lunedì 22 novembre 2021

Il tavolo delle tasse

 (...agevolo un contributo dalla regia:


e mi accingo a darvi qualche spunto tecnico su uno dei temi del giorno, il famoso "tavolo delle tasse", sul quale i media stanno razzolando col consueto garbo, come cinghiali in un roseto, dicendo cose più o meno fondate. Qui partiremo dai dati, come abbiamo sempre fatto, visto che a quanto pare vi piace, o siete così cortesi da fare finta che vi piaccia...
)

Sono un uomo fortunato. La maledizione della partita IVA non mi ha colpito, sono sempre stato un lavoratore dipendente, fino a quando sono diventato un vostro rappresentante (che non significa un vostro dipendente, come una certa fatua retorica antiparlamentare vorrebbe suggerirvi). Fatto sta che le "tasse" (che sarebbero le imposte, ma vi risparmio questo dettaglio: chi non sa la differenza può chiederla) non le ho praticamente mai pagate semplicemente perché mi è sempre stato corrisposto il reddito netto. Non è precisissimamente così perché molto spesso mi è capitato di avere, oltre al reddito da lavoro dipendente, dei redditi da lavoro autonomo derivanti da una ridotta attività di consulenza (sempre autorizzata dal dipartimento ecc. ecc.); inoltre, come tutti gli italiani, ho una proprietà immobiliare (un terzo di una casa in comproprietà coi fratelli: a grillini e altri voyeur suggerisco di consultare qui i moduli che altri colleghi hanno compilato in modo un po' troppo distratto); fatto sta che pur con una vita così semplice, e con uno Stato che amorevolmente si prendeva cura di me, ed evitava di indurmi in tentazione corrispondendomi il reddito netto, comunque un paio di F24 all'anno mi è sempre toccato farli e la relativa dichiarazione l'ho sempre fatta fare a un esperto, perché qui da noi è complicata anche la dichiarazione di una persona (fiscalmente) semplice.

Poi, naturalmente, siccome esiste il karma, dopo aver per 56 anni evitato di occuparmi delle mie tasse sono finito in Commissione Finanze a occuparmi di quelle di tutti gli altri, voi compresi, e se non avessi avuto dei colleghi solidi come Bitonci, Garavaglia, Gusmeroli, Siri, ecc., mi sarebbe senz'altro capitato di fare danni. Viceversa, con loro abbiamo fatto la rottamazione ter, il saldo e stralcio, la "mini flat tax" (mi scuso per il linguaggio giornalistico). Non tutti, naturalmente, sono d'accordo sul successo e sull'opportunità di queste misure. Può darsi che qualcuno le consideri dannose. Posso solo dire che da lavoratore dipendente non ho mai considerato l'autonomo un nemico di classe, per il semplice motivo che (come questo blog dimostra) non mi sono mai accontentato della nota narrazione semplicistica dei problemi del Paese, la narrazione da talk show (ricordate Idraulik?).

In ogni caso, l'amico karma mi ha condotto venerdì scorso e mi ricondurrà almeno un paio di volte al tavolo del MEF, nell'anticamera del ministro Franco, per parlare di temi fiscali. Vorrei allora rapidamente fornirvi qualche elemento tecnico per inquadrare il dibattito in corso.

Intanto, il "tavolo delle tasse" nasce perché l'art. 2 della legge di bilancio 2022 (AS 2448) stabilisce che:


Il Governo ha stanziato in legge di bilancio un fondo da 8 miliardi destinato alla riduzione della pressione fiscale, con lo scopo di "ridurre la pressione fiscale sui fattori produttivi" (frase ereditata, come sapete, dalla retorica con cui Bruxelles vuole convincerci ad accettare un inasprimento della pressione fiscale sulle "cose": beni di consumo - IVA - e abitazioni - IMU). Le lettere 1 e 2 del comma 1 indicano le imposte su cui intervenire: IRPEF e IRAP. I margini dell'intervento da fare sono ulteriormente circoscritti. Per l'IRPEF, l'obiettivo specifico è quello di ridurre il cuneo fiscale sul lavoro  e le aliquote marginali effettive, e i possibili strumenti sono tre: la riduzione di una o più aliquote, la revisione del sistema delle detrazioni, la revisione del trattamento integrativo.

Per l'IRAP la cosa è più semplice: si parla semplicemente di ridurne l'aliquota.

Tuttavia il Governo non ha avuto il tempo di definire gli interventi nella legge di bilancio, stabilendo con questo articolo 2 una specie di criterio di delega a se stesso, e i partiti sono convocati a trovare una soluzione condivisa per realizzare questa delega (spendere questi otto miliardi per ridurre la pressione fiscale).

Partirei dall'IRAP, la cosa più semplice, perché, come vedremo, già questa è abbastanza complicata.

Per farvi apprezzare le sfumature, vi ricordo intanto che nelle sedute del 30 giugno 2021 le due Commissioni Finanze di Camera e Senato hanno votato separatamente un documento elaborato congiuntamente, il Documento conclusivo approvato dalla Commissione sull'indagine conoscitiva sulla riforma dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario (Doc. XVII, 3). Il testo del documento, insieme alle dichiarazioni di voto, lo trovate qui. Si tratta del documento che, nelle intenzioni di alcuni parlamentari, disegnerebbe la riforma del sistema fiscale italiano. Uso il condizionale perché nonostante la buona volontà con cui i parlamentari si sono confrontati per elaborare posizioni comuni (alla fine solo Leu si è astenuta), resta il fatto che questo documento non è un atto di indirizzo e quindi il Governo non è in alcun modo vincolato a tenerne conto. La cosiddetta "riforma del fisco votata in Parlamento" va valutata quindi alla luce di questo mero dato di fatto.

Tuttavia, aderendo alla communis opinio secondo cui il documento avrebbe tracciato linee cui la legge delega e altri atti emanati dal Governo (inclusa la legge di bilancio) avrebbero dovuto attenersi, incontriamo subito un paio di difficoltà.

La prima è che l'art. 2, comma 1, numero 2 della legge di bilancio parla di aliquota IRAP, ma l'IRAP non ha una sola aliquota: come sapete (se non lo sapete, è spiegato bene qui) ne ha almeno cinque a seconda dei soggetti passivi (cioè di chi paga: imprese ordinarie, concessionarie, banche, assicurazioni, amministrazioni pubbliche...), ma in realtà molte di più, considerando che le aliquote possono essere modulate per regione (come è spiegato qui). Quindi, ci sarebbe da capire su quale aliquota occorrerebbe eventualmente intervenire.

La seconda difficoltà è che il documento delle Commissioni non parla di ridurre le aliquote IRAP a carico della fiscalità generale. Nel documento "la Commissione raccomanda un riassorbimento del gettito Irap nei tributi attualmente esistenti, preservando la manovrabilità da parte degli enti territoriali e il livello di finanziamento del servizio sanitario nazionale, senza caricare di ulteriori oneri i redditi da lavoro dipendente e assimilati." L'idea in sostanza è quella espressa in audizione dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili varie volte (una volta c'ero anch'io, era il 13 settembre 2018), ovvero riassorbire il gettito IRAP in addizionali IRES (l'IRES è questa cosa qui: un'imposta flat - cioè proporzionale - al 24% sui redditi delle società). Un aspetto problematico (a tutti noto) di questo approccio è che non tutti i soggetti passivi IRAP sono anche soggetti passivi IRES: alcuni pagano l'IRPEF. In particolare, la pagano i soggetti IRAP che sono persone fisiche (non è una sorpresa). Per chiarezza (spero) vi riporto l'art. 3 del "decreto IRAP", il decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446

Art. 3. 

Soggetti passivi 

1. Soggetti passivi dell'imposta coloro che esercitano una  o  piu' delle  attivita'  di  cui  all'articolo  2.  Pertanto  sono  soggetti all'imposta sono: 

a) le societa' e gli enti di cui all'articolo 87, comma 1, lettere a) e b), del testo unico delle imposte sui  redditi,  approvato  con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917; 

b) le societa' in nome collettivo e in accomandita semplice e quelle ad esse equiparate a  norma  dell'articolo  5,  comma  3,  del predetto testo unico, nonche' le persone fisiche esercenti  attivita' commerciali di cui all'articolo 51 del medesimo testo unico; 

c) le persone fisiche, le societa'  semplici  e  quelle  ad  esse equiparate a norma dell'articolo 5, comma 3, del predetto testo unico esercenti arti e professioni di cui all'articolo  49,  comma  1,  del medesimo testo unico; 

d) ((LETTERA ABROGATA DALLA L. 28 DICEMBRE 2015, N. 208)); ((52)) 

e) gli enti privati di cui all'articolo 87, comma 1, lettera  c), del citato testo unico n. 917 del 1986, nonche'  le  societa'  e  gli enti di cui alla lettera d) dello stesso comma; 

e-bis) le Amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1,  comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio del 1993,  n.  29,  nonche'  le amministrazioni della Camera dei Deputati, del  Senato,  della  Corte costituzionale,  della  Presidenza  della  Repubblica  e  gli  organi legislativi delle regioni a statuto speciale;

Per capire che intervento sarebbe possibile fare bisogna entrare un momento in quanto rende all'erario l'IRAP, anche per smontare certe gentili interlocutrici da talk show che "costa 25 miliardi non ci sono le risorseeeeeh!!1!". I dati di gettito si trovano qui e chiariscono che:

1) i contribuenti persone fisiche e società di persone nel 2018 erano rispettivamente 1.639.354 e 719.457:


2) il gettito complessivamente ascrivibile a queste due categorie di contribuenti era intorno ai 2,6 miliardi di euro (dati pre-crisi).

Nelle stime attuali del Dipartimento delle finanze abolire l'IRAP per queste categorie di contribuenti costerebbe meno di due miliardi (considerando anche che la crisi ha steso oltre 350.000 lavoratori autonomi). Il grosso dell'IRAP è comunque pagato dalle società di capitali e dalla pubblica amministrazione (queste due categorie contribuiscono entrambe per circa 10 miliardi l'una, mal contati), e per queste si potrebbe pensare in un caso al riassorbimento nell'IRES e nell'altro a eliminare la partita di giro con cui le amministrazioni pubbliche pagano un'imposta a se stesse.

La nostra proposta quindi è di eliminare le lettere (b) e (c) dall'articolo 3, comma 1 del decreto IRAP, come primo passo verso il definitivo smantellamento dell'IRAP nei modi ricordati qui sopra, per ridurre non solo e non tanto il carico fiscale, quanto quello burocratico su professionisti e autonomi.

E fino a qui era il pezzo semplice del discorso, semplice anche perché l'IRAP, nonostante abbia diverse aliquote, è una delle tante imposte proporzionali, cioè flat, che compongono il nostro sistema tributario (motivo per cui proprio non si capisce lo scandalo di fronte alla proposta di flat tax fatta dalla Lega: se ogni singola impresa dovesse essere progressiva, sarebbero incostituzionali IVA, IRES, IRAP, ecc.)...

Molto più complesso è capire che cosa si potrebbe fare sull'IRPEF con 8 miliardi (o con i 6 che restano dopo aver fatto un intervento semplice ma risolutivo sull'IRAP).

La posizione del Governo sull'IRPEF è quella espressa in audizione dal Dipartimento delle finanze, nel documento che trovate qui. La figura 7 a pag. 24 della memoria depositata in Commissioni congiunte, che vi riporto qui per comodità:



è spesso al centro del dibattito specialistico (e mai al centro di quello televisivo). Rappresenta l'aliquota media effettiva (il rapporto fra imposta versata e reddito complessivo) e l'aliquota marginale effettiva (rapporto fra incremento di imposta e incremento di reddito) per varie classi di reddito, da 0 a 90.000 euro.

Il problema, evidenziato dalle microsimulazioni del modello TAXBEN-DF del Dipartimento delle finanze (ma come vedrete basta un semplice foglio Excel) è che alcuni contribuenti, non i più ricchi, si trovano nella spiacevole situazione di dover corrispondere all'erario 60 euro ogni 100 euro di reddito addizionale in più. Succede in corrispondenza della "gobba" dell'aliquota marginale effettiva, indicativamente per le classi di reddito fra 35.000 e 40.000 euro.

Ora: visto che, come potreste sapere (e se non lo sapete, lo trovate scritto qui) l'aliquota IRPEF massima è al 43%, come può succedere che qualcuno si veda togliere il 60% se osa guadagnare di più? Questa è esattamente una delle cose che non si possono spiegare negli studi televisivi, popolati da gentili interlocutrici pronte a intenerirsi per la sorte dei meno abbienti (che, come sapete, sta a cuore anche a noi), ma meno disposte a entrare in un ragionamento.

Intanto, andrebbe sempre ricordato che l'IRPEF deve la sua progressività non tanto al sistema delle aliquote, quanto a quello delle detrazioni (ed è questo il motivo per cui certi stracciamenti di vesti quando si nomina la flat tax sono del tutto fuori luogo se non si riflette sulle detrazioni previste), e che l'imposta funziona a scaglioni, il che, in buona sostanza, significa che le aliquote per i redditi "bassi" si applicano (pro-quota) anche a chi ha un reddito "alto".


Tanto per capirci, con due esempi: un contribuente che guadagna 8.000 euro l'anno non paga il 23% di 8000 euro (ovvero 1.840 euro), ma sostanzialmente zero (per un motivo che vi spiego subito), mentre un contribuente che guadagna 20.000 euro non paga il 27% di 20.000 euro (ovvero 5.400 euro), ma dovrebbe pagarne 4.800 per un motivo che vi spiego dopo e che è chiarito da questa tabella, e arriva a pagarne 2.261 per un altro motivo.

Intanto, vi spiego perché un dipendente fino a 8.000 euro non paga IRPEF: perché l'art. 13 del TUIR dice che:


ovvero che chi percepisce redditi da lavoro dipendente ha diritto a una detrazione dall'imposta che "sfuma" progressivamente, per annullarsi a 55.000 euro. Per redditi fino a 8.000 euro questa detrazione può arrivare a 1.880 euro e quindi eccede l'imposta che si dovrebbe teoricamente versare (vi ricordo che le detrazioni sono somme che si tolgono dall'imposta, le deduzioni somme che si tolgono dall'imponibile su cui si calcola l'imposta). Dico "può arrivare" perché l'importo della detrazione va commisurato ai giorni lavorati, quindi potrebbe essere inferiore a 1.880, ma non sotto i minimi indicati dall'art. 13 comma 1 lettera (a) del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (per gli amici, TUIR: Testo Unico delle Imposte sui Redditi).

E così avete visto anche un pezzo del "sistema delle detrazioni da lavoro dipendente" di cui parla l'art. 2 comma 1 numero 1 della legge di bilancio attualmente in discussione. Applicando le formulette descritte nell'articolo 13, per le detrazioni si ottiene questa curva:


che comincia a scendere in modo pressoché rettilineo dopo gli 8000 euro di reddito e azzera a 55.000 (c'è un punto angoloso a 28.000, dove il criterio di calcolo cambia, ma è appena percettibile).

Poi c'è l'altro aspetto, quello del funzionamento a scaglioni. Significa che il sistema delle aliquote:


si applica (come chiarisce la tabella sopra) moltiplicando ogni aliquota per il reddito percepito nello scaglione corrispondente. Quindi, ad esempio, se il tuo reddito è 20.000 la tua imposta non è:

20.000 x 0.27 = 5.400

ma

15.000 x 0.23 + 5.000 x 0.27 = 4.800

Ne consegue che non esistono le aliquote "dei poveri". Semplicemente, se in questo esempio si abbassasse di tre punti l'aliquota più bassa, portandola dal 23% al 20%, ovviamente ne beneficerebbe anche chi, come il nostro amico dell'esempio precedente, fosse sottoposto all'aliquota marginale teorica del 27%, che pagherebbe:

15.000 x 0.20 + 5.000 x 0.27 = 4.350 < 4.800

Comunque, col sistema a scaglioni l'imposta prima della detrazione per redditi da lavoro dipendente funziona così:


Sottraendo a questa imposta le detrazioni si ottiene l'imposta netta:


Cioè: sottraendo all'arancione il giallo si ottiene il verde, l'imposta netta, che è più progressiva (cresce più rapidamente) per via del décalage progressivo delle detrazioni (la linea gialla).

Ora, normalmente quando sei soggetto a un'aliquota (poniamo, il 23%), questo significa che di 100 euro guadagnati in più 23 vanno allo Stato. Il sistema delle detrazioni aggiunge una complicazione, perché in un certo intervallo di reddito all'aumentare del reddito del reddito diminuiscono le detrazioni. Ne consegue che nel calcolo di quanto va allo Stato quando guadagni di più devi considerare non solo la maggiore imposta, ma anche la minore detrazione. Le aliquote marginali effettive, quelle che tengono conto di questo aspetto, si presentano quindi così:


e sono, ovviamente, superiori a quelle teoriche a partire da dove inizia il décalage delle detrazioni (cioè oltre gli 8.000 euro), per poi ricongiungersi a quelle teoriche dove le detrazioni si azzerano (oltre i 55.000 euro, dove entra l'aliquota al 41%).

Siccome non era abbastanza complicato così, alle detrazioni da lavoro dipendente si aggiunge il bonus Renzi e successive modificazioni, spiegate da questa circolare dell'Agenzia dell'Entrate (per chi ama i dettagli), o in questo articolo divulgativo da cui traiamo questa utile tabella: 


Quindi alle detrazioni "standard" da lavoro dipendente se ne aggiunge un'altra:


che siccome parte dopo e finisce prima, un po' prima della metà dello scaglione 28.001-55.000, complica il profilo dell'imposta netta, che diventa:


Da qui non si capisce molto, ma siccome il décalage del bonus "Renzi" è particolarmente rapido, ci sarà naturalmente una fascia di redditi in cui le aliquote effettive (che considerano non solo la maggiore imposta ma anche le minori detrazioni) saranno particolarmente alte. Lo si vede qui:


cioè nella versione "fatta in casa" del grafico che vi ho mostrato sopra. La fascia in cui ogni 100 euro guadagnati in più il contribuente ne perde 60 (fra maggiore imposta e minori detrazioni) è ovviamente quella in cui il bonus Renzi va a picco, cioè quella fra i 35.001 e i 40.000 euro di reddito (lo si vede dalla tabella e dalla figura riportate sopra).

Bene.

Qui mi fermo, perché è passata la mezzanotte e non vorrei sognarmi questa roba. Penso che chi non le sapeva abbia capito un po' di cose: ad esempio, che la progressività dell'imposta non dipende solo dall'aumento delle aliquote ma anche dalla diminuzione delle detrazioni, e che alcune operazioni fatte nel recente passato sono causa di una serie di distorsioni evidenti. Su come rimuoverle ci sono tante teorie. In pratica, credo che sia difficile riuscirci con un emendamento a una manovra di bilancio arrivata purtroppo con un mese di ritardo. Penso quindi che dovremo darci obiettivi meno ambiziosi, ma più visibili.

Io un'idea ce l'avrei, ma ho promesso che non l'avrei detta a nessuno, e quindi... vi lascio nel dubbio!


martedì 16 novembre 2021

Instant QED

 ...dunque, dicevamo quest'oggi: "non c'è una virgola da cambiare di quanto scritto"...

E infatti un economista ci fa sapere che:


e non è esattamente uno di passaggio. Il problema delle scelte non è la loro reversibilità: il nastro del tempo non si riavvolge, la reversibilità non è una categoria storica, quindi non è una categoria politica (e quindi non lo è neanche il suo contrario). Il problema delle scelte, eventualmente, è la loro sostenibilità. A mio avviso è più irresponsabile chi non se lo pone, questo problema, di chi come De Grauwe se lo pone.

Ma questa è solo una mia personale opinione.

Per tutto il resto c'è la Storia...


La prima decade

 (...come dicono quelli istruiti, quelli che dicono eleggibile invece di ammissibile. In realtà non sono dieci giorni, ma dieci anni, cioè un decennio...)

Esattamente dieci anni fa, il 16 novembre del 2011, aprivo questo blog con questo articolo le cui vicissitudini vi sono state narrate in quest'altro articolo. La tesi sostenuta, così scandalosa che quelli bravi si rifiutarono di pubblicarla, salvo poi farla propria quattro anni dopo con l'onestà intellettuale che immaginate (cioè senza minimamente dar conto di chi l'aveva proposta in anticipo: e non c'ero solo io!) era che la crisi in cui eravamo allora invischiati e da cui non siamo usciti fosse principalmente una crisi di finanza privata, non pubblica, e in particolare di debito estero, non (necessariamente) pubblico. Chi c'era lo sa, per chi ancora non lo sa forse è un po' tardi, e poi ora ci sono altre preoccupazioni più pressanti, mi rendo conto...

Nello stesso giorno succedevano due cose: questa e questa (per i pigri, quelli che il ditino je pesa, porelli, e non cliccano sui link: l'arrivo di Monti e l'arrivo dell'austerità).

Sono stati dieci anni di dibattito, anzi, di Dibattito (possiamo serenamente negare la maiuscola al ciarpame che abbiamo visto e tuttora vediamo in giro), un Dibattito archetipico, del tutto isomorfo a quello in cui siete oggi invischiati. Uso il "voi" perché per quanto mi riguarda continuo a fare lo sforzo, che facevo nel 2011, di astrarmi dalle contingenze e mettere le cose in prospettiva. Quello sforzo che nell'agosto del 2011 mi consentiva, da uomo di sinistra, di capire che il problema del Paese non era l'impiego del tempo libero da parte dell'allora premier, e oggi mi consente di analizzare il dibattito cercando di evitare gli errori del passato, primo fra tutti quello di non difendersi dagli "amici", errori in cui invece vedo con rincrescimento avvilupparsi molti di voi.

Ma non è cambiato nulla.

Non c'è una virgola da cambiare di quanto scritto da me e da voi in questi dieci anni (perché questo blog è una gigantesca opera collettiva), le vostre sofferenze (tutte) restano le mie, la mia vita è dedicata a voi così come lo è sempre stata da quando ho deciso che le ributtanti parole di Aristide (qualcuno se le ricorderà), nel loro discriminare fra un'umanità "alta", legittimata a condurre, e un'umanità "bassa", bisognevole di guida, meritavano una risposta all'altezza dell'offesa da esse portate alla common decency.

Molti di voi non sono in grado di capire (spiace) che le battaglie politiche si conducono, come tutte le battaglie che non si vogliono perdere, adattandosi al terreno e alle forze dell'avversario. Io a mia volta in questo momento non posso passare ore a spiegare l'ovvio. L'ovvio devo darlo per scontato, e in questo abdico alla mia natura di insegnante (che nulla dovrebbe dare per ovvio).

Ci sono tante cose che anch'io non capisco e tante altre che imparo ogni giorno, la mia tolleranza verso le altrui difficoltà di lettura della situazione attuale è infinita, perché questa difficoltà la condivido anch'io, come tutti, a tutti i livelli.

C'è solo una cosa che non tollero: che chi è stato qui dall'inizio (e non è assolutamente necessario esserci stati! Semplicemente, a qualcuno è capitato...) non abbia capito non gli scritti (quelli, credetemi, nonostante la loro ovvietà tecnica non li ha capiti quasi nessuno - del resto, quelli bravi ci hanno messo quattro anni! - e sono certo che qui sotto ne darete ampia prova), ma lo scrittore. Perché in questi dieci anni io mi sono offerto a voi in totale trasparenza, condividendo con voi ogni momento della mia vita, rispondendo a ogni vostra domanda, motivando ogni mia scelta tattica e strategica, inclusa la più eclatante. Questo avreste dovuto capirlo e apprezzarlo. Qualcuno non ci è proprio riuscito: spiace, ma se ne intuiscono le ragioni. Chi mal fa, mal pensa. I traditori, gli infimi, hanno la mente offuscata e la favella intorbidita dal sospetto. Ho imparato, negli anni, e grazie al dialogo con (alcuni di) voi, a capire qual è la matrice antropologica della tabe che corrode la nostra democrazia, il cosiddetto grillismo: il sospetto e la sfiducia di chi teme di essere fregato, perché appartiene al popolo silenzioso dei piccoli dottor Livore che si sentono legittimati dal proprio fallimento esistenziale a tirare il pacco agli altri, e quindi, in modo piuttosto naturale, sono portati a sospettare che chiunque voglia tirarlo a loro. In fondo, questa è la ripugnante radice dell'ansia di "disintermediare": il non fidarsi di chi abbiamo chiamato a rappresentarci.

Ma il mondo è complicato, necessità di rappresentanza e mediazione, e chi vi insegna il contrario vuole semplicemente fottervi, così come chi, in un allucinato delirio di onnimpotenza, vede tradimenti a ogni cantone (e li usa per giustificare i propri, la cui matrice è, sempre, la pochezza umana).

Non ho mai cercato il vostro consenso come scrittore, non lo sto cercando come politico. Stavo bene dov'ero, sto bene dove sto, starò bene dove starò. Chi è sufficientemente intelligente da comprenderlo sarà anche sufficientemente conseguente da trarne le debite conclusioni. Non siete, fra l'altro, nemmeno voi a decidere dove dovrò stare in futuro, ma qualsiasi cosa succederà mi troverà pronto e ovunque sarò resterò quello che sono e che a quasi sessant'anni non posso certo pretendere di smettere di essere.

Tutto qua.

E ora mi accingo a pagare a caro prezzo il piacere che mi sono permesso, e non potevo non permettermi in un giorno come questo, di spegnere il telefonino per passare 25 minuti con voi...