domenica 22 gennaio 2023

Ancora sulla Brexit (poi basta)!

Non so per quale motivo, il tema Brexit continua ad appassionare: eppure io pensavo di averlo liquidato sette anni fa!

Se a un "professore, chennepenZa?" si può rispondere con un semplice "click" (il neologismo che inventammo qui per definire l'operazione di blocco di un utente petulante "con un click del mouse", per assonanza con quell'altra categoria di petulanti che "la moneta si crea con un click del mouse": ma questo può ricordarselo solo chi è qui da almeno un decennio...), a un profluvio di "professore, chennepenZa?" occorre forse dare una risposta più articolata, se non fosse per il fatto che ogni tanto questa domanda ci viene da utenti qualificati, come l'olandesina, o la mia padrona di casa a Chieti, o il nostro (ex) padrone di casa a Montesilvano, che se non altrove sono comunque nel nostro cuore: sopprimerli ci costerebbe più che perdere un paio d'orette di tempo!

Aggiungo che se una cosa così semplice, e che abbiamo spiegato mille volte, non si capisce, evidentemente c'è qualcosa di più profondo che non va.

Un indizio di quello che forse non va, e che sicuramente potreste migliorare, sta nel modo in cui molti mi entrano in argomento: "Ma Alberto, chennepenZi della Brexit? I giornali dicono che è un disastro, a sentir loro l'Inghilterra è sprofondata nell'Atlantico..." [la Scozia no perché è "europeista", il Galles no perché se lo dimenticano tutti NdCN]

Ora, se dopo dodici anni non avete capito che la risposta a una simile domanda è appunto nella domanda, temo che ci sia ben poco che io possa fare per voi. Tutto il lavoro che abbiamo fatto qui ha avuto un filo conduttore che speravo fosse evidente: mostrarvi come i media distorcano in modo assiduo e sistematico la verità fattuale, come siano una bussola che indica diuturnamente e infallantemente il Sud.

Se un giornale dice "bianco!", potete essere certi che sarà nero.

Se un giornale dice "in alto!", potrete essere certi che sarà in basso.

Se un giornale dice "cresce!", potrete essere certi che cala.

Devo recitarvi tutto il dizionario dei contrari, o la pattiamo qui?

Forse è più utile se vi ricordo alcuni post in cui ho confutato le lievi imprecisioni dei media: qui, qui, qui, qui, ecc. (basta cliccare sul tag "propaganda" e se ne trovano quanti se ne vogliono, magari più utili di quelli che vi ho citato).

Questo significa che se i media dicono che la Brexit è stata un disastro, ovviamente la Brexit non lo sarà stata: peraltro, vi avevo detto prima, e vi ho fatto vedere dopo, perché non lo sarebbe e perché non lo è stata.

Prima di farvelo rivedere, però, vorrei chiudere sul tema della sistematica distorsione della realtà operata dai media.

I giornalisti non sono "cattivi": nella maggior parte dei casi sono semplicemente ignoranti, il che significa, in concreto, che loro non saprebbero né da dove scaricare né come leggere i dati che vi fornirò più giù. Povertà non è vergogna: se sei laureato in lettere, naturalmente hai meno dimestichezza con i dati di un docente di econometria. Il problema quindi non sei tu, ma chi ti ha messo dove sei, ed è su questo che dovremmo interrogarci...

I giornalisti non sono "intellettualmente disonesti": nella maggior parte dei casi hanno semplicemente fretta, il che significa, in concreto, che se non vi forniscono mai le fonti dei loro dati, come invece farò io nel mostrarvi i miei, non lo fanno per impedirvi di controllarli, ma perché citare le fonti costa tempo.

I giornalisti non sono "pagati da Klaus Schwab" (o da altro "cattivo" del teatro dei pupi complottista: Gates, Soros, Satana, whoever...): nella maggior parte dei casi sono semplicemente sottopagati dai loro giornali, il che significa, in concreto, che se ripetono le parole d'ordine che arrivano dai think tank internazionali non è perché queste gli arrivano corredate da un cospicuo assegno, ma perché per campare la famiglia magari devono fare più di un lavoro, e quindi trovano più efficiente copiare, anziché approfondire. Vero è che copiare è comunque un lavoro a basso valore aggiunto (e nel caso dei mezzi di informazione ad alto disvalore aggiunto), per cui non mi impietosirei troppo se viene remunerato il giusto, cioè poco: ma questo è un altro paio di maniche...

Quindi, come dire: niente di personale.

Sono poverini anche loro, e i poverini sono pericolosi. Il problema però è oggettivo e politico, non soggettivo e personale, e chi lo affronta in quest'ultimo modo sbaglia. Può darsi che un giornalista sia un imbecille, come può darsi che lo sia un lettore. Cortesia vuole che all'uno e all'altro si nasconda questa spiacevole verità, anziché spiattellargliela in faccia, e in ogni caso impostare in questi termini il problema non ci fa avanzare di un passo verso la soluzione del problema: ottenere una stampa corretta, informata e pluralista. Possiamo consolarci dicendoci che il problema è insolubile, che questa soluzione è irraggiungibile, e probabilmente lo è, ma certamente non abbiamo diritto di lamentarcene se adottiamo soluzioni che il problema lo aggravano, che dalla soluzione ci allontanano.

Una soluzione molto migliore rispetto a quella, che sconsiglio, di insultare i giornalisti, o anche, più educatamente, di lamentarsene, è quella, che consiglio, di ignorarli totalmente, andando a leggere, invece che i giornali ogni giorno, i dati ogni trimestre. Io faccio così da sempre, e questo mi consente di surfare in scioltezza nei simpatici parterre cui vengo comandato dal mio ufficio stampa, pur ignorando con altrettanta scioltezza le dieci rassegne stampa che ogni mattina mi vengono inflitte! L'attualità, qui ce lo siamo sempre detti, è molto sopravvalutata: più interessante è mettere le cose in prospettiva, e questo è quello che vi propongo qui di seguito.

(...nella mia qualità di politico, ignorare i giornalisti non vuol dire solo non leggerli: vuol dire anche considerarli trasparenti, non vederli, non parlargli, non rispondergli al telefono, passare attraverso la loro inconsistenza! Mi sono stancato di venire travisato e mi regolo di conseguenza...)

Ma, appunto, andiamo a cominciare...

Il prodotto interno lordo

Gli scenari precedenti alla Brexit imputavano a quest'ultima una perdita di prodotto interno lordo negli anni successivi (dal 2017 in poi) piuttosto cospicua. Il 23 giugno del 2016 ero a Villa Mondragone per i consueti seminari organizzati da Luigi Paganetto, dove ebbi modo di godermi la presentazione di questo interessante saggio, secondo cui gli effetti di lungo periodo della Brexit sul Pil del Regno Unito, nelle valutazioni fornite da diversi centri di ricerca, andavano dal +1% al -25% (con un certo consenso per valori attorno al -6% sull'orizzonte 2020). Ve ne avevo parlato a suo tempo qui.

Ora: prima di guardare i dati, vorrei farvi riflettere su un tema metodologico.

La valutazione di scenari controfattuali sconta un ovvio problema: più l'orizzonte temporale si allunga, e più il fallimento dello scenario, la smentita delle previsioni, può essere giustificata allegando fattori confondenti, imprevedibili all'epoca in cui lo scenario è stato valutato. Ve lo dico in un altro modo: come ci ha ricordato con amabile ironia Roger Bootle al #goofy10, sette anni sono decisamente pochi per tirare un bilancio (cinque erano ancora di meno!). Il mio educated guess è che l'austerità di Monti rimarrà per i lunghi secoli a venire una cicatrice nella storia del nostro Pil,  quale già oggi si presenta, tant'è che dal sito dell'ISTAT hanno tolto la serie secolare che per un certo periodo avevano messo in home page, cioè questa:


(la trovate sul sito della Banca d'Italia), forse perché politicamente fastidiosa, e l'hanno sostituita con una più incoraggiante (si fa per dire) serie trimestrale dal 1996:


Di converso, scommetterei che la Brexit non sarà visibile nemmeno come glitch nelle serie secolari del Pil del Regno Unito, perché condizione necessaria affinché una cosa si veda nel lungo è che si veda nel breve, e nel breve non si vede!

La cosa più naturale per impostare un confronto sarebbe andare sul sito dell'Eurostat e scaricare i dati, ma se ci provate otterrete questo:


Purtroppissimamente, le serie storiche di UK si interrompono nel 2020, forse perché l'illuminato tecnico europeo dell'Eurostat vuole evitarci la vertigine di affacciarci al baratro in cui UK è sprofondato (la tabella la trovate qui).

Apro e chiudo una parentesi: so che "te ne sei andato e allora non pubblico i tuoi dati gnè gnè gnè" fa ridere, ma vi faccio presente che la decisione di considerare debito i crediti d'imposta generati dal 110% (scatenando così un attacco speculativo nei confronti del nostro Paese) è in mano a simili bambinoni. Non c'è molto da ridere...

Spavaldi e pervicaci ci rivolgiamo quindi all'OCSE, certi che il pragmatismo anglosassone ci soccorrerà nel nostro folle intento di certificare la fine della novella Atlantide. Il sito è questo, e i dati ve li dovete andare a cercare in questo punto del menù:


(vi devo mettere la figurina di dove cercarli perché a differenza dell'Eurostat l'OCSE non consente di generare un segnalibro che punti al risultato di una ricerca specifica).

Vi offro due visioni dello stesso fenomeno (il Pil):

  1. l'indice del Pil reale (base 2015 = 100);
  2. il Pil reale pro capite espresso in una valuta comune (dollari) e a parità dei poteri di acquisto

(concetto sviscerato descrivendo il meraviglioso mondo di Lampredotto).

L'indice del Pil reale a base 2015 = 100 per i quattro "grandi" dell'Eurozona e il Regno Unito ha questo andamento:


Ovviamente gli ignoranti (il nostro caro amico Serendippo su Twitter, ad esempio) si affretteranno a dire: "Hai visto? Bagnai mente! La Spagna e la Francia sono andate meglio del Regno Unito, alla fine del grafico lo sorpassano! Disastro Breeeeeeexit!". Ma questo significa non sapere che cos'è un indice e a che cosa ci serve. Un indice ci serve a valutare la crescita di una variabile economica. Dove esso si trovi in un determinato istante di tempo non ha alcun senso. Ad esempio, il fatto che le cinque serie mostrate nel grafico si incrocino tutte nel 2015 non significa che in quell'anno Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito avessero lo stesso Pil: significa solo che l'OCSE adotta il 2015 come anno di riferimento. Quello che conta, dell'indice, è quanto è cresciuto nell'intervallo considerato, e naturalmente è cresciuto di più o chi arriva più in alto alla fine del periodo, o chi parte da più in basso all'inizio del periodo. Ad esempio, siccome UK, come la Germania, partiva da circa 90, il fatto che arrivi a circa 107 significa che è cresciuto molto più della Spagna, che è partita da 100. In effetti, per avere una visione più efficace basta ribasare l'indice a inizio periodo, andando a vedere che cosa succede si si fa pari a 100 il Pil del primo trimestre del 2010.

Succede questo:


Succede cioè che nel periodo 2010-2022 il Regno Unito, dopo un ritardo iniziale, tiene il passo con la Germania e addirittura la supera dopo lo shock della pandemia, mentre la Spagna e l'Italia, prostrate dall'austerità, restano molto ma molto indietro.

Nel 2016 non si vede nulla di comparabile a quello che accade nel 2011 in Italia (e nel 2010 in Spagna). Il fattore confondente determinato dalla pandemia non altera minimamente questa situazione.

Per approfondire questa analisi, usiamo una diversa misura, che maggiormente si presta ai confronti internazionali: il Pil pro capite espresso in una comune valuta (il dollaro) ma con un cambio che tenga conto del diverso potere d'acquisto dei salari monetari nei diversi paesi (il cambio a parità dei poteri d'acquisto). I dati sono questi:

e presi così ci dicono che il Regno Unito era ed è rimasto il secondo Paese per Pil pro capite, così come l'Italia, nel gruppo considerato, era ed è rimasto il quarto. Si vedono anche altri dettagli di cui abbiamo parlato (ad esempio, che la ripresa post-pandemica è stata più rapida in Italia che in Germania), mentre non si vedono i problemi causati dalla Brexit. Al coglione raffinato analista che nel 2016 sosteneva che in caso di Brexit  il Pil britannico sarebbe calato del 25% nel lungo periodo, vorrei far notare che visto che siamo in quel mondo lì (la Brexit c'è stata) la sua cazzata raffinata analisi implica che oggi il Pil pro capite del Regno Unito nello scenario di base (cioè in assenza di Brexit) dovrebbe superare quello tedesco... Non mi sembra uno scenario plausibile col senno di poi perché non mi sembrava uno scenario plausibile col senno di prima. Fra l'altro, non lo sarebbe sembrato nemmeno a lui! Se avessimo chiesto al coglione raffinato analista: "Secondo te il Regno Unito supererà la Germania come Pil pro capite?" (senza menzionare la Brexit), la risposta sarebbe stata: "Certamente no!"

Anche qui, comunque, esprimere i dati con base 100 all'inizio del periodo ci aiuta a individuare meglio le dinamiche di crescita dei singoli Paesi:

Si riconferma che l'austerità, a differenza del potere, logora chi ce l'ha, e che l'uscita dall'UE non ha alcun impatto visibile sulla serie del Pil trimestrale del Regno Unito. Possiamo vedere anche i tassi di crescita annuali del Pil reale, per fare una cosa meno originale e accurata (e già fatta su Twitter):

Direi che va bene così, no? Possiamo stare tranquilli: per ora il Regno Unito non è sprofondato né del 6% né del 25%, e si è tirato fuori dal COVID meno peggio di altri. Quindi passiamo oltre.

La disoccupazzione (sic)

Dice: "Vabbè, sò ricchi uguale, ma è perché ce sta a disuguajanza e a disoccupazzione..."

Non so voi, ma io mi sono rotto il cazzo provo disagio nel leggere certe analisi affrettate e superficiali. Iniziamo dal concetto meno controverso, cioè di più immediata misurazione: quello di disoccupazione. I dati sono questi:


Nel 2016 in Gran Bretagna era al 4.89%, oggi è al 3.74%, noi siamo fra l'8% e il 9%, la Spagna, citata spesso come enfant prodige (che non vuol dire figliuol prodigo) sta ancora murata sopra al 12%...

Ma esattamente di cosa stiamo parlando?

Ah, certo: forse l'isola non è sprofondata tutta: si è inclinata un po' e sono annegate solo le persone in cerca di occupazione. Altrimenti non si spiega (o si spiega con un "và a dà via i ciàp...").

La povertà

Ecco, parliamo anche di questo. I simpatici euroti come avete visto non ci informano sugli sviluppi recenti:


L'unica cosa che possiamo dire consultando il sito dell'Eurostat è che nel Regno Unito la percentuale di popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale era più alta prima che nei due anni successivi alla Brexit, ed era comunque considerevolmente più bassa che in Italia o Spagna (quindi magari guardare un pochinino a casa nostra lo si potrebbe suggerire alla nostra informazione...).

Sul sito OCSE troviamo i tassi di povertà:


che ci raccontano una storia analoga (notate come la serie tedesca pudicamente si interrompa nel 2019 e quella italiana nel 2018).

Quindi, esattamente, de che cazzo stamo a parlà? Della penuria di Marmite? Ma per cortesia...

(...per inciso, a chi si sentisse urtato dal rafforzativo appena introdotto, faccio notare che secondo la Cassazione si può usare, o almeno lei lo usa...)

Lo sfacelo dei conti con l'estero

Eccerto! Come può vivere un Paese senza importare auto tedesche? Beh, i dati ci dicono che vive meglio, con un minore deficit estero:


Dal -5% del 2015 il Regno Unito è passato a un saldo estero del -1.50% nel 2021, e questo, notate bene, crescendo di norma più degli altri Paesi considerati (e quindi, si presume, importando di più). Di converso, la Germania è scesa dall'8.61% al 7.39% (nel 2021, ma poi con la crisi energetica è andata sottozero).

Dettagli

Eh già, perché poi ci sarebbe anche questo dettaglio, volendo:


Dice, fa, dice: "Ma perché in questa tabbella nun ce sta la Germaggna?" Risposta: "Perché la Germaggna er petrolio nun cellà. L'Inghilterra sì."

Sipario.

(...peraltro, non è che questa debba essere per voi una gran novità: vi ho spiegato in lungo e in largo come e perché i destini delle due lire, quella italiana e quella sterlina, si siano separati quando il Regno Unito ha mandato in produzione i suoi pozzi petroliferi: qui che l'energia è importante lo abbiamo sempre saputo, così come abbiamo sempre saputo che il suo vantaggio competitivo, la Germania, lo ha pagato col carbone, cioè inquinando il Nord Europa e sfasciandosi di piogge acide pur di sconfiggere i suoi odiati nemici di sempre...)

(...voi...)

Un Paese fallito?

I numeri ora li avete visti, anzi: rivisti. Vuol dire che non me li chiederete più? No, me li richiederete. Perché? Perché non riuscite a ignorare i fottuti media. Problema mio? No, problema vostro, ma siccome siamo amici ogni tanto mi fate tenerezza.

Dopo di che, prendiamo per buona la favoletta dei giornali. Ogni tanto, difendere, o quanto meno dare per assodata, la tesi dell'avversario, è un efficace espediente retorico, come questo esilarante e amaro video ci ha illustrato. Quindi, sì, la Gran Bretagna è un Paese fallito! Favorite dal climate change, orde di locuste lo fustigano sterminandone i raccolti. L'uscita dall'UE lo ha macchiato di uno stigma irreparabile, a tal punto che gli altri Paesi del consesso civile si rifiutano di commerciare con essa, e quelli del consesso incivile non hanno nulla da venderle, sicché nei suoi supermercati gli scaffali sono desolantemente vuoti (come ci rivogano in testa i TG rifilandoci immagini di repertorio girate a Bagdad o Pyongyang): stremata dalla fame, la gente si abbandona all'efferatezza del cannibalismo, mentre iMercati, animati dal sacro furore moralisteggiante che li pervade, fanno strame dei suoi governi fantoccio.

Tutto giusto e tutto vero, bene così, un applauso ai giornalisti.

Segue però una domandina, quella che mi veniva posta qualche giorno fa da un funzionario della Commissione di cui per evidenti motivi non posso fare il nome: come mai allora la grande e potente Europona su un tema così delicato come quello del conflitto attualmente in corso alle nostre porte, è finora stata totalmente subalterna alla linea dettata da US-UK? 

Intendiamoci: a me qui non interessa valutare nel merito questa linea. Se sia giusta o sbagliata lo dirà la Storia: lasciamo ai vincitori il gradito compito di scriverla, e agli esperti di #aaaaaggeobolidiga il graditissimo compito di provare ad anticiparcela. La mia riflessione è molto più terra terra: se è vero che UK è un Paese fallito, allora EU, che a UK si compiega in politica estera, che cos'è? Un progetto fallito, "mi verrebbe da dire" (cit.). Del resto, che il "gigante economico" (ma...) sia un "nano politico" lo aveva già detto qualcun altro molto tempo fa, che l'intento francese di non abbandonare la Germania alle seduzioni dell'Oriente sia smentito dai fatti lo vediamo coi nostri occhi, ecc. ecc.

Ma magari le cose non stanno così: intanto che UK sia un Paese fallito, i dati non lo dimostrano. Ovviamente, che EU sia un progetto fallito, io non l'ho detto e non l'ho nemmeno mai pensato (giusto? Non fate i maliziosi e non diffondete voci tendenziose!).

Lasciamo quindi che ognuno si goda le sue verità, che ognuno, a partire dal PD, si goda il mondo che ha così fortemente desiderato, e noi, se abbiamo un dubbio, andiamo su stats.oecd.org. E soprattutto, col vostro permesso, di Brexit lasciamo che ciacolino i pennaioli. Noi abbiamo argomenti più seri e problematici da affrontare, e ci torneremo presto, perché a questo ragionamento manca un pezzettino...


(...Io: "Ma come facevo una volta a scrivere pagine su pagine su pagine? Adesso faccio una fatica pazzesca!" Lei: "Stai guarendo dal narcisismo." Io: "Devo trovare uno che mi contagi!"...)

26 commenti:

  1. Sarà narcisismo, ma sempre 24 ore sono, io intanto sul divano ho dormito, sono venuto a letto ed ora ho finito di leggere. E buonanotte.

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  2. Post chiarissimo come sempre. Una ultima questione: premettoo che non ho seguito nel dettaglio la vicenda, ma la vicenda Liz Truss con annesso attacco della speculazzzione come si spiega? Il Regno Unito avrebbe dovuto avere notevoli margini fiscali o sbaglio?

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    1. Sinceramente quella storia non l'ho capita nemmeno io, anche perché mi ha interessato molto poco. Sarà stato un regolamento di conti fra cosche finanziarie? Non lo so. Certo che veniva raccontata in modo paradossale: mi sembra di aver trasentito una cosa del tipo: "iMercati puniscono il Governo inglese perché vuole abbassare le tasse per favorire iRicchy!" Se ne dovrebbe dedurre che iMercati siano poveri, o Robin Hood, mentre qui abbiamo constatato che lo scopo del mettersi in mano a iMercati eliminando il finanziamento monetario diretto dell'investimento pubblico è appunto compiere un'operazione regressiva sulla distribuzione del reddito distorcendola a sfavore dei redditi da lavoro e a favore della rendita finanziaria. Quindi questa narrazione suona falsa come una moneta da tre sterline.

      Magari ha più senso l'idea che aumentare il deficit avrebbe messo a rischio la sostenibilità del debito, ma in UK il debito è in calo, in Germania in crescita, e poi ormai abbiamo capito che la sostenibilità del debito dipende da come questo viene gestito: le crisi di debito pubblico sono roba da colonie...

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    2. Concordo con lei. La narrazione era sicuramente falsa, però non vorrei che la breve crisi finanziaria abbia nascosto qualcosa sui 'fondamentali' che almeno a me sta sfuggendo.

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    3. Su questo tema segnalo: https://www.youtube.com/watch?v=evGCF3VlBeA e https://www.dailymail.co.uk/news/article-11368619/Liz-Trusss-personal-phone-hacked-Putins-spies-secret-details-negotiations.html

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    4. Caro Alberto - per l'idea che mi sono fatto mentre la crisi Liz Truss era in pieno svolgimento - i Mercati, con i quali ho un pò a che fare per il mio lavoro, si stavano preoccupando che un forte aumento della domanda interna, a seguito del maggior deficit, avrebbe causato un nuovo forte incremento del deficit di partite correnti. Ed i Mercati, che sono i finanziatori del fortissimo debito estero netto accumulato dalla GB, hanno assunto il ruolo di Bond Vigilantes come sempre avviene in questi casi.
      En passant, la GB ha proprio nello squilibrio dei conti con l'estero l'unico vero problema che sussisteva prima della Brexit: seppur migliorato con essa, grazie alla svalutazione competitiva vs USD ed Euro, non è stato risolto.
      Sotto questo aspetto c'è un altro Paese a noi vicino che le assomiglia e che non può contare su una propria Banca Centrale. Chissà, anche qui, quando (non se, perché prima o poi questi nodi vengono al pettine) i Mercati inizieranno a prezzarlo.... Che ne pensi?

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    5. Il governo UK tra taglio delle tasse e aumento della spesa pubblica aveva annunciato un deficit di circa 100 miliardi di sterle. Una misura puramente keynesiana. Questa cosa fa salire le aspettative di inflazione con l'inflazione già alta. Nel frattempo la banca d'Inghilterra aveva annunciato un programma di aumento dei tassi, che avviene drenando liquidità dall'economia. In pratica la domanda di titoli è scesa e l'offerta è aumentata parecchio (emissione di 100 miliardi di debito). Questa cosa di per sé fa scendere il prezzo, quindi salire i tassi. Mettendoci sopra l'aumento delle aspettative d'inflazione, dovuto all'aumento della liquidità creata con deficit pubblico con una produzione che non poteva aumentare magicamente, il gioco è fatto.

      Tra l'altro per come funzionano i fondi pensione inglesi, quando aumentano i tassi, i fondi devono aumentare la liquidità. Ma se tutti vanno a cercare liquidità i tassi salgono innescando un circolo vizioso.

      I mercati hanno semplicemente visto un aumento delle aspettative d'inflazione e quindi hanno venduto per proteggersi dalle perdite.

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    6. @Roberto: diagnosi interessante, poi la approfondiamo. Resta però il fatto che tu evidenzi, cioè che c'è chi sta messo peggio. Sarà utile ricordare chi e di quanto.

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  3. Non ci crede nessuno che non si farà ri-trascinare nella diatriba :-D
    Quanto al problema dei me(r)dia, possiamo ignorarli finché vogliamo, ma ci sono due ordini di problemi che questa soluzione non risolve:
    1. il problema capezzoniano che posso non guardare RaiPD24 ma RaiPD24 (e il Corsega, la Repubblichina, il Fogno...) le mie tasse se le prendono
    2. il problema bagnaiano che la maggior parte delle persone continua a credere ai titoli del Corsega e del Tg1 - e degli squallidi giornali locali, che passano per giornali del territorio ma sono del Gruppo GEDI (o Caltagirone). Siccome noi restiamo una forza di legittimazione democratica (o del territorio), non preoccuparsi che gli elettori (e i dirigenti delle sezioni venete della Lega) si informino sul Corsega (o sulla Tribuna di Treviso, Gruppo GEDI) non mi pare una buona idea.
    Diciamo insomma che salvare Radio Radicale per avere 2-3 interviste all'anno non è stata una grandissima idea...

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    1. Ma questi due problemi hanno una soluzione comune: chi crede nel mercato va affidato al mercato, nella serena consapevolezza che se l'ennesima voce che dice la stessa cosa si spegne, per definizione non è diminuito il pluralismo, ma si è semplicemente fatta un po' di igiene.

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    2. Bene anzi, benissimo! Quando lo facciamo?

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    3. "Bene anzi, benissimo! Quando lo facciamo?"
      Non vorrei trascinare la discussione fuori tema ma il povero Crimi ci stava provando. Fu sommerso di insulti (che io ricordi)

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  4. com'è che dice quello? "In Italia ha vinto la destra, Urbano Cairo se ne faccia una ragione..."
    p.s. voglio scientemente accomunarmi a quelli che:"io non ci capisco un cazzo, però secondo me"...ci sarà un motivo per cui il Regno Unito si è tenuta stretta la propria divisa ancorchè standing in UE.
    p.p.s. purtroppo mi sono laureato in quel "covo di zecche" della LUISS e quindi non capisco un cazzo per diretta e naturale conseguenza fenomeno-logica.

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  5. Ok che i giornalisti non sono "intellettualmente disonesti" e che nella maggior parte dei casi hanno semplicemente fretta, ma questo non spiega come mai che tutti giornalisti delle testate progressiste prendono lo stesso abbaglio, producono articoli quasi fotocopia, invece quelli delle altre testate pur avendo la stessa fretta vedono la situazione in modo diverso?!

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    1. Perché i giornalisti sono intellettualmente disonesti. Intendo: non i gregari, i piccoli Eichmann conformisti, ma i loro feldmarescialli. Scusa, fatti un paio di conti: quanti fra quelli che sproloquiano di economia hanno una laurea in materia almeno affine?

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    2. Io non sono laureato in economia e non conosco bene i giornalisti delle pagine d’economia dei giornali italiani da sapere se sono laureati in economia o no, ciò che ho notato che le loro previsioni sul Brexit erano pressoché identiche ma a quanto sembra non hanno azzeccato nulla, quindi o non ne sanno nulla di economia e si copiano fra di loro, o peggio ancora, a prescindere da quanto capiscono recitano un copione che li passa l’editore.

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  6. Mah io direi invece:

    Se un giornale dice "bianco!", sarà grigio e in ogni caso il colore non è un problema.

    Se un giornale dice "in alto!", meglio guardarsi dietro.

    Se un giornale dice "cresce!", meglio guardarsi dietro comunque

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    1. Carissimo, una bussola è utile se indica il Nord, o il Sud. Se indica il "forse" non è utile. Con questo voglio dire che a me i giornali sono utilissimi (o meglio: lo sarebbero se non potessi farne a meno). Mi dispiace che non lo siano a te, ma non è un problema mio!

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  7. Da quant
    o ho inteso, nel Regno Unito, Brexit è stata osteggiata dalla nobiltà e dalla gentry eurofila, ma soprattutto dalla city per motivi di bottega: https://publications.parliament.uk/pa/ld201617/ldselect/ldeucom/81/8106.htm

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  8. Ma sui mezzi di informazione non è possibile attuare dei dispositivi di legge per migliorare la qualità dell'informazione data ? Mi pare se non sbaglio che nel I° governo 2018 era stato strutturato un dispositivo di legge che avrebbe dato limitazione di fondi pubblici a testate di informazione che già usufruiscono di fondi privati?

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  9. Mi sia permesso di ricordare che la City doveva diventare terra di nessuno, abbandonata e dimenticata anche da domineddio. Salvo poi verificare a fine 2022 il ritorno del FTSE100 sui massimi storici in area 7790, unico indice di peso in Europa a riuscirci. Peraltro e' stato anche l' unico indice in Europa a chiudere, se pur di poco, positivo il 2022. Quando tutti gli altri hanno registrato performance negative, anche a 2 cifre ( v. ad es. il Dax ). Ai poveri gegggni che risponderanno che a Marzo 2020 c'e' stato un drawdown dovuto alla Brexit, ricordo che e' dovuto al Codivvo-91.

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    1. Le torri della City, che un tempo si elevavano scintillanti e fiere lungo il Tamigi, sono oggi diroccate, abitate ai piano bassi da barboni in stato di maleodorante ebbrezza, e ai piani alti dalle taccole...

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  10. Spesso, quando incontro un amico Italiano, ricevo solidarieta' per la terribile situazione post Brexit. Quando spiego che continuano a fioccare offerte di lavoro, e che continuano ad aumentarmi lo stipendio (perche' altrimenti devo solo andare dall'altra parte della strada), ricevo sguardi increduli. In UK e' normale licenziarsi senza avere un altro lavoro perche' tanto lo si trova rapidamente. Anche i lavori non qualificati (e non e' il mio caso) hanno ricevuto un impulso dalla mancanza di immigrati dai paesi UE.
    Forse questo non era un effetto voluto della Brexit, ma fino ad ora la mia esperienza personale e' assolutamente positiva.

    Roberto Seven


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  11. https://2.bp.blogspot.com/-3WJpRbBN7fQ/V2QxhodRyjI/AAAAAAAAFNw/gP1O_LxMwF8s2Ex9teZZA7qAyIhlEME7QCLcB/s1600/BR_02.JPG

    Ma poi sti servizi finanziari sul valore aggiunto totale si sono depressi? In questi 6 anni e passa dovevano arrivare le cavallette, le pestilenze, la fuga delle banche, la fuga delle mutinazionali verso altri e più propizi lidi in UE con conseguente crisi ocfcupazionale e migrazioni bibliche di personale specializzato, le code in uscita ed in ingresso nell'Eurotunnel, morti a milioni per carenza di medicinali, crisi della ricerca nelle università (questo era l'argomento più ridicolo dei vari Riotta e Severgnini) per mancanza di fondi UE etc etc.
    Purtroppo ci hanno rimesso molti ricercatori italiani e UE in generale che hanno qualche problema ad avere assegnazioni di ricerca presso università inglesi!
    Articolo da tenere sempre presente per rispondere ai pdeurini (e ultimamente non solo), ma ormai sono sfinito anche io e nemmeno mi incazzo più!

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  12. Qui dicono che la Brexit costa 100 £ Billion/year: https://www.bloomberg.com/news/articles/2023-01-31/brexit-is-costing-the-uk-100-billion-a-year-in-lost-output

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