Io: "Che significa alfa theta?"
Lui: "Bò!"
Io: "Come si scrive Atene in quella lingua del cazzo nella quale guardi i video dei fingerskate?"
Lui: "Athens".
Io: "Bene. Ora sai perché. Alfa theta sono gli athenaioi che vanno lì a dirgli: 'Ora o fate come diciamo noi o vi rompiamo il culo'. Che poi, come vedi, è un concetto pertinente alla situazione attuale, e sto parlando della nostra, non di quella europea".
Lui: "In effetti".
Io: "Leggi".
Lui: "Ma che palle, ma io non devo leggere, devo tradurre".
Io: "Leggi".
Lui: "Èmeis...".
Io: "Emèis".
Lui: "Emèis toìnun ute autoi... met'onòmaton...".
Io: "Onomàton".
Lui: "Met'onomàton..."
Io: "No. Da capo."
Lui: "Emèis toìnun ute autòi met'onomàton kalòn os... è".
Io: "Ma lo capisci che leggi da tre? C'è una virgola? A che serve la virgola? Se poi l'insegnante ti sente leggere così, capisce subito che tu non ci passi tempo sui libri. Dalla virgola."
Lui: "Os è dìkaios..."
Io: "Dikàios. Cazzo Guido, gli accenti ci sono, usali...".
Lui: "Os è dikàios ton mèdon katalusàntes..."
Io (lievemente spazientito): "Katalùsantes, da katalùo, direi, no?"
Lui: "Katalùsantes...".
Io: "No, dalla virgola."
Lui: "Os è dikàios ton mèdon katalùsantes... àrcomen è adicumenoi"
Io: "Scusa, cazzo, inizia con emèis. Chevvordì?"
Lui: "Noi".
Io: "Bravo. Dunque, guarda il bicchiere mezzo pieno: per una volta ha il soggetto sparato all'inizio della versione. Non è come al solito che devi cercarti il verbo per capire chi è il soggetto. Quindi, visto che siamo alla prima plurale, i verbi saranno alla prima plurale, giusto?"
Lui: "Sì".
Io: "Ecco. Altro pezzettino di storia: se quell'eta fosse articolo non avrebbe accento:
ἡ. Quindi non è articolo. Cercalo sul vocabolario."
Lui bofonchia.
Io: "Trovato? È congiunzione, corrisponde al vel latino, vel vel, non aut aut, quello che oggi si scrive out out, chiaro? Quindi ogni eta regge la sua subordinata. Quindi: Os è dikàios ton mèdon katalùsantes àrcomen, è adicumenoi nun epexerchometha, che guarda caso è un'altra prima plurale al medio o quel che l'è. Devi arrivare fino al cazzo di verbo, fino a àrcomen. Non importa se non sai che vuol dire (mai sentito parlare di arconte?), importa che quello è il verbo e prima del verbo non ti devi fermare."
Lui sbadiglia.
Io: "Se fai un altro sbadiglio ti tronco di mazzate".
(
...il padre di Baltimora... quello con una schicchera mi butta in terra... che tocca fa per insegnare il greco: voglio un'indennità di rischio dal liceo...)
Lui: "Scusa".
(
...è un bravo ragazzo...)
Io: "Va bene. Allora, hai capito come funziona, questo ha il periodare simmetrico, come Cicerone, ti ricordi? Qui siamo a livelli di tecnica superiori. Però ora i pezzi ce li hai. Prima lezione: le congiunzioni ti aiutano a trasformare un problema complesso in tanti problemi semplici. Avanti."
Lui: "Logòn..."
Io (spazientito): "Lògon, cazzo".
Lui: "Lògon mèkos apìston...".
Io (più spazientito): "àpiston".
Lui: "àpiston...".
Io: "Dalla virgola".
Lui: "Lògon mèkos àpiston parexomen".
Io: "Bene. Qual è il verbo della principale."
Lui: "Archomen".
Io: "Sì, come persona e numero ci siamo, ma è in una frase introdotta dal
vel, quindi in una subordinata".
Lui: "Parèxomen".
Io: "Oh, mo mme stai a piacé. Quindi parecho, che significa?"
Lui: "Una cosa tipo dare".
Io: "Bravo. Poi vediamo cosa. Intanto, scusa, seconda lezione: le preposizioni ti aiutano a togliere di mezzo
noise, per individuare il
signal. Esempio, nella prima riga, met'onomàton kalòn, metà col genitivo significa "con", e quindi..."
Lui: "...".
Io: "Onomastico?"
Lui: "...".
Io: "Non: mastica! Onomastico! Il giorno del nome: onoma onomatos... Nome, parola... Kalòs che significa?"
Lui: "Buono".
"MA COME "BUONO", CAZZOOOOOOO!"
(...
era tutto più facile e io lo sapevo...)
Io: "Scusa: è "con belle parole", che sarebbe poi con un bel discorZetto... Gli Ateniesi non andavano esattamente lì a dirgli delle buone parole, a consolarli. E poi kalòs è bello: kalòs kai agathòs, come Renzi, per capirci".
Lui: "...".
Io: "È antifrastico".
Insomma, ve la faccio breve (è ad personas):
(...
poi me sò rotto li cojoni...)
Di questo bel discorzetto degli Ateniesi non avevo memoria e forse non avevo mai avuto nozione. È stato uno di voi a parlarmene qui, non so se Celso (potrebbe essere) o Roberto, o chi altro. Questa mattina, in palestra (kalòs kai agathòs), fra una serie e l'altra. l'ho cercato su Internet col telefono (una roba inconcepibile quando il greco ero costretto a tradurlo per me) e me lo sono messo da parte per infliggerlo al povero Palla. Vorrei avere ora sedici anni, ora che capisco la potenza di questa architettura. Ma la cosa che più mi piace è, nella prima riga, quell'autòi, che al liceo avrei tradotto con una cosa del tipo "noi stessi" (in uzbeco: "stesso noi"), e che invece, oggi credo di capire (ma qui gli esperti siete voi) sottintende un ben preciso concetto: "Ma che ti pare che
proprio noi - sottinteso: che non ci mettiamo niente a rompervi il culo - veniamo - cioè verremmo - qui a farvi un bel discorZetto mieloso e falso ecc."
Agghiacciante.
Ma certo, di cose agghiaccianti ne stiamo vedendo così tante, ultimamente...
(...
e comunque er Palla mi parte battuto, cazzo, e questo non lo posso sopportare. Pensa l'ironia, caro Martinet: lui è all'aoristo terzo, quindi il perfetto non lo sa. Capisci quindi che imporgli una simile versione era da parte mia una grave αδικία, e tanto più apprezzerai la sottile ma implacabilmente logica ironia del Fato - alla quinta riga. Se semo capiti, no? Ma lui sapeva, perché l'aveva trasentito in classe, che il perfetto ha aumento e raddoppiamento - reduplichescion - e ha sgamato subito la seconda occorrenza di ἀδικέω - dopo il participio presente passivo alla seconda riga. Quindi è bravo. E allora perché parte battuto? Perché questa scuola lo ha frantumato. E ora tocca a me rimettere insieme i cocci, che per fortuna sono decisamente miei...)
Breaking news: pare che sul registro elettronico (...) ci siano delle frasi da fare per mercoledì: Pater mi, si possibile est, transeat a me calix iste; verumtamen non sicut ego volo, sed sicut tu...