(...breve momento didattico sulla presentazione dei dati...)
Utilizzando il Pink sheet e i World Development Indicators ho costruito questo grafico che accosta l'indice del prezzo dell'energia (globale) all'indice dei prezzi al consumo italiano:
Si nota che l'indice dei prezzi dell'energia è più volatile dell'indice dei prezzi al consumo e la correlazione fra i due indici è relativamente debole. Dato che le due serie hanno entrambe tendenza crescente, la loro correlazione va filtrata su serie depurate dalla tendenza (prendendo le differenze prime o i tassi di crescita), altrimenti si otterrebbe una correlazione spuria (le due serie sembrerebbero in relazione semplicemente perché sono entrambe crescenti, ma questa correlazione potrebbe essere illusoria, come in questi casi). La correlazione fra i tassi di crescita è 0.33.
C'è tuttavia un problema: l'indice dei prezzi dell'energia è in dollari, ma l'indice dei prezzi al consumo dell'Italia è in valuta nazionale, che non è mai stata il dollaro! Possiamo convertire l'indice dei prezzi dell'energia in valuta nazionale moltiplicandolo per il cambio "valuta italiana/dollaro" (in LCU per US$, local currency units per dollaro, costo in valuta italiana di un dollaro). Dato che i prezzi sono espressi come indici, possiamo ribasare il tasso di cambio perché valga 1 nell'anno base, in modo che gli indici continuino a valere 100 nell'anno base. Il risultato è:
e la correlazione (calcolata sui tassi di crescita) aumenta a 0.41. Si noti che l'aver espresso i prezzi dell'energia in valuta nazionale, anziché in dollari, non altera poi in modo così drammatico il profilo della serie, contro la narrazione secondo cui quando c'era la liretta occorrevano carriole di banconote per un barile di petrolio (se fosse stato così, in questo grafico il costo dell'energia dovrebbe schizzare verso l'alto negli anni della lira, per poi scendere, ma invece il suo profilo è molto simile al quello del costo espresso in dollari).
In ogni caso, la situazione dei prezzi dell'energia sembra molto più disastrosa verso la fine che verso l'inizio del grafico. Anche questa è un'illusione ottica: dipende dal fatto che 1 è il 10% di 10 ma solo l'1% di 100: all'inizio del grafico, partendo da valori bassi, anche variazioni impercettibili erano in realtà percentualmente rilevanti. A questo si rimedia prendendo la scala logaritmica, che trasforma i dati in modo che la pendenza della curva corrisponda al tasso di crescita percentuale della curva stessa:
Inquadrati (correttamente) così, si vede che gli shock petroliferi degli anni '70 sono stati fenomeni molto più devastanti dell'ultima crisi energetica che tanto ci ha fatto penare.
Del resto, lo si potrebbe vedere anche prendendo i tassi di crescita delle variabili:
Qui si notano due cose: che le variazioni dei prezzi dell'energia negli anni '70 raggiunsero picchi del 250%, mentre l'episodio più recente vede un incremento intorno al 75%: non lamentiamoci troppo! La seconda cosa interessante è che la risposta dell'inflazione allo shock di offerta è sostanzialmente proporzionale nel tempo. Con un picco di crescita dei prezzi dell'energia intorno al 200% si ebbe un picco di inflazione intorno al 20% e con un picco di crescita dei prezzi dell'energia intorno al 70% si è avuto un picco di inflazione attorno al 7%. Il pass-through da prezzi globali dell'energia a prezzi al consumo è rimasto quello, circa il 10%. Quella che è cambiata, evidentemente, è la persistenza della risposta inflattiva allo shock: negli anni '80 la discesa dell'inflazione fu più lenta, prese un decennio, nonostante il controshock petrolifero del 1986. Ai giorni nostri è stata pressoché immediata, come dicono anche le cronache.
La maggior persistenza è attribuita all'operare di meccanismi di indicizzazione dei salari. Quello che mi colpisce (ve ne avevo già parlato), però, è che il pass-through sia rimasto sostanzialmente identico. Insomma: se oggi incorressimo in uno shock da offerta come quelli degli anni '70, cioè se il prezzo dell'energia triplicasse, avremmo nuovamente un'inflazione in doppia cifra al 20%.
Basta saperlo.
(...ci dormo sopra...)
Il pass-through dunque non dipende neanche dalla valuta adottata, sia essa deboluccia o fortona. Alla faccia dei materiaprimisti!
RispondiEliminaPenso che si le crisi passate siano state più importanti, ma forse in Italia già si stava "al limite"... Con "gli aumenti" questa situazione è peggiorata per molti o meglio l impressione è che si abbia meno cash rispetto al pre COVID ecc ecc non so i dati ma (cosa che Bagnai odia in quanto non misurabile) è quello che lagente dice o almeno certe fasce di popolazione...
RispondiEliminaCerto, indicizzare i salari aumenta la persistenza dello shock. Ma un eventuale soluzione efficace qual è?
RispondiEliminaIncidere inizialmente sui lavoratori, esaurire lo shock e poi intervenire one-shot sui salari con la negoziazione dei CCNL. Si, se però si allineano i fatturati reali separando gli effetti di prezzo da un effettivo aumento reale del fatturato.
Altro dubbio, rispetto alla proposta da Lei avanzata dell indicizzazione alla produttività + CPI% questa non andrebbe a peggiorare la competitività (sempre in Unione Monetaria)? Forse sarebbe più sensata una riduzione del prezzo pari alla produttività media del settore (o industria se si vuole fare un lavoro più raffinato).
Unico problema è la deflazione, incentivo sia per l'imprenditore che per il debitore. Ma gli effetti netti sarebbero:
-Tutela del salario reale
-Aumento competitività via prezzi (e anche costi se si applicasse a tutti i settori residenti)
-Riduzione delle importazioni e aumento delle esportazioni
-Aumento dei consumi interni(i prodotti costano meno)
-Gli imprenditori possono vendere all'estero se vogliono incrementare, più della produttività a loro ascrivibile, i loro fatturati e collegati profitti.
Generalizzazione:
Se tutti i paesi facessero così i prezzi si abbasserebbero, i salari reali tutelati, incentivi ad avere una produttività maggiore della media sarebbe presente poiché chi sta sotto la media a lungo termine fallisce dato che dovrebbe comunque indicizzare a valori medi (o comunque mediani).
Probabilmente si andrebbe verso una configurazione di oligopolio ma molto efficiente e nel quale il surplus viene trasferito al lavoratore via abbassamento prezzi.
Insomma alla fine è abbastanza quello che ti dicono dovrebbe succedere a microeconomia. Probabilmente il fattore critico è per l appunto quello deflazionista per gli imprenditori (che sono anche debitori).
Quando ha tempo e se ha un minimo di senso potrebbe analizzare le condizioni seconde, terze e n-esime di questa eventuale politica.
M.B
Dell'ultimo grafico trovo molto interessante il fatto che, attorno al 2000, a fronte di un rialzo dei prezzi dell'energia di proporzioni simili a quelle del 2022, pare non esserci stato nessun genere di rialzo dell'indice dei prezzi al consumo.
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