domenica 19 maggio 2024

Il terzo Reichlin

Quest'oggi il professor Pietro Reichlin fornisce su La Stampa un resoconto della storia del debito pubblico italiano strabiliante per sciatteria, demagogia, travisamento dei fatti e ignoranza della letteratura scientifica.

Dov'è la sorpresa, chiederete voi?

Ma, in effetti non c'è grande sorpresa: per lunghi anni ci siamo al contempo esilarati e amareggiati nel constatare la qualità estremamente povera degli editoriali economici propinatici dalla stampa sedicente "credibile". La Stampa, poi, quella con la "S" di serpente maiuscola, veniva chiamata "la busiarda" da chi la conosceva (perché la subiva) ben prima che i pozzi della democrazia venissero avvelenati dalla necessità di ossequiare il regime europeista. Quando non avevo ancora di peggio da fare, di tanto in tanto mi divertivo a decostruire per voi qualcuno di questi capolavori di arte povera, caratterizzati pressoché invariabilmente dal fatto che l'artista di turno si esprimeva in materia non sua (ricorderete il caso di Boeri), o apparteneva alla categoria degli economisti ad h-index basso o nullo. Una categoria che, per non so bene quale motivo (forse per affinità culturale e intellettuale), incontra gli incondizionati favori delle redazioni "importanti" (quelle salvate da Draghi col salvataggio dell'INPGI, per capirsi).

Intendiamoci: fin dall'inizio credo vi fosse chiaro, come lo era a me, che io giocavo in un altro campionato. Come si era capito fin da questo episodio, al mondo accademico italiano mancavano quei presupposti di equilibrio e correttezza necessari perché dal confronto fra due tesi scaturisse un passo avanti verso la verità. Passo avanti, peraltro, inutile, perché, come con grande scrupolo vi documentai fin dall'inizio, in questo caso la verità scientifica era ampiamente nota e documentata. Non era quindi quella l'arena in cui sarebbe stato utile confrontarsi, ed è per questo che dopo le esperienze di sbilanciamoci e de lavoce.info spostai il Dibattito qui, a casa sua. Esattamente come quando Claudio Borghi ingaggia un troll su Twitter, nell'ingaggiare qualsiasi esponente dell'accademia italiana il mio intento era (e resta) puramente e semplicemente didattico. Non trovavo particolare costrutto nell'accordare dignità di interlocutore a chi faceva nel discorso pubblico affermazioni contrarie ai dati e alle tesi che nel discorso scientifico si ritengono comunemente fondate e che vengono riportate come tali nei manuali universitari. Spiace per chi si è accorto di queste dinamiche solo con la pandemia: esse esistono da sempre e pervadono qualsiasi settore dell'accademia, in misura non necessariamente correlata all'entità degli interessi economici sottostanti. Tuttavia, l'uso di uno sparring partner più o meno attrezzato favorisce indubbiamente il percorso di comprensione di chi alla materia economica si accosta dall'esterno. A livello dialettico e argomentativo, la verità storica dei fatti emerge più nitida dalla rettifica documentata di racconti artefatti, il ragionamento economico scaturisce più limpido quando lo si usi per evidenziare le contraddizioni di argomenti estemporanei e faziosi. A livello politico, poi, era e rimane sempre utile vedere in che modo il regime cerca di impostare il suo frame comunicativo, la sua narrazione, servendosi dei suoi Kindersoldat dal maggiore o minore prestigio reale o percepito. Lo si può imparare anche dai troll su Twitter, ma certo se parla il pupazzo Giavazzi del ventriloquo Draghi, se parlano individui dotati di un'autorevolezza o di titoli reali o presunti, se parla il rampollo di un'illustre dinastia, la rilevanza politica del messaggio è proporzionalmente più rilevante.

I Reichlin

Che il campionato in cui gioco sia un altro prima poteva essere evidente a pochi, ma ormai è evidente a tutti: da Presidente di bicamerale ho poco tempo da perdere con le esternazioni più o meno farlocche in cui quotidie mi imbatto in rassegna stampa. Oggi faccio un'eccezione, per completare in qualche modo una ideale trilogia. Su questo blog ci siamo infatti occupati a fondo del primo Reichlin, Alfredo, e della seconda Reichlin, Lucrezia. Mancava un'attenzione specifica al terzo, Pietro, e la daremo oggi, sempre con intento didattico, sine ira et studio, pro veritate.

Era stato Davide Bortoletto, uno dei tanti che ci hanno lasciato per strada (ma che nessuno ricorda più: io sì...) ad attirare la nostra attenzione su un articolo in cui il buon Palombi, ispirato dal nostro lavoro, era andato a consultare i verbali delle discussioni interne al PCI prima dell'adesione allo SME, mettendo in risalto una esternazione particolarmente significativa del primo Reichlin, Alfredo.

Da  dove partiva questo interesse del buon Palombi?

Da una cosa che mi era stata detta da Vladimiro Giacché la primissima volta in cui lo incontrai di persona, in un bar di viale Parioli (un episodio che dovrebbe esservi noto: lo raccontai qui). Ci dicemmo tante cose (e l'un l'altro abbracciava), ma quella che mi rimase impressa fu la richiesta di Vladimiro di ritrovare la dichiarazione di voto di Napolitano contro l'entrata dell'Italia nello SME, il sistema di cambi fissi ma aggiustabili antesignano della moneta unica. All'epoca (sarà stato il 2012), Napolitano era il Capo dello Stato e rappresentava quindi, in virtù di una modifica non scritta né votata da alcuno dell'art. 87 Cost., l'unità europea. Era difficile immaginare nel 2012 che nel 1978 Napolitano avesse potuto esprimersi con la lucidità e la competenza di uno Stiglitz o di un Krugman sui costi che ci sarebbero stati inflitti dai conati di unificazione monetaria. Eppure, gli atti parlamentari sono ancora lì, li abbiamo compulsati più volte: nella seduta, per molti versi drammatica, del 13 settembre 1978, Napolitano tenne il discorso che ritrovate al pag. 24992 dello stenografico, e che io, bastardamente, parafrasai dalle pag. 238 e seguenti del Tramonto dell'euro, nel paragrafo intitolato "Sapevano". Suggerisco di rileggere discorso e parafrasi, ma insomma, la consapevolezza dei rischi determinati dall'Unione monetaria, se pure nella forma attenuata di cambio fisso ma aggiustabile, nei comunisti era assolutamente piena. In aula la esprimevano col garbo del migliorista Napolitano:


(a pag. 24995 dello stenografico), ma fra di loro, nelle riunioni interne di partito, che Palombi ebbe il merito di riproporci in questo articolo, erano molto più espliciti! “Europa o non Europa questa resta la mascheratura di una politica di deflazione e di recessione anti operaia”, diceva il Barca padre (Luciano, da non confondere col figlio che è molto migliore come alpinista che come economista: ve lo dico con ammirazione - per l'alpinista!). Vi ricorda qualcosa? Beh, dovrebbe: è esattamente, in estrema sintesi, il discorso di Draghi a La Hulpe:


Deflazione (lower wage costs) e recessione (procyclical fiscal policy) antioperaia (undermining our social model). Questa è l'Unione Europea nel momento in cui le si aggiunge una irreversibile ma insostenibile unione monetaria, e questo era ben chiaro ai comunisti veri (non ai democristi che oggi voi chiamate comunisti)!

E il primo Reichlin, lui, aveva capito?

Dai verbali di queste discussioni a metà fra Guareschi e Varoufakis la sua figura emerge in un flash rivelatore: intervenendo nel dibattito interno dopo il voto favorevole dell'Italia riferisce che “poco fa mi ha telefonato da Berlino Gerardo Chiaromonte e dice che i giornali della Germania Ovest sono in festa!” Se ne stupiva, poverino! I tedeschi ci avevano appena legato le mani dietro la schiena per poterci randellare meglio, e di questo erano consapevoli sia Napolitano che Luigi Spaventa che Barca senior (e tanti altri, posso immaginare). Cosa c'era di stupefacente nel fatto che gioissero della nostra ingenuità?

Della seconda Reichlin, e della sua folgorante intuizione che gli interessi della Germania fossero diversi da quelli del resto dell'Europa (c'era voluta una generazione per arrivarci...) parlammo a suo tempo, nel lontano 2012.

Oggi ci occuperemo dell'ardita tesi del terzo Reichlin, secondo cui alla radice del debito pubblico italiano ci sarebbe niente meno che il populismo...

Sparale, Pietro, sparale ora...

Vi sottopongo in sintesi, prima di confutarle, la raffica di audaci argomentazioni sparate dal Prof. Reichlin sulla busiarda odierna.

Dunque: "In questi ultimi anni tutti i Paesi hanno accresciuto il proprio debito, ma l'Italia insieme alla Grecia rappresenta il caso anomalo". La valutazione ideologica sulla maggiore o minore opportunità dell'intervento pubblico nell'economia non c'entra e non spiega il fenomeno perché "i paesi scandinavi hanno scelto un modello sociale molto costoso, ma hanno anche una pressione fiscale elevata e un debito contenuto". Quindi "la traiettoria del debito pubblico italiano è lo specchio della nostra storia politica", e naturalmente, ça va sans dire, di "un'ideologia populista che ignorava i vincoli di bilancio". Il superbonus è un problema ma "la verità è che i politici che ci hanno governato negli anni '70 e '80 sono stati più irresponsabili di quelli recenti". Il debito italiano è cresciuto ininterrottamente "dall'inizio degli anni '60 fino al 1996, quando siamo entrati nell'Unione monetaria". Da lì in avanti il debito "scende leggermente, per poi risalire dopo la crisi del 2008, principalmente per effetto della crisi economica e della pandemia". Dopo una breve disamina dei due elementi della dinamica del debito pubblico, che noi abbiamo esaminato nell'equazione (4) di questo post:

(una disamina molto divulgativa, quella del Prof. Reichlin: io, a differenza di lui, ho pubblicazioni specifiche in tema di sostenibilità del debito, ma di "effetto palla di neve" ho sentito parlare solo in questo film:

e mi è bastato), il Prof. Reichlin afferma che "il fenomeno straordinario che caratterizza l'economia italiana dagli anni '60 a metà degli anni '80 è che l'effetto palla di neve è stato sempre negativo", cioè, in termini civili, che nell'Eq. (4) r è sempre stato minore di n, ovvero che il tasso di interesse reale è sempre stato inferiore alla crescita reale (o, se volete, la crescita superiore al tasso di interesse). Se si fosse mantenuto un saldo (lui dice "bilancio", traducendo dall'inglese balance) primario vicino al pareggio (tradotto: se a fosse stato approssimativamente nullo) "oggi avremmo un debito pubblico piuttosto basso". E questo è indubbio. "È accaduto, invece, che dal 1964 fino al 1992-93 (fino agli accordi di Maastricht) il saldo di bilancio primario è stato sistematicamente negativo", il che significa che fino alla metà degli anni '80 i governi "hanno finanziato la spesa pubblica senza adeguare la pressione fiscale, contando su una specie di patrimoniale nascosta". Certo, le spese andavano fatte, perché altrimenti non avremmo avuto il SSN o la cassa integrazione, ma "sono spese che abbiamo messo a carico dei nostri figli e nipoti". "Dalla fine degli anni '80 il mondo è cambiato" perché l'apertura delle frontiere alle transazioni finanziarie ha trasformato la "palla di neve" in un "vero e proprio macigno" (leggi: dalla fine degli anni '80 r è diventato maggiore di n). "Tra il 1992 e il 1998 il peso degli interessi passivi sul bilancio dello Stato è aumentato a dismisura, e ha iniziato a calare solo con l'inaugurazione dell'Unione Monetaria". Così, oggi la difficoltà di ridurre il debito è dovuta al fatto che "cresciamo poco e siamo sempre più anziani". Quindi per non far ripartire la "palla di neve" fra un paio d'anni dovremo portare l'avanzo primario al 4% del Pil, altrimenti iMercati ci puniranno con lo spread, e non si capisce bene come "i partiti" vogliano praticare questa salutare terapia di austerità.

Intermezzo

Per uscire un attimo dal bar di Guerre stellari, rifatevi le orecchie con un'analisi un po' più sfaccettata:

Vi aiuterà, oltre che a sopportare il male di vivere, a seguirmi meglio nel resto del discorso.

I dati hanno la testa dura

Vorrei intanto rettificare le imprecisioni più pacchiane (e ideologicamente orientate) del ragionamento svolto dal terzo Reichlin.

In primo luogo, non è assolutamente vero che l'avere un tasso di interesse reale inferiore al tasso di crescita reale fosse un "fenomeno straordinario che caratterizza l'economia italiana". Questa affermazione dimostra una disarmante ignoranza della letteratura più basilare sulle tendenze del debito nel XX secolo. A confutarla, basta una lettura anche superficiale di un saggio che qui abbiamo studiato in profondità e con profitto, The liquidation of government debt, di Carmen Reinhart e Belen Sbrancia (noi abbiamo per lo più fatto riferimento all'identica versione pubblicata nei working papers della Banca dei Regolamenti Internazionali), poi pubblicato qui e citato 803 volte (come faccia il terzo Reichlin a igNorarne l'esistenza è un mistero). La Figura 2 di questo saggio:

riporta l'andamento di r calcolato come media del gruppo dei paesi avanzati (in arancione) ed emergenti (in verde). Si vede immediatamente come il cambiamento di struttura da tassi di interesse reali fortemente negativi a tassi di interesse reali fortemente positivi sia stato un fenomeno generalizzato, globale.

In secondo luogo, non è assolutamente vero che questo fenomeno si sia manifestato "alla fine degli anni '80": è ben evidente come il punto di svolta sia nei primissimi anni '80, in molti casi fra il 1981 e il 1982.

Gestisco al volo qualche obiezione, prima di spiegare perché è così importante situare correttamente questo cambiamento di struttura.

Prima obiezione: il terzo Reichlin non parla di tasso di interesse reale, ma, correttamente [aggiungo io], di differenziale fra tassi di interesse e di crescita reali. Confutazione: non cambia assolutamente nulla, per un dato sufficientemente noto ai professionisti: la maggiore volatilità delle variabili finanziarie rispetto a quelle reali, che implica come la variazione di r-n sia dominata dalla variazione di r, che tipicamente è di parecchi punti superiore alla variazione di n. Quindi il profilo del tasso di interesse reale e quello del coefficiente r-n saranno sostanzialmente identici. Per soddisfare le lecite curiosità, sono andato sul database "Public finances in modern history" del Fondo Monetario Internazionale, ho calcolato l'andamento di r-n per i Paesi che vengono proposti di default (Stati Uniti, Francia, Giappone, Regno Unito, Svezia, Spagna, Italia, Sud Africa, India), ne ho preso la media, e il risultato è questo qui (dal 1950):


Come di consueto, quando un giornalone predica una anomalia italiana (che so: il numero eccessivo di PMI? Il peso schiacciante della corruzione? Ecc.), il riscontro coi dati restituisce un'Italia sostanzialmente allineata al comportamento delle economie a lei affini, e in questo caso anche di economie piuttosto distanti strutturalmente e geograficamente. Vi lascio esercitare nel cherry picking quanto volete, difficilmente, a meno di mettere insieme Vanuatu, Andorra e Panama (dico a caso) troverete qualcosa di diverso. Il cambiamento di struttura è lì, è ben noto che sia lì, si chiama terza globalizzazione (lo sanno tutti), o fine della "repressione finanziaria" (per usare i termini di Reinhart e Sbrancia), è stato un cambiamento globale, l'Italia non era un'anomalia prima, quando aveva un r-n negativo, non era un'anomalia dopo, quando ha avuto un r-n positivo, e il segno di r-n è cambiato all'inizio e non alla fine degli anni '80, come sanno tutti (tranne uno).

Altra affermazione che gli addetti ai lavori sanno essere imprecisa: quella che il debito pubblico sia cresciuto ininterrottamente dagli anni '60 fino al 1996 "quando siamo entrati nell'Unione monetaria":


Non è così, e non solo perché come qui sapete non siamo entrati nell'Unione monetaria nel 1996 (eventualmente, a voler fare i sofisticati senza citare la data ufficiale del 1999, l'ingresso sarebbe avvenuto nel 1997, stante l'obbligo di "partecipare al meccanismo di cambio (ERM 2) per almeno due anni senza deviazioni di rilievo rispetto al tasso di cambio centrale dell'ERM 2"), ma soprattutto perché nel 1975 il debito pubblico era al 58% del Pil e nel 1981 al 57% del Pil. Sei anni di stasi, anzi, di lieve regresso, non quadrano con una crescita ininterrotta, siete d'accordo? Tornerei anche sulla strana asserzione secondo cui la crescita del rapporto debito/Pil è stata ininterrotta fino al 1996 "quando siamo entrati nell'Unione monetaria". Ovviamente non è un refuso: è solo accecamento ideologico che prevale sul dato fattuale. In realtà il rapporto debito/Pil ha cominciato a flettere dal 1995, scendendo al 119% del Pil dal massimo relativo del 121% raggiunto nel 1994. Ma nel 1995 non solo non c'era l'Unione monetaria (ma come si fa? Come si fa a far scrivere una roba simile su un giornale? Come si fa!?)! Non c'erano nemmeno le assurde regole del Patto di stabilità e di crescita, che furono promulgate nel 1996 e che, in tutta evidenza, non erano all'origine di un cambiamento di tendenza avvenuto prima che entrassero in vigore.

Basta?

No, ovviamente.

Perché chi è del mestiere (e quindi non scrive sui giornal-

oni, ma ha un h-index Scopus a due cifre) sa benissimo che non è vero che "tra il 1992 e il 1998 il peso degli interessi passivi sul bilancio dello Stato è aumentato a dismisura, e ha iniziato a calare solo con l'inaugurazione dell'Unione Monetaria." Anche qui, ci soccorre coi dati il sito del Fmi:


Il punto di svolta non si è registrato nel 1999, con l'inaugurazione dell'Unione monetaria, ma molto prima, dopo il 1992, quando lo sganciamento dallo SME permise di abbandonare la politica di tassi di interessi elevati necessaria per mantenere l'aggancio valutario della lira alle valute "forti" del sistema (i tassi di interesse elevati servivano infatti ad attrarre capitali, sostenendo così le quotazioni della lira, come spiegato in lungo e in largo parlando delle lievi imprecisioni del Corsera). All'inaugurazione (?) dell'Unione monetaria, cioè nel 1999, i tassi si erano già quasi dimezzati (6.64%) rispetto al picco del 1993 (12.65%), e da lì in avanti gli ci vollero quasi vent'anni per dimezzarsi ancora (alla faccia delle virtù salvifiche dell'Unione...).

A questo punto la domanda diventa: comprereste un'analisi usata da un uomo che dimostra così poca padronanza dei fatti?

La risposta ovviamente è: no, ma spero che quello che aggiungerò non vi sembri del tutto superfluo.

Perché ora?

Ecco: la domanda dalla quale conviene partire è sempre questa. Perché scomodare ora l'illustre riservista, il terzo Reichlin, per difendere col Panzerfaust di un racconto privo di basi fattuali solide la solfa che siamo abituati a sentirci raccontare da un altro economista single digit, l'ex senatore Cottarelli? Quella secondo cui siccome ci abbiamo il debito è indispensabile fare avanzi primari, cioè infelicitare le generazioni presenti, per alleviare il peso sulle spalle delle generazioni future? Una solfa priva di basi logiche, come qui abbiamo sostenuto con ampio anticipo rispetto al Fmi, partendo dalla semplice constatazione che la spiacevole aritmetica delle frazioni improprie implica che tre mezzi siano inferiori a due interi, motivo per cui voler ridurre il debito/Pil coi tagli quando il rapporto supera il 100% è un'operazione altrettanto intelligente del mettersi con i piedi in un secchio e tirarne su il manico sperando di ritrovarsi al piano di sopra (la prima spiegazione era qui, la seconda spiegazione, confortata - per i coglioni - dall'auctoritas del Fondo monetario internazionale è qui).

Beh, il motivo per cui questa narrazione va ribadita, infarcendola con lievi imprecisioni fattuali, casualmente tutte orientate a dimostrarci le virtù salvifiche dell'Unione monetaria, è molto semplice: perché la coppia ventriloquo-pupazzo negli ultimi due mesi l'ha mandata in cocci.

Le implicazioni del discorso di Draghi a La Hulpe sono infatti molto chiare. Come ho evidenziato alla presentazione della relazione di verifica del CIV dell'INPS, e poi ad Acireale:


le parole di Draghi sono dannatamente chiare. Lo abbiamo sottolineato sopra: completare una unione economica con una unione monetaria, cioè con un meccanismo di "recessione e deflazione antioperaia", determina inevitabilmente un trade-off fra competitività e sostenibilità. Se il recupero di competitività può passare solo attraverso le politiche di repressione dei salari e degli investimenti, allora è inevitabile che ogni shock esterno venga amplificato dall'unione monetaria, determinandone quell'avvitamento al ribasso che è nei dati, e mettendo in maggiore difficoltà i Paesi con rilevanti esposizioni debitorie, i cui rapporti al Pil esplodono non perché non si facciano "bilanci primari", ma perché il Pil si ferma.

Questo è il dato che i nobili rampolli, e i trasognati antesignani, di certe illustri genealogie intellettuali non capivano ieri (a differenza dei Barca e dei Napolitano) e non vogliono ammettere oggi (a differenza dei Draghi e dei Giavazzi): il fatto che se la gestisci come dice il terzo Reichlin, cioè con l'austerità, l'unione monetaria è semplicemente la lotta di classe al contrario: un gigantesco trasferimento, via interessi sul debito, di valore dalle classi subalterne alla rendita finanziaria, senza alcuna speranza di redenzione, perché lo scopo del gioco non è quello, ma è continuare a redistribuire reddito dai salariati ai rentiers, sollevando questi ultimi perfino da quel minimo obbligo di cortesia che consisterebbe nel ringraziare!

Se entriamo poi nel merito della ricostruzione storica che il terzo Reichlin ci offre, tutta improntata al mantra grillino del "se sò magnati tutto", anche trascurando il fatto che quello del 110% non è un buon esempio, perché è proprio in corrispondenza di quell'obbrobrio e della corrispettiva esplosione del deficit che il rapporto debito/Pil è sceso come non poteva non fare, non è per nulla irrilevante l'aver spostato l'inizio della terza globalizzazione alla fine degli anni '80. L'intervento di Vladimiro è illuminante in questo senso. Quando nel 1978 Napolitano in pubblico e Barca in privato contestavano l'opportunità di entrare a passo di corsa nel Sistema Monetario Europeo, rintuzzando (senza grande sostegno di parte di Berlinguer) il terrorismo di La Malfa, secondo cui un ritardo, o un diniego, avrebbe determinato catastrofi (la solita solfa sentita mille volte, e che solo noi siamo finalmente riusciti a smentire, quando abbiamo dimostrato coi fatti che dopo il "NO" al MES non è successo un accidenti di nulla), quando il Pci votò contro, non poteva sapere quanto avrebbe avuto ragione di farlo! In effetti, tre anni dopo quel voto sarebbe arrivato il Volcker shock, il vero responsabile del cambio di segno di r-n. L'adozione di un cambio sopravvalutato a partire dal 1979 non poteva non riflettersi sulla dinamica delle esportazioni:


che infatti scesero da un tasso di crescita dall'8% (nel periodo 1970-1978) al 3.6% nel decennio successivo. Questo risultato i comunisti se lo aspettavano (con la notevole eccezione, forse, di quello che pareva stupirsi del fatto che in Germania gioissero), ma pensavano di poter compensare lo strozzamento di una fonte di domanda (le esportazioni) con l'incremento di un'altra fonte di domanda (gli investimenti pubblici). Questo è quanto era successo ad esempio nel 1975, dove a fronte di una recessione globale il deficit era stato spinto fino al 7.5% del Pil (come ricorderete, senza determinare un'esplosione del rapporto debito/Pil). Così, fra il 1978 e il 1981, il deficit primario si attestò su una media del 4.1%, superiore alla media storica post-bellica, che dal 1946 al 1978 era stata del 2.2%.

Ma evitare la recessione compensando il calo dell'export con spesa pubblica corrente e in investimenti divenne sostanzialmente impossibile dopo che i tassi di interesse reali, fra 1980 e 1982, erano aumentati di 10.2 punti! Questo non se l'aspettavano, loro. L'autore del divorzio fra Tesoro a Banca d'Italia, cioè del provvedimento che nel 1981 impedì de facto alla Banca d'Italia di finanziare a bassi tassi il Governo, invece se lo aspettava e come! Lo dice e lo rivendica nel suo noto articolo: "Naturalmente la riduzione del signoraggio monetario e i tassi di interesse positivi in termini reali si tradussero rapidamente in un nuovo grave problema per la politica economica, aumentando il fabbisogno del Tesoro e l'escalation della crescita del debito pubblico rispetto al prodotto nazionale". Naturalmente, e, aggiungo: deliberatamente! Vedete infatti come tutti i protagonisti di quel periodo avessero all'epoca una consapevolezza piena della posta in gioco e delle dinamiche oggettive in atto, con la possibile eccezione dei padri di quei figli che ancora oggi ce le raccontano come fossero una favoletta di Andersen?

E invece sono lotta di classe, una cosa con cui loro, gli intellò, non si sono mai sporcati le mani, e oggi non si sporcano più nemmeno la bocca.

Voi ovviamente capite: impedire al Governo di compensare senza costi finanziari eccessivi il calo della domanda estera, e quindi, in definitiva, reprimere la domanda interna prociclicamente, in un momento in cui si era repressa quella estera aderendo al Sistema monetario europeo, aveva il nobile scopo di ridurre l'inflazione, quella che il terzo Reichlin chiama "una patrimoniale occulta". Sì, certo, l'imposta da inflazione, i professionisti lo sanno, è un trasferimento di ricchezza dai creditori ai debitori: una "patrimoniale" sui detentori del debito pubblico, che però, all'epoca, erano ancora operatori interni, i quali in fondo accettavano, consapevoli o meno, il patto sociale implicito in questo trasferimento, perché era un patto che consentiva alle ruote di girare. Il tentativo di restare in equilibrio su una bicicletta ferma è quello che ha portato all'esplosione del debito negli anni '80 e anche in anni recenti. Perché, e qui è difficile non presumere la malafede del terzo Reichlin, non è vero che dal 2008 il debito sia cresciuto per la crisi economica e per la pandemia. La crisi Lehman l'ha portato dal 103% al 120% del Pil, ma poi Monti l'ha portato dal 120% al 136% del Pil. Il terzo Reichlin, nella migliore delle ipotesi, questi dati non li ha visti, ma a me sembra più probabile che non voglia vederli, perché se li vedesse dovrebbe fare i conti con una realtà che non quadra con il raccontino delle virtù salvifiche dei sacrifici, degli avanzi primari al 4% in un Paese in cui il rapporto debito/Pil è una frazione impropria e in cui spingere sul deficit in caso di crisi non ha mai causato un aumento folgorante del rapporto debito/Pil: non lo ha fatto nel 2021 come non lo ha fatto nel 1975.

Ci sarebbero altre sfumature da sottolineare, ma lo farete voi nei commenti, o lo farò io rispondendovi: ora sto arrivando a Perugia e devo lasciarvi. Qui il dato è uno solo: la loro narrazione si è sbriciolata contro i fatti, la nostra analisi è ogni giorno confermata dai fatti, e altrettanto lo è la linea politica che siamo riusciti a proporre ai nostri compagni di strada: più Italia! Insistere è servito, e ora dobbiamo imprimere un corso diverso agli eventi. So che lo sapete e che ci aiuterete a farlo. Ci vediamo a Perugia...

28 commenti:

  1. Ed intanto attaccano la lega mediaticamente con ranucci su rai3... Non c'è che dire. Se vedo dove si accaniscono vedo chi ha ragione...

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    1. Ma infatti il compagno Ranucci è prezioso: in fondo anche le sue sono inchieste a orologeria, esattamente quello che fa incazzare la gente, che detesta essere strumentalizzata! Non ci vorrebbe molto a capirlo, ma, come ho detto oggi a Perugia…

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  2. Merita di essere sentito il video dal minuto 7 e 50 al minuto 9.I figli sono pezzi di cuore https://www.youtube. com/watch?v=6e23Gaz-Jb4

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    1. Però per fare la rivoluzione non dico un link attivo, ma almeno un copia e incolla decente bisogna saperlo fare!

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  3. Un piccolo refuso (13 dicembre, la dichiarazione di Napolitano, poi ci sarebbe anche quella di Lucio Magri, per quelli de sinistra ancor più a sinistra), un grande saluto, Profe.

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    1. Non ho capito ma controllo. Purtroppo l’ho scritto in macchina e la qualità editoriale ne risente…

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  4. Mi pare che anche la professoressa De Romanis, che scrive sulla Stampa, che compro ormai solo più perché c è la cronaca di Asti ed è ben leggibile sulla cyclette, batta sempre su questo chiodo...

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    1. E infatti con lei entriamo nel mondo dell’h-index zero. È un fatto, non un giudizio.

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  5. Carissimo professore, sono Suo appassionato e devoto lettore. Da oggi lo sarò ancor di più, grazie alla citazione da Clerks : l'ho trovata particolarmente azzeccata, alla luce del fatto che in circolazione ci sono troppi reichlin che vorrebbero farci ingoiare la materia viscosa di cui si sono riempiti la bocca procurando il godimento di qualche eurolirico. Lasciamo che a ingoiarla sia la platea di lettori della busiarda, che (metaforicamente parlando) ha una predisposizione allo swallowing non dissimile da quella delle operatrici dei glory hole.

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    1. Ho riflettuto a lungo se pubblicare o meno questo tuo commento sulla snowball, ma poi ho considerato che questo è un blog tecnico e il tuo commento è tecnico, quindi imprimatur.

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  6. E io che credevo che lo Spread era colpa di Borghi. Vedi a leggere la Ssssatramba!

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    1. Son finiti i bei tempi in cui facevamo impennare lo spread! Ora, tornando sulla nostra linea, facciamo impennare solo i sondaggi, moderatamente.

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  7. "il terzo Reichlin"... Ahahahah, eccezionale. Grazie anche per il suo sarcasmo.

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  8. https://www.redalyc.org/journal/601/60171801005/html/

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    1. Questo me l'ero perso e va dritto al cuore del problema. Palley è spesso interessante. Comunque, stiamo lavorando anche su questo.

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  9. Segnalo che il link "nel lontano 2012" non funziona correttamente.
    Il post cui si riferisce dovrebbe essere questo .

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  10. Oltretutto l’aver abbracciato la terza globalizzazione con il divorzio tra Tesoro e BdI é stata una necessità dettata dalla difesa dello Sme (e quindi poi dell’euro) e della successiva liberalizzazione dei movimenti di capitale (via Atto unico europeo): il classico terzetto inconciliabile.
    Gli europeisti sono i padri nobili dei debiti di domani (pubblici e privati) perché hanno sempre scaricato l’onere della difesa delle unioni monetarie sul debito.

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    1. Osservazione molto pregnante sulla quale secondo me si potrebbe lavorare con esiti utili per il dibattito. Quello che veramente stupisce nel resoconto sciatto e tendenzioso di Reichlin è la sua ignoranza (voluta?) di fatti stilizzati basilari quali il Volcker shock, e la sua incapacità (o non volontà?) di collocarli correttamente nel tempo. Pur essendo il terzo, cioè il sorello minore di Lucrezia (nata nel 1954, lui nel 1956), ha pur sempre sei anni più di me, il che significa che nel 1980 aveva 24 anni: avrà capito quello che stava succedendo, o no? Ne avranno parlato a casa? A casa mia si parlava d'altro, ma i numeri e i paper sono tutti lì...

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  11. https://www.homolaicus.com/teorici/kuhn/kuhn_economia.htm#:~:text=La%20teoria%20di%20Kuhn%20descrive,anticip%C3%B2%20Kuhn%20di%20qualche%20anno.

    3. Kuhn e l’economia: lo sviluppo ciclico della scienza
    La teoria di Kuhn descrive lo sviluppo di un ciclo di ascesa, dominio e crisi di un paradigma come il normale percorso con cui progredisce la scienza. La tesi che esistano dei cicli nella storia del pensiero economico è stata espressa chiaramente già da Schumpeter che anticipò Kuhn di qualche anno. Le somiglianze tra le due concezioni, la teoria di Schumpeter e la teoria kuhniana della scienza, sono molteplici. Occorre tuttavia notare che, come ricordato, la filosofia di Kuhn è nata dallo studio delle scienze naturali, nelle quali lo sviluppo della società si riflette molto poco. Restiamo dunque delusi nella nostra attesa di una spiegazione soddisfacente dei cicli che pure sono innegabili nella storia del pensiero economico. Lo studio della storia delle scienze sociali e dell‘economia in particolare suggerisce un modo per rendere più realistico e aggiornato il modello kuhniano. Infatti nelle scienze sociali il legame tra conflitti sociali e dinamiche teoriche è molto stretto. Questo fa sì che le anomalie puramente logiche contino poco rispetto alle esigenze sociali, nella lotta fra i paradigmi e nel paradigma. L’economista, più o meno coscientemente, difende nella teoria una posizione politica e sociale. La dinamica dei paradigmi dipende perciò dal rapporto di forza delle classi in quella data epoca. Parafrasando Marx potremo dire che “tutta la storia è storia di lotta di classe e relativi paradigmi scientifici”.

    L’economia, dato il suo particolare legame con la società, presenta dunque uno sviluppo altrettanto particolare. Le rivoluzioni scientifiche in economia sono fortemente connesse alle svolte decisive nello sviluppo del capitalismo, esse ne sono una rappresentazione teorica. Questo legame tra economia e società è appunto il nesso mancante nella teoria kuhniana. Studiando la storia del pensiero economico invece vediamo chiaramente questi legami. Le ‘anomalie’ con cui i primi neoclassici hanno seppellito la teoria di Smith e Ricardo erano problemi che gli economisti classici consideravano risolti da tempo. Non è per questi problemi però che la scuola classica è stata emarginata! Allo stesso modo la vittoria delle concezioni interventiste keynesiane non è derivata da una superiore esplicatività della General Theory rispetto alla scuola neoclassica, essa piuttosto rifletteva l’impasse del capitalismo mondiale dovuto alla Grande Crisi. Passata questa, la scuola keynesiana è stata pian piano espunta dall’analisi economica mainstream. Si è addirittura giunti a interpretare in senso monetarista la Grande Crisi, come se fosse una novità, come se i monetaristi non ci fossero stati anche negli anni ‘30. Solo che allora, prudentemente non proponevano le proprie interpretazioni[10].

    Se si accetta la connessione tra economia e società si vedrà chiaramente che la teoria di Kuhn non solo può spiegare egregiamente la storia del pensiero economico ma ne può fornire una suddivisione razionale. E' in questo cambiamento che Kuhn può aiutare la nostra disciplina Al contempo la storia del pensiero economico può fornire i nessi causali che Kuhn non si preoccupò di stabilire."

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  12. Grazie di esistere, on.le sen. professore.

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  13. *On.le deputato (ieri sul pullman che mi riportava a casa ero particolarmente stanco...)

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  14. Molto interessante, a mio parere, anche il grafico che rappresenta l'evoluzione del peso degli interessi sul debito in rapporto al PIL.
    Siamo più o meno sugli stessi livelli del 1981 e del divorzio tra tesoro e banca d’Italia. Può essere definita una soglia accettabile anche politicamente (questa del 4%), soprattutto in considerazione della strategia attuata dal governo di "italianizzare" il debito in particolare attraverso le emissioni retail. Sarò banale, ma è un 4% del PIL che in qualche modo contribuisce al reddito nazionale (nello scenario in cui remunerasse in buona parte risparmiatori italiani) e che potrebbe rappresentare un buon punto di equilibrio tra esigenze di finanza pubblica, tutela del risparmio, e "lotta di classe". Pagare interessi ai nostri nonni / genitori non è come pagarli a istituzioni finanziarie estere...sarebbe interessante arricchire quel grafico con la suddivisione per tipologia di percettori.
    Un caro saluto
    Giuseppe

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  15. Buonasera,

    alla fine della fiera la CEE, nelle sue varie ridenominazioni, è un insieme di regole, pensate e volute per ottenere risultati precisi, di cui il prof. Bagnai ha più volte illustrato la perversione.
    Il sistema di regole di chi professa la signoria del mercato, è peraltro ben attento a prevedere sempre clausole di salvaguardia: quando la lotta di classe al contrario non è sufficiente, bisogna assicurarsi che, se butta proprio male, dei buchi si faccia comunque carico il tanto vituperato Stato.
    Questo è un piccolo esempio del fallimento delle regole comunitarie, a tutti i livelli immaginabili, di cui si fa carico la collettività. E la menzogna sottesa a quelle regole fallimentari (per la collettività) è sempre la stessa, nella sua duplice accezione: siamo tutti uguali dalla Finlandia alla Grecia / la stessa regola deve funzionare egualmente dalla Grecia alla Finlandia.
    Con gli omaggi di Procuste.

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