(...soffro molto di non poter mantenere un rapporto più assiduo con voi, ma gli impegni si accumulano a tanti livelli. Questo blog è un esperimento unico: lo era già quando, da docente di economia, avevo deciso di investire così tanto tempo in un'attività - la divulgazione scientifica - dal ritorno nullo o negativo in termini di carriera. Diventa una sfida alle leggi della fisica ora che il tempo che continuo a investirci semplicemente non ce l'ho. Mi prendo un'ora - quella che ho prima di recarmi alla presentazione di un impianto di Amazon al confine settentrionale della mia marca - per ragionare su un commento interessante fatto da uno di voi. Il commento è di qualche tempo fa. Purtroppo la spazzatura dei vari Marco - con la maiuscola, lo spam del caro amico Erik - Pombeni, Dossetti, Burgio, Smith, ecc. - le provocazioni idiote dell'amico Pietrino Yanez, lasciano spesso indietro quella merce oramai rara che sono le intelligenti voci di dissenso. In materia economica, in effetti, ci siamo detti quasi tutto, da aggiungere c'è poco, la corazzata dell'austerità comunemente intesa si è sgretolata logicamente, se pure non del tutto politicamente, ogni tanto incontriamo qualche suo relitto, ma non mette nemmeno conto scostarlo: ci si può tranquillamente passare sopra. Resta però sempre, insidiosa, l'austerità camuffata da anelito verso un mondo più pulito, l'austerità decrescista-ecologista. Credo di essere stato il primo a mettere in evidenza qui il legame a dire il vero piuttosto evidente tra "ecologismo" e politiche di austerità. Lo vediamo nell'idea che i poveri debbano smettere di consumare perché consumare inkuina, un'idea ovviamente funzionale a una redistribuzione del reddito a favore del capitale finanziario, che infatti - ci riportano le cronache - disinteressatamente finanzia gli ecoscemi in giro per il mondo. Secondo voi lo fa per lavarsi la coscienza, o per migliorare il proprio conto economico? Ne parliamo da molto, ma molto molto prima, che tanti svalvolati su Twitter imparassero a biascicare "malthusiano" a torto e a traverso, pensando di essere fichissimi, come il povero Pippo della canzoncina (inutile dire che questi epigoni svalvolati sono magna pars di quelli che ci siamo persi per strada, senza molto rimpianto)...
Non è un caso che da quando l'austerità "alla Marco" - per capirci: il buon padre di famiglia, le generazioni future, le piccole imprese inefficienti, ecc. - è scomparsa dal radar, perché perfino ai servi incaricati della trista bisogna veniva da ridere a leggerne le veline, sia ripartito in grande spolvero il circo di quelli che vogliono salvare il pianeta distruggendone - se non fisicamente, economicamente - la maggioranza degli abitanti. Questa linea di attacco ai vostri portafogli e, in definitiva, alla nostra democrazia, è particolarmente insidiosa perché sfrutta le due leve che abbiamo visto, in tanti anni di Dibattito, essere le più potenti: la minaccia esistenziale diretta, e l'ignoranza.
Nel confutare il decrescismo - o l'ecologismo, che poi è la stessa cosa - ero partito dall'esplicitare il tipo di ignoranza che lo sottendeva. Ci vuole molta ignoranza della più elementare grammatica dell'economia per associare alla decrescita economica un mondo più sostenibile, più pulito, e ci vuole anche una singolare volontà di ignorare il dato di realtà. Basterebbe poco per rendersi conto del fatto che gli Stati "meno cresciuti", e quindi più poveri, sporcano di più per il semplice fatto che non possono permettersi tecnologie più pulite. Ma poi le vicende di quel "minibot fatto male" (Claudio Borghi dixit) che è stato il 110% hanno messo in evidenza nel 2022 quello che vi avevo detto nel 2011: "è grazie al progresso tecnologico che le nostre tecnologie possono diventare meno inquinanti (vedi le case teutoniche), e che i nostri consumi si riallocano da beni materiali a beni immateriali. La crescita del Pil non è più fatta solo di altoforni e centrali a carbone. È fatta anche di sviluppo software, agricoltura biologica certificata (e quindi servizi di certificazione), istruzione terziaria, energie rinnovabili, ecc. Tutti consumi ad alto valore aggiunto, che si associano a crescita del Pil". Nessuno ha notato - ma il compito di questo blog è far notare quello che nessuno nota - che il 110% sta ai grillini come il "debito buono" sta a Draghi: in termini dialettici è stata la sconfitta - meno evidente ma più cocente - dell'altra faccia dell'austerità: la decrescita. Per chi ricorda che cosa fossero gli ortotteri una decina di anni fa il loro attuale anelito verso la crescita dovrebbe in effetti suonare molto strano. Ma come!? Non erano loro i paladini della decrescita perché la crescita inkuina? Me lo ricordo solo io questo? Me le ricordo solo io le interviste ai familiari dell'ortotterone capo che si sdilinquivano nel riportare come egli non ammettesse alcun detergente più energico dell'acqua di fonte (pensa che sollazzo stargli accanto in periodo di localuomming...)? Il 110% ha costretto gli ortotteri a smentire la propria retorica decrescista riconoscendo che per ottenere un mondo più "sostenibile" occorre investire, occorre cioè aggiungere, non sottrarre, al Pil. Proprio quello che qui facevamo umilmente notare nel 2011 - ovviamente sommersi dal solito coro di pernacchie dei decerebrati!
Venuta meno la retorica dell'"investire inkuina", cioè la leva dell'ignoranza, per portare avanti l'agenda regressiva (in termini distributivi) dell'austerità resta solo la leva della minaccia esistenziale diretta. Dobbiamo essere austeri - cioè, in termini economici, consumare di meno, e in termini colloquiali spendere di meno - perché altrimenti distruggeremo la madre Terra. Dobbiamo vivere male per non morire peggio, perché la fine del mondo è vicina, e quindi, ça va sans dire, dobbiamo FARE PRESTO! Questo senso di urgenza indotta non è una assoluta novità, giusto? Tutti ricordiamo l'infame titolo con cui il giornale del professionista che amava le bistecche propagandò le politiche che hanno distrutto il Paese nel modo che abbiamo più volte documentato. Ma è ancor meno una assoluta novità il millenarismo, la predicazione di una fine del mondo imminente, che deve indurci a purgarci dei nostri peccati, a modificare i nostri comportamenti, a rigenerarci interiormente, e naturalmente a piegare la testa al feudatario. La dimensione di instrumentum regni della religione emerge in tutto il suo splendore nel nuovo millenarismo...)
(...ma ora devo lasciarvi: un'ora è passata, ci rivediamo appena possibile...)
(...riprendiamo il discorso...)
(...un millenarismo che chi ha una certa età - diciamo, almeno la mia - ha visto costruire nel tempo, meticolosamente, diuturnamente. Ma prima di entrare nel vivo, lasciamo esprimere il nostro nuovo amico...)
Marco G ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Segare il ramo, banchieri filantropi, e altre storie":
I post sull'economia sono sempre molto piacevoli da leggere, però c'è una cosa che non ho mai capito quando si parla di economia e negli ultimi tempi la capisco ancora di meno. Per spiegarmi parto dalla frase "Paesi privi di materie prime sono costretti a esportare prodotti finiti per procurarsi le risorse finanziarie con cui importare le materie prime: ci avevate mai pensato?"
Ecco, io quello che non ho mai capito è come la teoria economica tenga in conto il fatto che le materie prime non sono inesauribili e che prima o poi termineranno. Cioè se prima o poi il petrolio terminerà, mi pare che piaccia o non piacca, la recessione probabilmente arriverà e probabilmente ciò accadrà sia che siamo dentro o fuori dall'euro o dentro o fuori dall'UE. Idem per il gas, ma anche per altre materie prime (tipo il rame). Non so come verranno alimentate tutte le macchine che oggi sono alimentate a petrolio, quando questo sarà terminato o comunque quando ce ne sarà di meno a disposizione (vedo difficile installare reattori nucleari su automobili, camion e aerei. E probabilmente anche sulle navi). Se poi termina anche il gas, difficilmente si avrà elettricità disponibile come quella che c'è oggi (le rinnovabili, nucleare compreso, sicuramente non potranno sostiture gas e petrolio in tutti gli utilizzi attuali). Se poi terminano anche altre risorse, tipo il rame, sarà difficile avere ancora dei computer (e ad esempio tutto il sistema bancario che immagino si basi molto su operazioni online semplicemente probabilmente non potrà più esistere). Per quanto ne so io, l'esaurimento totale delle risorse naturali forse è lontano, ma il raggiungimento dei picchi moldiali di estrazione è vicino, se non già superato. Il picco di estrazione del petrolio convenzionale è già stato superato nel 2007 o 2008, anche se la produzione totale di petrolio è aumentata da allora (ma questo è stato possibile aggiungendo al petrolio convenzionale il cosiddetto "petrolio di scisto" estratto soprattutto negli Stati Uniti). E comunque pare che il picco di estrazione totale di tutto il petrolio, cosiderando anche il petrolio di scisto sia stato tra il 2018 e il 2019, anche se per confermare questo dato credo che servirà ancora del tempo (anche per capire se la diminuzione dell'estrazione è stata dovuta effettivamente all'esaurimento della risorsa o se la riduzione è stata indotta dalla pandemia). Anche il gas non è certo inesauribile e le azioni di Putin mi sembrano semplicemente un acceleratore di quello che sarebbe accaduto comunque, per quanto riguarda il gas, anche se magari sarebbe accaduto un po' più avanti nel tempo. E anche per il rame è previsto un picco nell'estrazione prima del 2030.
Per il rame tra l'altro la situazione è anche peggiore che per petrolio e gas, visto che le sorgenti fossili di energia potrebbero riformarsi (ma si dovrebbe avere a disposizione da qualche decina a qualche centinaio di milioni di anni perché si riformino i giacimenti); per il rame non c'è alcun tipo di fenomeno che gli permetta di riformarsi, nemmeno in miliardi di anni, quindi quando sarà esaurito sarà esaurito per l'eternità.
Non riesco a capire come questa riduzione delle risorse naturali venga tenuta in considerazione dai modelli economici, perché a me sempbrerebbe logico che una riduzione della disponibilità di queste risorse dovrebbe dar luogo ad un fenomeno di inflazione più o meno sempre crescente (se di queste risorse ce ne sono sempre di meno, dovrebbero costare sempre di più). Inoltre senza risorse o comunque in presenza di riduzione di queste risorse la produttività del lavoro mi sembra che dovrebbe abbassarsi in qualsiasi caso, sia dentro che fuori dall'euro sia con salari minimi alti che bassi, ecc. E il PIL conseguentemente dovrebbe calare in ogni caso. Però sembra che nei modelli economici queste cose non vengano tenute minimamente in considerazione, ma forse non è così e vengono tenute in considerazione in qualche modo, solo che io che sono ignorante in economia non me ne accorgo.
Pubblicato da Marco G su Goofynomics il giorno 9 gen 2023, 02:21
(...riportato col consueto rispetto della diversità, in particolare di quella ortografica - ma anche quella di opinioni!...)
Vorrei partire da un disegnino, questo:
tratto da qui e segnalato da uno degli account Twitter più interessanti (per me), questo:
Penso di fare una cosa utile a Marco, che secondo me di nucleosintesi stellare, e in particolare di nucleosintesi dei nuclei pesanti, verosimilmente sa poco o ha dimenticato molto, altrimenti non recriminerebbe per la scarsità di un elemento come il rame, la cui nucleosintesi avviene per cattura neutronica, processo che porta con sé qualche increscioso effetto collaterale.
Meglio accontentarsi di quello che si ha.
E Marco dirà: "Appunto! Ma io sto dicendo proprio che non dobbiamo esaurirlo, perché poi sarà esaurito per l'eternità!"
E qui però dobbiamo intenderci, magari precisando un po' i termini. Quando le miniere dalle quali ai prezzi correnti è economicamente conveniente estrarre rame (più esattamente, calcopirite) saranno esaurite (a spanne direi fra due secoli e mezzo, ovviamente in base al ritmo di consumo attuale), questo non vorrà però dire che il rame "sarà esaurito per l'eternità". Il rame di cui il caso ha dotato il nostro sorprendente, fragile pianeta, e che se non sbaglio i conti rientra con tanti altri elementi nell'1,2% dei 5.970 miliardi di miliardi di tonnellate della sua massa (che è comunque tanta roba), ci sarà sempre: magari non combinato con ferro e zolfo come all'inizio del suo percorso, molto probabilmente ossidato, magari in discarica, magari legato ad altri metalli, ecc.
Ma ci sarà.
Questo è quello che dice la fisica.
In principio era il Verbo e l'H (idrogeno). Il resto si è generato nel polemos: supernove, collisioni fra stelle di neutroni, eventi di violenza inimmaginabile per le nostre deboli menti umane, gli unici in grado di liberare l'energia necessaria per aggregare nuclei, per produrre gli elementi pesanti. Ma questi, una volta prodotti, poi restano lì: solo oltre un certo peso atomico gli elementi si degradano. L'uranio a tendere diventa piombo, percorrendo una lunga catena di decadimento, ma il rame a tendere resta rame. Una volta che sai che la massa può convertirsi in energia, ti riconcili anche con la legge di Lavoisier.
Quindi: tranquillo, Marco G: ricambio il tono patronizing con cui definisci "piacevoli da leggere" i post sull'economia dandoti da leggere qualcosa che economia non è, che forse altrettanto piacevole non è, che forse credevi o sapevi di sapere, ma non sapevi: il rame è qui per restare (il che non significa né che ce ne sia abbastanza, né che sarà disponibile in forme immediatamente utilizzabili, ecc.: ma ci sarà). L'idea che il rame si esaurisca "per l'eternità" è un pochino troppo ingenua per come siamo abituati a ragionare qui.
Ma l'economia che cosa dice?
È proprio vero che gli economisti sono dei bambacioni incapaci di rendersi conto del fatto che il "sistema Terra" (a differenza del mitologematico "sistema Paese") è isolato nello spazio profondo, e quindi che le risorse in esso contenute sono circoscritte? È proprio vero che l'economia non tiene conto del fatto che "le materie prime non sono inesauribili"?
No, ovviamente non è così, come, del resto, non è vero che la soluzione alla "esauribilità" delle materie prime sia decrescere per utilizzarne di meno! Su questo, come vi dicevo, ci siamo già soffermati tempo addietro, e oggi la transizione ecologica conferma e avvalora la nostra tesi secondo cui per ottenere un mondo "più pulito" in effetti ci vuole più, non meno Pil: occorrono, in particolare, tanti investimenti (che sono la "I" di questa formula che nessuno capisce: Y = C+G+I+X-M).
Se dodici anni fa quanto dicevo poteva non essere capito, dopo il 110% e la transizione ecologica direi che gli assenti sono tutti ingiustificati! Te lo dicono loro, i decrescisti, che per avere un mondo ecologico devi crescere di più, devi fare investimenti, e ti dicono perfino che se non fai questi investimenti crescerai di meno (valorizzando la crescita come positiva: quella stessa crescita che una volta era il baubau, l'uomo nero del politico "green").
Quindi su questo terreno ora non c'è più dibattito: c'è solo il Dibattito (che è, in buona sostanza, quello che avevamo scritto qui).
Resta il tema dell'esauribilità. Gli economisti se ne occupano da un bel pezzo (direi da sempre) e il lavoro più significativo è quello di Hotelling che risale a 92 anni fa. Sono lavori molto tecnici e non credo valga più di tanto la pena di entrare nei loro dettagli. Può invece valere la pena di guardarsi intorno, e magari anche di guardare indietro.
Ecco: guardiamoci indietro.
Quelli che hanno almeno l'età mia si ricorderanno benissimo di come il tema ecologista-decrescista veniva posto anni addietro: prima che partisse il cinema della CO2, l'argomentone era: il petrolio finirà, non possiamo continuare a contare su una risorsa di cui non abbiamo disponibilità infinite! Il senso di urgenza veniva indotto dalla pretesa esistenza di un vincolo fisico: esistenza plausibile, probabile, ma ripetutamente smentita dai dati per il semplice motivo che gliScienziati che lo propugnavano, questo vincolo fisico, e che certamente si sentivano molto intelligenti, e forse erano anche un po' intelligenti, ragionavano in termini statici (cosa che un economista avveduto non farebbe mai), ignorando due dati: il progresso tecnologico, e il ruolo del prezzo come strumento allocativo. Così, il petrolio che nel 1956 sarebbe dovuto finire nel 1970, nel 2021 pare che debba finire nel 2040 (e saremo lì per verificare se sarà vero o no).
Frustrati nel loro tentativo di creare un senso di urgenza sulla base di una scarsità che le leggi dell'economia continuamente rinviavano, gliScienziati creano oggi una diversa urgenza, quella millenaristico-climatica. Il tema dell'esauribilità delle risorse quindi passa in secondo piano: il problema non è più che il petrolio (il fossile in generale) finirà. Visto che non finisce, chi vuole creare lo stato d'eccezione argomenta che se continuiamo a usarlo finirà la stessa Terra, spazzata via dal Diluvio universale (che, se ci fate caso, è anch'esso un grande classico...), e naturalmente noi con lei. La minaccia esistenziale diretta, quella di cui abbiamo visto l'efficacia all'epoca della punturina, diventa lo strumento di persuasione: a quale scopo non è sempre chiarissimo, anche se qui un'idea ce la siamo fatta analizzando l'evoluzione dei rapporti fra capitalismi del Nord Europa e degli Stati Uniti (che sono comunque un pezzo del problema, perché alla fine di questo discorso ci sono indirizzi di politica industriale da dare o da subire).
Ma forse non è corretto dire che il tema dell'esauribilità diventi secondario: a una esauribilità farlocca, visibile perché brandita come arma di persuasione (l'esauribilità del fossile) se ne sostituisce un'altra, su cui nessuno vuole riflettere, per motivi uguali e contrari (cioè perché farlo smonterebbe la narrazione dominante): l'esauribilità dei metalli, o meglio, prima ancora, come abbiamo detto qui, la loro disponibilità.
Anche qui gli ultimi mesi ci offrono una lezione piuttosto eloquente.
Quale?
Semplice: i prezzi esistono e guidano le scelte.
La scarsità (relativa) di gas indotta prima dalla ripresa su larga scala dell'attività economica mondiale e dopo (molto dopo) dal conflitto ha portato a un incremento sensibile del prezzo:
(
fonte), prezzo che prima, cioè non dopo, ma prima, del conflitto era più che quadruplicato rispetto alla sua media storica. A questo incremento dei prezzi si è risposto come normalmente si fa: consumando di meno e passando ad altro.
E siamo ancora qui.
Se facciamo per un momento astrazione dal tema "emissioni" (di cui non mi interessa contestare la fondatezza come non mi interessa contestare quella della Santissima Trinità: ho rispetto per tutte le religioni), questa storia che cosa ci dovrebbe raccontare? Che se usciamo dalla dimensione solo apparentemente oggettiva della disponibilità fisica di una risorsa, ed entriamo nella dimensione concretamente rilevante, quella della sua disponibilità economica (cioè ai dati prezzi di mercato e con le date tecnologie), lo spauracchio della fine del petrolio avrebbe dovuto palesarsi fin dall'inizio come futile: col progressivo esaurirsi della risorsa si sarebbe dovuto innalzare il prezzo, determinando un effetto di sostituzione, cioè una vera transizione, verso altre fonti di energia, che a tendere non avrebbero potuto che ricondursi direttamente alla gigantesca centrale a fusione che abbiamo a portata di unità astronomica. Processo graduale, guidato dai prezzi e dall'evoluzione tecnologica, astenersi FATE PRESTO!, astenersi decrescisti, astenersi ecoscemi.
"Mi avvio a concludere" (cit.), quindi, esprimendovi la mia preoccupazione, che non è solo mia (la condivido con pochissimi altri): indipendentemente dai torti e dalle ragioni, l'attuale gestione della "transizione" ecologica, imponendo nei fatti una "cesura" ecologica, genera una scarsità indotta di risorse che pure sarebbero abbondanti in natura, ma che diventano scarse e costose a causa dei tempi di una pianificazione assolutamente ideologica e priva di aderenza alla realtà. Invece di farci guidare dal segnale di prezzo, lo distorciamo: qualcuno saprà perché, immagino! Indipendentemente dagli scopi reali o presunti, esistenti o inesistenti, coscienti o inconsapevoli, il dato è che questo modus operandi ci consegna a un mondo di tensioni inflazionistiche persistenti e di redistribuzione del reddito in chiave regressiva.
Questo dato ci riconcilia con un apparante paradosso, quello che dovrebbe far sentire a tutti una nota stonata: il fatto che questa gigantesca manipolazione del mercato (delle materie prime) definita "transizione ecologica" viene perpetrata da chi a chiacchiere dice di volersi affidare al mercato, da chi da anni teorizza la supremazia del mercato sulla sfera politica. Insomma: quelli che per hanno hanno teorizzato il laissez faire, ora vogliono che facciamo come dicono loro. E questo, se da un lato è un elemento di contraddizione (solo apparente), dall'altro è un elemento di chiarezza e di igiene del dibattito, perché ci legittima a voler invece fare come crediamo noi!
La domanda quindi diventa: siamo tutti d'accordo con l'agenda green della nostra amata UE? Siamo sicuri che rinunciare al motore endotermico entro il 2035 sia una buona idea (tralasciando il fatto che verosimilmente sarà infattibile)? Siamo sicuri di doverci preoccupare dell'efficienza energetica delle nostre abitazioni anziché di quella antisismica? Io no, e non sono il solo: perfino l'eterno secondo se n'è accorto, quindi, come dire: chi è stanco di perdere ha a disposizione una battaglia praticamente già vinta: quella per essere lasciati in pace!
Ripartiamo da qui.