzione di ogni problema si curi così tanto della dipartita di un Paese che ce l'ha relativamente piccolo, il Pil?

Il vero problema, a mio avviso, è che un'intero ceto di semicolti, la pseudo élite del Paese, precludendosi ogni freddo ragionamento razionale, si aggrappa in modo consolatorio, con sinistre consonanze fasciste, all'idea che la perfida Albione sia stata punita (?), perché l'unica dimostrazione dei vantaggi del progetto europeo di cui dispongano è quella (indiretta) consistente nel mostrare l'irreversibile decadenza di chi se ne allontana! Di che cosa questo progetto comporti per un Paese che in fondo non amano, perché se ne sentono migliori (da cui la fioritura di pretenziose e per questo involontariamente spassose baio in inglisc) poco gliene importa e poco ne capiscono.

A me invece (non so a voi) interessa molto meno quanto succede al Regno Unito (cui faccio i miei migliori auguri di circostanza) rispetto a quanto succede a casa nostra.

A titolo di esempio, il contesto attuale, oltre dimostrare che la "valuta forte" non ci difende dall'inflazione importata (verità lapalissiana che falangi di cialtroni ci hanno contestato per anni sui parterre televisivi), temo che darà un'ulteriore scossa alle granitiche certezze di chi vedeva nell'euro un potenziale concorrente del dollaro sul mercato internazionale delle valute. I due argomenti erano legati, come ricorderete dal Tramonto dell'euro:


e anche in questo, purtroppo, abbiamo avuto drammaticamente ragione. Le difficoltà dell'UE nel risollevarsi dalla propria crisi non hanno contribuito ad affermare la credibilità dell'euro, e i risultati da noi previsti (che all'epoca ci furono vivacemente contestati) non hanno mancato di prodursi:


(il grafico viene da qui).

Sarà che so un po' ragionare (motivo per avvicinarmi con rispetto), sarà che porto sfiga (se così fosse, se veramente possedessi questa virtù propria dei grandi economisti, sarebbe opportuno avvicinarmi con ulteriore deferenza), fatto sta che dopo il 2012 (anno di pubblicazione del Tramonto dell'euro) il trend discendente dell'euro come valuta di riserva internazionale, iniziato nel 2010 con la simpatica gestione della crisi cosiddetta del debito sovrano, si accentua, in un primo periodo a vantaggio del dollaro, per poi stabilizzarsi attorno al 2016 (è la linea porpora nel grafico).

Qual è il mio educated guess, sul quale ci potremo allegramente confrontare fra dieci anni (perché queste tendenze, come i risultati della Brexit, richiedono un po' di tempo per manifestarsi nei dati con chiarezza, motivo per cui scuso quelli che nel 2012 non volevano capire che l'euro aveva un problema di credibilità determinato dai salvataggi che non ci avrebbero salvato)?

Semplice: dato che il conflitto in corso ha, fra le altre cose, propugnato uno spaccamento del sistema dei pagamenti internazionali in due (ne parlavamo nel post precedente), e dato che l'attuale linea politica europea, linea che non mi interessa contestare, è di fedeltà al blocco atlantico, ne consegue che i Paesi che, in giro per il mondo, per un motivo o per l'altro, vorranno diversificare rispetto al "rischio Paese" che il dollaro naturaliter porta con sé (il rischio di veder congelati i propri attivi in dollari, il rischio di essere esclusi dal sistema di pagamenti internazionali in dollari, ecc.) non si rivolgeranno all'euro, che in termini geopolitici presenta gli stessi rischi (in questi termini è sostanzialmente un dollaro che non ce l'ha fatta), ma cercheranno, con determinazione (non so dirvi se con successo) di creare un'alternativa (in questo caso, decisamente non la sterlina, per ovvi motivi).

Se è così, nel grafico, fra dieci anni, constateremo una nuova flessione della linea porpora (noi) e una crescita della linea verde (gli altri, verosimilmente lo yuan).

Quindi il XXI secolo sarà il secolo dello yuan (dopo quello del franco, quello della sterlina, quello del dollaro, ecc.)?

Non ho detto questo e non credo necessariamente questo.

Ho solo detto (dieci anni fa) e lo ripeto (dieci anni dopo) che l'idea che le economie di scala monetarie realizzate con l'euro ci avrebbero consentito sic et simpliciter di godere di un potere di signoraggio internazionale è stupida, perché non tiene conto dei fattori geopolitici: quelli di cui qui abbiamo sempre tenuto conto, spiegando che la vera riserva non è quella di oro, ma quella di plutonio, nonostante per motivi per me incomprensibili siamo stati costantemente accusati di fare un ragionamento grettamente economicistico.

Ma a me non interessa fare la mia apologia, come non mi interessa fare quella del Regno Unito. Mi interessa dare prospettive e fare previsioni verificabili, sperando che qualcuno possa giovarsene, o eventualmente me le contesti con argomenti, nel qual caso sarei io a trarne giovamento. Un dibattito razionale produce esternalità positive. La bizza di chi si aggrappa, livoroso e rancoroso, alla coperta di Linus delle proprie certezze propagandistiche, invece, produce solo un lieve fastidio.

Sed de hoc satis. Ci rivediamo fra un decennio.

(...il primo lo festeggiamo il prossimo 15 aprile a Roma...)

sabato 28 gennaio 2023

Say "Hi!" to George Belly (la Brexit e il crollo delle università inglesi)

Nel penultimo webinar di a/simmetrie (come passa il tempo...), al minuto 1:02:42, Silvana ha chiesto via YouTube a Elisabetta Frezza: "Perché secondo te i giovani d'oggi sono così manipolabili?".

Il riferimento era a quelli della climate anxiety, sui quali vi invito a rivedere questo definitivo intervento di Konstantin Kisin:


cioè a quei quattro scemi che vanno in giro a far pubblicità alle minestre in scatola (quelle mangiano: se non sai fare una O col bicchiere tanto meno sai fare una minestra con una pentola...) utilizzando come testimonial opere d'arte famose.

(...per inciso, mi sono appena degustato un cotechino fatto da me partendo dall'inizio - risparmio il corredo iconografico che potrebbe urtare le sensibilità woke. Qualcuno venga a dimostrarmi che mi farà male, lo aspetto con un bicchiere di cerasuolo...)

Nella domanda di Silvana, come in tutti gli argomenti che alludono o rinviano a una discontinuità antropologica, che contrappongono un "oggi" (o un "domani") stilizzato a uno "ieri" imprecisato, c'era qualcosa che non mi convinceva, e se non ricordo male la mia reazione si è articolata più o meno su questa linea: quando avevo quindici anni io i ventenni invece delle scatole di minestra impugnavano la P38 (che non era questa, ma qualsiasi cosa facesse rima con "poliziotto"), o se andava bene la Hazet 36 (che trovate qui, e faceva rima con "dove sei"). Se come metro per l'intensità della manipolazione usiamo la letalità dei suoi risultati, mi sembra piuttosto chiaro che negli anni '70 iGGiovaniTM fossero discretamente più manipolabili di oggi!

Questa mia impostazione del tema deriva forse da una sensibilità sviluppata in Commissione Amore, quella Commissione il cui scopo era propugnare la censura del web oggi, "perché oggi (?) c'è tanto odioh signora mia!" Ne abbiamo parlato qui, qui, quiqui, qui, qui, ecc.

A questo argomento da portierato (luogo peraltro di apprezzabili dibattiti, purtroppo non consegnati ai resoconti stenografici), io, e un manipolo di sparuti eroi del buon senso, obiettavamo fattualmente che ci sembrava ci fosse più "odioh" (qualsiasi cosa esso fosse) quando la gente si sparava o si sprangava per strada, e quando la soppressione fisica dell'avversario veniva esplicitamente rivendicata come forma lecita di conduzione del dibattito ("uccidere un fascista non è un reato"). Apprezzavamo peraltro la delicatezza con cui i nostri interlocutori in Commissione non affermavano che fosse lecito sopprimerci fisicamente, ma solo ideologicamente, censurando tutte e sole le nostre idee (percorso sul quale si sono incamminati dopo la cocente sconfitta subita con la Brexit e su cui stanno facendo passi avanti di gran carriera, come vedremo in un prossimo webinar di a/simmetrie: con l'occasione, vi ricordo di sostenere quella che, fino a gradita e consolante prova del contrario, è l'unica voce indipendente autorevole nel dibattito italiano).

Discutendone fra noi in associazione, dopo l'evento, il presidente Ponti ha esplicitato il disagio che provavo, cristallizzandolo in una limpida sentenza che riconciliava i due punti di vista: "sono più manipolati" è diverso da "sono più manipolabili".

Sì, non è da escludere, in effetti, che oggi iGGiovaniTM siano più manipolati, magari perché si investe comparativamente di più nel manipolarli (la stessa esistenza della Commissione amore ne è una prova), ma questo non vuol dire che siano di per sé più manipolabili dei loro predecessori. Verificarlo non è poi così difficile: visto che iGGiovaniTM di ieri sono iVecchiTM di oggi, basta vedere quanto questi ultimi siano refrattari alla manipolazione per tirare le proprie conclusioni, considerando che in teoria l'età dovrebbe condurre alla saggezza, e che quindi chi in tarda età ci appare come un pochino manipolabile, si può supporre lo fosse molto di più in gioventù.

Prendo un esempio a caso dal rutilante mondo del social color servizio igienico: questo tweet non molto fortunato (zero risposte, otto like, zero retweet) del professor Giorgio Ventre:


in risposta a questa mia pacata e fattuale considerazione:


che si appoggiava all'ultimo editoriale del socio (di a/simmetrie) Sergio Giraldo.

Del professor Ventre so solo che esibisce una "baio in inglisc", segnale che induce in noi un diffuso e spesso motivato scetticismo:


e che è un ingegnere, categoria che abbiamo spesso eletto a nostro avversario dialettico per una certa sua incapacità di resistere alla tuttologia e alle sue lusinghe. Naturalmente, non voglio trarre dalle nostre deludenti esperienze passate alcuna conclusione su questo specifico caso. Tuttavia, se il nostro modello concettuale fosse corretto, l'appartenenza disciplinare spiegherebbe perché il sito linkato dal suo profilo social non esiste:


Lui, comunque, credo esista e sia questo stimato collega qui. Nel caso non lo sia, mi scuso per il disguido: qui comunque non sono in discussione le persone, ma gli argomenti, e quindi l'identità di chi li sostiene nei fatti non rileva.

L'ampio, articolato, rispettoso e costruttivo intervento dello stimato collega (o di chiunque egli sia) merita qui una risposta altrettanto ampia, articolata, rispettosa e costruttiva, che sui social nessuno ha ritenuto di dovergli dare (cosa che posso comprendere, ma che ovviamente depreco)!

Del resto, il tema degli "universi paralleli" qui ce lo siamo posti spesso, non in chiave astrofisica ma in chiave antropologica.

Fornisco quindi la mia interpretazione del mondo in cui lo stimato collega vive, e riporto qualche dato dal mondo in cui vivo io.

Nel mondo dello stimato collega, par di capire, si considerano fonti statistiche attendibili i resoconti di organi di informazione notoriamente (e lecitamente) di parte, come il Guardian, che a quanto capisco (ma il tema mi appassiona poco) è l'equivalente britannico di Repubblica: l'ultimo rifugio degli operatori informativi woke, incapaci di fare i conti con una realtà che li ha decisamente sorpassati (ma, ribadisco: questo non menoma in alcuna misura il loro diritto di rifilarci le loro opinioni, come pure quello di spacciarcele per fatti: il senso critico deve esercitarlo il lettore, non lo scrittore!).

Nel mio mondo è uso invece rivolgersi a fonti statistiche ufficiali. Sì, è più faticoso, ma questa fatica qui vi ho insegnato a farla, e se siete rimasti vuol dire che ne avete tratto un frutto.

Nel mondo dello stimato collega, questo è evidente, è prassi trarre conclusioni generali su un fenomeno (lo stato di salute delle Università britanniche) appoggiandosi a evidenze parziali (il numero di studenti provenienti dall'Unione Europea).

Nel mio mondo, viceversa, ci si attiene alla vetusta prassi di valutare i fenomeni nel loro insieme.

Siamo proprio sicuri che la Brexit abbia determinato il crollo del sistema dell'educazione terziaria britannica, privandolo di quella linfa vitale che sono i nostri studenti, formati da menti aperte e critiche come quella dello stimato collega?

Vediamo che cosa ci dicono i numeri...

Il più recente bollettino statistico su origine e destinazione degli studenti esteri nel Regno Unito ci informa che sì, in effetti gli immatricolati in provenienza dall'Unione Europea sono calati del 53% fra l'anno accademico 2020/2021 e l'anno accademico 2021/2022 (i dati per l'a.a. 2022/2023 saranno disponibili a fine mese, ma a fine mese avrò altro da fare). Per gli ingegneri: le immatricolazioni dall'UE si sono dimezzate. Il motivo risiede nella modifica alle regole sulle tasse di immatricolazione per studenti esteri. Tuttavia, gli immatricolati in provenienza dal resto del mondo (perché, lo ricordo agli europeisti, c'è anche il resto del mondo, oltre all'UE e all'odiata perfida Albione), sono aumentati del 32%. Anche qui un motivo c'è: il Regno Unito ha adottato la Graduate immigration route, che in qualche facoltà STEM tradurrebbero come ruota per l'immigrazione graduata, e qui vi proponiamo di tradurre con "percorso per l'immigrazione dei laureati", e no, non è un gommone, né una nave negriera (che è il percorso adottato da altri Paesi per l'immigrazione di laureati veri o presunti): è un sistema di incentivi che consente ai laureati in università britanniche di risiedere per due anni nel Regno Unito dopo la laurea, allo scopo di integrarsi nel mondo del lavoro. Pare che questo abbia fatto esplodere le iscrizioni dal resto del mondo nei corsi di laurea specialistici (PG, post graduate: quelli che noi chiamiamo lauree magistrali o specialistiche).

Ora: qui a forza di legnate avete appreso che 1 è il 10% di 10 ma l'1% di 100. Ci siamo occasionalmente confrontati con rinomati esperti di altre discipline, anche (e soprattutto) STEM, cui questa verità ontologica sfuggiva (ma solo perché non erano disposti a venire a patti con le sue conseguenze). Il fatto si è che siccome gli studenti in provenienza dall'UE sono meno di quelli in provenienza dal resto del mondo, come questa figura ci mostra plasticamente:

capita anche che nonostante il grave salasso di giovani menti Leuropee, documentato da questa tabella:


(da 6 a 3 in effetti è la metà: riesco a fare il calcolo anche senza usare il pollice non opponibile di cui Natura matrigna mi fornì...), il numero complessivo di studenti esteri in UK ha raggiunto un record storico non solo nella fascia di immatricolati al primo anno (lo vedete qua sopra), ma anche e soprattutto nel complesso (lo vedete qua sotto):


Se ci fate caso, dal primo anno accademico post Brexit a oggi gli studenti esteri sono aumentati del 44,924231121720411773481958268505% (la presenza di un docente STEM mi impone la salutare disciplina dell'esattezza), passando da 469.160 a 679.970. Naturalmente questo ha fatto impennare il prezzo degli scafandri da palombaro, visto che, come il prof. Ventre probabilmente sa e certamente insegna, la Brexit ha fatto sprofondare il Regno Unito nelle gelide acque dell'Atlantico (e questa non è un'opinione di qualche poraccio, ma un fatto assodato, tanto che anch'io, come tutti gli altri, tralascio di produrne la fonte perché superflua...).

Un grafico incompleto è qui (manca il 2022), un grafico completo non ho tempo di farvelo:


Allora...

Qui la prendiamo a ridere, perché è nella nostra natura, conciliante e gioviale, e perché è nello spirito più genuino, autentico e risalente della comunità accademica.

Tuttavia, a un secondo sguardo, qui da ridere c'è ben poco, e sotto plurimi profili.

Intanto, c'è da interrogarsi sullo status della logica elementare nel "curricolo" (come si usa dire) degli studi scientifici.

Quello che è successo è piuttosto chiaro: stufi degli atteggiamenti ritorsivi da mulier relicta che hanno caratterizzato il discorso pubblico sulla Brexit in UE, UK ci ha sbattuto la porta in faccia, argomentando che la qualità si paga e chiedendoci quindi di pagarla. Il fatto che evidentemente non possiamo permettercela (dal che deriva il dimezzamento delle immatricolazioni) dimostra che il failed State siamo noi, non loro!

A supporto di questa banale considerazione aggiungo due dati:

  1. il sistema educativo britannico resta assolutamente attrattivo per gli studenti del resto del mondo, e in particolare delle potenze emergenti (Cina, India, Nigeria, ecc.), come abbiamo visto sopra;
  2. noi continuiamo a esportare giovani nel Regno Unito, che quindi per essi resta attrattivo, nonostante la propaganda degli operatori informativi woke e di alcuni (la stragrandissima maggioranza) stimati colleghi (che secondo me col loro profuso livore riescono solo a rendere repulsivo - e repellente - il nostro Paese).

Ce lo ricorda l'amico Lega Esteri su Twitter (uno dei tanti scappati di casa che appartengono alla nostra community, certo non un docente di vaglia come lo stimato collega: fidatevi di me che lo conosco!), facendoci notare che:


Vi fornisco a mia volta i dati (sì, i dati, i fottuti dati, non le riverite opinioni di qualche stimato collega o di qualche operatore informativo: i dati, i da-ti!) dal sito del Ministero dell'Interno (Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero - AIRE), secondo cui dal 31/12/2016 al 31/12/2021 gli italiani censiti nel Regno Unito sono passati da 283.151 a 439.411, aumentando del 55,186102115125851577426885301482%, contro un incremento del 18,660941770704066143100804114062% dei residenti italiani censiti nell'intero continente europeo (da 2.685.813 a 3.187.011), il che significa che post Brexit il Regno Unito è stato moooooooooooooooooooooooooolto più attrattivo per gli italiani del resto della Leuropa.

Chi è qui da un po' può immaginare perché, chi è appena arrivato farà un po' più fatica, ma insomma: quando le cose succedono, di solito c'è un motivo, e di solito non è il Guardian né Repubblica a spiegartelo!

Vi faccio apprezzare un dettaglio: ai non-STEM credo sia chiaro che lo scenario verso cui ci stiamo allegramente dirigendo, anzi, direi in cui siamo già allegramente immersi, è quello di una nuova guerra fredda. Ove ne fossero mancate altre, direi che questa come dichiarazione di guerra non è male:


Notate però l'intelligenza di un Paese come il Regno Unito, che si guarda bene dallo sprangare le porte ai rampolli del Paese leader del blocco contrapposto (la Cina), ma anzi continua ad accoglierli a braccia aperte, perché intuisce, da vera potenza imperiale, l'importanza di continuare a esercitare la propria egemonia culturale sul blocco contrapposto. Il minimo sindacale per far sì che la lingua del mondo continui ad essere per lunghi anni a venire l'inglese, anziché il cinese! Tutto il contrario dell'atteggiamento petulante e cascettaro dell'UE nei riguardi di UK, che alla fine ci ricorda l'infausta prassi di ablarsi parte dei genitali esterni, insomma, di Abelardarsi (per gli studenti e soprattutto i docenti non STEM) per far dispetto alla moglie!

Lo dico in altro modo: se hanno sbattuto la porta in faccia ai nostri studenti (e lo hanno fatto loro) è perché gli sono inutili, e se gli sono inutili è perché vengono da un'area che si sta suicidando, a forza di regole di politica economica e di scelte strategiche irrazionali (pensiamo all'energia). Ma capisco che ci sia chi, a fronte di questo che in realtà è un cocente smacco per noi, si aggrappi all'idea che non riuscendo ad andare a studiare nel Regno Unito "gliel'abbiamo fatta vedere!", come ci si aggrappa alla metaforica, consolatoria, coperta di Linus.

Forse dovremmo riflettere, come fanno perfino quelli bravi, sul perché siano così pochi gli studenti esteri a venire in Italia (meno di un decimo che nel Regno Unito), anziché favoleggiare su un inesistente crollo degli studenti esteri utili nel Regno Unito (agli inutili si può rinunciare).

Concludo.

Intanto, resta vero che una rondine non fa primavera (anche questo ce l'ha insegnato Aristotele), e che  quindi verosimilmente un prof. Ventre non rappresenta un'intera generazione, ma se tanto mi dà tanto direi che in tema di manipolabilità, cioè di permeabilità a un discorso ideologico non suffragato da concrete ed univoche evidenze fattuali, almeno alcuni giovani di ieri danno un bel distacco ai giovani di oggi!

Aggiungo che di stimati colleghi che quando si rivolgono a un politico presumono iuris et de iure di rivolgersi a uno con l'anello al naso sono piene le fosse settiche di questo blog. Ne facciamo a meno. Nel mio lavoro si impara a informarsi sulle persone cui ci si rivolge, ma io non ne ho avuto bisogno: me l'aveva insegnato mia madre, una volta si chiamava educazione, ora gli awanaganian e i baio in inglisc hanno deciso di chiamare educazione l'istruzione, e così di gente educata in giro non ce n'è più (e di gente istruita ce n'è sempre meno). Nel mio caso, poi, è facile: se sei "proudly present in the Internet Manager's Phonebook since 1990" magari ti è facile consultare una voce Wikipedia (che preesisteva alla mia entrata in politica - e un motivo ci sarà stato!), mentre ci è difficile capire perché non si riesca a trovare la tua (ma un motivo ci sarà). La mia è scritta coi piedi, ma a chi sa leggere, soprattutto fra le righe (competenza tipicamente non-STEM), può essere di aiuto per prendere le misure.

Aggiungo l'attenuante specifica della probabile partenopeità. Mi rendo conto che chi proviene da quella meravigliosa capitale europea, in cui, per un'ironia della Storia, come ricorderete, maturai la decisione di accettare con orgoglio e riconoscenza la candidatura che mi era stata offerta, mentre incidevo a Sant'Agostino degli Scalzi le sonate di un autore partenopeo (qui il CD, se interessa), nel vedere "politico" (#aaaaabolidiga) "della Lega" (l'elmo con le corna, le gare di rutti, i cori razzisti, #ionondimentico...) possa essere accecato dai preconcetti.

Ecco: ricordiamoci, noi, che a occhi chiusi si va a sbattere, se non altro contro l'evidenza!

Avrete notato che io ho parlato con estremo rispetto dello stimato collega, cosa che lui non ha fatto con me. Questo perché nella parte non-STEM della mia formazione ho imparato una cosa: che anche le montagne si incontrano, ogni tanto.

Figurati le persone!

Meglio quindi lasciare un buon ricordo, perché contare sulla mia smemoratezza sarebbe un errore.

Dello stimato collega conservo un ricordo ottimissimo, perché la sua uscita un po' guascona mi è stata di stimolo per fare un discorso sul metodo e per approfondire e fornirvi dei dati sui quali ancora non mi ero soffermato, perché non ne avevo bisogno. A differenza dell'ingegneria, la macroeconomia aiuta ad anticipare certe dinamiche socioeconomiche. Tanto per capirci, nello scrivere questo post non sono partito dai dati: me li sono andati a cercare a mano a mano che mi servivano, trovando, senza nessuna sorpresa, esattamente quello che mi aspettavo, perché è quello che la mia scienza prevede. C'è una logica in quello che sta succedendo, come c'è nel fatto che ci sia chi non si rassegnerà mai a capirlo, vivendo murato nel proprio universo parallelo fatto di rancore e wishful thinking.

Resta il fatto che possono spernacchiare quanto vogliono nel basso tuba della propaganda: qui come le cose stiano lo abbiamo previsto, visto, e rivisto.

Gli altri possono farsene una ragione, o farci fare una risata.

Gli saremo grati in entrambi i casi.


(...due parole per voi: quando sono, come si usa dire, "entrato in politica", vi ho detto molto chiaramente quale fosse il mio obiettivo:


Vivreste meglio, e sareste meno petulanti, se provaste a valutare la mia azione politica rispetto agli obiettivi che si era data, e che non vi avevo tenuto nascosti. Considerando questi obiettivi, possiamo serenamente dire di aver fatto qualche significativo passo avanti, ma dobbiamo restare umili e compatti, e lavorare. L'avversario ci ha molto aiutato, e quella che potrebbe essere una nostra vittoria dobbiamo essere disposti a considerarla una loro sconfitta. Non è un gioco di parole: significa che non siamo ancora padroni del terreno, né in termini culturali - direi che l'esilarante vicenda descritta in questo post lo dimostra a sufficienza! - né in termini operativi, di penetrazione nella macchina - e quello è il mio cruccio e il mio lavoro diuturno e silenzioso. Tuttavia, ricordate sempre che la nostra capacità di influire sugli eventi è direttamente proporzionale alla nostra capacità di dimostrare che esistiamo. Per questo vi aspetto al midterm goofy: perché non possa essere ignorato l'anelito di libertà che questo blog ha animato e che tutti noi incarniamo. A presto!...
)

Parole dal cuore

Come vi ho spesso detto, e voi stessi avete sovente rimarcato, le emittenti locali, non schiacciate dalla becera logica gladiatoria delle blasonate emittenti nazionali, offrono a chi ne sa approfittare il tempo dell’approfondimento:


(...oggi - cioè ieri - riunione di redazione per il #midtermgoofy. Abbiamo messo su un programma che vi piacerà. Parleremo della stabilità e dei suoi meccanismi, del fantasma della convergenza, del patto per la crescita, del racconto dell'antieuropa, e di tante altre cose. Segnatevi la data: 15 aprile a Roma...)

venerdì 27 gennaio 2023

A proposito di debito privato...

...e della sua funzione disciplinatrice del conflitto sociale, di cui si parlava nel post precedente: un soccorrevole amico mi gira questa agenzia che lascio qui a futura memoria:


Non so perché, ma ho come un inquietante senso di eterno ritorno dell'uguale. E non abbiamo ancora ricominciato col rigore...


giovedì 26 gennaio 2023

Segare il ramo: una postilla

Volevo aggiungere una postilla al post su "Segare il ramo", in cui concludevo che dopo aver distrutto i loro mercati di sbocco nel Sud dell'Eurozona, e essersi fatti tagliar fuori dai mercati di sbocco statunitense e cinese (e dal mercato di approvvigionamento russo), i capitalismi del Nord (aka "Germania") si trovano in questo fastidioso dilemma:

  1. o scelgono di sostenere la domanda interna, passando da un regime di crescita export led (trainata dalle esportazioni) a un regime di crescita wage led (trainata dai salari), come consigliato da alcuni banchieri centrali, col problema però di alimentare un moderato processo inflazionistico e quindi di (a) continuare a perdere competitività rispetto al Sud dell'Eurozona e (b) accettare una svalutazione dei crediti da loro accumulati in anni di esportazioni drogate dal cambio debole;
  2. o scelgono di non sostenere la domanda interna e si accartocciano su se stessi.

Messa così, però, è un po' troppo semplice, perché in effetti un altro modo di sostenere la domanda interna, oltre ai salari, ci sarebbe: la spesa pubblica, quella che i cretini chiamano "spesapubblicaimproduttiva", e che chi vuole sembrare meno cretino distingue in spesa corrente e spesa per investimenti, salvo accorgersi dopo un po' che anche una spesa corrente come gli stipendi dei medici è in realtà un investimento sulla salute dei pazienti (dipende anche dal medico, ma ci siamo capiti: lo ha capito perfino lui).

Qui rientrano in gioco le asimmetrie europee e il dibattito sulle regole europee, di cui io, nel mio nuovo ruolo, devo dirvi che non ho proprio idea di dove sia arrivato. Per dirvela tutta, temo che finirà così: che il Nord, dopo aver fatto schizzare verso l'alto il rapporto debito/Pil del Sud grazie all'austerità, non consentirà al Sud di usare il volano della spesa pubblica per ripartire. Di conseguenza, al Nord si continueranno a nazionalizzare le imprese invece di farle fallire (nel silenzio di DG COMP) e si spingerà un po' sull'acceleratore degli investimenti pubblici (finanziati con debito nazionale, certo non con trappole come il PNRR), mentre al Sud si consentirà di far debito solo in regime di memorandum (cioè col PNRR) e comunque non in misura sufficiente per colmare quel gap fra crescita effettiva e tendenziale che l'austerità ha aperto, come abbiamo visto qui:


(...scusate, non ho tempo di aggiornare il grafico, ma non è cambiato di molto...)

Insomma: il famoso discorso che spesa pubblica può farne chi ha lo "spazio fiscale" per farla.

Questo che cosa significa?

Significa che l'Eurozona continuerà a essere sottoposta a forze divergenti.

Nella sua prima fase, le tensioni derivavano dal cambio, che favoriva le economie del Nord, promuovendone le esportazioni e quindi la crescita, e sfavoriva quelle del Sud, deprimendone le esportazioni e quindi la crescita (i fatti sono fatti, poi ci sono le opinioni dei riveriti colleghi, come ricorderete). Nella fase attuale, tensioni dello stesso genere potrebbero derivare dalla spesa pubblica, nella misura in cui il Nord consentisse a se stesso di farne (sostenendo di avere spazio fiscale), ma continuasse a vietarlo al Sud (con la scusa che questo avrebbe poco spazio fiscale), nonostante che gli sviluppi recenti dimostrino come il maggior calo del rapporto debito/Pil, in Italia, si sia verificato negli anni di maggior deficit:


(il grafico viene dal Programma di stabilità per l'Italia del 2022).

Capite bene che una serie di deficit entro il 3%, come dal 2012 al 2019, che ci mantengano il rapporto debito/Pil stabile perché non riescono a rianimare la crescita, col debito al 150% non possiamo esattamente permettercela, considerando che siamo indebitati in una valuta estera (nel senso che il debito è definito in una valuta di cui il nostro Paese non ha pieno controllo politico).

Comunque, anche in questo caso l'economia un rimedio l'offrirebbe. Spingendo sul pedale della spesa pubblica le economie del Nord riuscirebbero a crescere più di quelle del Sud, ma quindi importerebbero anche di più, trainando con la loro domanda di beni le economie del Sud. Un meccanismo di aggiustamento lento e che passa attraverso una cosa che il Nord assolutamente non vuole, cui è allergico più che all'inflazione: un deficit del saldo commerciale.

Prevarranno le forze centrifughe o quelle centripete?

Lo vedremo abbastanza presto.

Io non credo che il contesto istituzionale attuale sia favorevole alla convergenza, ma, si sa, io sono una brutta persona. Credo invece che ove mai l'Italia consolidasse il suo attuale percorso di crescita, dopo un po' qualcuno, per spezzarle le gambe, suonerebbe la fanfara dell'attacco speculativo, motivo per cui è folle pensare di ratificare la riforma del MES, che trasforma il Trattato in una macchina per innescare crisi finanziarie a piacimento. Non che ora non sia possibile: ma proprio per questo, facilitare il compito a chi ci vuole così bene non mi sembrerebbe cosa lungimirante. L'esempio di cosa non fare lo abbiamo tutti chiaro davanti agli occhi:


Se la storia si ripeterà, quindi, non sarà farsa, ma tragedia.

Conclusioni?

Per ora non ce ne sono: sappiamo a che cosa stare attenti (alla politica dei redditi degli altri Paesi europei e alle regole fiscali), e sappiamo che piega prenderanno le cose a seconda delle scelte fatte in questi due ambiti. Ma che scelte verranno fatte non dipende solo da noi, e questo, oltre all'asteroide, ci lascia con un discreto margine di incertezza. Sarei molto contento di essere stato, per una volta, pessimista...

martedì 24 gennaio 2023

La schiavitù del debito (privato)

Nel letamaio di Twitter ho trovato questa perla elargita da un nostro amico:


Non ci avevamo pensato! In effetti, il circolo vizioso della globalizzazione finanziaria, che avevamo descritto qui:


ha anche questa ulteriore sfumatura: i lavoratori indebitati (vedi alla voce "necessità di sostenere la domanda col debito") perdono potere contrattuale, perché se ti corrono le rate di uno o più mutui è pericoloso restare senza liquidità, per cui meglio ottenerne pochi (maledetti e subito) che scioperare.


Tanto aumenta la "finanziarizzazione" (debito), tanto diminuisce la rivendicazione (sciopero), e di conseguenza la remunerazione (salario), il che peraltro rende comunque complesso ripagare il debito, ma questo è un altro discorso, cioè il solito discorso (crisi finanziaria).

Il nostro schema si arricchisce quindi di un ulteriore feedback loop (vizioso) fra "necessità di sostenere la domanda col debito" e "crollo della quota salari". Questi due elementi si rinforzano a vicenda, una volta che ci si sia avviati nel meraviglioso mondo dell'egemonia finanziaria, della libertà incondizionata dei movimenti dei capitali, del finanziamento a debito della domanda.

Lo si potrebbe dire anche così: quando gli elettori accettano che i mercati disciplinino i Governi, stanno in realtà accettando anche che i mercati disciplinino loro.

Resta misteriosa la legittimazione dei mercati (che poi sono uomini) a disciplinare chicchessia, visto che la terza stazione di questo Calvario è sempre una crisi finanziaria, cioè una dimostrazione più o meno plateale, più o meno dolorosa, che i mercati per primi non sanno investire bene i propri soldi (e quando succede che i nodi del loro stolido conformismo vengano al pettine, per un po' smettono di fare la morale ai Governi, visto che devono affidarsi alla clemenza di questi ultimi per salvare la pelle...).

Per i nerd il paper è qui e anche chi non capisce le tabelle troverà interessanti le figure. Ad esempio, la Figura 1, che mostra i trend della conflittualità sindacale (ore, durata, partecipazione agli scioperi), ci mostra plasticamente la futilità di certe petizioni di principio di cui si parlava nell'ultimo webinar di a/simmetrie con Elisabetta, in particolare dell'idea che la società di ieri fosse più "stabile" di quella di oggi, meno caratterizzata da "cambiamenti e discontinuità".

Nella società di ieri la norma era il conflitto. In quella di oggi la norma è il ricatto. Sono due diverse forme di instabilità.

Strappano anche un sorriso, per chi come me le avesse distrattamente ascoltate in macchina, le appassionate perorazioni dei candidati alla segreteria del PD in favore del lavoro, del recupero di un'iniziativa politica a sostegno delle classi sociali più svantaggiate, ecc. Il mondo in cui i lavoratori hanno paura di scioperare, perché sono sotto il ricatto del debito, lo hanno voluto e costruito loro in cambio dell'usufrutto perenne di un pezzo di potere costituito. Purtroppo è andata male, ma nessuno di loro è attrezzato culturalmente per capire perché.

domenica 22 gennaio 2023

Ancora sulla Brexit (poi basta)!

Non so per quale motivo, il tema Brexit continua ad appassionare: eppure io pensavo di averlo liquidato sette anni fa!

Se a un "professore, chennepenZa?" si può rispondere con un semplice "click" (il neologismo che inventammo qui per definire l'operazione di blocco di un utente petulante "con un click del mouse", per assonanza con quell'altra categoria di petulanti che "la moneta si crea con un click del mouse": ma questo può ricordarselo solo chi è qui da almeno un decennio...), a un profluvio di "professore, chennepenZa?" occorre forse dare una risposta più articolata, se non fosse per il fatto che ogni tanto questa domanda ci viene da utenti qualificati, come l'olandesina, o la mia padrona di casa a Chieti, o il nostro (ex) padrone di casa a Montesilvano, che se non altrove sono comunque nel nostro cuore: sopprimerli ci costerebbe più che perdere un paio d'orette di tempo!

Aggiungo che se una cosa così semplice, e che abbiamo spiegato mille volte, non si capisce, evidentemente c'è qualcosa di più profondo che non va.

Un indizio di quello che forse non va, e che sicuramente potreste migliorare, sta nel modo in cui molti mi entrano in argomento: "Ma Alberto, chennepenZi della Brexit? I giornali dicono che è un disastro, a sentir loro l'Inghilterra è sprofondata nell'Atlantico..." [la Scozia no perché è "europeista", il Galles no perché se lo dimenticano tutti NdCN]

Ora, se dopo dodici anni non avete capito che la risposta a una simile domanda è appunto nella domanda, temo che ci sia ben poco che io possa fare per voi. Tutto il lavoro che abbiamo fatto qui ha avuto un filo conduttore che speravo fosse evidente: mostrarvi come i media distorcano in modo assiduo e sistematico la verità fattuale, come siano una bussola che indica diuturnamente e infallantemente il Sud.

Se un giornale dice "bianco!", potete essere certi che sarà nero.

Se un giornale dice "in alto!", potrete essere certi che sarà in basso.

Se un giornale dice "cresce!", potrete essere certi che cala.

Devo recitarvi tutto il dizionario dei contrari, o la pattiamo qui?

Forse è più utile se vi ricordo alcuni post in cui ho confutato le lievi imprecisioni dei media: qui, qui, qui, qui, ecc. (basta cliccare sul tag "propaganda" e se ne trovano quanti se ne vogliono, magari più utili di quelli che vi ho citato).

Questo significa che se i media dicono che la Brexit è stata un disastro, ovviamente la Brexit non lo sarà stata: peraltro, vi avevo detto prima, e vi ho fatto vedere dopo, perché non lo sarebbe e perché non lo è stata.

Prima di farvelo rivedere, però, vorrei chiudere sul tema della sistematica distorsione della realtà operata dai media.

I giornalisti non sono "cattivi": nella maggior parte dei casi sono semplicemente ignoranti, il che significa, in concreto, che loro non saprebbero né da dove scaricare né come leggere i dati che vi fornirò più giù. Povertà non è vergogna: se sei laureato in lettere, naturalmente hai meno dimestichezza con i dati di un docente di econometria. Il problema quindi non sei tu, ma chi ti ha messo dove sei, ed è su questo che dovremmo interrogarci...

I giornalisti non sono "intellettualmente disonesti": nella maggior parte dei casi hanno semplicemente fretta, il che significa, in concreto, che se non vi forniscono mai le fonti dei loro dati, come invece farò io nel mostrarvi i miei, non lo fanno per impedirvi di controllarli, ma perché citare le fonti costa tempo.

I giornalisti non sono "pagati da Klaus Schwab" (o da altro "cattivo" del teatro dei pupi complottista: Gates, Soros, Satana, whoever...): nella maggior parte dei casi sono semplicemente sottopagati dai loro giornali, il che significa, in concreto, che se ripetono le parole d'ordine che arrivano dai think tank internazionali non è perché queste gli arrivano corredate da un cospicuo assegno, ma perché per campare la famiglia magari devono fare più di un lavoro, e quindi trovano più efficiente copiare, anziché approfondire. Vero è che copiare è comunque un lavoro a basso valore aggiunto (e nel caso dei mezzi di informazione ad alto disvalore aggiunto), per cui non mi impietosirei troppo se viene remunerato il giusto, cioè poco: ma questo è un altro paio di maniche...

Quindi, come dire: niente di personale.

Sono poverini anche loro, e i poverini sono pericolosi. Il problema però è oggettivo e politico, non soggettivo e personale, e chi lo affronta in quest'ultimo modo sbaglia. Può darsi che un giornalista sia un imbecille, come può darsi che lo sia un lettore. Cortesia vuole che all'uno e all'altro si nasconda questa spiacevole verità, anziché spiattellargliela in faccia, e in ogni caso impostare in questi termini il problema non ci fa avanzare di un passo verso la soluzione del problema: ottenere una stampa corretta, informata e pluralista. Possiamo consolarci dicendoci che il problema è insolubile, che questa soluzione è irraggiungibile, e probabilmente lo è, ma certamente non abbiamo diritto di lamentarcene se adottiamo soluzioni che il problema lo aggravano, che dalla soluzione ci allontanano.

Una soluzione molto migliore rispetto a quella, che sconsiglio, di insultare i giornalisti, o anche, più educatamente, di lamentarsene, è quella, che consiglio, di ignorarli totalmente, andando a leggere, invece che i giornali ogni giorno, i dati ogni trimestre. Io faccio così da sempre, e questo mi consente di surfare in scioltezza nei simpatici parterre cui vengo comandato dal mio ufficio stampa, pur ignorando con altrettanta scioltezza le dieci rassegne stampa che ogni mattina mi vengono inflitte! L'attualità, qui ce lo siamo sempre detti, è molto sopravvalutata: più interessante è mettere le cose in prospettiva, e questo è quello che vi propongo qui di seguito.

(...nella mia qualità di politico, ignorare i giornalisti non vuol dire solo non leggerli: vuol dire anche considerarli trasparenti, non vederli, non parlargli, non rispondergli al telefono, passare attraverso la loro inconsistenza! Mi sono stancato di venire travisato e mi regolo di conseguenza...)

Ma, appunto, andiamo a cominciare...

Il prodotto interno lordo

Gli scenari precedenti alla Brexit imputavano a quest'ultima una perdita di prodotto interno lordo negli anni successivi (dal 2017 in poi) piuttosto cospicua. Il 23 giugno del 2016 ero a Villa Mondragone per i consueti seminari organizzati da Luigi Paganetto, dove ebbi modo di godermi la presentazione di questo interessante saggio, secondo cui gli effetti di lungo periodo della Brexit sul Pil del Regno Unito, nelle valutazioni fornite da diversi centri di ricerca, andavano dal +1% al -25% (con un certo consenso per valori attorno al -6% sull'orizzonte 2020). Ve ne avevo parlato a suo tempo qui.

Ora: prima di guardare i dati, vorrei farvi riflettere su un tema metodologico.

La valutazione di scenari controfattuali sconta un ovvio problema: più l'orizzonte temporale si allunga, e più il fallimento dello scenario, la smentita delle previsioni, può essere giustificata allegando fattori confondenti, imprevedibili all'epoca in cui lo scenario è stato valutato. Ve lo dico in un altro modo: come ci ha ricordato con amabile ironia Roger Bootle al #goofy10, sette anni sono decisamente pochi per tirare un bilancio (cinque erano ancora di meno!). Il mio educated guess è che l'austerità di Monti rimarrà per i lunghi secoli a venire una cicatrice nella storia del nostro Pil,  quale già oggi si presenta, tant'è che dal sito dell'ISTAT hanno tolto la serie secolare che per un certo periodo avevano messo in home page, cioè questa:


(la trovate sul sito della Banca d'Italia), forse perché politicamente fastidiosa, e l'hanno sostituita con una più incoraggiante (si fa per dire) serie trimestrale dal 1996:


Di converso, scommetterei che la Brexit non sarà visibile nemmeno come glitch nelle serie secolari del Pil del Regno Unito, perché condizione necessaria affinché una cosa si veda nel lungo è che si veda nel breve, e nel breve non si vede!

La cosa più naturale per impostare un confronto sarebbe andare sul sito dell'Eurostat e scaricare i dati, ma se ci provate otterrete questo:


Purtroppissimamente, le serie storiche di UK si interrompono nel 2020, forse perché l'illuminato tecnico europeo dell'Eurostat vuole evitarci la vertigine di affacciarci al baratro in cui UK è sprofondato (la tabella la trovate qui).

Apro e chiudo una parentesi: so che "te ne sei andato e allora non pubblico i tuoi dati gnè gnè gnè" fa ridere, ma vi faccio presente che la decisione di considerare debito i crediti d'imposta generati dal 110% (scatenando così un attacco speculativo nei confronti del nostro Paese) è in mano a simili bambinoni. Non c'è molto da ridere...

Spavaldi e pervicaci ci rivolgiamo quindi all'OCSE, certi che il pragmatismo anglosassone ci soccorrerà nel nostro folle intento di certificare la fine della novella Atlantide. Il sito è questo, e i dati ve li dovete andare a cercare in questo punto del menù:


(vi devo mettere la figurina di dove cercarli perché a differenza dell'Eurostat l'OCSE non consente di generare un segnalibro che punti al risultato di una ricerca specifica).

Vi offro due visioni dello stesso fenomeno (il Pil):

  1. l'indice del Pil reale (base 2015 = 100);
  2. il Pil reale pro capite espresso in una valuta comune (dollari) e a parità dei poteri di acquisto

(concetto sviscerato descrivendo il meraviglioso mondo di Lampredotto).

L'indice del Pil reale a base 2015 = 100 per i quattro "grandi" dell'Eurozona e il Regno Unito ha questo andamento:


Ovviamente gli ignoranti (il nostro caro amico Serendippo su Twitter, ad esempio) si affretteranno a dire: "Hai visto? Bagnai mente! La Spagna e la Francia sono andate meglio del Regno Unito, alla fine del grafico lo sorpassano! Disastro Breeeeeeexit!". Ma questo significa non sapere che cos'è un indice e a che cosa ci serve. Un indice ci serve a valutare la crescita di una variabile economica. Dove esso si trovi in un determinato istante di tempo non ha alcun senso. Ad esempio, il fatto che le cinque serie mostrate nel grafico si incrocino tutte nel 2015 non significa che in quell'anno Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito avessero lo stesso Pil: significa solo che l'OCSE adotta il 2015 come anno di riferimento. Quello che conta, dell'indice, è quanto è cresciuto nell'intervallo considerato, e naturalmente è cresciuto di più o chi arriva più in alto alla fine del periodo, o chi parte da più in basso all'inizio del periodo. Ad esempio, siccome UK, come la Germania, partiva da circa 90, il fatto che arrivi a circa 107 significa che è cresciuto molto più della Spagna, che è partita da 100. In effetti, per avere una visione più efficace basta ribasare l'indice a inizio periodo, andando a vedere che cosa succede si si fa pari a 100 il Pil del primo trimestre del 2010.

Succede questo:


Succede cioè che nel periodo 2010-2022 il Regno Unito, dopo un ritardo iniziale, tiene il passo con la Germania e addirittura la supera dopo lo shock della pandemia, mentre la Spagna e l'Italia, prostrate dall'austerità, restano molto ma molto indietro.

Nel 2016 non si vede nulla di comparabile a quello che accade nel 2011 in Italia (e nel 2010 in Spagna). Il fattore confondente determinato dalla pandemia non altera minimamente questa situazione.

Per approfondire questa analisi, usiamo una diversa misura, che maggiormente si presta ai confronti internazionali: il Pil pro capite espresso in una comune valuta (il dollaro) ma con un cambio che tenga conto del diverso potere d'acquisto dei salari monetari nei diversi paesi (il cambio a parità dei poteri d'acquisto). I dati sono questi:

e presi così ci dicono che il Regno Unito era ed è rimasto il secondo Paese per Pil pro capite, così come l'Italia, nel gruppo considerato, era ed è rimasto il quarto. Si vedono anche altri dettagli di cui abbiamo parlato (ad esempio, che la ripresa post-pandemica è stata più rapida in Italia che in Germania), mentre non si vedono i problemi causati dalla Brexit. Al coglione raffinato analista che nel 2016 sosteneva che in caso di Brexit  il Pil britannico sarebbe calato del 25% nel lungo periodo, vorrei far notare che visto che siamo in quel mondo lì (la Brexit c'è stata) la sua cazzata raffinata analisi implica che oggi il Pil pro capite del Regno Unito nello scenario di base (cioè in assenza di Brexit) dovrebbe superare quello tedesco... Non mi sembra uno scenario plausibile col senno di poi perché non mi sembrava uno scenario plausibile col senno di prima. Fra l'altro, non lo sarebbe sembrato nemmeno a lui! Se avessimo chiesto al coglione raffinato analista: "Secondo te il Regno Unito supererà la Germania come Pil pro capite?" (senza menzionare la Brexit), la risposta sarebbe stata: "Certamente no!"

Anche qui, comunque, esprimere i dati con base 100 all'inizio del periodo ci aiuta a individuare meglio le dinamiche di crescita dei singoli Paesi:

Si riconferma che l'austerità, a differenza del potere, logora chi ce l'ha, e che l'uscita dall'UE non ha alcun impatto visibile sulla serie del Pil trimestrale del Regno Unito. Possiamo vedere anche i tassi di crescita annuali del Pil reale, per fare una cosa meno originale e accurata (e già fatta su Twitter):

Direi che va bene così, no? Possiamo stare tranquilli: per ora il Regno Unito non è sprofondato né del 6% né del 25%, e si è tirato fuori dal COVID meno peggio di altri. Quindi passiamo oltre.

La disoccupazzione (sic)

Dice: "Vabbè, sò ricchi uguale, ma è perché ce sta a disuguajanza e a disoccupazzione..."

Non so voi, ma io mi sono rotto il cazzo provo disagio nel leggere certe analisi affrettate e superficiali. Iniziamo dal concetto meno controverso, cioè di più immediata misurazione: quello di disoccupazione. I dati sono questi:


Nel 2016 in Gran Bretagna era al 4.89%, oggi è al 3.74%, noi siamo fra l'8% e il 9%, la Spagna, citata spesso come enfant prodige (che non vuol dire figliuol prodigo) sta ancora murata sopra al 12%...

Ma esattamente di cosa stiamo parlando?

Ah, certo: forse l'isola non è sprofondata tutta: si è inclinata un po' e sono annegate solo le persone in cerca di occupazione. Altrimenti non si spiega (o si spiega con un "và a dà via i ciàp...").

La povertà

Ecco, parliamo anche di questo. I simpatici euroti come avete visto non ci informano sugli sviluppi recenti:


L'unica cosa che possiamo dire consultando il sito dell'Eurostat è che nel Regno Unito la percentuale di popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale era più alta prima che nei due anni successivi alla Brexit, ed era comunque considerevolmente più bassa che in Italia o Spagna (quindi magari guardare un pochinino a casa nostra lo si potrebbe suggerire alla nostra informazione...).

Sul sito OCSE troviamo i tassi di povertà:


che ci raccontano una storia analoga (notate come la serie tedesca pudicamente si interrompa nel 2019 e quella italiana nel 2018).

Quindi, esattamente, de che cazzo stamo a parlà? Della penuria di Marmite? Ma per cortesia...

(...per inciso, a chi si sentisse urtato dal rafforzativo appena introdotto, faccio notare che secondo la Cassazione si può usare, o almeno lei lo usa...)

Lo sfacelo dei conti con l'estero

Eccerto! Come può vivere un Paese senza importare auto tedesche? Beh, i dati ci dicono che vive meglio, con un minore deficit estero:


Dal -5% del 2015 il Regno Unito è passato a un saldo estero del -1.50% nel 2021, e questo, notate bene, crescendo di norma più degli altri Paesi considerati (e quindi, si presume, importando di più). Di converso, la Germania è scesa dall'8.61% al 7.39% (nel 2021, ma poi con la crisi energetica è andata sottozero).

Dettagli

Eh già, perché poi ci sarebbe anche questo dettaglio, volendo:


Dice, fa, dice: "Ma perché in questa tabbella nun ce sta la Germaggna?" Risposta: "Perché la Germaggna er petrolio nun cellà. L'Inghilterra sì."

Sipario.

(...peraltro, non è che questa debba essere per voi una gran novità: vi ho spiegato in lungo e in largo come e perché i destini delle due lire, quella italiana e quella sterlina, si siano separati quando il Regno Unito ha mandato in produzione i suoi pozzi petroliferi: qui che l'energia è importante lo abbiamo sempre saputo, così come abbiamo sempre saputo che il suo vantaggio competitivo, la Germania, lo ha pagato col carbone, cioè inquinando il Nord Europa e sfasciandosi di piogge acide pur di sconfiggere i suoi odiati nemici di sempre...)

(...voi...)

Un Paese fallito?

I numeri ora li avete visti, anzi: rivisti. Vuol dire che non me li chiederete più? No, me li richiederete. Perché? Perché non riuscite a ignorare i fottuti media. Problema mio? No, problema vostro, ma siccome siamo amici ogni tanto mi fate tenerezza.

Dopo di che, prendiamo per buona la favoletta dei giornali. Ogni tanto, difendere, o quanto meno dare per assodata, la tesi dell'avversario, è un efficace espediente retorico, come questo esilarante e amaro video ci ha illustrato. Quindi, sì, la Gran Bretagna è un Paese fallito! Favorite dal climate change, orde di locuste lo fustigano sterminandone i raccolti. L'uscita dall'UE lo ha macchiato di uno stigma irreparabile, a tal punto che gli altri Paesi del consesso civile si rifiutano di commerciare con essa, e quelli del consesso incivile non hanno nulla da venderle, sicché nei suoi supermercati gli scaffali sono desolantemente vuoti (come ci rivogano in testa i TG rifilandoci immagini di repertorio girate a Bagdad o Pyongyang): stremata dalla fame, la gente si abbandona all'efferatezza del cannibalismo, mentre iMercati, animati dal sacro furore moralisteggiante che li pervade, fanno strame dei suoi governi fantoccio.

Tutto giusto e tutto vero, bene così, un applauso ai giornalisti.

Segue però una domandina, quella che mi veniva posta qualche giorno fa da un funzionario della Commissione di cui per evidenti motivi non posso fare il nome: come mai allora la grande e potente Europona su un tema così delicato come quello del conflitto attualmente in corso alle nostre porte, è finora stata totalmente subalterna alla linea dettata da US-UK? 

Intendiamoci: a me qui non interessa valutare nel merito questa linea. Se sia giusta o sbagliata lo dirà la Storia: lasciamo ai vincitori il gradito compito di scriverla, e agli esperti di #aaaaaggeobolidiga il graditissimo compito di provare ad anticiparcela. La mia riflessione è molto più terra terra: se è vero che UK è un Paese fallito, allora EU, che a UK si compiega in politica estera, che cos'è? Un progetto fallito, "mi verrebbe da dire" (cit.). Del resto, che il "gigante economico" (ma...) sia un "nano politico" lo aveva già detto qualcun altro molto tempo fa, che l'intento francese di non abbandonare la Germania alle seduzioni dell'Oriente sia smentito dai fatti lo vediamo coi nostri occhi, ecc. ecc.

Ma magari le cose non stanno così: intanto che UK sia un Paese fallito, i dati non lo dimostrano. Ovviamente, che EU sia un progetto fallito, io non l'ho detto e non l'ho nemmeno mai pensato (giusto? Non fate i maliziosi e non diffondete voci tendenziose!).

Lasciamo quindi che ognuno si goda le sue verità, che ognuno, a partire dal PD, si goda il mondo che ha così fortemente desiderato, e noi, se abbiamo un dubbio, andiamo su stats.oecd.org. E soprattutto, col vostro permesso, di Brexit lasciamo che ciacolino i pennaioli. Noi abbiamo argomenti più seri e problematici da affrontare, e ci torneremo presto, perché a questo ragionamento manca un pezzettino...


(...Io: "Ma come facevo una volta a scrivere pagine su pagine su pagine? Adesso faccio una fatica pazzesca!" Lei: "Stai guarendo dal narcisismo." Io: "Devo trovare uno che mi contagi!"...)

mercoledì 18 gennaio 2023

L'agenda, ovvero la durezza del vivere

 (...l'agenda quella vera, non quella metaforica, che non c'è semplicemente perché con voi non serve...)

(...l'agenda di oggi:


termina alle 23 ma quello che c'è dopo le 20 non vi interessa, salvo questo:


mentre il resto rientra nel lecito ambito di azione dei fatti miei...).


Oggi ero a pranzo con un collega di sinistra, che nella precedente legislatura avevo audito in qualità di tecnico (lui), e che in questa è salito a bordo. Gli ho ricordato brevemente l'episodio, chiedendogli come si trovasse. Mentre si accingeva a rispondere, la cameriera interviene, chiedendomi se desiderassi pagare, e io: "Ma prima facciamo ordinare agli onorevoli colleghi: io ho Commissione ma solo fra dieci minuti...". E gli onorevoli colleghi ordinano. Dopo di che, l'ex audito, ed oggi audiente (aures habent et non audient), mi fa, in un accesso di sincerità molto consono alla sua specifica professionalità risalente, ma altrettanto involontariamente comico: "Eh, certo, qui si fa una vita veramente frenetica, l'impegno è costante, un impegno di studio, di presenza, di dialogo, e fatto in tempi sempre risicati, senza possibilità di approfondire... La gente dovrebbe sapere che qua dentro si lavora, gli andrebbe raccontato!"

E io silente e compunto annuivo.

Poi fra l'una e l'altra di quelle commissioni, mentre facevo una rampa di scale, sorpasso una collega a 5 Stelle avviata come me verso l'aula. La collega mi saluta e fa: "Certo che qui non si sta mai un attimo fermi!" E io: "Meglio, almeno facciamo i 10.000 passi prescritti dalla scienza!" E lei: "Sì, ma la gente non sa quanto si lavora qui dentro!" E io: "Un motivo ci sarà...".

E tiro dritto.

Quanti giornalisti, quanti grillini (insiemi a intersezione non nulla), hanno raccontato che questo era un covo di fannulloni! Poi, però, una volta a bordo, sono stati riavvicinati alla durezza del vivere. Così si osserva in loro il contrappasso: hanno diffuso, screditando le istituzioni, l'idea che i cittadini avrebbero avuto una rappresentanza più forte indebolendo i loro rappresentanti, e ora li vedi dibattersi nell'irrilevanza quando vogliono portare a casa qualche risultato.

Ma un discorso di onestà e di verità sulla politica, quello, non lo fa nessuno, perché un politico che vuole fare carriera non ha alcun incentivo a raccontare la politica, esattamente come un economista che vuole fare carriera non ha alcun incentivo a impegnarsi in un progetto di divulgazione.

Poi ci sono le eccezioni: io ho fatto carriera politica (non volendola fare) divulgando economia, e qui vi sto raccontando in dettaglio la politica nella sua concretezza, nella dinamica dei processi formalizzati dal regolamento e di quelli informali (nella misura in cui si possono raccontare senza infrangere i doveri di riservatezza), nella difficoltà dell'apertura alle ragioni dell'altro e della ricerca di una mediazione: insomma, in quello che voi sapete benissimo fare, ma che per qualche strano motivo non riuscite a riconoscere appena qualcuno raglia #aaaaabolidiga!!1!1!

Una sola voce contro il raglio dei grillini sanculotti e il gloglottio dei grillini in grisaglia.

Beata solitudo, sola beatitudo.

(...e ora vi lascio: continuo a non far niente, ma con signorilità. Voi fate i bravi!...)