giovedì 26 gennaio 2017

Protezionismo

Buongiorno prof.

chiedo scusa, non so se interessa, riporto quanto appreso ad un corso di aggiornamento professionale in materia di antincendio:


E' noto come in europa i prodotti da costruzione debbano essere dotati 

di marcatura CE secondo le rispettive norme di prodotto. Le norme 

prodotto approvate possono essere usate dai produttori europei di  qualsiasi paese anche per facilitare la circolazione dei beni  all'interno della comunità. Altrimenti un produttore di un certo prodotto di un paese X  che volesse vendere nel paese Y dovrebbe certificare il proprio prodotto  anche con le procedure e normative del paese Y (con costi ed oneri  spesso insostenibili), alla faccia del libero mercato.


Il relatore, oltre al forte imbarazzo nel tentativo di spiegare alcuni  pasticci normativi a livello europeo (vabbé può capitare), ha  esplicitamente detto che l'emanazione della norma europea di prodotto  per le porte tagliafuoco viene rinviata da anni per volontà dei  produttori tedeschi proprio per evitare che i produttori di altri paesi  dell'unione (fra cui anche italiani), molto più competitivi a livello di prezzo a parità di prestazione, possano acquisire una quota di mercato a  scapito delle aziende tedesche.


Piccolo esempio pratico di protezionismo, anche se, in teoria, saremmo  nella libera "economia di mercato".

Saluti,

B. 





(...no: siamo in una "economia sociale di mercato fortemente competitiva" col più debole, alla tedesca. Che ne dite: quella di B. sarà una fake news?...)





mercoledì 18 gennaio 2017

Austerità e crescita su Nova Economia

Mi sposto di poco (diciamo di un migliaio di chilometri) dall'Argentina per andare in Brasile. Carlos Eduardo Suprinyak, editor di Nova Economia, mi segnala questo numero speciale dove trovate una serie di interessanti articoli sul tema "austerità e crescita" (incluso uno di un nostro amico: Gennaro).

Io purtroppo sono talmente impicciato come autore e referee che di tempo per fare il lettore me ne resta poco (salvo per le cose che sono costretto a leggere al fine di capire se i gentili colleghi che hanno scritto i paper sottoposti alla mia analisi hanno ecceduto la quota sindacale di lievi imprecisioni).

Voi, che siete beati, approfittatene...


(...a presto, e ricordatevi: sarà un anno molto noioso, nel quale mi sentirete dire un'unica cosa...)

martedì 17 gennaio 2017

Argentina (again)

(...come sapete, è mio preciso impegno non dedicare questo blog alla cronaca. Per la cronaca avete i gazzettieri, ai quali potete rivolgervi sapendo che non possono spiegarvi quello che sono pagati per non capire, e molti non capirebbero nemmeno se pagati. Meglio leggere qui la cronaca del futuro, che farsi prendere in giro. Questa scelta editoriale ha avuto un certo successo, e quindi non intendo rivederla. Oggi vi giro una lettera che ho ricevuto da un paese del quale tutti parlano e pochi sanno qualcosa: l'Argentina, presa spesso a paradigma delle vicende italiane da commentatori particolarmente insulsi e cialtroni. Un paese che è scomparso dal radar perché il belloccio liberista di turno non è che stia andando benissimo, e questo ovviamente alla stampa corrotta e faziosa non fa molto comodo metterlo in evidenza. Ve la vendo come l'ho comprata: è una testimonianza, a qualcosa servirà. Non credo che avrò molto tempo di gestire lunghe discussioni perché ho diverse scadenze scientifiche da gestire, dal mio fortino ai margini della comunità scientifica. Divertitevi senza di me...)



Gentile professore,

Le scrivo, come molti hanno già fatto, per dirLe innanzitutto grazie. Per il Suo lavoro e per avermi dato alcune chiavi di lettura di una realtà che dispongono ordinatamente una serie di elementi e sensazioni che prima potevo solamente sostenere attraverso un “io so” pasoliniano (non detto da Pasolini, tra l’altro. Immagini quanto potesse valere).

Le scrivo dall’Argentina, da dove – casualmente – ho iniziato a seguire il suo blog nel 2013. Oltre a i ringraziamenti quello che mi spinge a scriverle (nonostante la mia dimestichezza con l’italiano, che va via via scemando, trasformi questa epistola in uno sforzo titanico per me) è volerle raccontare un aspetto che, a mio modo di vedere, è anch'esso un tassello del quadro che Lei ci sta aiutando a vedere.

Si ricorda il “back to the future” di cui il suo amico greco le aveva parlato, riferendosi al fatto che vedere l’Italia era per lui come un viaggio a ritroso nel tempo della sua Grecia?  Se guardo all’Argentina (o forse dovrei dire dall’Argentina verso l’Italia) oltre al gioco tra futuro-passato, è noto anche certe simmetrie.

La stampa
Nel 2010, quando sono tornato in Argentina, lasciavo un Italia in piena epoca berlusconiana (o almeno questo pensavo io, essendo per me questo il problema centrale del Bel Paese ).

Arrivato a Buenos Aires mi trovavo invece un attacco incessante al governo da parte di tutti i grandi gruppi media (che qua sono, in definitiva, due grandi mogul: il gruppo Clarin e il giornale La Nación). Dopo le esperienze italiane di quella che io ai tempi definivo come “stampa di regime” mi venne spontaneo pensare “Se tutti i grandi gruppi media stanno criticando questo governo, vuol dire che qualcosa di buono starà pur facendo”. Vede, in questo caso la simmetria mi aveva portato da un posto dove la stampa imbelliva una realtà invece brutta (l’Italia), mentendo sapendo di farlo, ad un altro (l’Argentina), dove la stampa e i mezzi di comunicazione imbruttiva, mentendo, una realtà magari non così orribile. È stata senz’altro una grande esperienza, un po’ come vedere l’altra faccia della stessa luna “in azione”, muovendosi con la stessa forza, per lo stesso obiettivo, ma utilizzando il meccanismo al contrario (dal “va tutto bene, e presto andrà meglio” italiano al “non siamo stati mai cosí male, e ci avviamo all’ecatombe” argentino).

Venendo ai giorni nostri: mentre in Italia vi dicevano – corrucciati e preoccupati – che dopo la Brexit  il Regno Unito “era uscito dall’Europa”, qui da noi dicevano – sorridenti ed esaltati – che con la vittoria di Macri l’Argentina “tornava nel mondo”.

Da voi i partiti sono “populisti” perché anti-sistema, e per questa ragione si condannano tutte le loro rivendicazioni, anche quelle che invece inquadrano il problema centrale dell’Europa.  In pratica: siccome chi solleva problemi relativi alla la redistribuzione della ricchezza è anche uno xenofobo (come Le Pen) o un fanfarone (come Grillo), allora si condanna il concetto stesso di redistribuzione. 

Parli dell’uscita dall’euro? Sarai mica uno xenofobo come Le Pen?

Da noi i partiti sono populisti perché promettono la redistribuzione della ricchezza invece pensano a rubare (se morfaron todo). E per questa ragione si condannano le loro rivendicazioni (potrei definirla “la corrrupppcciónnnnnfeafea”?) e si condanna il concetto stesso di redistribuzione. In pratica: chi vuole redistribuire è in realtà corrotto. Et voilà, con questo sillogismo la redistribuzione degli ingressi scompare di scena e, quando vi torna come rivendicazione, fa dire “Attenti, è un corrotto!”.
In Italia (nel primo mondo) si sono lentamente applicate le politiche neoliberiste durante decenni, per arrivare allo smantellamento dello stato sociale; in Argentina lo si è fatto a tempo record, con la Dittatura di Videla (e, soprattutto, di Martinez de Hoz) e poi per via “democratica” durante i “roaring nineties”. In Italia si è fatto saltare il sistema politico (mi insegna Lei) con l’esplosione di Mani Pulite; qua – dove la manu militari che pareva più veloce si è poi rivelata forse anacronistica – sono arrivati agli impeachment più di recente (Paraguay; Brasile e, se non avesse vinto l’allora opposizione, sicuramente anche Argentina).

Para ser claro: non sto dicendo che i governi di Kirchner (Argentina) o Dilma (Brasile) fossero onesti. Dico solo che questo aspetto è stato usato per favorire l’arrivo al potere di governi inveve affini al capitale, sul cui operato invece ora i media – prima inferociti e paladini dell’onestà- si permettono al massimo commenti come “hanno sbagliato”, “stanno imparando”.

Capisco e ho visutto l’effetto imbonitore di una stampa panglossiana che ti dice che andrà tutto bene, che ti convince (nei momenti peggiori) che devi pazientare un po’ e che vedrai presto i miglioramenti. E capisco appunto che ci si possa credere (soprattutto perché, quasi in autodifesa, si vuole che abbia ragione). Mai avrei pensato, però, che la stampa potesse plagiarci cosí tanto da farci votare contro i nostri interessi a pancia piena, ovvero: convincerti – quando le cose vanno relativamente bene – che in realtà non sei mai stato cosí male.

The result
E quindi adesso abbiamo un Presidente del Banco Central che dice “La inflación monetaria genera inflación” e ha iniziato il 2016 con un tasso di interesse del 36%, assorbendo pesos secondo lui in eccesso. (Ovviamente l’inflazione si è calmata, passando dal 26% del 2015 al 40% del 2016). Tra l’altro, dopo una campagna elettorale in cui un governo ha promesso crescita e, in parallelo, lotta serrata all’inflazione.

Nel dettaglio:

povertà zero+
riduzione del deficit fiscale+
eliminazione delle tasse ai cittadini e ai grandi produttori terrieri+
eliminazioni dei sussidi al trasporto, alla luce e la gas+
crescita economica

Infatti, appena arrivato al governo, ha eliminato le “retenciones” sui prodotti agricoli da esportazione (commodities quali mais e il grano, ad esempio) e al settore minerario; ha eliminato le sovvenzioni al gas, luce, trasporto e acqua (con aumenti che, in alcuni casi, hanno superato il 400%). Fin qui tutto bene, salvo il fatto che povertà è arrivata – in 8 mesi – al 32% (prima, si dice fosse al 25%), la disoccupazione è cresciuta e – guarda caso – l’economia è entrata in recessione. In questo contesto, ovviamente, i soldi per tagliare le tasse ai cittadini comuni non ci sono. Anzi, sono aumentati anche le imposte municipali, ben oltre il 40% dell’inflazione.

Al di là del fatto che io possa sbagliarmi su quale delle due opzioni fosse la migliore per l’Argentina e, soprattutto, nell’analisi di quanto fatto dal governo precedente, ho capito che – quando la stampa e chi la comanda vogliono – non riusciamo nemmeno a essere egoisti. Ovvero, a dire: "non mi importa se dicono che questi sono corrotti, o che il sistema è insostenibile. Io  ho la pancia piena, e quindi voglio continuare cosí".

[emphasis added...]

Il prossimo passo dell’elettorato, magari, è quello di essere citttadini che votano in modo razionalmente egoistico. Ovvero: per fare i propri interessi. Cosa che, ad esempio, hanno fatto benissimo le elite che hanno appoggiato la candidatura del governo attuale.

El verso (lo speech)
La campagna dell’attuale presidenza argentina è stata realizzata utilizzando il concetto del “Cambio” (in questo caso, rispetto ai 12 anni di governo peronista-kirchenerista). Tant’è che la coalizione che ha poi vinto le presidenziali si chiama “Cambiemos” (congiuntivo esortativo). Mesi dopo, ho sentito spesso parlare di cambio anche Donald Trump e mesi prima (e poi mesi dopo, più o meno fino al 4/12) ho sentito parlare di cambio Matteo Renzi. Questo solo per dirle che, forse, una delle mentite spoglie sotto le quali potrebbe palesarsi il prossimo movimento neoliberista anche in Italia (o Europa) potrebbe farsi forte di questo messaggio – basta de todo! Cambiemos! – che pare avere presa sugli elettore e che, dico magari sbagliando io, pare far parte di un copione internazionale. È vero che Renzi ha fallito (rispetto alla sua continuità nel potere), ed era comunque un fautore del “Cambio” (magari sotto la retorica della rottamazione) ma, umilmente, vorrei dire a Lei – che ha un orecchio fino – di ascoltare se altre forze nuove - che dietro hanno le forze di sempre - non vengano fuori con il discorso del cambio anche dalle vostre parti. Altre cose in comune – e qui ci voleva poco a prevederle, magari – è che il presidente Macri, dopo un anno di crisi e aumento della disoccupazione, inizia a dire “Ci vuole più flessibilità” o “La legge sul lavoro del XX secolo non va bene per il secolo 21” e cosí via. Oltre ai soliti “lo Stato non è efficiente”, “lo Stato non deve intervenire”. Ah, dimenticavo il “Nos merecemos vivir mejor” della campagna elettorale trasformatosi in “tutti dobbiamo sacrifcarci” dopo la vittoria.

In Argentina sono riusciti a generare un grande odio verso i “lavoratori improduttivi” dello Stato; a far accettare ai più concetti come “per i servizi dovete pagare di più” e vere proprie provocazioni come quella del ministro dell'Energia che dice, dopo un aumento del 30% in 3 mesi, “se il prezzo della benzina è troppo alto, i consumatori smetterano di comprarla”.
La classe media - o ciò che ne resta, recita con soddisfazione, “mi abuelo se rompia el culo 14 horas por día y no decia nada; y ahora se quejan porque tienen que hacer unas horas extras? Son todos unos vagos”; mentre un politico, appartenente all'aristocrazia argentina, diceva ai giornali che se, negli anni scorsi, un impiegato della classe media poteva permettersi lussi quali “viaggiare, comprare auto o televisori” era perché gli “stavano mentendo” riguardo il suo salario. La colpa, insomma, è nostra.

Sa cosa mi ricorda? Gli articoli del Corriere della sera che, mentre da una parte parlava di disoccupazione giovanile, poi dall’altra faceva apparire sulla pagina web – ogni settimana – la storia di un qualche neo-laureato italiano che “ce l’aveva fatta” e ora era milionario/famoso/di successo.

Me li ricordo bene, “sulla mia pelle”, quegli articoli che sembravano volermi dire: “vedi che sei un coglione? Chi è bravo ce la fa ad emergere”.
[emphasis ri-added...]

E nel frattempo, grazie ai titoloni dei giornali, la classe media argentina festeggia anche il calo dell'inflazione, ovvero la certificazione della perdita del proprio potere d'acquisto.

La ringrazio ancora quindi per avermi dato gli strumenti di lettura per capire meglio queste cose, per capire che un governo che dice “per far crescere il Paese vogliamo inflazione zero” mi sta mentendo sapendo di farlo e soprattutto perché sta portando avanti una battaglia che va ben oltre i confini italiani.

Un ultimo aneddoto. Quando facevo il liceo, la bravissima professoressa di italiano, mi fece una bella domanda (ero in terza superiore).

Nel ‘500  si diceva Homo faber fortunae suae. Nell’ ‘800 Foscolo scriveva “L’uomo è artefice delle proprie sventure”; nel ‘900 Zeno Cosini afferma “La vita non è né bella né brutta. È originale”. Quale le sembra la più pessimista di queste affermazioni?

Optai per la terza (all’epoca ero comunque più sveglio di adesso) dicendo che, almeno nelle prime due si aveva l’idea di un uomo che decide, che è reponsabile del proprio destino, nel bene o anche solo nel male. In quella di Svevo, invece, l’uomo rimaneva in balia degli eventi, senza alcun potere.
Glielo dico perché i suoi due primi titoli dei libri – non so perché - mi hanno riportato alla memoria questo iter. Per un “Tramonto dell’Euro” dove l’Italia potrebbe essere artefice del proprio destino a un “Italia può farcela” che mi suggerisce “se non ce la faremo, sarà colpa nostra”. Manca il terzo. Il mio desiderio e il grande augurio è che non richiami quello di Svevo.



(...qualora lo faccia, la colpa sarà evidentemente vostra: se lo dice il Corriere, che siete inadeguati, deve essere vero, perché tutti sappiamo che il Corriere non pubblica fake news...)

venerdì 13 gennaio 2017

Buonanotte! La legge di Céline, addendum a (No) jobs act

In famiglia.

- Hai scritto di nuovo per Alberto?

- Ho scritto “ad Alberto”. Ogni tanto gli mando qualcosa. Se pensa che sia utile la pubblica.

- Con tutti i guai che abbiamo trovi il tempo per scrivere …

- Proprio perché abbiamo un sacco di guai dobbiamo preoccuparci del futuro. Aiutare Alberto è un modo razionale di impiegare il tempo.

- Hai ragione. “(No) jobs act” mi è piaciuto. Però sei stato impreciso. Lo stipendio dei nuovi assunti non è di 900 euro ma intorno ai 780.

- La situazione è ancora peggio di come la immaginiamo. Ci vogliono morti.

- La cosa più triste sono alcuni commenti su Goofynomics, per esempio questo di Serendippo: "Splendido esempio di post-verità, se i commessi erano al supermercato da quarant'anni non possono essere stati licenziati così. Non rientravano nel JA. Se ne saranno andati in pensione. Ciò non toglie che i nuovi siano stati assunti col JA, però 900 euro per un commesso giovanissimo mi sembra uno stipendio equo.

- Non lo avevo visto. Che squallore. Dato che uno che fa il commesso si presume che non abbia bisogno del dottorato di ricerca per cominciare a lavorare. Probabilmente ha iniziato a 18 anni o prima. Mettiamo il caso che ho un po’ esagerato e stava lì da 38 anni e non da 40. Questo riccone va in pensione a 56 anni. Ma che cazzo di pensione potrà prendere? C’è da sperare che Serendippo sia uno dei troll del PD … oppure è uno degli esempi in cui si applica la Legge di Céline.

- La Legge di Céline?

- È nel Voyage aspetta che la cerco … ecco, è a p. 35 dell’edizione italiana … "Perché nel cervello d'un coglione il pensiero faccia un giro, bisogna che gli capitino un sacco di cose e di molto crudeli."
 
(...per i diversamente lettori di traduzioni, cioè diversamente non alfabetizzati: "Pour que dans le cerveau d’un couillon la pensée fasse un tour, il faut qu’il lui arrive beaucoup de choses et des bien cruelles". Céline non è peggiore dei suoi traduttori NdC...)
 
A Serendippo gli serve di rinascere nella prossima vita, o in questa, commesso licenziato a 56 anni. Vedrai che il suo livello di comprensione della legislazione del lavoro arriverà alle stelle.

- Ad Alberto non piace Céline ...

- Però è un artista e uno scienziato. Gli piacciono le leggi, gli enunciati cristallini, tipo la legge dell’offerta e dell’offerta o la legge Tutti=Tutti-1 … lasciamo decidere a lui se la Legge di Céline merita un suo posticino.

- Buonanotte.

- Notte.
 
 
(...la legge dell'offerta e dell'offerta è un geniale parto di Giuse. La legge del Tutti = Tutti - 1 è in effetti mia, come qualcuno ricorderà se c'era quando venne enunciata per la prima volta, ma tal Scanavacca se ne è appropriato: uno dei tanti casi di plagio, che io tollero nella mia infinita accondiscendenza - e poi Scanavacca mi serve perché gestisce il mercato dei derivati sui clic - aka simonia. La legge di Céline è di Céline...)

Che c'entra l'euro con l'articolo 18?

Mi è stata fatta questa domanda.

Io sono schiacciato da una mole di lavoro impressionante, che spero porti a un qualche risultato concreto prima della fine dell'inverno. Se ci sarà, ne parleremo. Intanto, visto che andiamo per i sei anni passati al vostro riverito servizio, potreste farmi la cortesia di rispondere al mio posto? Visto che mi aspetta a breve il confronto umanamente devastante col mio fallimento nello smuovere la sinistra, datemi un premio di consolazione: fatemi illudere che almeno uno di voi abbia capito qualcosa.

E allora: che c'entra l'euro con l'articolo 18? O, se vogliamo allargare l'obiettivo: perché le riforme del mercato del lavoro sono organicamente connesse all'integrazione monetaria, ne sono la necessaria (e perversa) conseguenza?

Non allargo ulteriormente, altrimenti vi impantanate.

Vediamo se oltre a cazzeggiare sapete anche dare una risposta argomentata, scritta in italiano, e compresa nei circa 4800 caratteri che i commenti del blog vi consentono.

Siete quasi 4000: uno col pollice opponibile ci sarà pure! Gli chiederei di smettere di usarlo per un attimo, e di azzardare una risposta.

Premio: la mia gratitudine.




(...capisco che ci vuole un'avversione al rischio pressoché nulla, e una devozione al guru pressoché infinita...)

domenica 8 gennaio 2017

Addendum al QED precedente

(...m'ha detto micuggino che ne ha fatta proprio tanta...)

Creatura aveva espresso il desiderio di riprendere gli sci.

Dato che in questo periodo se mi chiede la Luna chiamo la Nasa ho fatto un bel sorriso e l’ho portato a Roccaraso anche se sono fuori allenamento e non me la sentivo tanto.

Adesso parla l’ex alpinista che ha fatto solo soletto Gran Paradiso, Monte Rosa e Monte Bianco (più varie cosette al Gran Sasso d’inverno): arrivato il maltempo ho messo le catene e siamo partiti in fretta e furia.

Sull’Altopiano delle Cinque Miglia è arrivato l’inferno: giuro che non ho avuto mai tanta paura. Ho pensato che non la raccontavamo o che ci avrebbero salvato i Vigili. Vedo che il Padreterno li aveva risparmiati per qualcosa di più serio.

Mai vista una cosa del genere. Arrivati a Sulmona abbiamo baciato la terra.

Che Dio li maledica.



(...lo farà...)



sabato 7 gennaio 2017

QED73: perché le donne non fanno più figli (una storia europea)

Vi ricordate di Filiberto di Chalon, principe di Orange, signore di Arlay, Nozeroy,  Rougemont, Orgelet e Montfaucon, conte di Charny e Pentièvre, visconte di Besançon, principe di Melfi, duca di Gravina, e vicerè del Regno di Napoli? Sì, proprio lui, quello che nacque il 18 marzo del 1502 a Lons-le-Saunier da Giovanni IV di Chalon-Arlay e Filiberta di Lussemburgo, figlia di Antonio di Lussemburgo. Tranquilli, non vi rifaccio tutto il pippone genealogico: avrete avuto la bontà di leggerlo qui, e la beatitudine di non capire un cazzo, come al solito.

Vediamo se leggendo questa notizia capite...

Non capite? Allora vi metto un richiamo:



Una delle tante previsioni di questo blog si dimostra corretta, la più certa e la più triste.

Condizioni di tempo non inusuali, e l'evento non innaturale di un parto può trasformarsi in una tragedia - e se non lo fa, è solo per la dedizione e l'eroismo di quegli stessi servitori dello Stato che vengono regolarmente denigrati e vilipesi dai media servi e bancarottieri.

Sul Piano delle Cinque Miglia una volta morivano i mercenari altrui. Ora rischiano la vita le nostre donne, nel tentativo di mettere al mondo i nostri figli. A proposito: se andate a sciare a Roccaraso, tranquilli! Nel caso qualcosa vada storto, vi farete una bella gita in elicottero fino a L'Aquila. L'ortopedia più vicina l'hanno chiusa, o la stanno per chiudere, mi dicevano (ma voi verificate). Del resto, a che servono gli ospedali? L'ha detto Giampaolo Galli, l'ha ripetuto Michele Emiliano: i piccoli ospedali sono pericolosi. Evidentemente, secondo loro, lo sono molto più di una gita in elicottero durante una tormenta di neve, che comunque costa di meno... a loro!

Il Signore è infinitamente misericordioso e saprà lui come regolarsi. Un FATE PRESTO sarebbe blasfemo: lo soffoco nel mio petto.

Voi, nel frattempo, tranquilli: continuate a dire che Tizio ha toni inaccettabili, che Caio nel 1996 ha fatto questo e quest'altro, che Sempronio non sa come si usa la forchetta a tavola, e che Mevio quindici anni fa ha votato la legge tale.

Estinguetevi così, con dignità, e soprattutto senza far piangere la Madonnina del rigore di Bruxelles...

giovedì 5 gennaio 2017

Rivalutare l'euro: io non sono un economista ma...

Ho sentito il dibattito su Radio3 di oggi. Quando ha iniziato a parlare tal Ferrera ho pensato "Ma questo ci tiene a premettere di non essere un economista e poi centra tutto il suo discorso pro Euro su argomenti prettamente economici? Mah, è come dire non so di cosa sto parlando ma voglio dire la mia lo stesso! Spero glielo facciano notare". Poi c'è stata la tua replica, e ho sorriso.

Se posso avrei tre domande: 
1) capisco bene che gli USA vogliono un euro più forte per vendere i loro prodotti sul mercato europeo, e che quindi non sono contenti che l'europa (leggi Germania) non rivaluti? Se ho capito bene sorge la domanda
 
2) Che strumenti di pressione hanno gli USA sulla Germania per ottenere una rivalutazione dell'euro?

3) Se ce la fanno vorrà dire che in Europa per recuperare la competitività perduta in seguito a rivalutazione si dovranno svalutare ancora di più i salari o mi sbaglio?

Ciao e grazie

Massimo

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Massimo Turatto PhD
Professor
Center for Mind/Brain Sciences (CIMeC)
University of Trento




Credo che la risposta sia molto semplice. Gli USA già con Obama hanno esperito tutte le possibili strade aperte alla moral suasion: prima hanno inserito la Germania nella lista dei paesi manipolatori di valute, poi hanno fatto scoppiare una serie di scandali tirando fuori segreti di Pulcinella vari assortiti (da VW a DB), poi hanno fatto parlare il partigiano Joe, ma la Germagna gnente: sta lì, convinta (come lo erano tutti i miei interlocutori odierni) che chi esporta è bravo, e che quindi al mondo tutti dobbiamo essere esportatori netti.

Verso dove?

Non si sa, ma il punto è che dobbiamo essere tutti sopra la media, come competitività, e quindi sotto la media, come prezzo. Il prezzo medio di un chilo di qualcosa è 3 euro? Dobbiamo tutti esportare, e quindi dobbiamo tutti produrlo a 2.5 euro al chilo.

Sì, c'è un problema, lo so. Ma i tedeschi non lo sanno.

Ecco, forse il problema del professor Ferrera, se posso, non è tanto di "non sapere l'economia ma" volerne parlare ricorrendo all'auctoritas di persone che questa auctoritas non hanno (come ha dimostrato Mario Nuti sul Manifesto e come ho puntualizzato io sul Fatto Quotidiano, smontando i loro scenari bufala quando ancora non si parlava di debunking), quanto il fatto di non rendersi conto che la media fra 3 e 2 non può essere 1 (vi risparmio la dimostrazione). Il professor Ferrera potrebbe allora dirmi di "non essere nemmeno un matematico quindi", e allora io resterei sconsolato a constatare che i politologi non hanno ancora voluto prendere in considerazione una cosa che sta sul libro di mio figlio (nel triennio delle superiori), cioè la relazione fra mercantilismo e imperialismo.

Un naturalista che non riconoscesse un elefante quando lo incontra avrebbe la mia solidarietà, nel senso che lo accompagnerei da un oculista. Ma una volta accertato di aver rimediato ad eventuali deficit percettivi (e su questi Massimo ci è stato maestro), fermo restando il rispetto che si deve a tutte le persone e a tutte le opinioni, tenderei a non prenderlo in considerazione qualora mi trovassi a decidere se l'animale che ho davanti è un cobra o un cerbiatto.

Lo stesso vale per un politologo che non riconoscesse, quando lo incontra, un progetto imperialista sul quale molti suoi colleghi hanno seri e motivati dubbi, e si baloccasse con l'idea che un progetto difeso con le unghie e coi denti dalla grande finanza internazionale sia stato concepito a beneficio degli umiliati e offesi...

Sed de hoc satis.

Il professore mi era sembrato persona equilibrata: difendere l'euro in nome dei redditi della povera gente mentre il paese è distrutto dalla deflazione necessaria per riportarci in surplus non collima esattamente con questa mia impressione. Devo ammettere di essermi sbagliato, elaboro il lutto e tiro avanti.

Tornando al punto, con le buone gli USA ci hanno provato, ed era ovviamente loro interesse tentare prima questa strada perché, come ho chiarito svariate volte, è chiaro che l'uscita avrà costi anche e soprattutto per il Nord, e che il sistema finanziario statunitense è così legato a quello tedesco da voler rinviare il redde rationem, nel quale ci sarebbero costi anche per le banche USA. Ancora più importanti sono i risvolti politici. Diciamo i "democratici" non vedevano un particolare interesse nel far scoppiare un disastro prima delle elezioni USA, né ora credo nessuno lo veda nel farlo scoppiare prima delle elezioni francesi. Poi ci sono quelle tedesche (prima ci saranno state quelle olandesi) e a quel punto sai come si fa a far rivalutare l'euro dei tedeschi? Lo si fa ridiventare il marco! Molto dipende, naturalmente, da come andranno le cosa in Francia.

Ma anche su questo stiamo lavorando: c'è tanto da studiare, per chi desideri farlo con umiltà ed onestà intellettuale.

Se le cose andranno così, questo vorrà dire, ovviamente, che i tedeschi non potranno più esportare deflazione salariale. Il loro surplus commerciale si tradurrà in un apprezzamento della loro valuta, e non nella necessità per i loro "competitori che però sono anche compagni di squadra" (ben strano ruolo) di svalutare i propri salari. Si tratta insomma del meccanismo che Meade auspicava nel 1957 (sessanta anni or sono) e che ho descritto a p. 389 de "Il tramonto dell'euro": non impedire ai tedeschi di rivalutare. Naturalmente molto dipende da come la cosa verrà gestita, e anche su questo il mio testo del 2012 è piuttosto esplicito. Chi non lo ha voluto leggere con onestà intellettuale, sproloquiando di uscita a sinistra, ha regalato al capitale cinque anni di tempo per fare il porco comodo suo, anni che il capitale ha usato per tagliare le pensioni, fare il Jobs Act, ecc. Fra questi non c'è il professor Ferrera, che però occorrerebbe riflettesse sul fatto che la sua giusta preoccupazione per i deboli è un pochino fuori tempo massimo: bisognava preoccuparsene prima che arrivasse Monti...

Ovviamente ci saranno anche dei problemi di transizione: ad esempio, nell'imminenza del botto il dollaro diventerà un bene rifugio e quindi, invece di deprezzarsi per la rivalutazione attesa del marco, tenderà ad apprezzarsi perché visto come un safe haven.

Questo è come la vedo io, tenendo presente che sarebbe meglio avere un governo amico di Trump piuttosto che nemico della Merkel, per il semplice motivo che in ogni caso Trump e Merkel (o chi per lei) devono mettersi d'accordo per spartirsi i costi dell'operazione, e i tedeschi vogliono le nostre case e il nostro oro, come hanno chiarito a più riprese.

Perdonatemi se non metto molti link, ma vado veramente per uno. Quando saprete perché mi perdonerete se per una volta non ho potuto essere la vostra segretaria.



(...a proposito: spettacolare Daveri che liquida il "dividendo dell'euro"! I tassi ora sono scesi a causa di tendenze globali, non della moneta unica! Stranamente è quello che noi abbiamo sempre detto, perché era scritto nella letteratura scientifica. Ma il suo discorso richiede un commento più approfondito: ora devo occuparmi di altre persone che lui stesso non esiterebbe a riconoscere come meritevoli di più immediata attenzione. Con immutata stima...)

martedì 3 gennaio 2017

Frumentationes

...e, come previsto, arriva il reddito della gleba.

Lo chiamano reddito di inclusione (sottinteso: sociale), per non far capire il suo scopo: quello di rendere socialmente sopportabile l'esclusione (perenne) dal mercato del lavoro, sedando il dissenso degli esclusi con una mancetta (e anche in questo abbiamo fatto scuola: non è buon maestro chi non è superato dall'allievo).

Insomma: è la carota, la carotina, degno complemento del nodoso bastone della censura (quello che brandiscono i crociati "antibufala"). Alla fine l'importante è che ci si dimentichi dell'art. 1 della Costituzione, per non parlare dell'art. 36, che è, quello, roba da palati fini...

Perché ora?

Bè, qui ci aveva visto giusto Luciano, il primo che aveva attirato il mio sguardo sulla possibile evoluzione di questa simpatica manfrina. Proponendo il reddito della gleba il PD oggettivamente spiazza gli ortotteri, per i quali questa battaglia demagogica è il sudario che occulta agli occhi dei tanti gonzi "de sinistra" le loro turpi pudenda liberiste. E quale momento migliore di quello attuale per tirare una simile stoccata? Ora che la Raggi li sta tirando a fondo (ma molto meno di quanto Renzi creda), certo, gli ortotteri sono indeboliti politicamente (tant'è vero che, se non capisco male, il loro giacobinismo si è lievemente attenuato, per ovvi e prevedibili motivi), e quindi per il PD partire di reddito della gleba è come bastonare uno che caca (per dirla su un registro greve), o maramaldeggiare (per dirla su un registro aulico). In questo modo sperano (sbagliando) di non sfaldarsi alle prossime elezioni, che stanno tirando il più possibile in lungo anche per dare queste mancette (perché proprio non riescono a capire che i fondamentali remano contro di loro e che comunque gli italiani non si faranno comprare così facilmente)...

Ma perché farlo annunciare al ministro dell'agricoltura?

Bè, dai, questa è semplice! E chi altro dovrebbe annunciarle le frumentationes!?

Benvenuti nell'impero d'occidente. Ora manca solo l'imperatore...


(...come sapete, io mi sono candidato. Nil difficile volenti. Se siete carini con me, avrete tanto buon reddito. Altrimenti... vi darò in pasto alle mie murene!...)

domenica 1 gennaio 2017

Le post-verità del Corsera

Quanto sto per illustrarvi non tornerà nuovo a chi mi segue.

Ho già avuto modo di notare in diverse sedi (ad esempio sul Fatto Quotidiano) come il Corriere della Sera sia uno dei quotidiani più impegnati nella riscrittura della storia economica italiana sulla base di dati statistici errati, in base al noto principio orwelliano secondo cui chi controlla il presente controlla il passato (perché può riscrivere la storia) e chi controlla il passato controlla il futuro (perché può orientare l'opinione pubblica inducendola a credere che nel passato siano stati fatti solo errori da ripudiare, e non vi fosse invece anche qualcosa di buono da recuperare).

Così, già nel 2012 vi feci notare che la ricostruzione della crisi del 1992 fornita dal Corsera riportava in modo errato dati misurabili (in particolare, affermando che i tassi di interesse sui titoli del debito pubblico erano saliti dopo la svalutazione della lira, quando invece erano scesi, per il semplice motivo che non c'era più motivo per tenerli alti, come vi ho spiegato per filo e per segno a suo tempo). Nel 2014, poi, in piena campagna elettorale per le europee, il Corsera ne sparò un'altra, tanto enorme da dover essere rettificata (e da attirare l'attenzione di Dagospia), affermando che la disoccupazione era arrivata ai livelli del 1977, quando nel 1977 era pressoché la metà: era evidente l'intento di nascondere agli elettori che quando gli italiani potevano autodeterminarsi la vita non era certo rose e fiori, ma non era nemmeno il disastro cui ci ha condotto l'attuale protettorato germanico.

Passato un altro paio di anni siamo di nuovo in una fase acuta di quella campagna elettorale permanente che è la vita politica italiana (oggi in tutta evidenza per colpa dei politici e delle istituzioni garanti che ci impediscono di andare al voto), e naturalmente il Corsera non può mancare all'appuntamento e ci elargisce un'altra perla, a firma di Francesca Basso:


Un pezzo di giornalismo spiacevole nella sua evidente tendenziosità e che riporta dati in modo non del tutto corretto.


Rinunciamo a spiegare alla dottoressa Basso che i limiti dell'euro erano stati denunciati da tempo dagli esponenti più prestigiosi della scienza economica (qui una lista non esaustiva). Mi sembra del tutto evidente che la gentilissima non voglia prenderne atto non tanto per ignoranza, quanto per una precisa scelta editoriale, volta a banalizzare come "populismo" qualsiasi critica scientificamente fondata al progetto di unione monetaria. Siccome la linea editoriale non credo la scelga lei, sarebbe sleale chiamarla a difendere una scelta non sua, e quindi sul tono fuorviante di questa nota stenderei un pietoso velo di indifferenza.

Sui dati, però, gradirei non si scherzasse, soprattutto in un momento in cui autorità garanti, agenzie al servizio di grandi interessi economici, uomini politici scarsamente consapevoli delle responsabilità del propro ruolo, stanno lanciando una battaglia in grande stile contro l'espressione del diritto di opinione e di critica, mascherandola da operazioni difensiva verso le "bufale" diffuse sulla rete. Da chi manifesta questo sacro fuoco purificatore in difesa della "verità" (prime fa tutte le grandi testate giornalistiche che tante cantonate hanno preso nel 2016) gradiremmo meno "lievi imprecisioni" nel riportare non dico teorie scientifiche (pur sempre sottoposte a revisioni in seguito all'avanzamento del pensiero), ma dati misurabili. Può anche darsi che fra qualche secolo la statura di pensatori come Oscar Giannino venga rivalutata: su questo non mi pronuncio. Ma su quante tonnellate di patate sono state vendute dalla Rutenia alla Cracozia (if any) credo che oggi, come ieri, come fra cinque millenni, faranno fede i dati doganali e di contabilità nazionale. Vorrei che accettassimo tutti, come principio metodologico, l'idea che i fatti sono una cosa e le opinioni un'altra. La frase che balbettano i propagandisti, quella secondo cui il loro lavoro è "fornire i fatti separatamente dalle opinioni" è, ne convengo, molto ingenua. Cosa costituisca un fatto, siamo d'accordo, dipende dalla natura del fenomeno e dall'atteggiamento psicologico dell'osservatore. Tuttavia questa frase è anche una plateale ammissione di colpevolezza, in molti casi, e questo è uno dei tanti.

Per chiarire cosa intendo, vi fornisco intanto i dati ufficiali sul tasso di crescita di esportazioni e importazioni dal 1980 al 2015, che potete facilmente reperire per i vostri opportuni controlli (inclusi quelli della dottoressa Basso, se vorrà farne, come sarebbe suo preciso dovere professionale), sul sito del Fondo Monetario Internazionale (organo non meno autorevole del Corsera):


Come vedete, e come (vi assicuro: mi duole sinceramente dirlo) era facilmente prevedibile dati i precedenti, le cose non stanno esattamente come la dottoressa Basso le mette nel suo pezzo. Nel grafico ho evidenziato in rosso i tassi di crescita delle esportazioni fra 2005 e 2008 (estremi inclusi). Mettendo questi dati in prospettiva (cosa che un professionista dell'informazione dovrebbe poter fare, anzi, semplicemente: dovrebbe fare) si vede immediatamente che questo periodo può sembrare un boom solo per una illusione ottica, ovvero per il fatto di trovarsi fra due recessioni: quella di inizio millennio, dovuta alla fine della bolla delle dot com, e quella iniziata nel 2007 con la crisi dei subprime, e poi proseguita fino ad oggi in varie forme. Tanto per essere chiari, il tasso di crescita delle esportazioni più alto nel periodo in questione si è avuto nel 2006 ed è stato pari all'8.22%. Nel periodo dal 1980 al 2015 (cioè su 36 osservazioni) tassi di crescita più alti si sono registrati in ben sei anni (un sesto del campione), e la media dei tassi di crescita fra 2005 e 2008 è pari al 3.6% all'anno, del tutto in linea con quella del campione (3.7% all'anno).

Quindi boom de che?

Non solo. Il grafico mette chiaramente in evidenza (almeno, a chi voglia aprire gli occhi) come dall'entrata nell'euro il tasso di crescita delle esportazioni sia stato inferiore a quello sperimentato negli anni precedenti. Le medie sono qui:







Se dividiamo il campione fra 1998 e 1999, vediamo che il tasso di crescita delle esportazioni scende dal 4.4% al 2.8%. Niente di strano, considerando che l'ingresso nell'euro determina una fase di apprezzamento del cambio reale, visibile in questo grafico costruito con i dati della Banca dei Regolamenti Internazionali (altra fonte non meno autorevole del Corsera):



Chi mi segue sa cos'è il tasso di cambio reale, e chi non mi segue, soprattutto se è un operatore informativo, è vivamente esortato a documentarsi, ad esempio qui.

Questo grafico, peraltro, ci illustra che quella della dottoressa Basso è un autentico saldo di fine stagione: la dottoressa, certo involontariamente e in perfetta buona fede (ma mai che questi errori vengano fatti in dissonanza con la linea editoriale, eh!?), ci fornisce due bufale al prezzo di una, in quanto non solo non è vero che fra 2005 e 2008 ci sia stato un particolare boom delle esportazioni (siamo rimasti in linea con la media di lungo periodo, e il periodo appare un "boom" solo se lo si inquadra fra le recessioni che lo precedono e lo seguono, evitando di allargare l'orizzonte agli anni della lira), ma se anche il boom ci fosse stato, l'euro non avrebbe potuto esserne causa, per il semplice motivo che in quel periodo si stava, se pure lievemente, apprezzando (il che, come ogni persona mediamente acculturata in economia sa, incluso il dottor Napoletano quando gli fa comodo, rende meno convenienti le esportazioni). In realtà, sempre consultando i dati del Fmi, si può constatare come il picco del nostro export nel 2006 (e più in generale l'andamento meno insoddisfacente che nei due periodi immediatamente precedente e successivo) sia stato dovuto non all'euro (che si stava apprezzando in termini reali, rendendo i nostri beni più cari per gli acquirenti esteri), quanto al fatto che la crescita mondiale stava riprendendo, passando dal 4.9% del 2005 al 5.5% del 2006.

Già: perché questo è uno dei tanti paradossi della propaganda. Stranamente, quelli che "l'euro è solo una moneta", o quelli che "i populisti la fanno facile", sono anche quelli che poi, alla prova dei fatti, non sanno guardare in modo organico ai fondamentali dell'economia (perché ci troverebbero fatti che smonterebbero immediatamente le loro tesi preconcette).

Sono veramente preoccupato per la piega che le cose stanno prendendo.

Se fosse vero, come i giornali tentano di farci credere, che solo i giornalisti professionisti hanno gli strumenti per verificare le informazioni (e quindi sono gli unici testi fededegni della verità), allora dovremmo credere che la dottoressa Basso ci stia fornendo un resoconto deliberatamente artefatto. Io non credo che le cose stiano esattamente così: credo, ad esempio, che la mancanza di preparazione sui temi economici, dei quali oggi chiunque si sente in diritto di parlare (nonostante richiedano una seria preparazione specifica, come messo in evidenza autorevolmente da Alberto Bisin) spieghi molti di questi episodi francamente incresciosi. Certo, se invece ci fosse dolo, ciò sarebbe allarmante, anche perché, in un periodo storico in cui i dati sono a portata di click, proseguire su questa linea editoriale porterebbe al definitivo screditamento dei giornali e dell'intera professione giornalistica.

Questo, come ho già avuto modo di dire, sarebbe un grave danno per la democrazia.

Quando infatti venisse istituito dal regime attuale il Ministero della Verità, l'organo preposto al controllo delle "bufale", con il coinvolgimento dei personaggi più o meno macchiettistici o più o meno coinvolti coi servizi che abbiamo visto menzionare su Twitter, ci si esporrebbe non al rischio, ma alla certezza di due conseguenze:

(1) intanto, i movimenti di destra che fatalmente si affermeranno a causa delle demenziali politiche europee e dell'atteggiamento di rimozione psicotica della sinistra (da me denunciati fin dal 2011), se vorranno a loro volta limitare le libertà politiche, si troveranno la strada spianata dai provvedimenti fascisti che l'attuale regime sta prendendo... proprio per difendersi dall'avvento dei "fascisti" (o populisti che dir si voglia)! Paradossi non inusuali della storia: sarà stato ancora una volta il macellaio dal grembiule rosa a fare il lavoro sporco.

(2) poi, come ho già sottolineato parlando del No ai media, se i giornalisti continueranno ad operare screditando la propria professione col propalare scenari fantasiosi e irrealistici, o addirittura col fornire dati storici falsati, qualora i regimi che si affermeranno volessero dare un serio giro di vite all'informazione, secondo una loro tradizione consolidata, i cittadini non sarebbero allarmati, ma sollevati, se non addirittura soddisfatti, nel vedere che chi gli ha mentito viene silenziato.Credo che anche questo non sia un dato inusuale: ci sarebbe da studiare le dinamiche del mondo dell'informazion durante l'affermazione storica dei vari fascismi, e credo che fra di voi qualcuno in grado di illuminarci ci sia.

Questo vorrei dire a chi oggi prosegue con prassi discutibili, mentre parte per la crociata antibufala: state proseguendo su una china molto pericolosa per la democrazia, e state prendendo una direzione che porta a esiti estremamente inquietanti. Se volete combattere le bufale, cominciate dal verificare i dati che fornite voi, mettendoli nella prospettiva corretta, invece di parlare di "boom" dove non ce ne furono, attribuendoli a variabili che non potevano esserne la causa: ne beneficeranno la vostra immagine e la sostanza della democrazia.

Ma tanto so che non ascolterete: se aveste potuto, lo avreste fatto. Da quando sono entrato nel dibattito, mi è diventato trasparente con terribile evidenza il meccanismo che porta all'affermazione dei regimi totalitari. Il mondo dell'informazione è un ingranaggio essenziale di questa macchina: è sempre stato così, e sarà così sempre.

Amen.


Post scriptum delle 23:13 dopo una serata che devo assolutamente raccontarvi, ma in un'altra sede.

Mi viene in mente uno dei canti più belli della Comedia, forse il più attuale, sicuramente quello che si scolpisce di più nella mente di un fiorentino, e forse anche di un uomo (non nel senso che i fiorentini siano superuomini, ovviamente: semplicemente, gli uomini sono sottofiorentini):


Com'io al piè dello suo blog fui
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso
mi domandò: "Qual fuor li dati tui?"

Io ch'era d'ubidir desideroso
non gl'il celai, ma tutto gliel'apersi...


E allora apriamo, apriamo a Francesco Daveri (nel senso di palesiamo, disveliamo, chiariamo, squaderniamo, precisiamo, dettagliamo, illustriamo) la fonte dei dati, e in che modo essa influisca sul risultato di quanto abbiamo precisato qui sopra. Voi direte: da cosa ti deriva quest'empito dantesco? Ma, veramente io, che son per mia disgrazia uom di buon cuore, avrei considerato anche chiuso il caso Basso. Solo che Francesco mi ha rilanciato con un simpatico scambio di tweet, prima di riportarvi il quale vorrei ribadire (perché so che voi, dopo anni di insulti, di contumelie, di irrisioni, di mortificazioni, di sorrisetti di sufficienza, avete il dente avvelenato, e lo capisco), vorrei ribadire, dico, che fra i mainstreamers italiani considero Daveri (e Bisin) gli unici due che mi hanno dato prova di onestà intellettuale (nonostante il vostro avviso contrario, del quale faccio il conto che credo). Questo non significa che gli altri siano disonesti: significa che non ho le prove della loro onestà (e in alcuni selezionati casi che il tacere è bello ho le prove della disonestà). Ma nel caso di Francesco Daveri e di Alberto Bisin invece sì. Per sapere cos'è l'onestà intellettuale bisogna essere intellettuali, quindi astenersi perdigiorno e andiamo avanti. Lo scambio di tweet è questo:



Bene. Per vostra edificazione, i dati ISTAT (faccio lo screenshot) sono questi:


e in effetti salgono da 396 a 441 miliardi nel periodo oggetto del contendere. Dopo di che, con la mia copia guelfa di Excel, questo andamento dei volumi corrisponde a questi tassi di crescita:


che coincide esattamente con quella riportata dall'IMF (nota in particolare l'8.22% nel 2006). Proprio esattissimamente no, perché con i dati ISTAT, arrotondando, la crescita media 2005-2008 mi viene del 3.7%, cioè esattamente in linea con la crescita che ottengo dai dati IMF. Per vostra comodità, e invitandovi a verificare, accosto i tassi di crescita riportati dalla fonte IMF citata sopra a quelli ricavati dalla fonte ISTAT che il ghibellino Francesco sembra prediligere:


L'entità degli scarti, soprattutto nel periodo in cui il Corsera ci propone la sua post-verità, salta all'occhio per la sua inesistenza.

Nota che se invece si usa l'ultima versione dei conti ISTAT, quella targata Settembre 2016:



le cose nello stesso modo esattissimamente nello stesso modo:











...e a questo punto voi sarete indignati, e comincerete a sbraitare: "Ma perché perdi tempo con un bocconiano! Non è forse evidente che è intervenuto a puntellare la post-verità del Corsera insinuando che tu fossi un incompetente, cercando di screditare il tuo lavoro con l'affermare che le tue fonti non fossero adeguate, quando invece sono esattamente identiche a quelle alle quali lui fa riferimento, proprio perché il Fmi utilizza, nel compilare le sue statistiche, fonti nazionali? E quando anche lui avesse ragione, non si renderebbe conto di fare un clamoroso autogol? Significherebbe che quando il Fmi viene in Europa a fare le sue lezioncine non sa nemmeno di cosa sta parlando perché non ha statistiche appropriate da prendere come base per le sue valutazioni, il che, se fosse vero, sarebbe di una gravità inaudita, ancor più inaudita della scelta politica fascista di ipotizzare contro ogni evidenza tecnica disponibile che il moltiplicatore della Grecia fosse 0.5, solo perché la presidenta del Fmi e il suo garzone di bottega erano entrambi oriundi di un paese che aveva parecchi sospesi da recuperare..."

E io vi direi: calma!

Calma.

Calma.

Qualsiasi critica, quando, è costruttiva (cioè propone altre fonti da verificare, suggerisce linee alternative di ragionamento) deve essere accolta ed elaborata, perché di errori se ne fanno sempre. Per esempio, rifacendo i calcoli di questo post ho trovato un errore. I tassi di crescita dell'export che vi avevo proposto erano sbagliati per un banale errore di Excel, di quelli che i grandi economisti spesso commettono. I tassi di crescita corretti (vi invito a verificarli) sono questi:




e quindi l'entrata nell'euro in effetti ha schiacciato di 2.6, non di 1.6 punti, il tasso di crescita delle esportazioni italiane. Diciamo che l'ha più che dimezzato, così facciamo prima. Noterete anche la differenza fra gli errori dei grandi economisti (e dei grandi giornali), sempre a favore del proprio preconcetto ideologico, e il mio errore, che in effetti indeboliva la (non solo) mia tesi che l'euro fosse dannoso. Tesi che dai dati corretti esce invece rafforzata.


Cosa dovrei dire, a questo punto, a Francesco? Forse "nice try"! Ma preferisco dirgli questo:


Convertere ad datum Deum tuum, Francesco.

Per tanti, troppi anni gli economisti autoproclamatisi "comunità scientifica" hanno tentato in vari modi di ostracizzarmi, vilipendermi, schernirmi, forti dell'appoggio dei grandi media e del sostegno dell'industria finanziaria, solo perché li richiamavo al rispetto dei dati e dell'insegnamento dei tanti maestri che ci avevano insegnato a noi tutti, non solo a me, che il progetto monetario europeo era una follia. Così facendo non hanno ottenuto nulla se non lo screditare se stessi, essendo costretti dalla violenza dei fatti a dire con qualche anno di ritardo quello che la mia deontologia mi aveva imposto di dire quando me ne ero accorto (e quindi in ritardo rispetto a tanti migliori di me, e in anticipo rispetto a chi era stato incentivato a prendersela comoda).

Per quanto ancora vogliamo continuare così? Per quanto vogliamo continuare a ignorare quello che ci è stato tramandato da Dornbusch, Feldstein, Kaldor, e via dicendo (non rifaccio la lista)? Siamo sicuri di voler continuare così proprio ora che dagli Stati Uniti sta arrivando il "contrordine compagni"?

Questo post chiarisce una cosa: che è stata dichiarata una guerra civile, che è stato detto che chi oserà criticare la verità del Ministero sarà eliminato.

Quando verrà il giorno in cui questo pio desiderio di una ciurma di folli ammutinata al suo comandante (gli USA) si tradurranno in pratica, tu, Francesco, da che parte starai? Da quella dei dati ISTAT, da quella dei dati FMI (che sono uguali), o da quella del Ministero della Verità de noantri, che cercherà di convincerci che una crescita media delle esportazioni al 3.7% fra 2005 e 2008 è un "boom" dovuto all'euro, a fronte di una crescita media del 3.7% (cioè uguale) fra 1980 e 2015, e a fronte di un tasso di crescita medio dell'export che si dimezza fra il periodo precedente e quello posteriore all'adozione dell'euro?

Io lo so, io lo so qual è il problema di voi mainstreamer.

Voi sapete benissimo che io ho ragione e che i miei dati sono corretti, ma non riuscite a dirlo perché non riuscite a "microfondarlo", non riuscite cioè a tradurre il dato macroeconomico, così evidente, così limpido nella sua logica, nel vostro linguaggio autoreferenziale fatto di micro-ominidi tutti uguali, tutti intenti a un'unica cosa: ottimizzare una funzione obiettivo sufficientemente semplice da essere maneggevole in termini matematici, ma sufficientemente complicata da affascinare le dottorande.

Bene: se il problema è questo, ve lo risolvo io. Volete sapere cosa c'entra l'euro (rectius: il cambio fisso) con i nostri problemi, primo fra tutti la stasi della produttività? Leggetevi questo. Se ci lavorate un po' su, fra un paio di mesetti (a seconda della materia grigia della dottoranda) riuscirete a fare anche voi un paper che dirà con qualche anno di ritardo, ma in un linguaggio che voi possiate accettare, quello che tutti hanno capito, anche voi. L'euro alimenta le divergenze fra paesi membri, è un cancro del quale ci dobbiamo liberare, indipendentemente da cosa ne pensi il Ministero della Verità.

Perché fate così?

Non capite che questo atteggiamento non porta da nessuna parte?

Comunque, mi è stato chiesto di fare una verifica, e l'ho fatta. Esito negativo. Già che ci sono, ne faccio anche un'altra:



Esito positivo (per me).

E io continuo a essere solo, perché preferisco vincere da solo che perdere in compagnia.

Convertere...