(...e facciamo un riepilogo...)
Credo che chi mi segue da qualche anno possa capire quanto poco mi interessino gli sviluppi della cronaca recente. Per chi, non essendo mosso da ambizioncelle politicucce (esempio del contrario), aveva previsto con una discreta precisione quanto sarebbe successo, intervenire ora nel dibattito è tanto noioso quanto sconfortante.
Ma ci sono ancora molti che non hanno capito con chi hanno a che fare, e forse, ogni tanto, può valere la pena di ricordarglielo. Fanno certamente parte di questo gruppo di simpatici volonterosi gli organizzatori del convegno previsto a Padova per il 19 dicembre prossimo, al quale non andrò, e non ci andrò per un ben preciso motivo: perché se si chiama Bagnai, lo si chiama perché lo si vuole stare a sentire (cosa che conviene fare, come mi accingo a dimostrarvi), e non gli si mette intorno, a mò di fastidioso cordone sanitario, una variopinta congerie di fantasisti eurofili. Voi sapere benissimo che mi sono sempre rifiutato di andare laddove avevo la sensazione che la mia presenza causasse mal di pancia (qui un esempio, di segno politico opposto). Semplicemente, prima occorre che le persone maturino, e poi, quando hanno maturato, o almeno hanno preso un Buscopan, se vogliono mi chiamano, e io vado. Ma non per assistere alle loro risse, e non per riempire le loro sale. Eventualmente, se sarà proprio necessario, riempirò le nostre, non le loro.
Sed de hoc satis.
Che la principale criticità della nostra economia risiedesse nelle sofferenze bancarie ce lo siamo detto fin dall'ottavo post (e primo QED) di questo blog.Ve lo riporto per comodità, era cortissimo:
Notate la data: 20 novembre del 2011. Il blog era aperto da appena quattro giorni, e già arrivava la conferma del fatto che la nostra crisi era una crisi di debito privato e non pubblico: l'assunto dal quale eravamo partiti, proprio quello che ora cercano di intestarsi, dopo averlo censurato, tanti colleghi variamente compromessi con le istituzioni europee (e quindi, in definitiva, in conflitto di interessi come chiunque abbia sostenuto il progetto eurista, a cominciare dai tre moschettieri per finire con il simpatico Giavazzi).
Vi prego di osservare l'ultima riga del mio commento: "E non abbiamo ancora cominciato con il rigore...", dicevo.
Cosa significava?
Credo che ora, a quattro anni di distanza, siamo tutti in condizioni di capirlo meglio.
Era ovvio per me, come per alcuni di voi, che le politiche di austerità, diretta conseguenza dell'euro per i motivi che chiarii prima a voi, e poi in Commissione Finanze, avrebbero compromesso la capacità di famiglie e imprese di rimborsare i debiti contratti con le banche, cioè i crediti (impieghi, esposizioni) di queste ultime, mandandoli "in sofferenza", come si suol dire. L'austerità (cioè l'euro) avrebbe quindi causato un'impennata delle sofferenze, sia in valore assoluto che in rapporto al PIL, o al totale dei crediti erogati. Le cose, poi, sono andate esattamente così. Il deterioramento della qualità del credito (cioè la progressiva insolvenza dei debitori: famiglie e imprese) è stato evidentemente legato alle politiche di austerità. Possiamo vederlo analizzando l'andamento del rapporto fra "esposizioni deteriorate" (non performing loans) e totale delle esposizioni (cioè dei crediti erogati):
(i dati li potete consultare qui).
Ho rappresentato le tre "grandi" economie "periferiche" dell'Eurozona. Non me ne vogliano gli amici normanni se metto fra queste anche la Francia. Bisogna capire che in Europa tutto quello che non è Germania è periferia, e questo non tanto per un dato economico. Sui dati economici della Francia ci siamo soffermati più volte, non sono ottimi, come ora tutti ammettono, ma il punto non è questo, il punto è politico: la Wille zur Macht delle élite tedesche rende loro impossibile concepire un comportamento sinergico con chi gli sta intorno. Questo non è un punto banale e ha dirette implicazioni pratiche nella vicenda che stiamo trattando, come vedremo raccontando la storia di oggi, che è anche una storia di tanti piccoli e grandi Nein.
Ho scelto le tre economie "grandi" perché, come sapete, da ormai due anni sto ripetendo che la crisi dell'euro sarebbe arrivata in un certo modo, questo:
(espresso qui, poi in una innumerevole serie di interviste, articoli, post che voi ricorderete meglio di me).
Continuo a pensare che le cose stiano così, cioè che il botto finale potrebbe effettivamente presentarsi sotto forma di crisi bancaria in un paese grande. L'esperienza greca del 2015 d'altra parte conferma questa mia intuizione piuttosto ovvia del 2013: non mi sembra che un paese piccolo come la Grecia sia riuscito ad alterare gli equilibri politici dell'Eurozona costringendo la Germania a rivedere la sua politica di austerità - con buona pace dei tanti cretini che ancora ne sono convinti!
Il grafico riportato fornisce diversi utili insegnamenti.
Il primo è che in termini finanziari il paese più suscettibile di innescare una crisi risolutiva resta l'Italia, per il semplice fatto che è, fra i grandi, il paese nel quale la qualità del credito si è deteriorata di più e più rapidamente (partendo da una situazione pre-crisi già sufficientemente svantaggiata). Il secondo è che i tentativi di reductio ad Berlusconem postuma ("signora mia, gli altri ci hanno pensato prima, ma noi facevamo le cicale, perché quello pensava solo a scopà...") non reggono alla prova dei fatti. Ripeto a beneficio degli sprovveduti (la platea si allarga, e la legge dei grandi numeri non perdona): qui non si tratta di santificare Berlu. Si tratta di prendere atto del fatto che dopo la botta del 2009 (inevitabile, data l'entità del crollo statunitense) il governo italiano, come quello spagnolo e quello francese, erano riusciti ad arginare la situazione. Fra 2008 e 2009 c'è uno scalino nella deteriorazione dei crediti erogati, ma fra 2009 e 2010 la situazione sostanzialmente si stabilizza. Dal 2011, però, con l'arrivo di Monti liberatore, per noi è una catastrofe.
Se confrontiamo la nostra situazione con quella francese vediamo subito dov'è il problema. Fino al 2010 infatti le dinamiche delle nostre "esposizioni deteriorate" sono sostanzialmente simili: ci muoviamo in parallelo, anche se noi siamo messi un po' peggio. Dal 2011 però le posizioni divergono bruscamente: la Francia si stabilizza e noi esplodiamo. Capire perché non è difficile: basta guardare il principale indicatore del grado di "austerità" di un paese, il rapporto fra saldo di finanza pubblica e PIL, come abbiamo fatto qui. Riporto il grafico per vostra comodità:
Noi, come sempre più realisti del re (altra costante che ha a che vedere con il problema che ci riguarda), siamo rientrati subito dentro i limiti assurdi di Maastricht, sbriciolando la nostra economia. La Francia se ne è ben guardata. Sappiamo già che questo ha avuto un impatto negativo sui suoi conti esteri: dentro l'euro, se non fai austerità vai in deficit con l'estero (più reddito comporta più importazioni, in mancanza di un aggiustamento del cambio che renda meno convenienti i beni esteri), e di questo siamo stati i primi a parlare tre anni or sono, prendendoci gioco dei facili entusiasmi della sinistra eurista, che pensava che Hollande potesse salvare la baracca. D'altra parte, però, è evidente che in Francia una minore austerità ha significato anche una minore compromissione del tessuto produttivo del paese e della capacità di imprese e famiglie di rimborsare i rispettivi debiti, e questo lo vediamo dal grafico.
Insomma, Abberluscone non è un santo, ma qui il problema l'ha causato l'austerità, cioè l'euro.
Ve lo spiego in termini tecnici, volete?
La crescita economica (e quindi la capacità per famiglie e imprese di rimborsare i propri debiti col sistema bancario nazionale) e l'equilibrio dei conti con l'estero (e quindi la capacità di ripagare con i proventi delle esportazioni le proprie importazioni, senza indebitarsi col sistema bancario estero) sono due obiettivi incompatibili. Il motivo (lo ripeto) è che se un'economia cresce di più, a parità di altre condizioni cresceranno di più le sue importazioni (che dipendono dal reddito degli abitanti), e quindi l'obiettivo di maggiore crescita viene pagato in termini di deficit estero. È il famoso "vincolo esterno" del quale abbiamo parlato ad esempio qui, spiegando come esso condizioni la crescita di lungo periodo di un sistema economico. Di fatto, un paese non può permettersi di crescere oltre un certo limite, dettato da quanto crescono i suoi partner commerciali, il resto del mondo. Se la Germania reprime la propria crescita, ad esempio comprimendo gli investimenti e facendo deflazione salariale, gli altri paesi europei devono fare altrettanto o vanno in deficit (indebitandosi con la Germania, loro principale partner commerciale, per acquistare prodotti tedeschi). Questo perché reprimendo la crescita del suo reddito, la Germania reprime la crescita delle proprie importazioni, cioè delle nostre esportazioni, e quindi condiziona la nostra capacità di importare beni senza indebitarci (cioè finanziando le importazioni coi proventi delle esportazioni).
In effetti negli anni delle vacche che sembravano grasse Spagna, Grecia, Portogallo sono cresciuti più di noi, e sono quindi andati in crisi prima di noi.
(...apro e chiudo una parentesi qui, a beneficio dei simpatici imprenditori veneti che non conoscerò, e che avranno però il beneficio di incontrare un economista in odore di Nobel - nelle botti piccole c'è il vino buono. Mi preme segnalar loro che quando io dicevo, tre anni or sono, che la Germania investiva poco e comprimeva i salari sostanzialmente per fotterci (e in particolare per fottere loro, i simpatici imprenditori), venivo sommerso da un profluvio di inutili polemiche, in particolare da molti loro colleghi, che mi sfrantecavano le gonadi con la storia che la colpa è dello Stato ladro, e via così. Ora, nessuno nega che tutti siamo perfettibili, e lo stato italiano di più. Tuttavia, oggi, quanto sia elevato il livello tecnologico tedesco lo ha spiegato anche ai coglioni (o, in questo caso, ai mona) lo scandalo Volkswagen, e che la Germania debba il proprio successo al taglio dei salari lo dice, con un opportunismo squallido giustamente censurato da Bibow, perfino un consigliere della Merkel, nel tentativo di salvare la faccia o altro, posto che distinguerli sia possibile. Questo tanto per farvi capire, gentili imprenditori, cosa vi perdete per merito di quelli che vi rappresentano: uno che dice tre anni prima quello che gli altri dicono tre anni dopo. Se non vedete l'utilità pratica di questo, non preoccupatevi: tanti vostri colleghi che la vedono mi sostengono e aspettano che voi vi schiantiate, per la vostra presunzione, onde appropriarsi della vostra quota di mercato. Se non riuscite a capire che le vostre difficoltà non derivano - solo - dallo Stato, ma principalmente dal fatto che il più rilevante concorrente del nostro paese trucca sistematicamente le carte con la complicità della nostra classe politica, forse il vostro lavoro non lo sapete fare tanto bene, e alla fine, come dire, Dio vede e provvede. È il capitalismo, bellezza! E pensare che qualche fesso, su Twitter, mi dava del comunista: io veramnte sarei bagnaista, che poi sarebbe l'ideologia consistente nel far scegliere a chi non vuole capire la corda con la quale impiccarsi, e lasciargli tutto il tempo necessario. #iostocondarwin...)
Come ho spiegato ai politici, e come quindi una persona che ha (o aveva) un lavoro normale dovrebbe capire subito, se si vogliono perseguire due obiettivi, occorrono due strumenti.
Gli economisti lo chiamano teorema di assegnazione di Tinbergen, e le persone normali lo riassumono così: "non si possono prendere due piccioni con una fava". Non c'è bisogno di essere un premio Nobel nato e cresciuto in una famiglia di Nobel per capirlo! Le conseguenze pratiche di questo semplice principio si capiscono confrontando la nostra crisi attuale con quella del 1992. Allora avevamo a disposizione due strumenti: la politica di bilancio e quella del cambio, e quindi riuscimmo a ottenere due obiettivi: far ripartire l'economia e a riportare in surplus i conti con l'estero, rimborsando i nostri creditori. Sul fronte estero ripartirono sia le esportazioni (subito) che le importazioni (dopo un po', perché la svalutazione inizialmente le aveva scoraggiate, rendendo più convenienti i beni nazionali, ma poi la crescita del reddito le fece ripartire):
Oggi abbiamo uno strumento solo, la politica di bilancio, e quindi possiamo solo tirare il freno (via austerità) sperando che le importazioni diminuiscano più delle esportazioni. Il segreto di Monti è stato questo, e lo si vede bene qui:
L'austerità non è una scelta sbagliata. È la scelta giusta per riportare in equilibrio i conti esteri se si deve operare in un contesto di regole "sbagliate".
Bisogna anche che ci capiamo una volta per tutte sulla questione delle regole, e di se, quanto, e in quale senso, esse siano "sbagliate". L'approccio di politica economica basato su regole ha due limiti ovvi:
1) le regole servono a comprimere lo spazio di discrezionalità della politica;
2) le regole riflettono i rapporti di forza in essere.
Dire che la politica va fatta con regole significa, intrinsecamente, comprimere la dialettica democratica di un paese. Voi direte: ma la politica è corotta, castacriccacoruzzione, sesomagnatitutto, e altri discorsi da popolino "poverino". Posso anche essere d'accordo sull'inadeguatezza della classe politica italiana: ora che li frequento un'idea me la sono fatta - e comunque in molti casi il vero problema non mi pare sia la mancanza di moralità o di capacità intellettiva, ma un inadeguato dosaggio ormonale (aka "mancanza di palle"), che è senz'altro un handicap quando si debba affrontare l'uomo dell'anno. Ma io sono per la libertà. Se si sbaglia, si paga, e se si è in democrazia si sostituisce la classe politica che ha sbagliato.
Mi affretto ad aggiungere che è facile essere così sereni quando, come me, non si ha nulla da perdere. Questo vi dovevo per onestà. Tuttavia, chi può essere così imbecille da pensare che i paesi forti del Nord ci dettino, per filantropia, delle regole che, moralizzandoci, ci rendano forti e potenti come loro (a partire da quelle di Maastricht per arrivare a quelle sul bail in)? Ma veramente credete a queste favole? Perché qui di favole ce ne sono due: la prima è che il Nord sia un modello (non so se ve ne rendete conto, ma tutti i paesi "virtuosi" stanno andando per stracci uno dietro l'altro, dalla Germania, travolta da scandali che ne mettono a nudo le fragilità, alla Finlandia, la cui caduta era annunciata a pagina 29 del mio libro del 2012); la seconda è che una élite di un paese egemone sia animata da sentimenti di benevolenza verso un proprio potenziale concorrente.
Non funziona così perché non può funzionare così, e questo perché:
[1] non c'è nessun "modello" tedesco, o se c'è è un modello partenopeo (kiagn'und ffotten), e
[2] nessun paese in posizione di vantaggio relativo ha mai aiutato gli altri a raggiungerlo (i tedeschi in questo non sono più "kattifi" di tanti altri ovunque nel tempo e nello spazio...).
Le regole di Maastricht, e quindi la necessità, per noi, di sbriciolare la nostra economia per riequilibrare i nostri rapporti con l'estero, sono un caso particolare di questo principio generale.
Va anche detto che noi siamo particolarmente abili nel farci del male. Abberluscone, ve lo concedo senza contestazioni, si faceva spesso e volentieri i fatti propri. Ma noi siamo governati da quattro anni da governanti che agiscono sistematicamente nell'interesse dei creditori esteri, e, come vedete, non è che le cose vadano meglio (il primo grafico sopra è sufficientemente esplicativo). Questa subalternità al grande capitale finanziario internazionale si traduce in un atteggiamento ben preciso: siamo sempre più realisti del re, con conseguenze visibilmente autolesionistiche, che però si cerca di farci "digerire" accreditando l'idea che noi italiani abbiamo delle colpe ontologiche dalle quali redimerci, che il peccato, la castacriccacoruzzione, siano così profondamente radicati nel nostro essere, da rendere necessario ed anzi auspicabile un surplus di sofferenze evitabili.
Evitabili, perché, come vi ho dimostrato sempre in questo blog, sarebbe bastato, nel 2011, darsi l'obiettivo di stabilizzare il rapporto debito/PIL, e si sarebbero potute evitare tante sofferenze, riportando il paese in crescita anche senza riaggiustare il cambio. Ma si sarebbe dovuto spendere, per rianimare l'economia, anziché tagliare. E perché non lo si è fatto? Perché ciò sarebbe stato in contrasto con il progetto ideologico di smantellamento dello stato sociale descritto così limpidamente da Featherstone, e perché i creditori esteri non sarebbero stati soddisfatti: il nostro indebitamento estero (il saldo della bilancia dei pagamenti) sarebbe rimasto negativo, come vi spiegavo. Non saremmo "rientrati", come paese, abbastanza in fretta. Ma per "rientrare" in fretta verso l'estero (tagliando le importazioni nette) abbiamo creato una situazione che impedisce alle imprese e alle famiglie di "rientrare" verso le banche italiane.
Quindi, riassumo: euro uguale aggiustamento dal lato delle importazioni uguale taglio dei redditi uguale sofferenze bancarie uguale evitare una crisi di debito estero provocando una crisi bancaria.
Chi mi legge da tempo si sarà annoiato, ma eventuali turisti, forse, avranno avuto stimoli, e comunque, se siete arrivati fino a qui, vi regalo una prima chicca che chiarisce perché per le nostre banche un assetto di regole che impone l'austerità (il calo dei redditi) come unico strumento di aggiustamento è particolarmente deleterio: l'audizione dell'ABI in commissione finanza:
Il problema dell'Italia non è la coruzzzzione, abberluscone, sesomagnatitutto, Boschi dimettiti, e via scemenzando. Il problema delle banche italiane è quello di fare le banche, cioè di erogare credito alle imprese (71% di credito a imprese contro il 56% di media europea) e in particolare alle PMI (36% contro 17%). Eh già! Perché mentre le banche con "vocazione" più speculativa magari quando viene la crisi guadagnano (esempio: prendono a prestito dalla BCE a tassi irrisori e comprano titoli di paesi che offrono tassi altissimi causa spread), quelle con "vocazione" più commerciale soffrono, perché l'austerità deprime i redditi dei loro clienti.
Ma certo, io che ne so, io faccio solo teoria, gli imprenditori, che sono così fuuuurbi, queste cose le disdegnano come futilità...
Mica tutti, però! Quattro giorni fa ero a Pescara, per ritirare in una tipografia dei cartoncini di auguri dell'associazione a/simmetrie (bisognerà pure che rispettiamo le buone creanze). La titolare non voleva più lasciarmi andare: "Io le sono così grata, perché se non avessi letto il suo blog ora avrei fatto la fine di tanti altri, ma è stato mio fratello che mi ha costretto a leggere, e ho capito che le cose si mettevano male, quindi quando tutti ancora si allargavano, dando retta ai giornali che dicevano che ci sarebbe stata la ripresa...
(contributo dalla regia:
...tanto per non dimenticare, e sempre sia lodato il socio Lignini)
...quando i giornali mi dicevano che ci sarebbe stata la ripresa io non ci ho creduto e mi sono ridimensionata, volevo aprire un'altra sede, perché i tassi di interesse erano bassi, ma ci ho rinunciato, ho venduto la macchina, ho tolto perfino la macchina del caffè dall'ufficio, il mio fatturato si è dimezzato due volte, ma io mi ero portata avanti, e ora sono ancora in piedi. Grazie per avermi fatto capire! Ma lo sa che il comune tale prima mi dava 20000 euro di lavori all'anno, adesso solo 1000?"
E non voleva più farmi andar via.
Un aneddoto (fra i tanti)? No. Un fatto riconosciuto anche dall'ABI, che lo esprime così:
"Forte relazione fra performance e ciclo economico...".
Significa che se le regole sono procicliche, cioè costringono a tagliare la spesa pubblica quando le cose vanno male (i 20000 euro di fatturato che diventano 1000), perché chi ora fa il padreterno quattro anni or sono mentiva sulle cause della crisi, dicendo che la si sarebbe risolta tagliando, chi non ha letto Goofynomics fallisce e la sua banca va per stracci...
Eh, ma a noi le regole piacciono, quanto ci piacciono, perché fin da piccoli ci spiegano che ce le meritiamo...
Anche la tragedia del bail in, sia quella umana del pensionato che ha messo fine ai suoi giorni, sia quella economica che ci aspetta nella settimana entrante, nella quale il sistema bancario italiano sarà sottoposto a un fortissimo stress, dipende in parte da questo atteggiamento. Saprete infatti che, come documenta Luciano Barra Caracciolo nel suo blog, la decisione di applicare la logica del bail in è stata presa (1) in anticipo (preciso sotto questo aspetto), e (2) sotto rigorosa osservanza del principio "due pesi e due misure".
In Italia praticamente due soli economisti, entrambi provenienti dal comitato scientifico di a/simmetrie, chi vi scrive e, con almeno un anno di anticipo, Claudio Borghi, avevano messo in guardia con sufficiente incisività rispetto ai rischi che i risparmiatori correvano (preciso: mi riferisco all'ambiente accademico e agli economisti "mediatizzati", perché blog come Icebergfinanza sono stati sul pezzo da subito). Claudio era stato credo il primo, anche perché aveva seguito da vicino, per motivi professionali (non avendo il pieiccdì), uno dei primi esperimenti di bail in, quello dell'olandese SNS, che era stata nazionalizzata a fine gennaio 2013 con contestuale espropriazione di un miliardo ad azionisti e creditori subordinati (che attualmente sono in causa, con ragionevoli possibilità di riappropriarsi del maltolto). Claudio me ne aveva parlato e io ve lo avevo spiegato a giugno 2013 in questo post. Dopo Cipro, il bail in si affacciava nei paesi dell'Europa continentale, ed a noi era sufficientemente chiaro già da allora che sarebbe diventato la regola, con queste conseguenze:
Sei mesi dopo i dettagli cominciavano a definirsi (qui il comunicato stampa), suscitando il trionfalismo di Fabrizio "luceinfondoaltunnel" Saccomanni:
le cui previsioni, come noterete, sono destinate ad avverarsi con precisione matematica, e il centenuto scetticismo di quel noto menagramo di Claudio:
che, come al solito, indulgeva in polemicucce (mentre l'altro amico nel frattempo si è rifugiato a SciencesPo con la Po di pollo, come saprete, dove inseguirlo è difficile ma non impossibile...).
Sì, insomma avrete capito: stiamo parlando dell'Unione Bancaria Europea. Quella roba lì. Ora, forse, almeno a Civitavecchia, quelli che "ma tu fai solo teoria" intuiscono le implicazioni pratiche di certi ragionamenti.
L'Unione Bancaria Europea si basa su tre pilastri, come saprete:
(1) un meccanismo di sorveglianza unico (SSM, Single Supervisory Mechanism),
(2) un meccanismo di risoluzione unico (SRM, Single Resolution Mechanism),
(3) uno schema europeo di assicurazione dei depositi (EDIS, European Deposit Insurance Scheme).
La voce del padrone, se vi interessa, la trovate qui.
Il meccanismo di supervisione, che è stato il primo pezzo a partire, sapete come è stato concepito: in modo da tenere le Landesbanken tedesche fuori dal radar, cosa che non ha entusiasmato i nostri commentatori, nemmeno quelli di più stretta religione eurista, come Marcello De Cecco.
(...due osservazioni: tutti gli articoli sull'Unione Bancaria dicono "parte", "è partita", ecc., ma la verità è che il progetto è complesso e la sua realizzazione scaglionata nel tempo. Il 4 novembre del 2014 è partito il meccanismo di supervisione. Quello di risoluzione dovrebbe partire il primo gennaio prossimo. Quello di assicurazione dei depositi... poi vediamo. La morale della favola è che l'Unione Bancaria in tutto il suo splendore non la vedrà nessuno perché l'euro salterà prima. Osservazione due: possibile che una persona intelligente come De Cecco si stupisca che i tedeschi facciano regole a proprio vantaggio?...)
Il meccanismo di risoluzione dovrebbe partire dal 1° gennaio prossimo, ma noi abbiamo anticipato la sua principale innovazione, cioè il bail in, ovvero l'esproprio dei risparmiatori. D'altra parte, l'aveva fatto anche l'Olanda, no? Però c'è una differenza notevole, anzi, ce ne sono due. La prima, che mi veniva segnalata regolarmente da Vladimiro Giacché e che anche il buon Barbagallo ha dovuto ammettere nella sua audizione, è questa:
Nella prima fase della crisi lo Stato italiano, a differenza di altri Stati, non ha praticamente cacciato un euro per sostenere le sue banche (ovvero i suoi risparmiatori). Questo noi lo sappiamo da sempre, perché la voce del padrone se l'era lasciato sfuggire in un articolo un po' poco documentato ma che comunque rende l'idea e cito spesso, quello di Adriana Cerretelli, e se volete c'è anche il disegnino a cura dell'ABI (che però è in conflitto di interessi):
Allora, se gli altri sono potuti intervenire massicciamente con aiuti di stato per tutelare comunque i loro risparmiatori (anche se non ci sono sempre riusciti, come il caso della SNS dimostra), perché a noi, che siamo stati in effetti più virtuosi, non è stato dato di spendere ora quattro miliardi (a fronte dei 238 tedeschi)? La seconda differenza è che, come invece ci ricorda sempre Luciano Barra Caracciolo, stranamente quando certe cose le fa la Francia (per dire) non sono considerate aiuti di Stato...
Insomma (e prima di parlare del terzo pilastro), qui le domande sono due, e entrambe hanno risposta:
1) perché noi non possiamo fare quello che fanno gli altri (far intervenire lo Stato per tutelare il risparmio)? Ovvero: perché, visto che l'Unione Bancaria è un work in progress che prevede una serie di periodi di transizione, i nostri governanti non hanno negoziato per noi condizioni diverse che per gli altri, visto che noi praticamente non avevamo erogato alcun aiuto di Stato fino ad oggi? Ad esempio, perché non hanno negoziato una data di applicazione del bail in più lontana nel tempo?
2) e perché abbiamo fatto il bail in prima che entrasse in vigore (da 1° gennaio 2016)?
La risposta alla prima domanda è, per riassumerla con un paradosso: "aridatece Andreotti"! Certo, lui si lasciò convincere (da La Malfa) a far entrare l'Italia nello SME, ma almeno negoziò una banda di oscillazione più ampia per il cambio italiano! I nostri governanti attuali sono uno strano miscuglio di inettitudine e subalternità, incapaci di comprendere, o incentivati a non comprendere, che il feticismo delle regole conviene solo a chi può dettarle. Naturalmente loro dicono di averlo fatto, di aver negoziato. In particolare, la Banca d'Italia ha cercato di scaricarsi dalle proprie responsabilità, sia quelle, presumibili, in sede di vigilanza, che quelle in sede di negoziato. Barbagallo infatti ci spiega che:
Quindi la risposta a "perché non abbiamo negoziato?" è: lo abbiamo fatto, ma purtroppissimo ("la Germagna è tanta cattiva signora mia...") ci hanno detto di no. Strano, vè? Il famoso "e se ci dicono di no" di Claudio Borghi non mi pare sia stato ancora interiorizzato dalle nostre élite, che però, ne sono sicuro, hanno tutte studiato quell'inutile orpello intellettuale che passa sotto il nome di teoria dei giochi! Vedete quando parlavo di dosaggio ormonale? Ecco: se uno fosse sinceramente interessato a tutelare gli interessi dell'Italia, dopo due no simili applicherebbe il piano C come "ciaone".
Ma ci vogliono le palle (e il cervello).
La risposta a "perché abbiamo applicato in anticipo regole tanto svantaggiose" richiede la vostra attenzione e vi farà forse fare domani due passi. Anche questa la fornisce Barbagallo nella sua audizione, in questa forma:
Capito? Noi diciamo che il pensionato di Civitavecchia si è suicidato per colpa del bail in anticipato, ma Barbagallo correttamente ci ricorda che il vero bail in in realtà ancora non c'è stato. Se ci fosse stato, sarebbe stata aggredita tutta la massa "non protetta", incluse le obbligazioni non subordinate!
Quindi?
Quindi la situazione è molto, molto grave, e non solo per i depositanti, ma anche per i clienti delle banche in questione, e di quelle in condizioni simili. Sono a rischio, certo, le azioni e le obbligazioni subordinate, ma anche quelle non subordinate, e, in definitiva, se le cose si mettessero male, non è assolutamente chiaro chi dovrebbe assicurare la famosa tutela fino a 100000 euro per i depositi, dal momento che il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi non è infinito, oltre a essere considerato "aiuto di Stato" nonostante sia alimentato da risorse provenienti da banche sostanzialmente private. Ma sono a rischio anche i clienti, che potrebbero vedersi chiudere le linee di credito, e essere costretti a rientrare, da un momento all'altro "con danni ingentissimi per le economie locali" (Barbagallo dixit).
Tutto questo dal 1° gennaio 2016, e in una situazione nella quale, come sappiamo, ci sono diverse banche a rischio. A ottobre Libero ne aveva indicate quindici, suscitando una comprensibile levata di scudi da parte di Federcasse. I fatti però dicono che di quelle quindici banche quattro son già passate per il "bail in anticipato", e che, come ci dice Barbagallo, dal 1° gennaio in caso di problemi il meccanismo di risoluzione sarà ancora più rigido e distruttivo.
Non stupisce quindi che sia già partita, secondo alcune fonti giornalistiche, una corsa agli sportelli, anche per merito del modo cialtronesco di gestire la crisi, e di comunicarne gli esiti, messo in opera dal governo, e dai suoi vari influencer.
Per evitare il panico si è partiti un po' goffamente, come ricorderete, cercando di far passare per "speculatori che se lo sono meritato" i risparmiatori espropriati, laddove, come abbiamo sempre sostenuto (vedi sopra):
1) l'acquirente di obbligazioni bancarie tipicamente è un soggetto avverso al rischio;
2) il venditore di obbligazioni bancarie tipicamente ha forti incentivi a fargli comunque sottovalutare l'eventuale rischio, come poi è emerso anche con confessioni strappalacrime:
3) nel caso in specie il rischio deriva dall'applicazione retroattiva di una norma, e quindi non poteva essere valutato correttamente dall'investitore al momento della sottoscrizione, nemmeno se chi proponeva l'investimento avesse voluto essere corretto, come ammette lo stesso Barbagallo ("collocate e sottoscritte avendo presenti i nuovi scenari di rischio").
Poi, purtroppo, ci è scappato il morto, e allora solo alcuni personaggi in cerca di editore, che siamo lieti di aver ceduto al nostro concorrente salmonato, hanno continuato a ostentare cinismo:
insultando quelli che perfino l'asettico e istituzionalmente ipercorretto capo della vigilanza di fatto aveva descritto come soggetti se non tecnicamente truffati (perché alla fine non era colpa nemmeno delle banche se il quadro normativo dei prodotti venduti era cambiato in modo così brusco e in virtù dell'applicazione anticipata di una normativa), comunque meritevoli di particolare tutela:
e questo non per equità, o per buonismo (che comunque alla fine stufa meno del cattivismo di provincia), ma semplicemente per evitare "rischi di instabilità sistemica" (leggi: corsa agli sportelli).
Dopo la morte del pensionato, la musica è cambiata. Si è passata da "speculatori brutti, ve lo meritate", a "funzionari infidi, management corotttto, Abberluscone,...", insomma: gli evergreen.
Quindi ora pare che se l'austerità ha sbriciolato i redditi degli italiani e quindi la redditività delle loro banche la colpa sia, a seconda dei gusti, o di Abberluscone, o del padre della Boschi. Il quale, a quanto par di capire, problemi con la vigilanza bancaria ne ha avuti, ma non è certo il responsabile di una degradazione sistemica del credito italiano come quella evidenziata nel primo grafico di questo post!
Altro argomento, sottotraccia, è quello del "non possiamo far pagare ai contribuenti" (la versione soft del "speculatori brutti, ve lo siete meritato"). Ma scusate, Dio santo, e chi ha detto che devono pagare i contribuenti? È dal 1933 negli Stati Uniti, e dal 1936 in Italia, che né risparmiatori né contribuenti rimettono un centesimo in caso di crisi bancarie anche rilevanti, e questo perché in questi casi, come ho studiato quando ero piccolo, interviene la Banca centrale, che rifinanzia l'Istituto in crisi, evitando di tosare i risparmiatori. Una cosa come questa, per capirci, che nessuno si sogna di definire "aiuto di Stato", mentre qui da noi l'intervento del FITD, già predisposto e approvato:
non si è potuto tradurre in pratica per i noti motivi.
Allora, cerchiamo di capirci. Se parliamo con il libberista tipo (ce ne sono sempre meno in circolazione), cosa vi dirà? Che se si procede in questo modo, facendo intervenire la Banca centrale, o un organo di tutela interbancaria (finché ha i soldi: quindi, dopo, comunque la Banca centrale) a salvare dal dissesto un'azienda di credito, si creano due problemi:
1) moral hazard, perché il management se sa che comunque verrà salvato, si comporterà in modo meno diligente;
2) inflazione, perché verrà stampata moneta.
Ma questi due argomenti non tengono! Il primo, fra l'altro, può essere rovesciato. A me sembra, correggetemi se sbaglio, che le cose siano andate come dicevo io, cioè che il bail in problemi di moral hazard ne abbia creati, più che risolti. In ogni caso, il problema del moral hazard si risolve in un modo molto semplice: si fa una bella carrettata di manager e li si consegna alle patrie galere, come andava di moda ai tempi di Mani pulite. Dopo, con molta calma, li si processa, e se del caso li si libera. Certo che se invece succede quello che annunciava Libero l'11 dicembre in prima pagina
credo difficile che i problemi di moral hazard potranno essere risolti da regole "europee", per quanto draconiane!
Non mi degno nemmeno di discutere la teoria medioevale secondo la quale la moneta "causerebbe" inflazione. Quand'anche fosse così (e non lo è, e ne abbiamo parlato), noi di inflazione adesso abbiamo bisogno, e quindi il problema dov'è? Se anche fosse straordinario (anziché normale, come in tutto il mondo), che la Banca centrale intervenisse a salvare le aziende di credito dal dissesto, va capito che noi ora siamo in condizioni straordinarie: siamo nella crisi più violenta e prolungata della nostra storia, e siamo in un momento nel quale, nonostante il denaro costi zero (e quindi non si capisce perché non usarlo per salvare vite umane) l'inflazione non decolla (e quindi non si capisce perché non ricorrere a misure ritenute inflazionistiche).
Non c'è alcuna logica in quello che è stato fatto, e questo un vero addetto ai lavori lo percepisce immediatamente e razionalmente, ma anche i non addetti ai lavori lo percepiscono, se pure con ritardo, e istintivamente.
E quindi succede questo:
cioè una corsa agli sportelli, ma una vera, quella che si ha quando i risparmiatori preoccupati corrono in banca per ritirare o allocare diversamente i propri risparmi. Pare che in una settimana da Banca Etruria sia stato ritirato un miliardo - fonte Federconsumatori - ma non saprei nemmeno dirvi se una cifra del genere è plausibile, perché non ho sotto mano il bilancio della banca. Certo, chi ha soldi lì, al di là della maggiore o minore sicurezza, è incentivato a spostarli, non fosse altro che per dare un segnale serio al management. Ma questo, lo capite, è una cosa che non ha nulla a che vedere con quanto accadde in Grecia, dove, come chiarimmo all'epoca a chi evidentemente non era abbastanza attrezzato da comprenderlo, le cose erano andate in modo totalmente diverso: era stata la BCE a chiudere le banche negando loro la liquidità di emergenza (quella della quale potremmo avere bisogno noi, presto), facendolo in violazione del proprio mandato (quello di assicurare il regolare funzionamento del sistema dei pagamenti) e per motivi politici (influenzare il popolo greco in vista del referendum).
Qui motivi politici non ce ne sono: governo più subalterno del nostro non si potrebbe avere, anche se, percepito il rischio politico che gli eventi potrebbero determinare, qualche tentativo di scaricare la colpa sull'Europa, per interposta Banca d'Italia, lo ha fatto:
ma se lo è visto respingere al mittente, il che ha costretto tutti a cambiare frame. Intanto, mentre il management degli istituti coinvolti, a dimostrazione del proprio delirio di onnipotenza, punisce gli impiegati ai quali, come avrete visto, si dice abbia ingiunto di collocare presso la clientela più vulnerabile prodotti rischiosi (il che sinceramente non è il massimo in termini di immagine, perché lascia supporre che si voglia colpire con punizioni esemplari chi potrebbe far luce su certe logiche commerciali), il saggio Barbagallo constata che, in effetti:
Un'ottima idea, che effettivamente pare essere l'uovo di Colombo. Non mettere una pistola carica e senza sicura in mano a un bambino. Strano che nessuno ci abbia mai pensato prima! E quindi i casi sono due: o quello che ci doveva pensare (chi?) è colpevole di grave negligenza, o i prodotti che sono stati venduti non erano rischiosi. Ma di questo abbiamo già parlato: lo dice la stessa Banca d'Italia che in effetti non lo erano, e lo sono diventati solo dopo.
Il problema è sempre il solito: nell'affastellarsi delle notizie e delle smentite, e mentre si prepara un discreto run sulle obbligazioni bancarie (domani controllo anch'io, come credo faremo tutti, ma assistito dalla mia certezza di essere povero), le foglie nascondono l'albero.
Bene, sono d'accordo: crocifiggiamo il padre della Boschi (o l'AD della Banca delle Marche, o chi per loro), dimettiamo l'avvenente ministra, smettiamo di vendere candelotti di dinamite come fossero decorazioni dell'albero di Natale, tutto bene, tutto bello, tutto giusto (veramente proprio tutto no, ma oggi sono di manica larga)...
Secondo voi, queste misure, in che modo possono ostacolare la progressione inarrestabile dei crediti deteriorati?
Perché abbiamo aperto facendo vedere la loro percentuale sul totale dei crediti, ma, se volete, posso anche farvi vedere la loro dinamica rispetto al PIL:
Ci siamo?
Le esposizioni deteriorate viaggiano verso un quarto del PIL, e le sofferenze a fine 2014 erano (solo loro) 197 miliardi, pari a poco più del 12% del Pil. Una cifra comparabile a quella spesa dalla Germania (238 miliardi) per salvare le sue banche più esposte (e tenendo fuori le altrettanto esposte Landesbanken). Ma noi, dopo Monti, abbiamo un rapporto debito/Pil che è il doppio di quello della Germania prima della crisi (arrotondando: 130 e 65 punti di PIL). Quindi questi soldi non possiamo comunque permetterci di spenderli (e certo non dopo aver conferito 60 miliardi - regolarmente conteggiati nel nostro debito pubblico - ai vari fondi salva stati, per salvare le banche altrui: altra fesseria dalla quale Borghi ci aveva regolarmente ammonito di guardarci - e all'epoca non era nemmeno leghiiiiiiiiista...).
Naturalmente questo prevedibile infortunio, sotto Natale, non porterà esattamente una ventata di ottimismo. Questo significa che alla fine la previsione che facemmo a dicembre scorso, ovvero quella di una crescita reale allo 0.6% con inflazione al -0.1% (e quindi crescita nominale allo 0.5%) si rivelerà meno lontana dal vero di quelle del governo. Se le cose stanno così, e se le sofferenze restano sul loro trend (e perché non dovrebbero, dopo questa botta di vita?), rischiamo di trovarci a fine 2015 con "non-performing loans" (ve lo dico in inglese, così fa meno paura) pari a circa il 24% del PIL (qualcosa intorno ai 390 miliardi).
Ci siamo?
Bene.
In queste condizioni, con un governo inetto, incapace di far accettare ai suoi partner misure di pura equità e buon senso come quelle descritte da Barbagallo, con la prossima botta dagli Stati Uniti in arrivo, con la probabile inversione di politica monetaria della Fed (ma anche senza tutto questo), la conclusione è una sola: siamo in serio pericolo.
Come vado scrivendo da alcuni anni (fin dal Tramonto dell'euro), l'unica misura che possa riattivare la crescita nelle economie europee è un massiccio piano di investimenti pubblici finanziato con moneta dai governi nazionali (non essendo prudente aumentare le esposizioni debitorie ormai fuori controllo un po' ovunque). Naturalmente, questo richiede il ritorno alla sovranità monetaria (essenziale, come avrete capito, anche per risanare il sistema bancario, e in ogni caso per contenere situazioni di panico che le regole attuali, viceversa, contribuiscono attivamente a creare). Occorre tornare a valute nazionali, per il semplice fatto che senza un riallineamento nominale, cioè una correzione del prezzo delle valute nazionali in grado di compensare rapidamente gli squilibri di prezzo determinati dalle svalutazioni competitive dei salari tedeschi, le politiche espansive che ci servono manderebbero in deficit la nostra bilancia dei pagamenti, e si ripartirebbe con un'altro giro di crisi debitoria (questa volta da debito estero, come vi dissi tanto tempo fa).
Da lì bisognerà passare, e a quello arriveremo.
Il problema è capire se ci arriveremo prima o dopo una ulteriore guerra mondiale, e questo, come forse farei meglio a non dirvi, ormai non lo dico solo io, come pure non siamo più solo Claudio, Andrea, ed io (terzo) a deprecare l'assurdità di un sistema fatto per creare panico.
Poi domani fatemi sapere com'è andata...
(...ringrazio tutti gli amici su Twitter e in particolare Fabio, Giuseppe e Ubaldo per le loro segnalazioni...)
L’economia esiste perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale. Per contribuire a una lettura più equilibrata della realtà abbiamo aperto questo blog, ispirato al noto pensiero di Pippo: “è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita”. Una verità semplice, ma dalle applicazioni non banali...
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domenica 13 dicembre 2015
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