Care lettrici,
cari lettori,
fra poco, o da
poco, avrete forse ascoltato in televisione le parole di un’alta carica
istituzionale alla quale la legge ci comanda rispetto. Io me le risparmierò (o
me le sarò risparmiate). So, come sapete voi, che da quel lato possiamo
aspettarci poche sorprese. Non penso di riservarvene molte di più io, ma non
rinuncio al desiderio un po’ egoistico di condividere con voi l’angoscia e l’amarezza
di questo momento.
Il 2015,
purtroppo, è andato come ci aspettavamo che andasse. Sul Fatto Quotidiano del 31
dicembre scorso scrivevamo
1. che il
Quantitative Easing di Draghi avrebbe fallito (per motivi
a noi chiari da anni, poi brillantemente ribaditi e sviluppati a maggio su asimmetrie.org
dall’amico Charlie Brown);
2. che la
crescita sarebbe stata inferiore alle aspettative del governo (e più vicina
alle nostre
previsioni);
3. infine, che il
TTIP avrebbe fatto qualche passo avanti (il meccanismo comunicativo adottato, d’altronde,
ci chiariva che anche in questo caso, come in quello della moneta unica, la
decisione è sostanzialmente già stata presa, e tutto il resto è teatrino).
Che il QE abbia
fallito lo dice da settembre anche il Financial
Times, il cui scetticismo verso Draghi rasenta ormai il
dileggio. Sulla crescita non mi pronuncio: ognuno di voi sa cosa pensarne.
L’ultima edizione dei Conti
trimestrali ISTAT dà per acquisita una crescita 2015 pari allo 0.6% (la
nostra previsione). Nulla di sorprendente: il governo si basava sul suo wishful
thinking (che entro certi limiti è anche un suo dovere istituzionale), e noi su
un modello pubblicato su rivista, che aveva chiaramente specificato come e
perché il QE non avrebbe promosso la crescita (ma
questo lo sapete). Del TTIP è inutile parlarne. Decisioni prese sopra le
nostre teste.
Con queste
premesse, ho timore di volgere lo sguardo al 2016. Non è escluso, e anzi appare
in questo momento molto probabile, che esso ci ponga di fronte al bivio del
quale vi ho parlato tante volte: quello fra ricapitalizzare le nostre banche in
euro, mettendoci in mano alla troika, o ricapitalizzarle in lire, riprendendo
in mano la nostra vita. La prima opzione ci è stata graziosamente annunciata
dall’amico Lars, nell’inedita veste di misso dominico, come vi ho riportato qui;
la seconda opzione è quella che la storia dichiara inevitabile, cosa della
quale ormai si accorgono un po’ tutti: dal simpatico Bilbo,
a Zingales (se pure in forma tortuosa e implicita, come vedremo). Quindi la
valutazione è che arriveremo con probabilità uno alla seconda, ma passando con
una probabilità ormai decisamente superiore a 0.5 per la prima.
Se però mi
permettete, vorrei motivare questo giudizio di sintesi con un minimo di
analisi, stimolata anche dalle recenti discussioni su questo blog. La domanda
che in molti ci siamo posti (o almeno, che vi ho stimolato subliminalmente a
porvi) durante questo ultimo mese è: “ma perché quando si parla di moneta o di
corruzione la gente sclera?”.
Può sembrare che
questa domanda abbia poco o nulla a che vedere con la crisi bancaria che tanti
paventano, o con la maggiore o minore probabilità di un commissariamento dell’Italia.
Può sembrare anche che i due termini della questione (corruzione e moneta)
siano eterogenei, e che quindi metterli insieme in uno stesso interrogativo non
ci aiuti molto a procedere nella nostra analisi, nella nostra comprensione del
reale.
Naturalmente la
penso in modo un po’ diverso. Credo che una riflessione su questa domanda ci
aiuti a capire perché siamo arrivati qui e quali strade ci si aprano, o meglio
chiudano, davanti. Per giustificare questa mia intuizione, vi faccio notare una
cosa. Esiste una piacevole simmetria fra lo sclero sulla moneta e quello sulla
corruzione. Come ormai avrete notato, chi sclera sulla moneta normalmente tende
a negare che essa sia un fatto politico (“l’euro è solo una moneta”), il che
non esclude che ad essa attribuisca un valore morale (“non puoi più fare il
furbo svalutando la liretta”). Simmetricamente, chi sclera sulla corruzione
normalmente tende a considerarla il
fatto politico (in effetti: l’unico fatto politico rilevante), riconducendo sistematicamente
i giudizi politici a giudizi morali.
Vorrei porre come
ipotesi di lavoro quella che l’esercizio del dibattito e dei diritti politici abbia
come obiettivo il trovare, nelle forme che l’ordinamento prevede e consente, un
punto di sintesi fra interessi in conflitto, affinché la vita della polis resti
nella misura del possibile pacifica e ordinata. Io non sono uno scienziato
politico, quindi può darsi che chi invece lo è trovi questa mia affermazione un
po’ naïve (e in questo caso, a differenza di quando si parla di cose che io
conosco e l’interlocutore no, sarò lieto di accettare correzioni). Diciamo però
che se scendiamo dal terreno dei grandi ideali (cioè delle cortine fumogene) a
quello della “struttura” (cioè dell’economia), è abbastanza ragionevole
riconoscere che capitale e lavoro (da definire caso per caso) hanno interessi
confliggenti, e che una mediazione efficiente di questi interessi è
indispensabile. Sapete che la mediazione attuale, quella basata sullo
schiacciamento del lavoro, è inefficiente, perché conduce naturaliter a una
crisi finanziaria, come spiego ne L’Italia può farcela, dopo avervene parlato
ad esempio a Pescara
e a Bruxelles.
Ora, torniamo ai
nostri amici per i quali la corruzione è un fatto politico, mentre la moneta
no. Secondo me le cose stanno esattamente al contrario: la moneta è un fatto
politico, la corruzione no.
La corruzione non è un tema politico
Mi spiego subito,
partendo dalla seconda affermazione (prima che qualche poraccio con l’invidia penis del SUV venga a buttare
tutto in caciara), e lo faccio con un esempio. A voi risulta plausibile, o
anche semplicemente possibile, che un partito politico metta nel suo programma l’incitazione
alla corruzione? Direi di no. Difficile che un politico si presenti in un
dibattito dicendo: “Io sono per la corruzione!” (o per l’incesto, o per quel
che è…). Ora, visto che nessuno dichiarerà mai di propugnare o difendere la
corruzione, sul tema non ci potrà mai essere contrasto di interessi, e nemmeno
di vedute, né dibattito fra favorevoli e contrari. Quello della moralità, in
effetti, è un tema prepolitico: chi lo usa come tema politico si propone in
effetti di annientare la possibilità di qualsiasi dibattito.
Lo si è visto
bene nel dibattito sottostante a
questo post, che, scritto al volo ai giardinetti, ha avuto un successo
inaspettato (bè, proprio inaspettato no, ormai mi conoscete…): 12867
visualizzazioni, 244 commenti, 16 “+1” in GooglePlus. Ma la discussione ha
avuto degli esiti che non stento a definire surreali.
Ci sono stati
alcuni casi patologici (non me ne vogliano gli interessati), come quelli di tal
Zundap, che commentando un post nel quale scrivevo che il Fatto Quotidiano “è
più o meno l'unico giornale che ci stia informando sulla crisi bancaria, cioè,
come qui sappiamo da quattro anni, sulla crisi tout court”, e che “sta facendo
un lavoro eccellente, e c'è da scommettere che passerà i suoi guai per questo.
Quindi è nostro dovere sostenerlo. Ha anche dimostrato di essere l'unico
(leggi: UNICO) organo di stampa italiano aperto a un minimo di pluralismo sui
temi di fondo”, interviene in tal guisa:
Luigi Zundap ha
lasciato un nuovo commento sul tuo post "La corruzzione rende
ciechi":
Travaglio ed il
FQ non sono il massimo dell'informazione ma per favore in mezzo alla stampa
nazionale sono uno dei pochi giornali che cercano di fare una informazione
"decente" quindi "non spariamo sul pianista".
Postato da Luigi
Zundap in Goofynomics alle 28 dicembre 2015 14:27
E va bè…
Ma anche al di
fuori di questi casi limite, nessuno è voluto entrare nel merito delle tre questioni che sollevavo:
1. è scorretto
(mi spiace dirlo, ma questo è) presentare surrettiziamente come un’anomalia
statistica un dato che viceversa è in linea con la media europea (l’evasione
italiana sta all’evasione europea come i redditi italiani stanno a quelli
europei);
2. è
politicamente inopportuno, soprattutto in questo momento di emergenza
nazionale, farlo con intenti razzisti verso gli italiani;
3. è logicamente contraddittorio
chiedere di pagare le tasse a beneficio di una comunità che si dipinge come una
comunità di cialtroni (che quindi non meritano né risorse né tantomeno
correttezza).
Ecco, è
soprattutto l’ultimo punto che mi sembra sia sfuggito un po’ a tutti. Il
messaggio “travaglista” è intrinsecamente contraddittorio, a mio avviso. Non
puoi partire dall’assunto che noi italiani siamo ontologicamente merda senza
se, senza ma e soprattutto senza forse, e poi pretendere che siamo lieti di contribuire
(da contribuenti) a questo mucchio di letame! Forse chi esorta alla lealtà
verso lo Stato, dovrebbe mostrare, o almeno fingere, un minimo di fiducia nelle
proprie istituzioni e nei propri concittadini, di moderato orgoglio nazionale, qualcosa
che trametta insomma il senso che il sacrificio che si sta per fare non è un
vuoto a perdere, non va solo nelle ostriche di Batman, ma anche (e prevalentemente)
nello stipendio del medico di pronto soccorso. Invece gnente. Noi siamo merda,
ma dobbiamo pagare altre merde. Insomma, la versione Cambronne del mercoledì
delle ceneri: merda alla merda.
Invece di
discutere questo tema, cioè l’opportunità di creare un minimo di senso dello
Stato partendo dalla costruzione di un’identità positiva per la nostra
comunità, si sono attraversate sessanta sfumature di imbecillità, dal “Bagnai giustifica
la corruzione”, all’immancabile “artigiano col SUV”, senza mai passare per un
confronto coi numeri (il tema della mia prima osservazione).
Ma non ne voglio
ai tanti che hanno animato questo surreale dibattito. Non è colpa loro se sono
caduti in trappola. L’uso di un tema prepolitico con finalità apolitiche non è
mica casuale, non è una novità, e non è che ci voglia un genio per praticarlo,
mentre bisogna essere un minimo smaliziati per evitare di cascarci. Sono
tecniche che si imparano sui libri, come quelli di Foa e di Giacché. Per
azzerare il dibattito politico basta scegliere un tema valoriale, ed è fatta.
Il dibattito prende subito la nota piega (anzi: piegà):
Uno: “O-ne-stà!
O-ne-stà!”
Un altro: “Scusate,
la disoccupazione…”
Uno: “Ecco, sei
corrotto, sei contro l’o-ne-stà, o-ne-stà, i problemi si risolvono con l’o-ne-stà,
o-ne-stà, cosa vuoi? Fare spesa pubblica per promuovere l’occupazione? Allora
sei corrotto! Non hai capito che il problema è che se so magnati tutto? O-ne-stà,
o-ne-stà…”
E via così,
secondo il teatrino al quale assistiamo da tempo e che sinceramente stufa.
Ve lo dico in un
altro modo, cari amici. Lo capite sì, o lo capite no, dopo gli esempi che vi ho
fatto, che trasformare il tema dell’onestà in un tema politico è una trappola
costruita per costringervi al ruolo di imbecilli? Imbecilli che poi non siete,
ne sono certo. Ma quante stupidaggini si fanno agendo d’impulso? Pensateci. Se verrà
la troika, non è escluso che abbia questi
begli occhioni scuri: il Financial Times non ti sdogana per caso. Allora ne
riparleremo, se avrete voglia, va bene?
La moneta è un tema politico
Poi c’è lo sclero
sulla moneta: quello è ancor più incomprensibile. Più esattamente, come ho già avuto
modo di dirvi, è per me incomprensibile
come a “sinistra” si possa affermare che l’euro è solo una moneta! Il
rifiuto di ammettere quello che è ovvio, e che intellettuali
del calibro di Streeck ribadiscono, ovvero che i sistemi monetari sono
istituzioni, e come tali sono il prodotto dei rapporti di forza prevalenti fra
le classi sociali, e contribuiscono quindi a loro volta a determinare questi
rapporti (cioè, in soldoni: incidono sulla distribuzione del reddito), questo
rifiuto rimane per me incomprensibile e priva chi più ne avrebbe bisogno della
capacità di leggere l’evoluzione degli avvenimenti.
Guardate ad
esempio cosa ammette il nostro migliore amico, Zingy!
(in una
intervista al Fatto
Quotidiano). Dice quello che qui ci siamo sempre detti, e che era parte
della normalità, come ho cercato di spiegarvi (suscitando interminabili
scleri): che il finanziamento con base monetaria (oltre a essere, come vi ho
mostrato, una prassi
normale prima della controrivoluzione liberista), è ovviamente l’unico modo
per risolvere effettivamente un crisi bancaria sistemica. Solo la garanzia di
una Banca centrale può arrestare il panico: i risparmiatori non correranno in
banca a prosciugare (o tentare di prosciugare) i propri conti se sanno che la
Banca centrale alle brutte “stamperà” i soldi che eventualmente mancassero. E
ovviamente se i risparmiatori sanno che le cose stanno così, in banca non ci
vanno, e quindi la Banca centrale di soldi deve stamparne molti di meno!
Finirà così,
dovrà necessariamente finire così, e, come vi ho altresì già detto, anche l’eterno
secondo alla fine lo ha confessato. L’unica utilità residua del QE è quella
di contribuire indirettamente al risanamento del sistema bancario, monetizzando
la monnezza che si è andata accumulando nel tempo, cioè facendo in forma
surrettizia quello che le regole europee vietano di fare in forma esplicita: intervenire
come lender of last resort delle
istituzioni bancarie. Una funzione assolutamente fisiologica
per una banca centrale, come feci notare tempo addietro in una polemica
della quale forse
vi siete dimenticati, e che fra l’altro, secondo me, non è nemmeno
esplicitamente vietata dai Trattati (che invece vietano l’intervento per
monetizzare il deficit pubblico, cioè l’acquisto di titoli pubblici sul
primario).
Il problema di moral hazard, cioè il fatto che stampando la liretta deresponsabilizzi er politico o er l'amministratore, non si risolve espropriando i pensionati, ma punendo i responsabili, se lo si vuole fare, e questo lo dice chiaro e tondo anche Zingales (onore al merito).
Ma c’è un
problema, che capisci solo se ammetti che l’euro è un’istituzione. E qual è?
Quello che noi conosciamo, e che Zingy dice certamente senza accorgersene e
probabilmente senza volerlo dire!
Sentitelo:
“Il problema
sistemico si risolve con l’intervento della banca centrale che in caso di crisi
di liquidità deve garantire interventi massicci a sostegno delle banche. E
questo dovrebbe essere pacifico in caso di crisi generale. Ma in una crisi su
base regionale, localizzata ad esempio in Italia, la Bce interverrebbe in modo
deciso?”
Avete capito?
Riportiamo questa
logica al mondo di prima, che sarà quello di poi, ovvero il mondo delle banche
centrali nazionali. Riportiamo cioè il discorso dalla scala della nazione
europea (che non esiste) a quella dello Stato italiano (che esiste). Per
fissare le idee, sostituite BCE con Bankitalia, e Italia con Campania. Il
passo, dopo questa sostituzione, diventa:
“Il problema
sistemico si risolve con l’intervento della banca centrale che in caso di crisi
di liquidità deve garantire interventi massicci a sostegno delle banche. E
questo dovrebbe essere pacifico in caso di crisi generale. Ma in una crisi su
base regionale, localizzata ad esempio in Campania, Bankitalia interverrebbe in
modo deciso?”
Se leggete la
seconda versione, notate una certa assurdità. Perché mai Bankitalia non
dovrebbe intervenire a salvare una banca con sede a Napoli? Che interesse
avrebbe a far fallire la Campania? E perché la BCE non dovrebbe intervenire a
salvare le banche italiane? Che interesse avrebbe a far fallire l’Italia?
Ah, ecco…
Chissà se così
riuscite a farlo capire ai vostri amici che:
1. l’intervento
della Banca centrale “stampando moneta” è ammesso e anzi considerato risolutivo
perfino da Zingy e perfino dal Financial Times;
2. però non lo si
può mettere in pratica perché l’euro non è solo una moneta: è un sistema
monetario, cioè un’istituzione, che riflette un ben preciso sistema di rapporti
di forze, che in questo momento ci vedono soccombere.
Così è più
chiaro?
Ecco: se uno
capisce che la moneta è politica, allora capisce anche perché alla fine la
Banca centrale dovrà intervenire, e perché l’intervento risolutivo non potrà
mai venire da una Banca centrale europea. Il che implica, ovviamente, che l’intervento
risolutivo potrà venire solo da una Banca centrale nazionale, cioè che, come
dice l’amico Bilbo citato nel post precedente, bisognerà uscire.
E a questo punto
avrei voluto parlarvi di tavoli: ma mi stanno chiamando, e lo farò un’altra
volta e in altra sede. Il tavolo al quale devo sedermi non prevede, purtroppo, la vostra
presenza…