giovedì 9 maggio 2024

La demografia come variabile indipendente?

(…prima l’ho scritto per voi, e poi l’ho letto a loro, con tanto di slides. Il risultato mi ha sorpreso. Si vede che qui, con voi, riesco a trovare una dimensione espressiva efficace. D’ora in avanti farò così…)


Nella sua Relazione Programmatica 2023-2025 il CIV (Consiglio di Indirizzo e Vigilanza) dell'INPS sottolineava l’esigenza di effettuare uno “Studio sull'incidenza della contribuzione previdenziale sui redditi da lavoro in Italia, comparata con gli altri Paesi europei”. La Relazione di Verifica di quest'anno riporta succintamente i primi risultati di questa inchiesta. Un elemento che il CIV (e chi vi scrive) reputa interessante si trova a pag. 87 della Relazione di Verifica:

Mi conforta constatare che persone più competenti di me in materia evidenzino il fenomeno che vi ho illustrato nei due post precedenti: il gettito contributivo ha subito una flessione, e questo in parte per un elemento che avevo trascurato (il ricorso alla fiscalità generale determinato dalle agevolazioni contributive: insomma, il famoso discorso delle "coperture" per il "taglio del cuneo"- così capite meglio di cosa stiamo parlando...), ma in parte per un calo del monte retributivo, quel calo che abbiamo documentato nel post sull'inverno macroeconomico:

cui si associa un calo del gettito contributivo:


Tuttavia, la lettura che di questo calo dà il CIV dell'INPS, attribuendolo sic et simpliciter alla "riduzione dell'occupazione", non tiene conto di quello che a mio avviso è il fatto politico più rilevante di quest'anno, o forse dell'intero ventennio: il discorso di Draghi a La Hulpe il 16 aprile scorso:


Nel rivolgermi a un'istituzione che è un pilastro, il primo pilastro, del nostro modello di sicurezza sociale, mi è impossibile e sarebbe intellettualmente disonesto trascurare quanto un personaggio così autorevole afferma circa le ragioni che ne hanno determinato l'indebolimento a livello europeo.

Quello che Draghi, omettendo qualche passaggio, dice non è un'assoluta novità. Il passaggio omesso è l'adesione dell'Italia all'unione monetaria. Che questa adesione sia un elemento di disciplina dei salari è scritto nei libri di testo (ad esempio, a pag. 122 e 125 di La politica economica nell'era della globalizzazione, di Nicola Acocella: la politica del cambio forte serve a "contrastare politiche salariali o fiscali ritenute inflazionistiche"). Mi piace citare anche l'On. Fassina, che a suo tempo condensò questa verità macroeconomica in una frase icastica e veritiera: "non potendo svalutare la moneta, si svaluta il lavoro" (a Servizio Pubblico, il 31 gennaio del 2013, concetto poi ripreso e sviluppato su Italia Oggi del 26 settembre 2014). 

Ora, il dato su cui desidero portare la vostra attenzione è che, con dieci anni di ritardo rispetto all'On. Fassina, Mario Draghi dice la stessa cosa: la risposta europea a una crisi esterna che richiedeva recupero di competitività è stata il tagliare vicendevolmente i "costi" salariali, cioè quelli che visti dal lato del lavoratore sono un reddito, e visti dal lato dell'INPS sono un contributo, visto che il gettito contributivo, come ci ricorda il CIV, dipende dalla massa salariale.

La svalutazione del lavoro, appunto.

Questo fenomeno è nei dati. Vediamo che a partire dal 2012, anno in cui entrano in vigore le politiche di austerità dettate dalla lettera della BCE dell'agosto 2011 e eseguite a partire dal 16 novembre 2011 dal Governo Monti, il monte retributivo subisce uno scostamento al ribasso dalla propria tendenza storica di intensità e persistenza mai sperimentate. L’eccezionalità si comprende meglio "zoomando" fino al 1980:


Ma la piccola integrazione (non correzione) che mi sento di fare, che il presidente Draghi fa, alla Relazione di Verifica, è questa: a pag. 87, dove si parla della riduzione dell'incidenza della contribuzione previdenziale, dovremmo specificare che essa è stata una conseguenza della riduzione dell'occupazione e della deliberata riduzione dei salari (il termine "deliberata" è di Draghi: ci sarebbe da discutere su chi l'avrebbe abbia deliberata ma in questa sede mi limito a esporre fatti).

Il fenomeno, del resto, è visibile nei dati:


(il pallino rosso identifica il quarto trimestre 2011, cioè l'arrivo dell'austerità col Governo Monti: i salari nominali torneranno solo nel secondo trimestre del 2015 ai valori antecedenti alla "cura").

Quando nell'agosto 2011 prefiguravo uno sviluppo simile sulle colonne niente di meno che del Manifesto (la vita è strana), quello che mi veniva risposto era: "Ma cosa dici! I lavoratori non accetteranno mai un taglio del salario nominale. Al più un'erosione del potere d'acquisto attraverso l'inflazione." In realtà dal trimestre successivo (autunno 2011) abbiamo avuto l'una e l'altro.

Ora, va aggiunto un pezzettino a questo ragionamento.

Tagliare i costi, cioè i redditi, salariali, è un'operazione che non ha enorme agibilità politica. Per poterla realizzare, occorre creare un contesto in cui il potere d'acquisto dei lavoratori sia indebolito: un contesto recessivo. E anche qui ci soccorrono le parole del Presidente Draghi: le deliberate politiche di bilancio procicliche (cioè i tagli degli investimenti pubblici in circostanze recessive) hanno oggettivamente favorito quell'aumento della disoccupazione che, come gli economisti sanno, naturaliter determina un effetto di repressione salariale, l'effetto che si voleva conseguire per recuperare competitività di prezzo.

Anche questo è nei dati.

Se mettiamo in prospettiva l'evoluzione degli investimenti pubblici in Italia (dati OCSE a prezzi correnti) il quadro che emerge è tanto ignoto ai più quanto impressionante:


Negli ultimi quarant'anni non s'era mai vista una cosa del genere, nonostante le tante crisi che sicuramente molti fra i presenti ricordano. Non s'era vista, perché prima dell'adesione all'eurozona, che comportava il rispetto delle regole del Patto di Stabilità e di Crescita, il contesto istituzionale non imponeva una risposta così suicidaria a uno shock esterno.

Ovviamente un fenomeno così macroscopico si è riflesso sull'andamento del Pil italiano. Del resto, le retribuzioni sono un pezzo del Pil, qualora lo si consideri dal lato del reddito. Sotto la duplice morsa del taglio della domanda pubblica (taglio degli investimenti) e di quello della domanda privata (taglio dei salari) il Pil italiano si è spiaggiato e ancora stenta a tornare al livello precedente alla crisi (quello del 2007. Il fenomeno è impressionante, macroscopico, e dovrebbe essere al centro dell'attenzione di tutti i cittadini:


Un disastro simile non s'è mai visto in tutta la storia unitaria del nostro Paese:


dato che emerge ancor più nitido se si considera il flusso di investimenti fissi lordi, cioè di spesa in beni capitali produttivi da parte delle imprese:


e già questo basterebbe a motivare la necessità di portarlo al centro del dibattito pubblico. Sono numeri, sono statistiche, della Banca d'Italia, dell'ISTAT, dell'OCSE.

Il disastro causato dalle deliberate (e oggi tanto autorevolmente descritte, anzi confessate!) politiche di competizione al ribasso sui salari e sugli investimenti pubblici ci riguarda tutti, ma a me in questa sede piace mettere in evidenza due aspetti che ritengo possano essere di diretto interesse per questo pubblico, prima di formulare qualche ipotesi sulle direzioni da prendere per uscirne.

Prima di tutto, nel dibattito sulla sostenibilità del sistema pensionistico si fa costante riferimento al rapporto fra la spesa previdenziale e il Pil. Un indicatore il cui significato è limpido e la cui rilevanza non può essere negata. Poniamoci allora una domanda: quale sarebbe stata l'evoluzione di questo rapporto se in seguito alla crisi del 2009 non avessimo risposto con politiche contrarie alla crescita? Se la crescita nominale fosse stata in media analoga a quella anteriore alla crisi? Insomma, se le politiche deliberate di aggressione allo Stato sociale non ci avessero portato così visibilmente sotto le tendenze secolari del nostro sistema economico?

La risposta è in questo grafico:


Se il tasso di crescita nominale del Pil fosse rimasto prossimo alla sua media storica dall'entrata nell'euro (il 2.9%), dopo il balzo verso l'alto determinato dalla recessione del 2009 il rapporto fra spesa pensionistica e Pil sarebbe tornato gradualmente verso il valore storico prossimo al 14%. L'assassinio deliberato della crescita ha determinato un innalzamento persistente su valori oltre il 16%. Va da sé che simili controfattuali hanno un valore meramente descrittivo: essi aiutano però a inquadrare la dimensione dei fenomeni e in parte, a mio avviso, a cercare la soluzione nella direzione giusta, che non può essere quella di reprimere la crescita (i salari, gli investimenti).

Seconda osservazione. Ci fu una stagione in cui si parlava di salario come variabile indipendente. Una posizione politica lecita, un dibattito cui parteciparono persone così autorevoli che non mi sento degno neanche di menzionarle, ma anche, diciamocelo pure, un mantra. In meno di un anno di esperienza da Presidente della Enti Gestori, mi pare che oggi il mantra sia un altro: quello della demografia come variabile indipendente. Ma la demografia non è indipendente dall'economia. La geologia lo è: mette mari e monti dove le pare, e l'economia deve adattarsi. La demografia molto meno. Mi spiego con un grafico, quello delle nascite in Italia dal 1995 in qua (dati ISTAT, integrati dal 1995 al 1999 con dati OCSE):


Anche qui, una frattura è evidente. In questo caso non è senza precedenti: ci fu un tempo, storico, in cui in Italia nascevano oltre un milione di bambini all'anno. Le dinamiche demografiche sono lunghe, certo, ma appunto quello che qui impressiona è la rapidità dell'inversione di tendenza in un contesto che dalla metà degli anni '90 era stato in ripresa sostanzialmente fino al 2010.

Senza voler stabilire un particolare nesso di causalità, viene però da accostare lo scostamento dei nati dal loro tendenziale a quello del Pil dal suo tendenziale:


Le due tendenza certamente si parlano: sostenere che siano esogene l'una all'altra sarebbe ardito, come lo sarebbe andare alla ricerca di un nesso di causalità diretto ed esclusivo. I fattori sono molti e la relazione viaggia nei due sensi: si può anche argomentare, ponendosi dal lato dell'offerta, che il calo della popolazione e quindi dei lavoratori causi un calo del prodotto. Non mancano tecniche sofisticate per sciogliere questi nodi e individuare la relazione del nesso causale. Certo è che la risposta a quale sia questa direzione è dentro ognuno di noi, soprattutto di chi ha avuto l'opportunità di vivere in un Paese diverso, più autonomo.


Mi avvio a concludere.

Oggi siamo tutti d'accordo (qualcuno con genuina e motivata convinzione, qualcuno obtorto collo) sul fatto che le politiche di austerità siano state un fallimento, ma documentare quanto, come e perché lo siano state temo non sia un esercizio inutile.

Siamo anche tutti d'accordo, lo ribadisco per rassicurare eventuali commentatori distratti o maliziosi, che l'unione monetaria sia irreversibile.

Tuttavia, onestà intellettuale vuole che si convenga anche sul fatto che con le regole date essa è insostenibile, per due motivi:

1) perché pone un trade-off fra competitività e sostenibilità finanziaria (del sistema pensionistico, ma più in generale di tutte le posizioni debitorie);

2) perché rende strutturalmente inutile l'adesione al mercato unico.

Che senso ha infatti aderire a un mercato unico se quando arriva una crisi globale, e quindi il mercato unico europeo servirebbe come sbocco per la produzione europea, l'unica risposta che si riesce a escogitare è un taglio dei salari e degli investimenti pubblici europei, cioè, di fatto, la sterilizzazione del potere d'acquisto di questo mercato, la sua obliterazione de facto come mercato di sbocco dell'Unione?

Come riportare sostenibilità nella costruzione europea?

Credo che la chiave sia nel ripercorrere all'indietro il percorso che abbiamo fatto fin qui. Se le minacce alla sostenibilità del primo pilastro (e di tante altre cose, fra cui tutte le posizioni debitorie pubbliche e soprattutto private) vengono dalla mancata crescita, a sua volta causata da tagli degli investimenti eseguiti in ossequio a regole di bilancio, bisogna ripartire dalle regole di bilancio, evitando che esse richiedano il taglio degli investimenti in condizioni di crisi. La riforma delle regole di bilancio attualmente in itinere va nella direzione giusta, ma dobbiamo anche dirci che, pur riconoscendo e apprezzando gli sforzi del Governo italiano, resta da compiere ancora uno sforzo perché la crescita torni al centro della politica europea.

Dobbiamo anche guardarci dall'atteggiamento di chi, per non assumersi la responsabilità di scelte i cui esiti sono quelli che vi ho illustrato, oggi strizza pericolosamente l'occhio al keynesismo bellico. Quello che serve al Paese sono opere di pace: investimenti in capitale fisico e in capitale umano. Sottolineo questo punto: non è logicamente coerente che un sistema che a parole attribuisce tanta importanza allo sviluppo del capitale umano penalizzi la spesa in capitale umano (istruzione, sanità...) considerandola spesa corrente. Senza una golden rule intelligentemente costruita, e quindi "inclusiva", come oggi si usa dire, il futuro dell'Unione Europea è l'avvitamento su se stessa, è quel ruolo di buco nero della domanda mondiale cui la condanna la logica della svalutazione interna.

Un futuro triste, ma meno tragico di quello verso cui ci conduce chi oggi, in un Paese in molte sue parti privo di strade percorribili, con un'edilizia scolastica da qualificare, con una sanità pubblica che comincia ora a riprendersi dalla stagione dei tagli, vede nella costruzioni di armi l'unica legittimazione dell'intervento pubblico nell'economia. Esercitiamo la massima cautela nei riguardi di queste tesi, che, se non contrastate, possono condurre alla più catastrofica delle previsioni autorealizzanti.

Concludo su una nota positiva: i risultati conseguiti dall'INPS in termini di tenuta dei conti, in particolare del sistema pensionistico, sono buoni. Se valutati alla luce di quello che abbiamo fatto alla nostra economia, sono miracolosi. Sopravvivere a una simile distruzione di valore, come quella causata dalla svalutazione interna, non è cosa banale. Se ne riconosca il merito a chi ha guidato e indirizzato, nei vari ruoli, il lavoro di questa importante istituzione.

44 commenti:

  1. Prima
    "cercare la soluzione nella direzione giusta, che non può essere quella di reprimere la crescita (i salari, gli investimenti)"
    e poi
    "Siamo anche tutti d'accordo, lo ribadisco per rassicurare eventuali commentatori distratti o maliziosi, che l'unione monetaria sia irreversibile".

    Che succede prof?

    Con le nuove regole del patto di stabilità, a fine anno saremo punto e a capo con le solite regole del cavolo, se la nuova commissione non si affretta a cambiare politiche.

    Non la seguo...

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    1. Significa che " aivoja a parlare di irrrrreversibilità, tanto se annamo avanti così... esplode ( la EU) in un modo o nell' altro. Poi andate a spiegare a quelli con i forconi in mano che era tutto irreversibile (TM)".
      Almeno è come ho inteso io.

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    2. E (questo è sorprendente) anche loro!

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    3. Ah no dimenticavo che ci sarà Macron a difenderci (o difenderSi?) con il meraviglioso esercito Leuropeo.

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    4. Appunto ho parlato delle sirene del keynesismo bellico. Preciso che il “sorprendente” del commento precedente non era inteso in senso intellettuale, ma politico. Queste cose sono facilmente comprensibili, sono dati. Ex ante però nessuno volle prenderle in considerazione. Ex post si aprono degli spazi di confronto.

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    5. Però,una volta che si sarà realizzato il keynesismo bellico ,un vantaggio lo avremo: aggiungeremo un giorno di festa in più sul calendario. Sarà una specie di 25 Aprile ( io propongo un giorno dopo Pasquetta giusto per smaltire la braciata). Certo non è quel famoso "giorno in meno pagato come un giorno in più" però meglio di un calcio nel culo.

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    6. E speriamo che questo confronto porti qualcosa di buono prima di andare tutti al conFronte.

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    7. Comunque, anche se non si poteva vedere la platea, quelli sul palco alla fine mi sono sembrati abbastanza sorpresi, un po' scioccati e forse anche un pochino sconvolti. Forse sono più d'accordo sui temi di quanto ci si poteva aspettare? Mi riferisco al dopo l'intervento di Bagnai.

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  2. Dopo provo a fare un commento serio, intanto ci tenevo a essere il primo a dire "irreversibbileeehhh?aitraditooooo".

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    1. …e invece sei arrivato secondo! Accontentati: sei arrivato primo la volta buona.

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    2. Adesso gli devi dare la medaglia 🏅 🤣

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  3. "Che senso ha infatti aderire a un mercato unico se quando arriva una crisi globale, e quindi il mercato unico europeo servirebbe come sbocco per la produzione europea, l'unica risposta che si riesce a escogitare è un taglio dei salari e degli investimenti pubblici europei, cioè, di fatto, la sterilizzazione del potere d'acquisto di questo mercato, la sua obliterazione de facto come mercato di sbocco dell'Unione?"

    Sbaglio o questo è più o meno quello che commentava Alesina nel 1997 in riferimento all'euro?

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    1. No, questo è un mio contributo originale al dibattito. Alesina diceva che il mercato unico europeo non ha senso perché nel quadro di una liberalizzazione generalizzata degli scambi il mercato è il mondo. Sono due modi per dimostrare che l’UE, oltre che dannosa, è inutile. Ma sono due modi diversi. Del resto lui nel 1997 non poteva vedere quello che sarebbe successo oggi. Io nel 2011 sì, ma era più facile.

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    2. Ricordavo male. Come sempre, grazie mille.

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    3. Sono diversi ma simili, mettiamola così. Aggiungo che io quando vi parlai di Alesina lo feci in modo tattico: l’argomento andava nella direzione che volevo io, aveva l’auctoritas di cotanto accademico, ma trattavasi pur sempre di spaghetti-liberista e sui pregi del laissez faire avevo e ho dubbi (i dubbi di qualsiasi insegnante onesto di politica economica: sono dubbi che dobbiamo insegnare in classe e chi non lo fa ruba lo stipendio). Fatto sta che devo ammettere che quella di Alesina è una descrizione veritiera della realtà imprenditoriale italiana. La stragrande maggioranza degli imprenditori che conosco, anche realtà piccolissime, esporta letteralmente in tutto il mondo: l’ultimo ieri sera, che opera in una delle tante eccellenze italiane, le evaporiti (travertino). Non dico che potrebbero fottersene dell’Europa, perché vale sempre il gravity model of trade e quindi l’intensità del commercio è maggiore coi Paesi più vicini, ma dell’UE sì, perché se esporti in Malesia i caso sono due: o la tua impresa sopravvive a un livello di complicazione burocratica più alto del nostro, o l’UE è più burocratizzata della Malesia. In entrambi i casi non serve a niente.

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    4. Intendo: l’UE non serve a niente.

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    5. Il concetto che ricordavo io era che, in assenza di moneta unica, il mercato comune era utile in caso di crisi americana perché avrebbe assorbito in Europa, tramite la flessibilità dei cambi, le mancate esportazioni USA. Di fatto quella espressa da lei è un'idea analoga ma su scala mondiale. Ovviamente, tutto questo, continua a valere fino a quando persiste il fenomeno della globalizzazione. Spero di aver compreso.

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  4. Dobbiamo assolutamente evitare la via di incrementare gli investimenti in armamenti e in questo senso cercare di influire nelle scelte politiche. Un primo modo a disposizione di tutti e ' il voto, e poi ogni altra modalità utile. Confido nei giovani, nella Chiesa, in tutti gli uomini di buona volontà, come Lei Professore.

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    1. Giovani, Chiesa e uomini di buona volontà ci sono sempre stati. Come le guerre. A mio avviso vedremo presto smentito il racconto secondo cui l’orrore del XX secolo ha avuto una funzione pedagogica. Un pezzo del fallimento di quella lezione della storia sarà stato il tentativo di alcuni di monopolizzarla.

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    2. Mamma mia... per fortuna ho il poligono qui vicino, comincero' ad allenarmi , anche se ho idea che costerà parecchio l'abbonamento 😅

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  5. Ottimo. Sopratutto perché trattasi di discorso fatto in una sede istituzionale e dunque difficilmente "ignorabile" (non mi riferisco ai media mainstream, ovviamente).

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    1. Grazie Alberto.
      Se non avessi scelto di ingoiare rospi enormi non avresti potuto fare questo prezioso intervento. I rapporti di forza sono quello che sono e ci si muove entro tali situazioni.
      Ancora grazie. Conservati in forma.

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  6. Ieri ero all' assemblea dei delegati del fondo pensione negoziale del settore in cui lavoro e gli esponenti di una compagnia di assicurazione che gestisce gli investimenti per tale fondo ci spiegavano che il settore delle armi, nel contesto geopolitico attuale probabilmente avrebbe rappresentato un ottimo asset dove investire i contributi dei lavoratori...mi son venuti i brividi...

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    1. È lo Zeitgeist, bellezza! Che vi dicevo? Legioni di coglioncini indottrinati si aggirano per i nostri portafogli sospinti dalla retorica dell’inevitabilità…

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    2. Condivido. Ho assistito in TV regionale rai 3 alle dichiarazioni di rappresentanti della sinistra che erano scesi a sostegno dei candidati siciliani. Del Rio e Lupo ed Enzo Bianco... tutti a parlare intervistati apertamente e senza pudore della adeguata necessaria e fondamentale cessione di sovranità dell'Italia per fronte ad un percorso europeo unito compatto e più forte per fare fronte alle sfide che ci attendono .... Il tutto in tono quasi militaresco... Da sentire.

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  7. Prof, questo é uno dei post da incorniciare, per la capacità di ricondurre la complessità (e gravità) della nostra situazione alla razionalità economica (e alle scellerate politiche procicliche dell'Unione). Grazie di cuore.

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    1. Il dato inatteso è che è stato apprezzato anche da alcuni dei suoi destinatari.

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  8. "Fondamenti essenziali di tutti gli Stati sono le buone leggi e le buone armi, e non ci possono essere buone leggi dove non ci sono le buone armi." ... Machiavelli docet anche a distanza di secoli... I principi razionali da lei indicati professore sono chiari e li ho capiti - pensi un po' da medico ... - però il suo buon senso basato su dati, ragione e buona volontà politica per il bene del paese cozza con le volontà sovranazionali che vedono nella guerra la giusta soluzione.... Spero vivamente che si riesca a farli ragionare e a deviare il corso degli eventi. Sono con lei. Bisogna lavorare con tenacia da dentro e ai fianchi. E alle elezioni europee voto lega! In Sicilia ho visto un bel poco di manifesti... Sembra muoversi qualcosa ... Speriamo 🙏

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  9. Come al solito questo spazio si conferma un luogo di libertà consapevole, studio e riflessione.
    Spero che saremo in grado, anche noi come comunità, di non disperderlo con episodi quali quelli degli ultimi mesi. Faccio mea culpa per non aver partecipato, avrei potuto organizzarmi meglio a livello familiare e partecipare (Milano Roma sono 3 ore di treno); peccato. A volte diamo delle cose per scontate e che scontate non sono, come quelle di poter rivedere le registrazioni comodamente sul divano a distanza di pochi giorni.
    Ma insieme al pensiero occorrono anche azione e partecipazione attiva, anche per dare forza e slancio alle idee che condividiamo.
    Detto questo assieme ai contributi principali da trarre e che sono stati da le Lei ottimamente trattati, faccio tre riflessioni cercando di non eccedere nella semplificazione:
    1) Ormai a livello comunicativo la posizione "Mari & Monti" è assimilabile alla "guerra è bella ed il suo finanziamento è buono". Questo mi preoccupa molto, perché abbiamo vissuto sulla nostra pelle quali sono le conseguenze della moralizzazione di certi temi in passato; speriamo che le elezioni europee ci aiutino ad andare in una direzione diversa, con equilibri politici antitetici rispetto a quelli attuali.
    2) Una potenziale ulteriore contraddizione piddino/draghiana. L'essere favorevoli ai tagli del cuneo fiscale, ma contrari alle formule quali quota 100/101/102...ossia al pensionamento anticipato. Cosa cambia nella realtà? L'esito non è lo stesso ossia attingere al bilancio dello Stato sostituendo versamenti contributivi di aziende e/o dipendenti?
    3) Se ho ben capito la posizione politica da portare in Europa, auspicando equilibri politici diversi post elezioni, è una politica espansiva (attraverso ad esempio la golden rule di cui Lei parlava nel suo intervento) puntando su investimenti pubblici non bellici ma su infrastrutture / sanità / istruzione e capitale umano. Bene. Ma non abbiamo sempre il vincolo che ci ha spiegato in tutti questi anni? Se nell'UME facciamo tutti politiche espansive e rianimiamo la domanda "europea" non c'è comunque rischio concreto che si generino squilibri interni all'eurozona in termini di Bilance di pagamento attraverso differenziali di inflazione e assenza di flessibilità del cambio come alternativa sana alla compressione dei salari? Mi sembra di capire che comunque non si avrebbe la possibilità di disegnare una politica economica europea che vada bene per tutti, perché non avremo mai 20 paesi con stessa inflazione, per cui le tensioni interne sarebbero comunque dietro l'angolo.
    Sopratutto in consdiderazione del gravity model of trade a cui faceva riferimento? E' cambiato qualcosa di significativo in termini di incidenza dell'extra UME sulla composizione delle nostre esportazioni e su quelle degli altri Paesi dell'Eurozona?
    Oppure eventualmente queste politiche espansive incentrate sugli investimenti pubblici dovrebbero farle in primis i Paesi in surplus e con una posizione creditoria netta sull'estero?
    Grazie per l'ottimo e stimolante contributo, come sempre.
    Un caro saluto,
    Giuseppe

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    1. Credo che il professore in questo momento stia cercando di identificare ed indicare una possibile linea da seguire e da condividere sia con il partito suo sia con i partiti di maggioranza sia con i possibili interlocutori a livello europeo. la strada è lunga e tortuosa ed è certo diversa da quella che ha animato le discussioni nei mesi ed anni precedenti però penso che sia quella più giusta. I tempi sono cambiati, la storia si evolve e bisogna aggiustare il tiro cercando di dare un colpo al cerchio ed uno al timpagno... Almeno così l'ho capita...

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    2. Sì, ascoltando anche le dirette e gli interventi del Professore di queste ultime settimane io capisco che abbiamo 3 ordini di questioni:
      1) Politica Economica: visti i grafici di cui sopra, non possiamo che perseguire una politica fiscale espansiva attraverso un recupero degli investimenti pubblici con conseguente rafforzamento della domanda interna. Per far questo, giustamente, si parla di regole europee dato che ci siamo dentro e non possiamo non considerare questo aspetto. Lo spazio, oggi, è maggiore che in passato vista la nostra posizione creditoria sull’estero e la nostra Bilancia dei Pagamenti in attivo
      2) Tasso di cambio: è strutturalmente un problema dell’unione monetaria europea. Lo era, lo è e lo sarà, ma in questo momento la svalutazione interna è più un problema altrui e meno nostro, per i motivi di cui sopra e spiegati diverse volte dal Professore
      3) Il vero problema dell’unione monetaria, per noi e in questo momento, è la politica monetaria che ci costringe a dover convivere con un tasso di interesse non adeguato alla nostra situazione inflazionistica in quanto ci cucchiamo (o crucchiamo) un tasso di interesse tarato sull’inflazione dei paesi del Nord.
      Spingere su una politica di investimenti pubblici per stimolare domanda interna e dunque Pil e dunque salari e dunque allontanare gli inverni vari (macroeconomico e quindi demografico) è coerente in questo momento con la nostra “competitività” sull’estero ed è anche una necessità dimostrata dai grafici del Professore che evidenziano lo scostamento dal tendenziale.
      Questo scenario mi è chiaro, ha una sua brillante coerenza e sono grato al Professore per questi contributi che mi e ci aiutano a capire i fondamentali delle questioni.
      Il mio dubbio è: se facciamo una politica espansiva / infalzionistica all’interno dell’eurozona si potrebbero ripresentare anche da noi i problemi che ora sono di altri ed in passato sono stati anche nostri. Detto questo…un problema alla volta, e comprendo perfettamente che occorra prioritizzare e procedere per gradi. È chiaro che le questioni siano tutte legate e tutte valide, ma bisogna anche adattarsi al contesto e viaggiare attraverso battaglie intermedie.
      Buona domenica
      Giuseppe Del Matto

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    3. Scusate però: non possiamo accusare il fallimento logico (prima che economico) del mercantilismo e poi propugnarlo noi stessi! Ora c’è spazio per una politica espansiva perché il PD ha impoverito così tanto gli italiani che possiamo farli arricchire un po’ senza avere tensioni dal lato dei conti esteri. Scusate il cinismo, ma almeno così capisco se non mi capite o fate finta! Si potrebbe dire la stessa cosa anche delle infrastrutture: il PD ha distrutto così tanto il Paese che c’è spazio per ricostruire qualche strada e qualche ponte senza creare troppe tensioni dal lato della domanda. Qui però va posto un caveat, quello determinato dalle distorsioni indotte dal Superbonus.

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    4. Sì, è chiaro. Grazie.
      Scusate la lentezza, ma io cerco di capire ed a volte preferisco ritornare su alcuni concetti per assimilarli meglio. "Ciascuno con i propri tempi". Repetita iuvant.
      Buona domenica
      Giuseppe

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  10. Egregio Onorevole,
    è chiaro che la demografia non può essere in generale slegata dall'economia. Tuttavia, prima di arrivare ad un nesso causale tra la recente crisi economica e la crisi demografica in corso, ci penserei due volte. Cercherò di spiegarmi meglio nel seguito.

    Al seguente link (https://www.statista.com/statistics/1033293/fertility-rate-italy-1850-2020/) può vedere il tasso di fertilità totale per l'Italia a partire dal 1850. Il trend a ribasso, come può vedere, è presente in tutta la serie storica. Questo sta a significare che si tratta di un fenomeno principalmente "strutturale" ed in buona parte slegato dall'andamento economico (ad esclusione delle due guerre mondiali, se vogliamo).

    A giungere a conclusioni simili è anche l'Istat nella seguente presentazione (https://www.farmindustria.it/app/uploads/2023/03/PRATI_SABRINA_primavera-demografica-farmindustria-16noni.pdf).
    "L’Istat ha stimato che il calo delle nascite tra il picco del 2008 e il 2021 è attribuibile per i due terzi all’effetto struttura, dunque alla protratta e persistente denatalità che ha ridotto la popolazione femminile. La restante quota dipende invece dalla diminuzione della fecondità (da 1,45 nel 2008 a 1,25 nel 2021)."

    Un saluto,
    Fabio

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    1. Siccome quando quello che scrivo non è chiaro vado in ansia, mi permetto di commentare con una domanda: quindi la demografia è una variabile indipendente? Col salario non finì benissimo, ma naturalmente la risposta a una domanda posta oggi può essere esogena rispetto agli esiti di dibattiti di ieri. O almeno sembrarlo…

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    2. Egregio Onorevole,

      a questo punto, mi tocca scomodare Blangiardo:
      "The demographic changes we are experiencing, both in terms of negative growth and ageing structure, do not represent a sudden novelty of our time. It is well known that demographic phenomena—excluding exceptional circumstances (conflicts, natural disasters, or serious health or economic crises) follow the inertia principle: today incorporates the manifestations of yesterday and creates the conditions for building tomorrow."

      L'articolo completo lo trova qui:
      https://journals.sagepub.com/doi/pdf/10.1177/17816858241240559

      Interessante la tabella a pagina 4, dalla quale si evince che i "boomers" sono figli del miracolo economico italiano di fine anni '50.
      Quindi, la demografia non è una variabile indipendente!

      Un saluto,
      Fabio

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    3. Capisco. Quindi siamo nel meraviglioso mondo delle illusioni ottiche! I nati degli anni '60 sono figli del boom degli anni '50 perché si vedono (e uno si sente anche: io), mentre i non nati degli anni '20 non sono stati uccisi dalle politiche di Monti e Draghi perché non si vedono, non essendo mai nati. Interessante! Così però il banco vince sempre. O no?

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    4. Egregio Onorevole,
      credo che la frase di Blangiardo che ho citato spieghi bene il tutto.

      I boom economici, oppure le crisi economiche, hanno un effetto abbastanza immediato sulla demografia. Questo valeva per i boomers e vale anche per i non nati degli ultimi 15 anni.
      Vi è anche però un effetto inerziale, per cui la bassa natalità degli anni '80 e '90 ha implicazioni sulla natalità odierna.
      Nel documento dell'Istat da me citato, si stimava che i 2/3 della riduzione di natalità avutasi tra il 2008 ed il 2021 è riconducibile all'effetto inerziale. Tutto qua.

      Un saluto,
      Fabio

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    5. Rimarcare che tutto comincia con l'adesione alla moneta unica è stato il punto principale di questo illuminante (per chi non ha seguito fino ad ora) discorso.

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    6. Esatto gsalamone. Penso anche io che la cosa che ha colpito i più sia proprio questo. Però come ho avuto modo già di scrivere in altre commenti. La situazione è cambiata la storia sta evolvendo l'Europa di oggi non è quella che è stata teoricamente fondata negli anni 2000 e il contesto politico sociale culturale geopolitico ed economico è completamente differente quindi probabilmente bisogna cambiare rotta o quantomeno scegliere la Rotta meno disastrosa. Credo che il professore stia cercando di indicare questa nuova rotta e probabilmente nuovi schemi da seguire...

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