Non che io abbia una grande stima dei miei precedenti colleghi (gli economisti): la storia di questo Dibattito illustra sufficientemente come, con le eccezioni indispensabili per confermare la regola, la categoria non abbia dato un grande contributo alla comprensione dei problemi attuali, essendo divisa fra persone che nascondevano la testa sotto la sabbia e persone che guardavano fissamente dalla parte sbagliata. In fondo, anche la vicenda delle "bollette" (l'aumento dei costi dell'energia), ce lo conferma. Quando a marzo di due anni fa (2020), in questo blog paventavamo l'ipotesi che la pandemia potesse causare una fiammata di inflazione a causa di strozzature dal lato dell'offerta, la communis opinio degli esperti vedeva per lo più all'orizzonte rischi di deflazione, determinata dal calo della domanda (si dice il peccato ma non il peccatore: qui uno...).
Tuttavia, anche se del loro avviso possiamo fare normalmente a meno (lo spirito natalizio mi induce a risparmiarvi altri esempi), in questo mondo di científicos (come venivano chiamati i tecnici ai tempi così lontani e così vicini di Porfirio Diaz) non è del tutto inutile sapere in che modo gli economisti la pensino. Chiarisco: quasi mai sapere come ragionano gli economisti ci servirà per capire direttamente come andranno a finire le cose, ma molto spesso ci servirà a capire che cosa gli científicos sanno di sapere e quindi quali saranno le loro future mosse, consentendoci indirettamente di capire come potrebbero andare a finire le cose (male, ovviamente, in coerenza con la raffinatezza del loro pensiero científico).
Ai tempi gloriosi di Samuelson (1941) per deridere gli economisti li si descriveva come pappagalli cui è stato insegnato a ripetere "domanda e offerta". Nel frattempo, un pochino anche per colpa di Samuelson (o almeno così la pensa Paul Davidson, e se interessa sono d'accordo con lui) il compito di deridere gli economisti è diventato molto, troppo più semplice.
Questo particolare ordine di científicos si è infatti diviso in due famiglie: i parrocchetti della domanda e i cacatua dell'offerta.
Sì, oggi per lo più (cioè escludendo i post-keynesiani) gli economisti sono pappagalli che ripetono una parola sola. I parrocchetti "keynesiani" ripetono "domanda, domanda,..."; i cacatua "neoclassici" (quelli che voi chiamate neoliberisti, per intenderci) ripetono "offerta, offerta,...". Eppure, voi lo sapete bene, per Adam Smith (l'autore che i neoclassici citano senza averlo letto) la domanda era importante, tanto da determinare, fra l'altro, una caratteristica importante dell'offerta, forse la più importante: la produttività (cosa di cui sono ancora oggi consapevoli i post-keynesiani, mentre i keynesiani la ignorano: qui c'è tutta la spiegazione, se interessa). Di converso, per Keynes (l'autore che i keynesiani citano senza averlo letto) le condizioni dell'offerta erano essenziali nel determinare l'equilibrio del sistema: basta rileggersi la sua analisi della Grande Depressione, o ricordare che nel tirare le fila del ragionamento il Capitolo XVIII della Teoria Generale parte dall'elencare i fattori che influenzano la forma della curva di offerta aggregata.
Ma agli idiots savants che popolano i nostri dipartimenti La ricchezza delle nazioni o la Teoria generale oggi non sembrerebbero libri científicos, perché sono privi di formule matematiche, ed è anche per questo che non li leggono: non appagano il loro inesausto e inesauribile bisogno di sentirsi intelligenti facendo cose che a loro sembrano difficili. Nell'epoca dell'iperspecializzazione accademica, piuttosto che gestire un mondo fatto di due pezzi, è pagante concentrarsi su uno, e solo uno, di questi pezzi, coltivandolo con sterile e maniacale accanimento. Capita così che se sei un parrocchetto e arriva uno shock di offerta (come nel 2020), ti aspetterai che le conseguenze siano quelle di uno shock di domanda, mentre se sei un cacatua e arriva uno shock di domanda (come nel 2009) lo gestirai come se fosse uno shock di offerta.
Ora, simili "errori" dipendono naturalmente da una quantità enorme di motivazioni storiche, sociologiche, epistemologiche, deontologiche, e chi più ne ha più ne metta. Le più rilevanti sono anche le più nobili: il desiderio di attaccare l'asino dove vuole il padrone, e la smania di far carriera. Queste motivazioni sono trasversali a molti campi e quindi non esito a immaginare che ne comprenderete immediatamente l'importanza. Certe "cantonate", insomma, sono più apparenti che reali, nel senso che magari, ricordandosi che cosa era scritto nei libri del primo anno, e che cosa insegnano a ECON101, molti colleghi, come abbiamo più volte evidenziato in questo blog, potrebbero (e avrebbero dovuto) fare a meno di consigliare con fastidiosa regolarità la ricetta sbagliata (ad esempio, l'austerità durante uno shock negativo di domanda). Fatto sta che in certe contingenze storiche se non dici quello che devi dire non fai carriera: non ti pubblicano (con me ci hanno provato, come ricorderete), non entri nel network giusto, ecc.
En passant segnalo che questi meccanismi che abbiamo visto tante volte all'opera nella professione economica (fatta di macroeconomisti, microeconomisti, economisti del lavoro...) sono esattamente quelli che vediamo oggi all'opera nella professione medica (fatta di virologi, epidemiologi, immunologi...).
Niente di più, niente di meno.
Ma oltre questa miseria umana, che tutti ci accomuna (non sono umani solo gli economisti e i medici - forse in questo periodo loro lo sono un po' meno degli altri - siamo tutti umani, anzi: umanƏ), oltre questa umana fragilità c'è anche un altro motivo, più "tecnico", che spiega la strana difficoltà di parrocchetti e cacatua nel ritenere in testa le due paroline magiche: domanda e offerta. Questa difficoltà in parte credo dipenda dalla straordinaria rozzezza del modello che tutti noi professionisti utilizziamo per tenere i due pezzi insieme. Oggi voglio spiegarvi com'è fatto questo modello, il modello AS/AD (aggregate supply, aggregate demand), e che cosa, utilizzandolo, gli científicos si aspettano che accadrà in seguito all'aumento dei prezzi dell'energia. Se arriverete in fondo, sarete anche voi degli científicos. La spiegazione che vi darò farà a meno delle formule: a chi vuole sentirsi intelligente suggerisco di rileggersi un canto di Dante. Sarà però indispensabile usare dei grafici. Spiace. D'altra parte, questo è un blog tecnico e nessuno vi obbliga a leggerlo, soprattutto in una settimana in cui ben altre preoccupazioni incombono su tutti noi.
Le unità di misura
Per cominciare, è utile che capire bene quali variabili sono rappresentate dal modello. Non è difficile, sono due:
sull'asse delle ascisse, il volume del prodotto (interno lordo), indicato dalla lettera
Y, e su quello delle ordinate il livello dei prezzi, indicato dalla lettera
p. Prima osservazione: Y è il Pil, non la crescita del Pil (la crescita economica), e p è il livello dei prezzi, non la crescita del livello dei prezzi (l'inflazione). Il modello quindi è statico, il che significa, come vedremo meglio "riempiendo" questa scatola, che il modello più usato dagli economisti non rappresenta le due cose che agli economisti più interessano: la dinamica del prodotto (la crescita) e la dinamica dei prezzi.
Eggnente, fa già piangere così, ma questo è solo il primo gradino della vostra discesa verso l'abisso...
L'offerta di lungo periodo
In economia (micro) la curva di offerta indica quale quantità q di un determinato bene l'imprenditore trova conveniente produrre dato un certo livello dei prezzi. Normalmente all'aumentare del prezzo l'imprenditore è incentivato a produrre di più, e quindi la curva di offerta ha inclinazione positiva, cioè è una cosa di questo tipo, dove a prezzi più alti corrispondono quantità maggiori:
Il modello AS/AD non considera la quantità
q di un singolo bene ma l'aggregato
Y di tutti i beni prodotti da un determinato Paese, e lo fa ipotizzando che nel lungo periodo l'offerta di beni, intesa come quantità massima di beni che è possibile produrre, dipenda solo dalla tecnologia e dall'offerta di fattori produttivi (capitale e lavoro). L'offerta aggregata di lungo periodo, cioè il potenziale produttivo del Paese, che dipende da tutte queste belle cose (che nel modello non sono rappresentate, cioè sono esogene), di converso
non dipende dall'altra cosa che nel modello c'è, ovvero dal livello dei prezzi. In altre parole, la curva di offerta di lungo periodo è fatta così:
Una retta verticale posta al livello (esogeno) del Pil potenziale, che è lo strano oggetto di cui
vi ho parlato ad esempio qui e su cui abbiamo tenuto
questo convegno. Volendo prendere per buone le stime di questa gigantesca puttanata (scusatemi: tale è e come tale va definita) fornite dal Fmi, per dare un po' di concretezza al grafico, supponendo che
Y sia misurato in miliardi di euro, potremmo scrivere:
ovvero: la curva di offerta di lungo periodo nel 2021 è verticale al livello di 1749,17 miliardi di euro, corrispondenti appunto al Pil potenziale (stimato).
A proposito, siccome vi ho detto che non avrei usato formule, allora le uso. Il Fmi non fornisce direttamente il valore del Pil potenziale, ma quello dell'output gap (lo trovate in questo foglio Excel), definito come scarto fra il Pil effettivo e quello potenziale espresso in percentuale del Pil potenziale:
per cui il Pil potenziale può essere ottenuto invertendo la formula:
e con i dati del 2021 ottenete appunto:
cioè secondo il Fmi nel 2021 saremmo 85,78 miliardi al di sotto del nostro potenziale produttivo (io credo
lo scarto sia molto più grande, come sapete, ma chiudiamo qui la parentesi).
Qual è il significato di questa curva verticale, cioè "rigida" rispetto al livello dei prezzi? Possiamo leggerla così: nel lungo periodo non importa quale sia il livello di prezzo prevalente, perché il sistema non potrà andare oltre il livello di produzione reso possibile dalle tecnologie, dal numero di lavoratori e dallo stock di capitale fisico (macchine, attrezzature, capannoni, ecc.) disponibili. Ad impossibilia nemo tenetur.
La domanda aggregata
In microeconomia la curva di domanda generalmente ha un'inclinazione negativa, perché riflette il dato dell'esperienza comune a tutti noi che di norma e in media se un bene costa di più tendiamo ad acquistarne di meno (se non altro perché finiamo i soldi). Quindi la curva di domanda microeconomica è una cosa di questo tipo:
e riflette il fatto che quando aumenta il prezzo
p di un bene diminuisce la quantità
q che desideriamo consumarne. Trasponendo il discorso sul piano macroeconomico, quello che ci interessa rappresentare è la domanda
aggregata, cioè, in buona sostanza, il potere di acquisto a disposizione dell'intera collettività nazionale (immaginando un'economia chiusa, senza scambi con l'estero, altrimenti dovremmo considerare anche il potere di acquisto dei cittadini residenti altrove). A differenza dell'offerta aggregata, che non dipende dai prezzi per i motivi su esposti, la domanda aggregata ovviamente dipende dai prezzi in modo inverso: se aumentano i prezzi, diminuisce il potere di acquisto dei saldi monetari a disposizione dei cittadini (consumatori, imprenditori) e quindi la loro spesa (per consumo, investimento) necessariamente dovrà diminuire. La curva di domanda aggregata quindi è una cosa di questo tipo:

dall'andamento vagamente iperbolico (in effetti, la derivazione analitica più semplice produce un ramo di iperbole equilatera, ma non vi annoio anche con questo), a significare che quando i prezzi tendono a infinito (cioè quando si va verso l'alto) la quantità di beni che i residenti possono acquistare tende a zero, mentre se i prezzi tendessero a zero la quantità di beni teoricamente acquistabili tenderebbe a infinito.
Non è così difficile, se ci pensate un attimo...
Assemblaggio: l'equilibrio di lungo periodo
Naturalmente ora da bravi psittacidi dobbiamo mettere insieme la domanda e l'offerta: così facendo individueremo un punto di equilibrio. Viene fuori una cosa di questo tipo:
Il punto
E è l'equilibrio. In quel punto il livello dei prezzi (
p soprassegnato) è tale da permettere ai residenti di acquistare un livello di prodotto esattamente pari al prodotto potenziale. Se i prezzi fossero più bassi, la domanda sarebbe maggiore del Pil potenziale. Ma siccome il Pil potenziale è, come ricorderete, il livello al quale si può spingere la produzione senza generare aumenti dei prezzi, qualsiasi tentativo di spingere la domanda a destra della barriera della curva di offerta verticale, spingendo i prezzi in basso, farebbe aumentare i prezzi, riportandoci a
E. Se i prezzi fossero più alti, la produzione potenziale eccederebbe la domanda, il che spingerebbe i prezzi verso il basso.
Rifletteteci un po' sopra, ma intanto considerate due cose: la prima è che il punto E, punto di equilibrio, in un modello statico è un punto morto. In E non c'è crescita (il prodotto è esattamente uguale al potenziale e lì resta), in E non c'è inflazione (il livello dei prezzi è esattamente quello che permette ai residenti di comprare tutto il prodotto potenziale coi soldi che hanno, e lì resta). Un punto di crescita zero e inflazione zero abbastanza irrealistico.
La seconda cosa è che se nel 2021 fossimo stati in equilibrio di lungo periodo il nostro Pil sarebbe stato 1749,17 miliardi. Invece è stato di 1663,39 miliardi (secondo il Fmi). A prendere per buone queste cifre, si direbbe che nel 2021 non fossimo nel punto di equilibrio di lungo periodo, ma un po' al disotto (e ci mancherebbe anche, visto la sberla che ci siamo presi)! Ora, non entro in come andrebbe rappresentato in questo modello lo shock causato dal COVID (vi anticipo che se vi interessa una spiegazione scolastica chiara è qui ma naturalmente la questione non è semplice, dato che il COVID è un fenomeno complesso per un modello così semplice). Vorrei prima spiegarvi come si rappresenta in questo modello il fatto che il sistema economico possa non essere sempre in una posizione di equilibrio di lungo periodo, una posizione stabile in cui nessuna variabile manifesta una tendenza a spostarsi: lo si fa introducendo la curva di offerta di breve periodo.
Il breve periodo
L'equilibrio di breve periodo nel modello AS/AD (almeno, nelle versioni più "scolastiche" di esso) è situato all'intersezione della curva di domanda aggregata con la curva di offerta aggregata di breve periodo (SRAS, short-run aggregate supply). Come è fatta questa curva? L'ipotesi è che nel breve periodo, cioè a prezzi dati (perché l'aggiustamento dei prezzi richiede tempo e quindi ci proietta nella dimensione del lungo periodo), sia possibile produrre qualsiasi quantità di prodotto. In altre parole, come dicono gli economisti, l'ipotesi è che nel breve periodo l'offerta aggregata sia infinitamente elastica al prezzo (mentre nel lungo è rigida). Ora, detto così suona assurdo, ma questa ipotesi non è altro che la rappresentazione stilizzata di una miriade di situazioni che effettivamente in pratica possono verificarsi. Faccio un esempio: se per qualche motivo la domanda aggregata aumenta, per un po' (aka nel breve periodo) è possibile espandere la produzione aumentando l'utilizzo della capacità produttiva esistente, pagando qualche straordinario, ma senza aumentare i salari e quindi i prezzi. La stessa cosa vale in caso di una riduzione imprevista della domanda, come quelle dovute a un lockdown: si produce di meno, ma allo stesso prezzo.
In termini grafici, questo significa che la SRAS è orizzontale:
Assemblaggio: l'equilibrio di breve periodo
Proviamo a mettere insieme tutti e tre i pezzi. Per come sono fatte, le curve di lungo periodo necessariamente si incontreranno in un punto, e solo in quello (che quindi è, per costruzione, l'equilibrio di lungo periodo). Che tre curve si incontrino nello stesso punto invece richiede un po' più di fortuna.
Siccome siamo científicos, facciamo come gli científicos, cioè facciamo finta di averla, questa fortuna. Il grafico si presenterebbe così:
In questo caso il punto
E sarebbe di equilibrio sia di lungo che di breve periodo, cioè al livello di prezzi
p soprassegnato il Pil effettivo coinciderebbe con quello potenziale. Per usare un termine che a qualcuno di voi è noto, questa è una situazione in cui l'output gap è nullo: non c'è inflazione, non occorre fare politiche espansive (altrimenti l'inflazione partirebbe), né politiche restrittive (altrimenti si entrerebbe in deflazione).
Ovviamente questa situazione non è molto realistica, anche se le statistiche del Fmi ci dicono che la raggiungeremo nel 2024 (quando secondo loro l'output gap sarà zero). Possiamo però usarla come conveniente punto di partenza per esaminare gli effetti di un tipico shock di offerta di breve periodo: un aumento esogeno dei prezzi, causato dall'aumento dei costi dell'energia (le famose "bollette"). Che cosa succede se le "bollette" aumentano del 50% (come sta accadendo)? Il modello che cosa ci dice che accadrà? E quindi gli científicos che cosa pensano che accadrà?
Pil e bollette
Consideriamo intanto che l'aumento delle "bollette" non è uno shock di offerta di lungo periodo: non modifica né la tecnologia, né la forza lavoro disponibile, né la quantità di macchinari disponibili. La curva AS quindi non si sposterà. Non è nemmeno uno shock di domanda: l'aumento dei prezzi è esogeno rispetto alla domanda, non siamo noi ad averli tirati su in un inverno così caldo (a Capodanno ero a Saracinesco a prendere il sole in maglietta 908 metri sopra il livello del mare, cosa non ovvia da quelle parti...). Non si sposterà nemmeno la curva AD. Nel modello l'aumento "delle bollette" determina uno spostamento verso l'alto (cioè verso prezzi più alti) della curva di offerta di breve periodo.
Succede cioè una cosa così:
dove, per facilitare (spero) la vostra lettura ho aggiunto qualche frecciona:
E quindi? E quindi che cosa si aspettano che succederà i nostri
científicos in seguito all'aumento dei costi dell'energia? Semplice: nel loro modello la curva di offerta di breve periodo SRAS si sposterà verso l'alto in SRAS', semplicemente perché l'aumento del costo dell'energia farà aumentare i prezzi di ogni bene e servizio. Il livello generale dei prezzi aumenterà quindi fino a
p', cioè ci sarà inflazione (lungo il tragitto da
p a
p'). Conseguentemente il nuovo equilibrio non sarà più in
E. La curva di offerta di breve periodo intersecherà la curva di domanda in
E', in corrispondenza di un livello di Pil più basso,
Y', cioè ci sarà recessione (lungo il tragitto da
Y soprassegnato a
Y').
Uno shock di offerta di questo tipo provoca quindi simultaneamente due cose che a nessuno piacciono molto, almeno non in questa combinazione: inflazione (cresce p) e recessione (cala Y). L'inflazione, come saprete, c'è già. La recessione va interpretata. In questo modello molto semplice assistiamo a un calo del livello del Pil. In effetti, però, il mondo è più complicato. In questo momento siamo ancora in una fase di rimbalzo dopo la sberla del 2020-2021, per il 2022 si parla di una crescita del 4%. Ecco, diciamo che magari a conti fatti nel 2022 la crescita potrebbe non essere del 4%, ma inferiore, con tutto quello che ne consegue ad esempio per la sostenibilità del debito. Del resto, abbiamo già visto che il weekly tracker dell'OCSE dimostra qualche segno di affaticamento, quindi: sta già succedendo.
E gli científicos lo sanno.
La morale della favola
Ora è veramente tardi, devo avviarmi a concludere con la morale della favola, che è
questa:
L'intervista a Borghi oggi sulla Verità (a proposito: vi siete abbonati?) spicca per contenuti e per corredo iconografico. La foto scelta riassume perfettamente la morale della favola, che è più o meno questa: quando la SRAS slitta verso l'alto, se sei uno científico vorrai stare ovunque, tranne che al Governo.
Se sono riuscito a farvi capire perché, ne sono lieto.
Se non ci sono riuscito, sono qui per rispondere.
Buenas noches!