Sappiamo che uno dei
pretesi vantaggi dell’unione monetaria era, nelle intenzioni dei suoi
proponenti, quello di rimuovere sostanzialmente il vincolo esterno per i paesi
partecipanti (lo abbiamo visto, ad esempio, anche qui, nel paragrafo “and the winner is...”).
Ma sappiamo anche cos’è
il vincolo esterno?
Mi riferisco qui non al
vincolo inteso nella sua political
economy, come ce lo descrive Featherstone, cioè al modo in cui le varie élite europee
usarono il vincolo dell’appartenenza alla moneta unica per regolare i conti in casa propria.
Presupposto di questo ragionamento è che si comprenda cosa sia il vincolo
esterno nel suo semplice ma inesorabile aspetto economico e contabile, ed è a
questo che qui mi riferisco.
Questa semplice nozione
sfugge ai più. Me ne sono accorto assistendo al seminario di Giorgio Rodano per
la presentazione di un suo lavoro, del quale vi parlavo tempo addietro, e del quale
vi devo una peer review. Sconcerta come Rodano ignori la natura del vincolo
esterno (guardate il punto iv a
pagina 7 del suo lavoro). Mi ha allietato molto, date le premesse, il tono patronizing col quale mi si è rivolto
durante la discussione, quello dello “scienziato” che parla all’“economista da talk show”, profferendo un apodittico:
“Dai, Alberto, lo sai che nella moneta unica il vincolo esterno non c’è”. Una
affermazione doppiamente fuori luogo (e non mi riferisco al tono). In effetti,
oggi l’idea un po’ bislacca che il mondo sia un free lunch, o possa essere reso tale con un particolare
arrangiamento monetario, è coltivata ormai solo da Rodano e dai memmetari.
Rodano crede ancora che in
una unione monetaria questo vincolo non ci sia, quando perfino chi aveva messo
in gioco su questa affermazione azzardata il destino di un continente ha fatto (prudentemente) abiura (sempre in base al solito principio “what have we
learned from the crisis”, atteggiamento che mi fa un po’ girare le palle,
perché se questi emeriti colleghi avevano bisogno di veder tanti morti per
capire certe cose forse non erano così emeriti, o per lo meno non così
colleghi).
I memmetari non ho capito
bene cosa credano: parlano di un mondo che dopo il Nixon shock (la decisione
presa da Nixon nel 1971 di sospendere la convertibilità del dollaro in oro) è a
moneta fiat e quindi... Il ragionamento, lo capite, già parte male: il corso
forzoso (cioè quello che loro chiamano moneta fiat per ignoranza della lingua
italiana – ma a noi piace ricordarli così, come un americano a Roma...) c’era
anche nel XIX secolo (e pure prima), il Nixon shock non è quindi un particolare
snodo epocale (che il dollaro non fosse di fatto convertibile lo si sapeva da
anni), e comunque cosa vorrebbe dimostrare questo ragionamento? Che se non
paghi in oro o in altra moneta merce non sei vincolato? Bè, allora
accomodatevi: stampatevi i vostri greenback
e andate da Auchan: vediamo che vi dicono...
Comunque, siccome tanti
personaggi, autorevoli (come Rodano) e non, continuano a parlare di vincolo
esterno in modo sfuocato, mi viene il dubbio che forse anche voi possiate non
avere le idee chiare. Se è così, mi avrete seguito fin qui sulla fiducia,
guidati dal ritmo della prosa, ma senza capire una beneamata fava, cosa che
suppongo accada spesso (se non accadesse, cioè se acquisiste una conoscenza
intima e vissuta di quanto qui si spiega, forse subireste
meno frustrazioni). Oggi purtroppo è giornata di post tecnico, quindi
preparatevi. All’inizio fa un po’ male, ma poi ci si abitua, e, fatto lo
sforzo, si crepa dalle risate quando si sentono certe affermazioni dei latecomers nel dibattito. Preciso che
questo essendo appunto un post tecnico, fa riferimento a post precedenti, e se
siete arrivati da poco vi consiglio di seguire (e leggervi) tutti i link ai
quali il post fa riferimento. L’ipertestualità c’è: usiamola. Non è possibile
portare avanti il discorso se ogni volta devo spiegare cos’è il PIL.
Il vincolo esterno
Mi stupisce che il concetto
di vincolo esterno sia così difficile da capire, perché ognuno di noi ha un
vincolo esterno. Non possiamo spendere se prima non guadagniamo, o non ci
facciamo prestare dei soldi. Il vincolo esterno è questo: l’impossibilità di
produrre da noi mezzi di pagamento che vengano generalmente accettati (possiamo
provarci, ma è reato), da cui consegue la necessità di acquisire risorse
finanziarie vendendo qualcosa (ad esempio, il nostro lavoro), se poi vogliamo
acquistare qualcosa per campare.
Possiamo, certo, ricorrere
al credito, cioè al debito: ma nel lungo periodo i debiti vanno comunque
ripagati, ed è quindi buona norma cercare di ricorrere al credito a ragion
veduta, ovvero se si ha una ragionevole certezza di produrre in futuro redditi
sufficienti. Non è una cosa così complicata da capire.
Quello che vale per
ognuno di noi nel suo mercato di riferimento, vale anche per l’insieme di tutti
noi, cioè per la nazione, nel suo mercato di riferimento, che sono i mercati
internazionali.
Un paese che non possieda
tutte le risorse delle quali ha necessità (comprese le risorse umane), e che
non produca un mezzo di liquidità internazionale di generale accettazione (in
sintesi: un paese che non possa stampare dollari americani, cioè che non sia
gli USA), deve esportare.
“Come esportare? Ma se
non ha le risorse dovrà importarle! Bagnai, a forza di fare post politici ti
sei arrugginito.”
No, caro lettore, io sono
sempre cromato: sei tu, come altri menzionati qua sopra, a non capire. Certo,
le risorse vanno importate. Ma con cosa le paghi se prima non hai esportato?
Esempio: il petrolio si
paga in dollari, siamo d’accordo? Ma i dollari non li stampiamo noi, né come
stato né tanto meno come singoli. Come possiamo procurarceli? Come se li
procura l’importatore? Esportando. Lui? No, non è necessario che sia proprio
chi vuole importare ad esportare! Basta però che il paese nell’aggregato esporti abbastanza. Esportando il nostro
paese acquisisce, direttamente o indirettamente, valuta estera. Il caso di
scuola è quello in cui l’esportatore (nazionale) viene pagato in valuta estera
(dollari). Se vuole pagare i suoi operai e i suoi fornitori nazionali, deve
evidentemente cedere i dollari alla banca centrale in cambio di valuta
nazionale. Se invece deve pagare dei fornitori esteri, cioè importare, ecco che
ha già il dollaretto pronto: ma normalmente chi esporta poi spende qualcosa sul
mercato nazionale, e quindi necessariamente deve cedere la valuta estera che ha
ottenuto, per ottenere in cambio della valuta nazionale.
Di converso, quando dico
che per acquistare una Audi una volta si dovevano acquistare marchi, qualche (finto?) tonto non capisce e: “Ma come, Bagnai! Io la mia Audi la
pagai in lire, ma cosa dici, buffone, economista da strapazzo, non è vero che
l’acquisto di un’auto tedesca comportasse l’acquisto di valuta tedesca, la
quale quindi, essendo richiesta, si apprezzava, tenendo fisiologicamente sotto
controllo il surplus strutturale tedesco”. Eh, i tonti hanno un enorme
problema: se stessi. Il mondo comincia e finisce con loro. Si saranno mai
chiesti come facesse il signor Audi a pagare i suoi operai in Germania, se le
sue macchine venivano pagate in lirette? Certo l’operaio tedesco la liretta non
l’avrebbe voluta, primo perché secondo gli imbecilli faceva schifo, e secondo,
per un motivo più serio: in Germania non circolava, e quindi non sarebbe stato
possibile per l’operaio o il fornitore tedesco né accettarla né, se l’avesse
accettata, spenderla! E allora? E allora quello che il tonto non sa è che le
lire che lui dava al concessionario venivano convertite in marchi dal signor
Audi (e infatti il prezzo della macchina tedesca teneva anche conto di quanto
il marco costasse in lire). Il marco, materialmente, lo comprava l’esportatore
tedesco (per pagare i suoi virtuosi operai): ma la domanda di marchi da lui
espressa sul mercato valutario traeva origine dal nostro amico tonto e dal
suo desiderio (legittimo) di avere un Audi.
È chiaro? È così strano?
Voi veramente pensavate che gli operai tedeschi venissero pagati in lire? E
allora perché gli operai italiani non venivano pagati in franchi francesi, o
magari in pesetas? Lo capite, no, che c’è un mercato dei cambi, giusto?
Oh, attenzione! Non sto
dicendo che ogni calzaturiere marchigiano, ogni carpentiere lombardo, ogni
tessitore toscano, dopo aver esportato qualcosa, si metta a cavallo di un
asinello con il suo cestino di dollari e vada a fare la coda di fronte
all’ufficio di Ignazione nostro a palazzo Koch per farsi dare gli euro. Questo
causerebbe enormi problemi al traffico romano, con via Nazionale perennemente
bloccata, e non è necessario: è
evidente che queste transazioni sono mediate dal sistema bancario. Che è poi
quel sistema al quale si rivolgerà l’importatore quando vuole il dollaretto per
comprare il petroliuccio (ma anche la bentonite, per dire,
visto che a Ponza è finita). Il punto però è che al sistema bancario
italiano (e in definitiva alla banca centrale, nelle sue riserve valutarie) la
valuta estera deve arrivare in qualche modo. Quando finisce, il paese non ha
più i mezzi per importare.
Prova ne sia, cari amici,
che le riserve ufficiali di un paese si misurano, oltre che in dollari, anche
in mesi di importazioni, come potrete constatare sul sito dei World Development Indicators. Come si fa il calcolo? Ma è semplice: vedi qual
è il flusso medio di importazioni che un paese sostiene per tirare avanti, e
quante sono le riserve che ha in cassa. Se le importazioni medie sono 20
milioni di dollari e le riserve valutarie sono 40 milioni di dollari, il paese
ha 40/20=2 mesi di importazioni coperti, ovvero: se anche non esportasse più
nulla (acquisendo così altra valuta pregiata) potrebbe comunque tirare avanti
per altri due mesi pagando cash. Poi, ovviamente, per tirare avanti, se non
ricomincia a esportare può sempre far debiti, certo. Ma non per sempre. Tanto
per, date un po’ un’occhiata a quanti mesi di importazioni ha la Grecia. E la
Cina? Eh, sì, la Cina sta messa un pochino meglio. Ma c’è anche chi sta peggio,
tipo il Sudan.
Bella l’economia vera,
eh, spiegata dai professionisti, ve’? Quante cose interessanti si imparano o si
ripassano. Abbiamo appena imparato che se non vuole fare debiti esteri, un
paese è opportuno che abbia i conti esteri bilanciati. Più esattamente, è
opportuno che sia in sostanziale equilibrio di lungo periodo il saldo delle
partite correnti, cioè la differenza fra esportazioni di merci e servizi e
redditi e trasferimenti attivi da un lato, e importazioni di merci e servizi e
redditi e trasferimenti passivi dall’altro. Lo abbiamo descritto in dettaglio qui, se interessa.
Formalizziamo
Oggi dobbiamo essere
tecnici, quindi passiamo a un modello, semplice semplice, che ci aiuterà a
fissare le idee sul ruolo del vincolo esterno. Nel suo articolo del 1979 sul vincolo esterno come determinante dei
differenziali di crescita fra paesi, Tony Thirlwall parte da una relazione estremamente semplice. Se chiamiamo
X le esportazioni, e M le importazioni, di fatto un paese nel lungo periodo
avrà una situazione finanziariamente sostenibile, cioè non accumulerà debito
estero insostenibile, se:
X = M
(cioè se il saldo
commerciale, preso come proxy del
saldo delle partite correnti, è in media bilanciato nel lungo periodo).
Possiamo considerare
questa condizione la traduzione formale del vincolo esterno. Aggiungo subito
tre cose:
1) noterete che in questa
relazione quale sia la moneta di riferimento, se sia unica, a cambio fisso, a
cambio flessibile, merce, a corso forzoso, ecc., non rileva. Anche in
un’economia di baratto, per dire, se vuoi un cammello devi dare tre donne (è il
mio tasso di cambio, e aggiungo subito che non saprei cosa fare né con l’uno né
con le altre, quindi l’esempio è puramente speculativo). Semplicemente, X = M
significa che non esiste un mondo nel quale qualcuno ti dà qualcosa per niente.
Quale sia il mezzo tecnico del trasferimento di valore fra i soggetti coinvolti
(baratto, clic del mouse, promesse, ecc.) semplicemente non è rilevante, cioè non
rileva, cioè non ha alcuna importanza, cioè non influisce sul principio di
fondo, a meno che non siate memmetari. Ma io non faccio lo psichiatra. Faccio
l’economista, e quindi ribadisco: se tu non X, allora tu non M, a meno che tu
non accumuli del debito, nel qual caso nel lungo periodo tu esplodi. Certo, se
sei gli Stati Uniti rinvii il momento del botto, perché la tua carta la
vogliono un po’ tutti. Ma il botto alla fine arriva anche per te (devo fare
esempi?).
2) a cosa ci serve
formalizzare una cosa così semplice, cioè il fatto che nessuno dà niente per
niente? Ci serve eccome! Ci permetterà infatti di vedere in che modo il vincolo
esterno condiziona la crescita di un paese (il contributo di Thirlwall è tutto
lì).
3) per contentare i
“maestraaaaa...”, dico subito che X = M è una condizione sufficiente ma non
necessaria per la sostenibilità dei conti esteri. Per il momento ce la teniamo
così, poi, se ci sono molti ingengngnieri che fanno domande tecniche, faccio
rapidamente un post tecnicissimo per loro così chiarisco il punto. Ma anche
questo punto non è enormemente rilevante ai fini dell’argomento.
Con queste tre
annotazioni, vorrei spiegarvi cosa fa Tony nel suo articolo del 1979. Dice: se
partiamo da una situazione bilanciata, e vogliamo che resti tale, bisognerà che
importazioni e esportazioni si sviluppino allo stesso tasso di crescita. Dopo
di che, siccome il tasso di crescita delle importazioni dipende da quello del
reddito, è chiaro che allora il vincolo esterno vincola la crescita del
reddito.
Sviluppiamo il ragionamento in tre passi.
Sviluppiamo il ragionamento in tre passi.
Passo 1: il mantenimento dell’equilibrio richiede
che esportazioni ed importazioni crescano alla stessa velocità (tasso di
crescita)
Qui invoco la mia musa ispiratrice, ma siccome so che siete de coccio (detto con
affetto), fornisco esempio numerico. Supponiamo che le importazioni
inizialmente siano 100. Se X = M, saranno 100 anche le esportazioni. Ora, se le
importazioni crescessero del 3% e le esportazioni solo del 2% all’anno, l’anno
dopo il paese andrebbe in deficit:
X – M = 102 – 103 = - 1
L’equilibrio si mantiene
solo se import e export crescono allo stesso ritmo, cioè se:
dove il puntino indica appunto
il tasso di crescita delle rispettive variabili.
Passo 2: la crescita delle importazioni dipende da
quella del reddito
Ora, vi ricordate come
funziona la domanda di importazioni? Dipende dal reddito con una relazione
normalmente ad elasticità costante e maggiore di uno. Del concetto di elasticità
(rapporto fra due variazioni percentuali) abbiamo parlato diffusamente qui, e della sua misura nella funzione delle
importazioni ad esempio qui. Nel presentare il moltiplicatore del modello di
a/simmetrie, vi ho fatto vedere che una funzione a elasticità costante è una
cosa del tipo:
(se vi leggete il post
troverete un esempio con m = 0.004 e p = 2). Se prendiamo i tassi di variazione delle due
variabili M e Y, questa relazione diventa semplicemente:
(la costante m scompare, se ne prendi la variazione).
Questa, se ci fate caso, non è altro che la definizione di elasticità come
rapporto fra variazioni percentuali:
Passo 3: quindi il vincolo esterno vincola il
tasso di crescita dell’economia
Per vederlo facciamo un
passo indietro, e sostituiamo nella condizione di equilibrio della bilancia dei
pagamenti presa in tassi di variazione, la funzione delle importazioni in tassi
di variazione:
Chiaro il passaggio?
Siccome la variazione delle importazioni è p greco per la variazione del PIL,
metto quest’ultima nella condizione che uguaglia la variazione delle
importazioni a quella delle esportazioni.
Risultato?
Il risultato è che posso
risolvere rispetto al tasso di crescita del PIL, ottenendo questa formula:
Che cosa mi fornisce
questa formula? Per costruzione, visto che l’abbiamo ottenuta da una condizione
di equilibrio di bilancia dei pagamenti, mi fornisce il tasso di crescita
compatibile con il vincolo esterno. Cosa intendiamo per compatibile con il
vincolo esterno? Che se il tasso effettivo di crescita è superiore a quello
definito dalla formula, il paese andrà in deficit estero: il suo reddito
“correrà” troppo, ma allora correranno troppo anche le sue importazioni, più di
quanto sarebbe necessario per tenerle in equilibrio con le esportazioni, e il
paese comincerà ad accumulare debito estero. Naturalmente se il tasso è
inferiore a quello definito dalla formula il paese tenderà al surplus:
reprimendo la domanda interna, tenderà a diventare creditore netto (vi ricorda
qualcuno)?
Può un paese scostarsi a
lungo dal tasso di crescita compatibile con l’equilibrio esterno?
No.
Se si scosta verso l’alto
(e potrebbe farlo ad esempio nelle fasi iniziali del ciclo di Frenkel) si
indebita, ma poi alla fine va in crisi, entra in recessione, e la crescita
eccessiva iniziale fa media con la recessione finale, restituendo qualcosa di
vicino in media al tasso di crescita compatibile con l’equilibrio esterno.
Va un po’ meglio a chi si
scosta verso il basso, perché diventa creditore netto, situazione più comoda.
C’è un’asimmetria. Il discorso ovviamente è complicato (e la letteratura sulla
“legge di Thirlwall”, come viene definita la relazione che vi ho mostrato,
sterminata). Diciamo che il tasso “compatibile con l’equilibrio
esterno”, ovvero “vincolato dalla bilancia dei pagamenti”, è quanto meno un
limite superiore per il tasso di crescita effettivo.
Verifichiamo
Ma il vincolo esterno è
effettivamente tale? In altre parole: la necessità di non importare troppo per
evitare di incorrere in sbilanci esteri, e quindi la necessità di non crescere
troppo in fretta, vincola effettivamente la crescita dei paesi?
La risposta è sì, e lo si
vede se si confrontano i tassi di crescita di lungo periodo dei vari paesi con
il vincolo esterno definito dalla legge di Thirlwall (cioè con il loro tasso di
crescita vincolato).
Esiste una letteratura
sterminata in proposito, ma possiamo fare anche noi una rapida verifica alla
boia d’un Giuda prendendo i soliti dati del Fmi e calcolando l’elasticità al
reddito delle importazioni come abbiamo fatto in questo post, cioè come
rapporto fra il tasso di crescita delle importazioni e quello del reddito.
Tenete presente che la versione del modello che stiamo considerando è ipersemplificata
(non tiene conto della dipendenza di esportazioni e importazioni dal tasso di
cambio reale), e che le stime sono fatte veramente con la mano sinistra.
Ciononostante, prendendo tutti i paesi per i quali il World Economic Outlook
presenta i dati, il calcolo sommario che vi ho descritto fornisce una cosa di
questo tipo
Ci sarebbero lunghi
commenti da fare. Per gli espertoni: la retta a 45° è quella lungo la quale
tasso vincolato ed effettivo coincidono. Noterete che ci sono molti punti al
disotto (tasso effettivo inferiore a quello vincolato). Ci sono anche punti che
danno valori francamente assurdi (tassi di crescita vincolati a due cifre,
oltre il 40% l’anno). Ma questi outlier
(paesi che giacciono fuori – lie out
– dalla retta) sono tutti paesi molto particolari: tutti piccolissimi (quindi
con una certa volatilità dei flussi commerciali), alcuni con petrolio, alcuni
con guerre, molti con entrambe: Bahrain,
Bosnia and Herzegovina, Cambodia, Dominican Republic, Equatorial Guinea, The
Gambia, Guinea-Bissau, Kosovo, Myanmar. In questi 9 paesi il tasso di crescita
vincolato risulta superiore a 10 punti percentuali (e in alcuni di questi lo è
stato anche quello effettivo: penso in particolare alla Guinea Equatoriale, la
cui performance spettacolare però è ben poco significativa, come sicuramente
alcuni di voi sapranno – e lo diranno agli altri!). Se togliamo questi 9 paesi
decisamente anomali e ci teniamo gli altri, dove comunque c’è di tutto, dalla
Danimarca all’Iran, dall’India all’Ecuador, dalla Nuova Zelanda alla Romania),
la capacità esplicativa del modello praticamente raddoppia: ora il tasso
vincolato spiega il 56% della variabilità fra paesi dei tassi di crescita.
Poveri libberisti...
Apro e chiudo una
parentesi per segnalare che questo risultato non solo è molto robusto, ma è
anche dirompente per il modello di crescita preferito dai nostri amici
libberisti. In quel modello la differenza fra i tassi di crescita dei paesi è
spiegata dal livello iniziale del reddito (in base all’ipotesi che in paesi più
arretrati il capitale è più produttivo e quindi la crescita sarà più rapida: è
il famoso catch-up, che non è il
ketchup). La relazione quindi dovrebbe essere negativa: a condizioni iniziali
pietose dovrebbe corrispondere crescita folgorante, e viceversa. Tuttavia
questo modello, basato sul modello di Solow,
non sempre funziona bene come quello di Thirlwall. Se prendiamo gli stessi dati
che abbiamo utilizzato per verificare la legge di Thirlwall, viene fuori sullo
stesso campione una cosa simile:
Attenzione: in questo
caso la relazione è negativa e deve esserlo: i paesi più a sinistra (con
reddito iniziale minore) in teoria devono essere più in alto (crescita media
nel lungo periodo superiore). Tuttavia qui, dopo aver tolto una quarantina di
paesi anomali (i 9 sopra, più altri per i quali per qualche motivo mancava il
livello iniziale di reddito) il massimo che si riesce a ottenere è che il
modello spieghi l’11% della variabilità internazionale dei tassi di crescita.
Consci di questo fatto,
neoclassici e neokeynesiani
il modello di Thirlwall preferiscono ignorarlo. I neoclassici, per migliorare
le cose, a partire dagli studi di Barro
e di Mankiw
et al. inseriscono una serie di
altre variabili che “condizionano” la crescita e quindi spiegano la differenza
nei percorsi di recupero dei vari paesi: il capitale umano, il livello degli
investimenti, la spesa pubblica (messa in tutte le salse fino a quando non esce
con coefficiente negativo), l’accesso al mare, il frazionamento etnico, lo
scontrino della lavanderia, qualsiasi cosa, insomma, pur di non mettere il
commercio estero. Se viene messo, il commercio viene messo come “grado di
apertura” (openness): la somma di export e import, il tutto diviso per il Pil.
Sì, proprio così: quindi un paese che esporta 50 e importa zero, con un Pil di
100, conta come un paese che esporta zero e importa 50 (se il Pil è 100 anche
in questo caso). Ovviamente il primo paese non salterà per aria e il secondo
sì, ma questo ai neoclassici non sembra interessare molto. Il fatto è che se si
inserisce questa variabile insensata, essa normalmente ha un segno positivo
(“ah, vedi, allora liberalizzare il commercio aiuta la crescita: orsù, si
liberalizzi, libberismo, libberismo!”), ma lascia più o meno invariata la
significatività statistica delle altre variabili “offertiste” (investimenti,
spesapubblicabrutto, ecc.), per cui il modello non salta.
Ma se provi a metterci il
tasso di crescita vincolato, come esplicativa, regolarmente quello si “mangia”
completamente le altre variabili, il cui contributo alla spiegazione della
crescita effettiva piomba a zero.
Divertente, ma non per i neoclassici...
E nota: se spieghi la crescita
del prodotto con la crescita delle esportazioni sic et simpliciter, anziché con il vincolo esterno (cioè se non
dividi la crescita delle esportazioni per l’elasticità delle importazioni al
reddito), la relazione che ottieni è molto meno forte:
Insomma, non basta
considerare quanto si esporta. Bisogna anche considerare quanto si dipende dall’estero.
Approfondiamo questo
punto.
Significato economico
La relazione c’è, i dati
la supportano. Proviamo a interpretarla. Intanto abbiamo visto che il tipo di
arrangiamento monetario sottostante ha poco a che vedere con il vincolo. Il
vincolo ha natura reale (da res, rei),
non monetaria: dipende dalla necessità, se vuoi una cosa, di darne via un’altra
(fosse anche la tua forza lavoro). Ripeto: come questo scambio venga mediato
non ha particolare rilevanza. Può anche essere mediato dal credito: ma il
credito non fa che spostare nel tempo la necessità di reperire le risorse per
effettuare un pagamento. È il suo bello (se le risorse riesci a reperirle) ma
anche il suo brutto (se non riesci a reperirle: citofonare Trippas). Viceversa,
i parametri chiave del vincolo esterno sono due, e sono entrambi “reali”
(riferiti a grandezze non monetaria) e “strutturali”: il tasso di crescita
delle esportazioni in termini reali (cioè la crescita del volume di beni venduti all’estero), e l’elasticità delle
importazioni al reddito.
La crescita delle
esportazioni è al numeratore (sta “sopra”: proporzionalità diretta), il che
significa che più esporti, e più puoi
permetterti di crescere. Non è detto che tu lo faccia. Potresti farlo senza
fallire (per colpa del debito estero). Ma potresti non volerlo fare perché vuoi
far fallire gli altri (citofonare Merkel): in questo caso, reprimerai la
domanda interna, cioè non distribuirai la giusta mercede ai tuoi operai, Dio si
incazzerà un pochino, ma tanto a pagare gli operai e a morire c’è sempre tempo,
e nel frattempo la tua crescita sarà inferiore al massimo potenziale. Questa
cosa è importante da capire (ed è anche fonte di infinite disquisizioni
teologiche che vi risparmio, e che in effetti sarebbero il mio vero lavoro, fra
gli economisti post-keynesiani). Il modello di Thirlwall non è, come qualcuno
tende a banalizzarlo, un modello di crescita export-led (guidata dalle esportazioni). Non dice esattamente che
le esportazioni causano la crescita.
Dice che le esportazioni vincolano la crescita. Non dice che se esporti molti
crescerai molti. Dice che se esporti poco e cresci molto poi fallisci (perché
hai anche importato molto, ma esportando poco non avevi le risorse per farlo).
In questo senso il modello è asimmetrico. Se volete, si può usare la classica
metafora della corda, quella che si usa per la politica monetaria: anche le
esportazioni sono una corda, nel senso che secondo la logica del modello non
puoi usarle per “spingere” la crescita, ma se non ne hai abbastanza ti tengono
la crescita col guinzaglio a strozzo (e gli strozzini si sa chi sono: i famosi
mercati).
Al denominatore (cioè
sotto: proporzionalità inversa) c’è invece l’elasticità delle importazioni al
reddito. Cosa esprime p greco? Esprime la dipendenza strutturale di un paese
dai beni e servizi prodotti all’estero. Se l’elasticità è alta, questo
significa che quando i residenti si trovano qualche soldino in tasca, le importazioni
del paese crescono in modo più che proporzionale. Ricordate? È un fatto
stilizzato che questa elasticità sia in media intorno a due. Nel campione di
177 paesi che abbiamo considerato l’elasticità media (calcolata alla boia d’un
Giuda come v’ho detto) è pari a 1.68 e la mediana a 1.73. Se arrotondi
all’intero più vicino ti dà 2. Diciamo quindi che se il reddito aumenta
dell’1%, le importazioni aumentano di una cosa che potrebbe essere 1.5%, 2%,
3%... Insomma, normalmente in questo ordine di grandezza. Bene: una elasticità più alta significa che
quando il reddito aumenta ci si rivolge in misura proporzionalmente maggiore a
prodotti esteri, cioè che l’economia considerata è particolarmente dipendente
dall’estero, perché non è in grado di produrre quei beni (di consumo o
strumentali) o quei servizi (ad esempio di trasporto, finanziari, ecc.) dei
quali ha bisogno per sostenere la sua maggiore crescita. Ma se le cose stanno
così, allora è evidente che questa economia, proprio in quanto dipende più di altre
dai prodotti esteri, a parità di esportazioni potrà permettersi meno delle
altre di crescere (perché la maggior crescita le alza proporzionalmente di più
il conto da pagare per saldare le importazioni).
Il significato economico
quindi è piuttosto ovvio. Il modello può essere complicato ad libitum. La
versione che sviluppo nell’ultimo lavoro è questa:
ma ne parliamo un’altra
volta.
Perché laggente non capiscono il vincolo esterno?
Se siete arrivati fin qui
con le ossa sane, vi porrete anche voi la domanda che mi pongo io. Se compri
qualcosa, o prima, o poi, o cash, o a
credito, l’hai da paga’, altrimenti passi un guaio. Questo è il vincolo
esterno. Nasce con l’uomo, e con l’uomo morirà (quindi è eterno, stante la
nostra simpatica abitudine di erigerci a metro del cosmo)! Non si capisce proprio
come qualcuno possa pensare che un qualche regime monetario, e in
particolare l’adozione della moneta unica, avrebbe mai potuto abolirlo, questo
vincolo esterno. Quando qualcuno pensa e dice una cosa così strampalata porto
la mano alla fondina (e faccio anche un paio di altre cosette), perché se, di
fatto, teorizzi la sòla (la fregatura, il comprare senza pagare), allora è
molto probabile che tu sia un sòla, o almeno un Solone.
Se permettete, mi
risparmio i memmetari, e insisto invece su due versioni “ortodosse” di questa
simpatica fola, della storia dell’albero della cuccagna: quella
dei tre porcellini, di cui abbiamo già parlato, e quella del prof. Rodano.
Vorrei farne con voi un’analisi semantica per capire dov’è che si nasconde la
magagna.
I tre porcellini
(Pisani-Ferry, Gros e Emerson), da economisti di grande rango e visibilità
internazionale, sono dovuti venire a patti con la realtà. Quando erano pagati
per dire che la moneta unica avrebbe funzionato, il loro studio elencava ben 16
meccanismi attraverso i quali questo sarebbe successo (è difficile capire una
cosa se il tuo stipendio dipende dal non capirla, ma è anche semplice
dimostrare una cosa se il tuo stipendio dipende dal dimostrarla). Quello che ci
riguarda qui, e che ha a che fare con il vincolo esterno, è il 14, esposto a pag. 24 dello studio, nel
paragrafetto intitolato (traduco): “Saranno disponibili flussi finanziari per
assorbire gli shock (meccanismo 14)”, paragrafetto il quale recita: “Fra gli
effetti principali dell’Unione Monetaria ci sarà quello di far scomparire il
vincolo della bilancia dei pagamenti nel modo in cui viene sperimentato nelle
relazioni internazionali”. Voi, che ormai siete esperti di vincolo, avrete
capito che questo significa: potrete comprare a credito senza avere problemi. E
infatti il paragrafetto prosegue: “i mercati privati finanzieranno qualsiasi
debitore affidabile e il saldi fra risparmio e investimento non saranno più
vincolati a livello nazionale”. E qui, se vi ricordate il
post sulla Grecia, capirete che i nostri amichetti ci stavano dicendo che
sarebbe stato possibile indebitarsi con l’estero senza limiti. In termini
analitici (leggetevi il post sulla Grecia se non lo avete fatto: leggetelo, e
rileggetelo) è infatti contabilmente sempre vero che:
X – M = S – I
Quindi dire che il saldo
fra risparmio e investimento “non sarebbe stato vincolato a livello nazionale”,
cioè che un paese non sarebbe più stato tenuto a finanziare i propri
investimenti con il proprio risparmio, equivale a dire che il vincolo esterno
non avrebbe più vincolato le singole economie nazionali, cioè che non sarebbe
più stato necessario finanziare le proprie importazioni con le proprie
esportazioni.
Nel mondo in cui S<I
(il risparmio nazionale è minore degli investimenti, che quindi sono finanziati
ricorrendo al capitale estero), necessariamente è anche X<M (le esportazioni
sono minori delle importazioni, che quindi sono finanziate con credito estero).
Guardate che le due cose possono largamente coincidere, non solo in termini
contabili. Pensate ad esempio a un imprenditore che compra un bene strumentale
all’estero facendo un mutuo con una banca estera o collocando un bond
all’estero: avete un investimento (acquisto di bene strumentale), una
importazione (perché il bene viene dall’estero) e naturalmente un incremento
del debito estero. In questo caso le tre cose coincidono, ma non è necessario
che la relazione sia immediata e coincidente: può anche essere mediata
dall’azione di più operatori (l’imprenditore compra il bene strumentale in
Italia ma il produttore compra componenti o materie prime all’estero, ecc.).
E come sarebbe stato
possibile svincolare S da I o X da M? Ma ve l’ho detto tante volte (al mid-term
goofy dell’anno scorso, in L’Italia può farcela, ecc.): perché S. Mercato
Privato avrebbe dato i soldi a tutti e soli quelli che ne avrebbero avuto
bisogno ed erano in condizioni di restituirli.
Purtroppissimo non è
andata così, però.
Peccato, ve’?
Chi se lo sarebbe
aspettato.
Mannaggia, che sfiga.
Però più Europa, eh, mi raccomando, sennò chi li sente i Wu Minkià, che di
questa Europa sono degni aedi!
Ora, chi ha scritto
queste parole leggere non poteva non giustificarsi, soprattutto considerando che
lo aveva evidentemente fatto per motivi venali e in palese conflitto di
interessi. La
toppa però è peggiore del buco, come capita quando la scemenza detta è
troppo grossa:
In particolare, l’atteggiamento “non potevamo sapere” (nel paper
c’è anche “eseguivamo gli ordini”) fa un po’ specie, perché che l’Unione
Monetaria non avrebbe abolito il vincolo esterno era stato detto sul Financial
Times indovinate un po’ da chi? Ma certo! Da
Tony nel 1991, come noi sappiamo dal 2012 grazie a me (e a Tony che mi ha
mandato il ritaglio del Financial Times), e Pisani-Ferry, guarda un po’, non
sapeva nel 1991 (perché quell’anno l’abbonamento gli era scaduto e non lo aveva
rinnovato, sai com’è, a Bruxelles la vita costa cara, devi pur fare qualche
sacrificio per essere economista della Commissione...). L’articolo di Tony era già cristallino senza passare
per l’apparato analitico (che Tony aveva pubblicato 12 anni prima), ma suppongo
che dopo la lezzioncina di oggi vi sarà ancora più perspicuo. Del resto, può
essere interessante sapere che la legge di Thirlwall nasce in economia regionale:
la prima applicazione è l’articolo
di Dixon e Thirlwall (1975) sui
differenziali di crescita fra regioni di un medesimo Stato. Vi sto dicendo
quello che avete capito: cioè che Pisani-Ferry nel 1991 diceva che con la
moneta unica gli stati membri sarebbero diventati come regioni di un singolo
Stato, e che Dixon e Thirlwall 16 anni prima avevano dimostrato sugli Oxford
Economic Papers che il vincolo esterno vale anche fra regioni di un medesimo
Stato (non sul rotolo della carta del cesso, Dio santo! Su una rivista che
piace perfino al comitato politico di FARE, l’ANVUR!). Quindi dire che gli
Stati sarebbero diventati regioni equivaleva a dire che un ammalato di cancro
sarebbe diventato un ammalato di tumore. Il nulla vestito da diagnosi.
Non è poi strano che il
vincolo esterno condizioni anche la crescita regionale, in fondo. Il motivo è
il solito: non importa il mezzo di pagamento, in qualche modo se importi
“troppo” pagherai. Il Sud dell’Italia, ad esempio, ha pagato in uomini, no?
Cos’è l’emigrazione massiccia sperimentata dal Sud se non la risposta a una
elevata dipendenza strutturale dal resto del paese? (Dipendenza alla quale non
siamo ancora riusciti ad ovviare, peraltro, o comunque non con i trasferimenti pubblici). Succede così: il recupero di
competitività passa per la deflazione salariale (le “gabbie”, qui da noi), con
tutto quello che ne consegue (crollo della domanda regionale, disoccupazione,
emigrazione). E non vediamo oggi lo stesso meccanismo all’opera in Spagna e
Grecia (ma anche Lettonia o Bulgaria)?
Bene: Pisani-Ferry lo vede nel 2015. Tony nel 1975. Solo quarant’anni prima, ma Pisani-Ferry appartiene al mondo di quelli che hanno tempo, come i Wu Minkià o er Barbetta o il Fognatore o er Nutella ecc.
Quanti ne abbiamo visti
passare...
Peraltro, prima di
intonare la litania “mercatobbrutto”, sarebbe bene che l’intellettuale
sentimentaloide di sinistra, che tifando euro tifa mercati, capisse che i
mercati per i quali lui tifa senza rendersene conto non sono “cattivi”, come
lui li dipinge nelle sue stucchevoli oleografie buoniste. Semplicemente, i
mercati finanziari non sono (e non sono tenuti ad essere) la soluzione di
problemi di dipendenza strutturale da beni esteri. Non sono lì per quello. La
loro ottica, fra l’altro, è quella di breve periodo propria di tutti gli
operatori privati (e anche di molti governi, va detto). Ne abbiamo parlato a
lungo qui (un
esempio). Quindi come si fa a pensare di devolvere ad essi, nella loro
comprovata fallibilità, la soluzione di problemi di dipendenza strutturale? (Il
vincolo esterno, lo abbiamo visto, è un vincolo reale e strutturale, non un
vincolo temporaneo e di liquidità). Fra il sentimentalismo “de sinistra” e
“l’ottimismo della sragione” dei bruxellocrati, chi c’è andato di mezzo lo
sapete.
Addavenì Caligola...
Ma occupiamoci di Rodano,
il quale, avendo minori responsabilità e considerandosi (ce lo ha detto lui con
una certa civetteria) un pensionato, per hobby scrive cose come queste:
Che devi dire se non:
“Vabbè...”. Ma insomma, Giorgio caro: non solo questa cosa non funziona, perché
non è vero, in tutta evidenza, quello che dici in nota:
No, non è solo questo! Il
vero problema è che tu, da pensionato e quindi scusabile se poco al corrente dei
recenti sviluppi, per pura sfiga (e me ne spiaccio per te) vieni a dire una
cosa simile proprio nel momento in cui, come ho appena fatto vedere, i colleghi
poco scrupolosi e molto venali che l’hanno affermata per farci imboccare nella
simpatica trappola nella quale siamo ritrattano, dicono che “non potevano
sapere”, cioè preferiscono passare per degli incompetenti che non leggevano né
il Financial Times né gli Oxford Economic Papers, pur di non prendersi la
responsabilità di quella affermazione che tu, così, a cuor leggero, e con un
tuo tutto particolare senso dell’opportunità, vieni a proporci oggi, quando
essa si manifesta palesemente falsa!
Ussignùr...
Spectacularly ill-timed:
cosa altro dire?
L’argomento secondo il
quale siccome paghi Eurozona su Eurozona non esaurisci le riserve di dollari è
un argomento fasullo, per il semplice motivo (che anche l’ultimo dei miei
lettori capisce e potrà spiegarti if
needed) che se in Italia non c’è la rotativa dei dollari, bè, non c’è
nemmeno quella degli euro. Lo ha spiegato De Grauwe. Quindi il fatto che
apparentemente non ci sia un drenaggio di risorse (la valuta pregiata) a fronte
di un eccesso di importazioni intra-zona è ingannevole. Il problema esiste: è
una tonnellata di polvere sotto il tappeto: prende la forma di quei crediti
privati dei quali qui tante volte e prima di tanti abbiamo parlato, e che, come
l’ultimo dei miei lettori sa, sono la vera causa dei nostri squilibri.
La verità è un’altra:
magari dovessimo ancora pagare le importazioni dalla Germania in valuta forte!
Questo avrebbe messo un
ovvio meccanismo di stop loss alla
crisi: a riserve finite, si svaluta, come in 177 altri paesi al mondo, e c’è
un fresh start, dopo che i creditori
hanno assorbito la perdita causata loro dal loro
comportamento imprudente (ma non ci commuoviamo troppo: sanno loro perché l’hanno
fatto, e vedrai che gli è convenuto...).
Concludendo
Dai, che fra un po’ ci
sono gli exit poll...
Era molto tempo che
volevo spiegarvi questa cosa, dalla quale discendono una marea di altre cosucce
interessanti (ad esempio, l’impatto sulla crescita del tasso di cambio reale,
ecc.). La carne al fuoco era tanta, ma vi lascerò il tempo per digerirla. Devo
chiudere un altro lavoro. Voi intanto se avete dubbi chiedete, e io, se avrò
tempo, risponderò. Ma non fate domande delle quali la risposta p nei link. Se
siamo qui pochi ma ottimi è perché non siamo qui per divertirci: capire è
sempre faticoso, e di questi tempi, poi, è anche sgradevole. Scendere di un
altro girone nell’orrore di One market,
one money, pensare quanti morti ha causato quello studio, e su quali
premesse analitiche inconsistenti era fondato (tanto che chi lo ha fatto sente
oggi il bisogno di scusarsi: vi rendete conto?), è cosa che dà le vertigini.
Ma come voi condividete
con me lo spossamento e l’orrore, così io li condivido con voi.
(...solo una cosa ai colleghi che arrivano adesso nel dibattito: se finora avete preferito ignorarlo, sapete voi perché lo avete fatto. Ma se ora, per motivi che ignoro, volete entrarci, studiate! Lascio valutare a chi ha letto questo post se una persona che nel suo articolo sull'euro non cita lavori fondamentali come Dixon e Thirlwall (1975), Pisani-Ferri (2013), Fernandez-Villaverde et al. (2013), Constancio (2013), e tanti altri, possa permettersi, senza suscitare un franco scoppio di ilarità, questo genere di affermazioni:
E questo elogio delle proprie competenze prima di presentare una rassegna della teoria delle aree valutarie ottimali che sarebbe andata forse bene negli anni '80!... Il testo, queste competenze, non le dimostra, e ovviamente ne parlerò in dettaglio e nelle sedi competenti, quindi prima di dare del semplificatore o dell'incompetente ad altri (sempre senza avere il coraggio di farlo in faccia, va da sé: avreste dovuto vedere la faccia di Rodano quando s'è accorto che ero fra il pubblico del suo seminario!), buon senso vorrebbe che ci si interrogasse su se stessi, che si facesse, che so, almeno una ricerca bibliografica elementare...
Forse non vi è chiaro: da qui dovete passare, cari tromboni pensionati!
La sinistra "intellettuale" che vuole rifarsi una verginità intervenendo con il consueto tono da "padre nobile" lascia francamente sconcertati. Avete appoggiato senza se (e anche senza sé) e senza ma un progetto di deflazione salariale perché ritenevate che avrebbe tutelato il valore delle vostre pensioncine. Questa è la vostra political economy (ho detto political economy, non mi sono pronunciato sulla correttezza e coscienziosità professionale), e pensate che non si veda? Il lavoro di Rodano cita quattro fonti: Bagnai, Biasco, Bootle e Sapir, delle quali le ultime due sono citazioni di seconda mano dal mio libro (è evidente che Rodano non ha letto Bootle, tutta la sua discussione dei costi dell'uscita lo dimostra), e quello di Biasco è il lamento di un altro pensionato, con zero - 0 - fonti scientifiche. Discorsi da bar fatti da personaggi che bastano a se stessi, che ritengono di essere giganti al cospetto di nani, che probabilmente tratterebbero con lo stesso tono patronising Stiglitz o Meade o Kaldor o Thirlwall. E questi qui, questa roba qui, si permette di parlare delle "semplificazioni" dei social media, nel presentare un loro paper su un problema così complesso, dove di fatto viene citato un solo lavoro scientifico: il mio?
Capite bene che la sinistra dovrà fare scelte dolorose, perché con un supporto intellettuale di questo genere non va da nessuna parte...)
E questo elogio delle proprie competenze prima di presentare una rassegna della teoria delle aree valutarie ottimali che sarebbe andata forse bene negli anni '80!... Il testo, queste competenze, non le dimostra, e ovviamente ne parlerò in dettaglio e nelle sedi competenti, quindi prima di dare del semplificatore o dell'incompetente ad altri (sempre senza avere il coraggio di farlo in faccia, va da sé: avreste dovuto vedere la faccia di Rodano quando s'è accorto che ero fra il pubblico del suo seminario!), buon senso vorrebbe che ci si interrogasse su se stessi, che si facesse, che so, almeno una ricerca bibliografica elementare...
Forse non vi è chiaro: da qui dovete passare, cari tromboni pensionati!
La sinistra "intellettuale" che vuole rifarsi una verginità intervenendo con il consueto tono da "padre nobile" lascia francamente sconcertati. Avete appoggiato senza se (e anche senza sé) e senza ma un progetto di deflazione salariale perché ritenevate che avrebbe tutelato il valore delle vostre pensioncine. Questa è la vostra political economy (ho detto political economy, non mi sono pronunciato sulla correttezza e coscienziosità professionale), e pensate che non si veda? Il lavoro di Rodano cita quattro fonti: Bagnai, Biasco, Bootle e Sapir, delle quali le ultime due sono citazioni di seconda mano dal mio libro (è evidente che Rodano non ha letto Bootle, tutta la sua discussione dei costi dell'uscita lo dimostra), e quello di Biasco è il lamento di un altro pensionato, con zero - 0 - fonti scientifiche. Discorsi da bar fatti da personaggi che bastano a se stessi, che ritengono di essere giganti al cospetto di nani, che probabilmente tratterebbero con lo stesso tono patronising Stiglitz o Meade o Kaldor o Thirlwall. E questi qui, questa roba qui, si permette di parlare delle "semplificazioni" dei social media, nel presentare un loro paper su un problema così complesso, dove di fatto viene citato un solo lavoro scientifico: il mio?
Capite bene che la sinistra dovrà fare scelte dolorose, perché con un supporto intellettuale di questo genere non va da nessuna parte...)