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domenica 29 settembre 2024

#goofy13: il programma (parte seconda)

(...la seconda parte. Ultimamente mi capita di pensarci: sono del '62, ho sessantadue anni, e per quanto una volta potessi avere fiducia nella scienza, e per quanto sia prudente, riconosco che sconfiggere questo record è un'impresa a probabilità molto bassa, e tra l'altro spostarsi in Abruzzo è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per riuscirci. Sono quindi nella seconda parte della mia vita, e del programma del #goofy13...)


Il fallimento del progetto europeo porta con sé una serie di non imprevedibili conseguenze sulle quali qui da tempo ci siamo interrogati e dalle quali (spero) ci siamo almeno in parte premuniti. La più ovvia è la svolta autoritaria, quella di cui i "punturini" si sono accorti solo grazie al lockdown, ma che qui abbiamo visto anzitempo, mettendola al centro della nostra riflessione da quando ha fatto un salto di qualità: nel 2016, dopo la triplice sconfitta (Brexit, Trump, Renzi) di quel sistema che aveva nel 2015 massacrato la Grecia, destando meno indignazione di quando avrebbe dovuto, ma, evidentemente, sempre più di quanto avrebbe voluto!

Benedetto Ponti aprirà la giornata di domenica parlando di "Disinformazione contro libertà di espressione". La repressione della libertà di espressione del pensiero inizia quando nel dibattito si fa strada la categoria di "disinformazione". Come ho sempre sostenuto in questo blog, commentando capolavori di giornalismo come questo o questo, la libertà di espressione include anche la libertà di menzogna, di propaganda, insomma: di disinformazione. Nessuno ha contestato questo principio finché a disinformare erano il Corriere (vi ho riportato due esempi), il Sole, ecc., insomma: tutto il clero dei media ufficiali.  Appena i social hanno consentito di smascherare le bufale più evidenti, ma soprattutto appena si è visto che il discorso unico e accettato non teneva, che la menzogna di Stato non arginava il malcontento e la sua espressione nelle urne (ricorderete lo sfogo tanto sincero quanto ingenuo della povera Botteri: "non si è mai vista una stampa così compatta e unita contro un candidato..."), è iniziata la solfa della lotta alla disinformazione e dei debunker, quella corte dei miracoli di zero tituli convocata e legittimata, come spero ricordiate, nientemeno che dalla collega Boldrini! Si è così palesato l'animo intrinsecamente aristocratico della sinistra, che se proprio non può attribuire direttamente a quei pezzenti degli elettori la colpa dei propri insuccessi, ripiega sull'attribuirglieli indirettamente, incolpando i "disinformatori" (che poi sarebbero quelli che dicono qualche mese o anno prima quanto i giornal-oni dicono qualche mese o anno dopo). Succede insomma per il controllo del discorso politico quello che è successo per il controllo dell'emissione monetaria, come vi ho spiegato a Pizzoferrato al termine della presentazione de "La forbice e l'ago": finché erano nelle mani dell'aristocrazia, nessuno li ha contestati. Quando il popolo ha provato a riappropriarsene, ci si è accorti che sarebbe stato più opportuno consegnare quei poteri a un'autorità prepolitica, indipendente, al riparo dal processo elettorale: la banca centrale, o i fact chekers, che hanno in comune il rinvio, posticcio, pretestuoso, ridicolo, a una norma o a una verità "tecnica" asseritamente sottratta al giudizio politico. Sarà interessante ascoltare Benedetto.

A seguire, Maddalena Loy, che pure da quel mondo viene (Unità, Rai, ecc.), ma è poi stata a sua volta, in una seconda vita, oggetto dell'attenzione dei debunker, modererà un panel su "Il tribunale della verità" (un tribunale che andrebbe abolito se non altro perché nessuno ha la certezza di esserne per sempre giudice...). Al panel, insieme a Benedetto, parteciperanno Carlo Magnani, che già conoscete, e un'altra new entry, Antonio Nicita, docente alla LUMSA, ora senatore del PD, illo tempore membro dell'AGCOM che consentì simili vette di informazione (vi sblocco un ricordo...), all'epoca in cui, come ci siamo detti sopra, i fact checkers non erano ancora di moda.

I popoli europei non si sono svegliati perché toccati nel deltoide (ricordo che la stragrande maggioranza era ed è favorevole a offrire il deltoide alla Patria), ma perché toccati nel portafoglio (la stragrande maggioranza è sempre stata sfavorevole a far frugare la Patria nel proprio portafoglio)! Inevitabile quindi, nel discutere delle possibilità di successo dell'Europa, affrontare la questione salariale, soprattutto ora che Draghi, come sapete, l'ha messa come la mettevamo noi quattordici anni fa (in una unione monetaria gli shock negativi di domanda estera si scaricano sul salario). Lo faranno per noi Savino Balzano, che conoscete, e Pasquale Tridico, che altresì conoscete ed è una new entry. Da economista sono stato a convegni organizzati da lui, è stato così cortese da accettare il mio reciproco invito ("verrai tu a cenar meco?").

Infine, dato che parlare di salari, in Europa, è parlare di integrazione monetaria (per i motivi succintamente accennati sopra), concluderò io, per ragionare con voi su quanto l'integrazione monetaria stia continuando a disintegrarci, riprendendo il titolo di un mio paper pubblicato online nel mio cinquantacinquesimo compleanno, trentotto giorni prima che Matteo Salvini mi offrisse una candidatura da indipendente. Vedremo insieme qualche numero e ne trarremo le conclusioni, che sono piuttosto scontate.

Ricordate sempre quello che ci ha insegnato Jacques Sapir sulla fine dell'URSS: "Tutti erano convinti che non potesse durare, ma nessuno si immaginava come potesse terminare". Insomma, la dialettica fra irreversibilità e insostenibilità sulla quale qui ci siamo tante volte interpellati. Quando gli uomini non hanno abbastanza fantasia, le soluzioni le trova la storia, anzi, la SStoria, che da qualche secolo in qua regolarmente ci dimostra di avere meno fantasia dei suoi protagonisti.

Ma non voglio ripetermi: sono sì nella seconda parte della mia vita, e del programma, ma non mi sono abbastanza inoltrato da rendere scusabile il tornar sempre sullo stesso soggetto.

Ora sapete che cosa vi aspetta.

A presto!

giovedì 6 giugno 2024

Aridatece Aristotele!

Condivido rapidamente con voi il mio intervento di ieri a Chieti:


che potrebbe interessarvi, mentre a chi avesse bisogno di rimettere le lancette del calendario ricordo che il 2014:

viene prima del 2015:


Ci sono gli #ionondimenticooh, e c’è chi non dimentica! Tutte le tappe sono importanti, se le sai collocare al posto giusto. E la morale della favola, non scontata, è che senza Matteo Salvini lo sbocco politico che mi avete chiesto fin dall’inizio di questo percorso non sarei mai stato in grado di offrirvelo (non se ne dolgano i famoerpartitisti).

Quindi, vi aspetto alle 18 in Piazza Santi Apostoli.

domenica 14 aprile 2019

Come arricchire rapidamente e senza sforzo (la propaganda)

(...adesso basta...)

(...so che aspettate il terzo capitolo della saga di "awanagana", ma perdonatemi: come sempre, le mie priorità le decido io, e come sempre non avrete da lamentarvene...)

Poche ore fa Claudio Borghi ha pubblicato sul suo profilo questo tweet eloquente:

Siamo in campagna elettorale, e purtroppo occorrerà, per un minimo di igiene del dibattito, tornare alle vecchie regole. Le ricordate? Eccole:

Diciamo che alla luce degli sviluppi recenti molti di quelli che allora non capirono la fondatezza di queste regole ora l'avranno afferrata: il succitato dibattito con gli scienziati coNpetenti awanagana è di per sé una spiegazione sufficiente del terzo e del quarto motivo di blocco, il secondo dovrebbe essere self-explanatory, e del primo ci occuperemo oggi, in modo che quando vi capiterà di essere bloccati non abbiate poi a lamentarvi. Ricordo con l'occasione che un clic è come un diamante: è per sempre (e porta con sé il blocco di chi intercede per il malcapitato). Nell'ampio contenitore del #chennepenZa rientra infatti l'attività di sedazione dei boccaloni cui allude Claudio. Attività in pura perdita, come chiarisce la prima legge della termodidattica: ci sono cose che se potessero essere capite non andrebbero spiegate! Se una persona non capisce da sé le motivazioni sottostanti alla diffusione di certe "notizie" da parte dei soliti noti direi che spiegargliele è tempo inutile. Noi abbiamo bisogno di combattenti, e comunque di minus habens non ha bisogno nessuno!

Tuttavia, fedele al motto "severo ma giusto", mi sentirei in colpa, non ci dormirei la notte, se bloccassi sui social qualcuno di voi senza prima avergli spiegato bene il perché. Oggi vorrei soffermarmi su uno dei motivi di blocco che prevedo saranno più frequenti nel prossimo mese e mezzo: quello del malcapitato che avendo letto sulla fonte di stampa x la minchiata y a noi attribuita viene, con toni melodrammatici, a chiederci chiarimenti. Questo "Radames discolpati!" sarebbe già insopportabile (perché petulante) in una persona che fosse entrata in contatto con me da poco, ma è del tutto ingiustificato in chi abbia seguito, o pretenda di aver seguito, il lavoro da me svolto in questi anni su questo blog e altrove. Vorrei ricordare, a costo di ripetermi, che uno dei fili conduttori di questo blog (in effetti il più importante, a insindacabile avviso del suo autore) è stato lo smascheramento delle balle colossali diffuse dalla propaganda avversaria in tema economico (ad esempio qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, ecc.). A fronte di tanti esempi, mi aspetterei che chi si accosta alle fonti di stampa "autorevoli" avesse maturato negli anni un minimo di senso critico. E invece no! Ogni volta si torna daccapo, ogni volta il boccalone (vero o presunto) di turno chiede a te di smentire la notizia tale, invece di chiedere a se stesso quali possano essere le motivazioni di chi gliela sta proponendo. Inutile dire che la macchina della propaganda si è portata avanti col lavoro, e quello che una volta mi venne insegnato dalla mia insegnante comunista in seconda media (valutare criticamente le fonti significa in primo luogo vedere a quali interessi economici, cioè politici, rispondono) oggi verrebbe derubricato a complottismo: la morte della sinistra è tutta qui, e non occorre spenderci altre parole.

Ora, vorrei che voi capiste una cosa della quale il post precedente credo possa darvi una pallida idea (farò un maggiore sforzo per farvelo capire meglio). Il lavoro parlamentare è molto complesso, e richiede tempo. Tanto per fare un esempio, al di là del lavoro tecnico (legislativo e scientifico), dietro alla risoluzione sulla COM(2018) 135 c'è stato tanto lavoro politico, che è consistito, ad esempio, nel parlare (in aula o in corridoio) con i membri dell'opposizione più interessati al tema per sondare le loro posizioni, nel diffondere a tutti i membri della Commissione la bozza (via capigruppo) e raccogliere le loro indicazioni, nel far verificare ai funzionari che l'impostazione fosse formalmente corretta, ecc. In questo particolare caso questo sforzo rispondeva a quello che per me è un principio incontestabile, ovvero che in Europa si va da Italiani, e quindi su atti di questo tipo occorre l'unanimità, che non è una cosa che gli altri ti regalano: devi costruirla, e costruirla nel tempo. Naturalmente, come potrete immaginare, se è difficile trovare unanimità con le opposizioni, non è semplice nemmeno trovare una linea politica all'interno di un partito o di una maggioranza. Si chiama democrazia, e se il vostro argomento è che la dittatura è più efficiente accomodatevi altrove...

Intanto, se il PD avesse messo agli atti una risoluzione in cui fosse stato scritto a chiare lettere quello che oggi dice l'EBA/ESMA (ovvero che il bail in è stata una solenne minchiata) forse se la passerebbe meno male, anche perché se avesse avuto il coraggio di dire quelle cose, avrebbe poi avuto il coraggio di farne altre, e il Paese starebbe meglio. Ma indipendentemente da quello che pensiate del lavoro parlamentare (perché fra voi ci sono molti Padoa Schioppa in erba, come ho avuto modo di stigmatizzare a inizio anno), resta il fatto che se nella giornata standard occorre prevedere un'ora di tempo per smentire cose che non si sono dette, più un'ora di tempo per commentare cose che nessuno ha detto, più un'ora di tempo per gestire con gli specialisti chi ha esagerato, capite bene che 24 ore non bastano! Ora, in modo fattuale e oggettivo, vorrei chiarirvi una volta per tutte un punto essenziale, che dovete afferrare per il vostro, non per il mio bene: la qualità dell'informazione politica è molto peggiore di quella dell'informazione economica, della quale per anni vi ho mostrato lo stato desolante.

Non ci dovrebbe essere niente di particolarmente sorprendente. Intanto, è chiaro che dove il messaggio si fa esplicitamente politico, le dinamiche partigiane, propagandistiche, che, lo sottolineo,

SONO LECITE,
si fanno più esplicite e pervasive. Ma poi, ed è soprattutto qui che oggi insisterò, dovrebbe essere chiaro che chi ha la faccia di tolla sufficiente a dirvi che una variabile osservabile e riportata dagli organi di statistica è diminuita quando invece è cresciuta (o viceversa), chi non teme di essere smentito su elementi oggettivi e facilmente accessibili come i dati economici, figuratevi un po' se teme di essere smentito su dati più evanescenti come quelli politici, fatti di dichiarazioni che possono tranquillamente essere travisate, senza che colui al quale sono state attribuite se ne accorga, o, se se ne accorge, possa reagire, o, se reagisce, possa farlo in modo efficace (considerando che una smentita è una notizia data due volte: il che, peraltro, rafforza la mia tesi che solo un completo imbecille o una persona in totale malafede può venire a chiedere smentite)!  Il sistema mediatico è profondamente malato, ma il problema non è soggettivo, non sono le persone: sono alcune dinamiche oggettive che vorrei provare a interpretare con voi e per voi. Prima di interpretarle, però, di queste occorrerà dare evidenza, occorrerà descriverle. Il mondo delle anime belle è pronto a scandalizzarsi senza se e senza ma laddove si critichino quei media che rimangono il loro ultimo rifugio (cit.): l'habitat nel quale è ancora consentito loro sentirsi buoni, sentirsi colti, sentirsi superiori. Occorre quindi esercitare un'estrema cautela nell'affrontare il tema, che di per sé è divisivo e anche oggettivamente scivoloso. La democrazia, come argomenterò, è in serio pericolo, ma sarebbe illusorio difenderla con misure che la intaccassero ulteriormente. Il rimedio sarebbe peggiore del male. Tuttavia, per decidere serenamente se vogliamo tenerci il male, o come sarebbe possibile porvi rimedio, bisognerà che ancora una volta ci affidiamo alla nostra guida, che in sette anni di dibattito è sempre stata il dato. Seguono alcuni esempi, di gravità variabile. Ve li riporto un po' in ordine sparso, perché è roba che si è accumulata nel tempo. Questo è quel famoso post sul giornalismo che non riuscivo a pubblicare perché non riuscivo a rileggere: c'è voluto un viaggio a Lecco per consentirmelo.


Bagnai infuriato



Come ricorderete, dalla dottoressa Gruber è andata così. Vedendo o rivedendo il video vi farete o rifarete un'idea. Il mio commento è molto semplice: quando si incontrano due professionisti, e lo scopo del gioco è chiaro, lo spettacolo merita sempre (anche nei casi in cui, come in questo, l'unica regola è che non ci sono regole). Biasimo quindi il tifo da stadio che molti hanno esternato su Twitter. A tal proposito, vi segnalo l'autorevole commento del Truzzolillo, che trovate qui (mandategli un abbraccio fortissimo). Avvicinandoci al tema di oggi, vi sottopongo altresì il sereno resoconto di Libero, del quale qui vi accludo screenshot originale:

Apprezzerete il solito giochetto del reverse SEO, la foto a occhi chiusi (selezionata con cura), e la lapidaria descrizione: "Le domande fanno infuriare il leghista Bagnai?" (Bagnani nel tweet). Dopo un mio sereno commento su Twitter (una risata a crepapelle) e su Facebook (una pacata analisi degli effetti di un simile business model sul conto economico di chi lo applichi, peraltro suffragata immediatamente dopo dai messaggi di alcuni amici edicolanti), allo stesso URL, che è questo:

https://www.liberoquotidiano.it/news/politica/13435865/otto-e-mezzo-lilli-gruber-domande-alberto-bagnai-case-chiuse-leghista-sbotta.html

(...notate: alberto-bagnai-case-chiuse-leghista-sbotta... e ditemi voi se ho sbottato!...)

si trova un titolo ben diverso, questo:


(quindi siamo passati da "le domande fanno infuriare" - che lascia supporre un'atmosfera rovente, che non c'è stata - alla "sconcertante domanda, gelo in studio" - che altresì non c'è stato).

Eh già! La figura da "cronisti non estremamente accurati" fatta in diretta web su due canali sui quali ho un certo seguito ha convinto immediatamente i redattori di Libero a rettificare titolo e contenuto (peraltro, rasandolo dalla cache di Google con una certa prontezza), ma senza scusarsi e senza segnalarlo. Una prassi non del tutto anglosassone, ma, come vedremo, molto diffusa. E fino a qui siamo su imprecisioni tutto sommato lievi: mi viene attribuito un atteggiamento che non ho (L'Alberto furioso!), ma non parole che non ho detto. Paulo maiora canamus...

Bagnai è contro lo sviluppo sostenibile

In calce troverete "sbobinato" il breve discorso che ho fatto a braccio al convegno La politica italiana e l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. A che punto siamo? In questo caso verificare che cosa io abbia effettivamente detto è semplice, perché l'evento si svolgeva presso la nuova aula dei gruppi alla Camera, e quindi ne esiste una registrazione video che qui vi sottopongo:




Io intervengo intorno ai 2:50 e la "sbobinatura" del mio intervento è in calce a questo post. Ora, qui ci sarebbero tante considerazioni di merito da fare, ma non mi addentro in esse, limitandomi a una domanda sul metodo: è più noioso leggere la "sbobinatura" di un intervento orale, o assistere alla lettura di un intervento scritto? Io, generalmente, in pubblico preferisco non leggere, così come, se poi devo scrivere un mio intervento estemporaneo, faccio interventi editoriali per evitare ripetizioni, spezzare incisi, risolvere forme troppo colloquiali. In questo caso non l'ho fatto, e quindi il testo sembra scritto in  stato di ubriachezza! Me ne scuso, ma mi è sembrato indispensabile attenermi rigorosamente alla lettera di quanto ho detto, e riportarvela per iscritto, perché solo così potrete apprezzare l'entità della "tempesta emotiva" (cit.) che mi ha assalito nel leggere la seguente agenzia:



Ci sono capitato per caso: pago persone per farlo al posto mio, cioè per verificare che la stampa non mistifichi quanto dico, o meglio: per documentare come ha mistificato quanto ho detto (trattandosi di un evento con probabilità uno). Ora, uno che mi sta accanto tutti i giorni, e che magari ha anche assistito all'evento, dovrebbe capire che queste parole non mi somigliano, ricordarsi che non le ho dette, comprendere l'assoluta gravità del fatto che a un politico del mio rango istituzionale vengano messe in bocca parole che non ha detto, avvertirmi tempestivamente affinché io possa prendere le azioni correttive necessarie per evitare l'insorgere di fastidiose e controproducenti polemiche.

Questa volta ci sono arrivato sopra io, evidentemente la gravità del fatto era stata sottovalutata, ma siamo tutti qui per imparare... Nessuno dei virgolettati che mi venivano attribuiti era stato da me pronunciato, ma soprattutto il senso complessivo del mio intervento era stato totalmente travisato! Non dicevo certo di essere "contrario allo sviluppo sostenibile", anzi: affermavo il nonsenso di una simile asserzione, e sviluppavo alcune considerazioni che sarebbe superfluo ripetere per chi le ha capite, e inutile per chi non può capirle. C'è anche chi le ha capite, come Uno de passaggio:


che, non a caso, non è l'ultimo arrivato, ma un imprenditore sopravvissuto (e bene) alla crisi (SD non sta per standard deviation...)


Mi sale immediatamente il crimine (cit. Garavaglia). Lavati in famiglia i panni sporchi, con l'ordine assoluto di non intrattenere più rapporti con agenzie di stampa, rivolgo le mie sollecite attenzioni al "giornalista amico" dell'agenzia de cujus, con le seguenti cortesi e testuali parole: "Ma siete proprio sicuri che io abbia detto così? Un consiglio: io non smentisco mai. Riascoltate e scusatevi. That's all, folks!"

Mi tremavano le mani dalla rabbia. Per uno strano caso, avevo finito di lavorare un po' prima, potevo andarmene via alle 18, e mi volevo godere Giulia un paio d'ore. Vado a prenderla a inglese, e lei: "Babbo, cosa hai?"... Io: "Niente, poi mi passa. Mi hanno fatto dire una cosa che non ho detto." Lei: "Ma è grave?" Io: "Per loro sì...".

Poi torno a casa, entro in cucina, e un po' perché astratto nei miei pensieri furibondi, un po' perché ancora fisicamente scosso dall'ira, esordisco rovesciandomi addosso una pentola! Devono vivere anche le lavanderie, penso, e mi cheto lentamente, dopo aver preso la determinazione di chiarire una volta per tutte a chi di dovere come si lavora. Chiedo al mio addetto stampa di verificare se il lancio è stato rettificato, e apprendo così che le agenzie non si scusano quando mettono in bocca a un politico parole che non ha detto, e che comunque non si poteva rettificare perché "s'era fatta una certa" (virgolettato giornalistico: cioè, non hanno detto così. Anzi, aspettate: virgolettato quasi giornalistico, perché è vero che non hanno detto così, ma il concetto era questo).

Ci metto una pietra sopra, blocco tutti i contatti di quella roba lì che mi trovo ad avere in agenda (poi con calma bloccherò qualsiasi cosa da ovunque, ma non può diventare un lavoro a tempo pieno: lo farò quando mi chiameranno), e aspetto.

Il giorno dopo esce questo:




E voi direte: incidente chiuso!

Eh, no, se ne parlo qui evidentemente l'incidente non è chiuso!

Intanto, mi hanno avvelenato due ore con mia figlia, bene piuttosto raro di questi tempi. Dice: "Non te le hanno avvelenate loro. Te le sei avvelenate tu, perché potevi fottertene e vivere felice". Certo, capisco. Io sono inquieto. Non c'è pace per chi non vuole pace, questo ce lo siamo detto tante volte, anche in musica. Ma il fatto è che io non sono (solo) un politico: sono anche un artista, altrimenti Brilliant non pubblicherebbe i miei dischi e voi non sareste qui, dove non vi ha trattenuto il fascino delle partite correnti o del tasso di cambio reale (cioè dell'ancora ignoto, per voi, otto anni dopo...), ma quello della prosa (qui, qui, qui, ecc.). Scriverete sulla mia tomba le parole di Rilke: Er war ein Dichter und haßte das Ungefähre. Odio le imprecisioni. E siccome la parola è divina, alterarla non è solo poco professionale: è blasfemo.

Ma soprattutto, purtroppo io non sono (solo) un artista, ma (anche) un politico. Le dichiarazioni de cujus hanno provocato le stucchevoli querimonie di alcuni colleghi della Camera, sui quali appongo il suggello di un tombale Vae victis! Tuttavia, avrebbe potuto reagire anche qualche organismo pluricellulare minimamente più rilevante, e magari parole riportate in modo inaccurato avrebbero potuto mettere in difficoltà qualche mio collega in qualche trattativa, o dibattito, o intervista. "Viceministro Garavaglia, Bagnai ha detto di essere contrario allo sviluppo sostenibile, lei cosa ne pensa?" Quante volte sono stato inseguito dai lemuri che stazionano, con la telecamerina a spalla, intorno ai palazzi, per farci commentare cose che nella maggior parte dei casi nessuno di noi ha detto (l'episodio che vi sto riportando è la regola, non l'eccezione, come poi vedrete), alla ricerca dell'incidente, della polemica costruita ad arte? Capito perché io non commento mai le parole di nessun collega? Perché so sempre che non sono mai state dette, o non come me le riporta il primate in servizio. E spero che mi perdoni la gentile signora cui, qualche giorno fa, ho detto: "Mi scusi, ma non le rispondo perché sono contrario a questo modo di fare giornalismo. Ho ottimi rapporti con la vostra redazione, se vi interessa sapere cosa penso verrò presto a dirvelo."

Ma soprattutto l'incidente non è chiuso, perché, per uno sfortunato susseguirsi di circostanze, è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E ora il vaso è traboccato, quindi... andiamo avanti!

Quel giorno che ho nazionalizzato CARIGE...

Per farvi subito un esempio di "errore" che avrebbe potuto essere minimamento più nefasto nelle conseguenze (ma che, stranamente, mi ha dato meno ai nervi), vorrei ricordarvi di quel giorno che ho privatizzato Carige, ovviamente a mia insaputa (come nella migliore tradizione dei politici genovesi, appunto)! Ero stato invitato da Class CNBC, il 12 febbraio, il video è qui (anche se in questo momento stranamente non si riesce a caricarlo: ma io ne ho fatto fare una copia). Verso la fine mi viene detto che il commissario Modiano dice che Carige non sarà nazionalizzata, e mi viene chiesto: "Bagnai, su questo si sente di fare una rassicurazione?" (il solito giochino descritto sopra, by the way). Io testualmente rispondo: "Non sta a me farne perché non sono un membro dell'esecutivo. Secondo me esistono le condizioni, mi viene detto da diverse fonti più o meno informate che esistono le condizioni perché si trovi una soluzione di mercato".

Esco dallo studio, dove mi aveva accompagnato un altro membro del mio staff, controllo (io) Twitter, e che trovo? Ma ovviamente la notizia (falsa) secondo cui per me si sarebbe potuto pensare a nazionalizzare Carige, quando io invece avevo detto l'esatto contrario, cioè che nessuno ci stava pensando (questo lascia impregiudicata la questione del perché in Germania il 60% delle oltre 1500 banche sia di proprietà pubblica, ma oggi parliamo di altro). Ovviamente la incapsulo immediatamente in una smentita, che però, anche su Twitter, è una notizia data due volte:

Mi rivolgo su WhatsApp alla redazione, pregandola di restare in rapporti cortesi. Il tweet viene rimosso, con il solito discorsetto: non è un fake, è solo sintesi giornalistica! Certo, se la sintesi giornalistica trasforma una "soluzione di mercato" in una "nazionalizzazione", magari riuscirebbe anche a trasformare lo sterco in oro, il che apre interessanti prospettive sulle quali non mi addentro.

Tweet rimosso, incidente chiuso? No, incidente chiuso un bel niente! Intanto, se io non sapessi di venir travisato sistematicamente, e se quindi non controllassi ossessivamente e di persona (visto che tanto laggente nun capischeno che deveno controllà) tutto quello che mi riguarda, il tweet sarebbe rimasto lì per qualcosa di più di quei dieci minuti che è rimasto, e avrebbe potuto creare danni di vario tipo: polemiche, lanci di agenzie straniere con conseguenti fremiti dello spread, perdite di tempo a catena...

Ecco, appunto, parliamo del tempo... Ma vi pare normale che ogni intervento sui media, oltre al tempo necessario per prepararmi e per intervenire, debba anche assorbire del tempo per verificare come quanto detto è stato riportato, e per correre ai ripari quando viene tradotto nel suo diretto ed immediato contrario!? Ma vi sembra normale questa roba qui!? A me no. Non solo non è normale, ma è anche un evidente e diretto ostacolo oggettivo allo svolgersi del processo democratico. Questo modo di fare giornalismo è oggettivamente nemico della democrazia.

E siccome non c'è modo di sapere prima come si comporterà quello che ti interpella, direi che il gioco non vale la candela...

Quel giorno che ho fatto impensierire Moscovici

Ah, quel giorno! Era il due ottobre dell'anno scorso, e me ne stavo bello tranquillo perché non avevo dichiarato nulla. Per una volta, non aveva dichiarato nulla nemmeno Claudio, ma gliela avevano fatta dichiarare ugualmente (nun se famo mancà ggnente...). Durante un'intervista alla radio credo fosse uscita, una domanda del tutto ipotetica sul regime monetario ottimale per il nostro paese aveva scatenato il seguente, del tutto ingiustificato, putiferio:


L'agenzia era fasulla (inutile ripetere che c'è un contratto di governo, ecc.), ma questo rileva poco. In ogni caso erano fatti di Claudio, o almeno così credevo. Sbagliavo. Infatti:


Ora, io sollevo pesi, non ipotesi. Quel giorno, poi, non avevo sollevato nulla. Ho dimostrato scientificamente che le regole che ci siamo dati ci creano grossi problemi, tutti ampiamente previsti dalla letteratura scientifica, ma questo è un altro discorso e non interessa le agenzie, che vivono nell'attimo. Mando un WhatsApp al direttore dell'agenzia, sollecitandolo per tempo sul tema: "Sa dirmi quando avrei detto le parole che la sua agenzia mi attribuisce?" Lui fa le sue verifiche, si scusa per WhatsApp, e:


esce la correzione, che, guarda un po', non dice in cosa fosse sbagliato l'originale.

Incidente chiuso?  Se semo sbajati, tranquillo, basta che sse capimo? Eh, insomma, mica tanto! Un po' perché questo episodio dimostra che non basta stare attento a quello che dici tu, devi anche stare attento a quello che non dici, cioè che dicono gli altri, e così sinceramente diventa un po' difficile. E poi, perché, come al solito, se non hai mille occhi il veleno circola nella falda, con risultati non banali. Ne volete una prova? Eccola! Due giorni dopo, per interposto furbetto italiano, il Financial Times mi onorava delle sue attenzioni insieme con Claudio:


Così, mentre i nostri amici tuttosubitisti qui imperversavano al grido di haitraditooooh, lassù a Londra si scriveva una diversa favola, non innocua, per i motivi che qui chiarisce un altro amico, al punto (2) di una simpatica FAQ che mi ha inviato come piccolo vademecum:



Quindi non sono poco professionali, anzi: sono professionalissimi, il loro lavoro lo sanno fare molto bene. Ma per apprezzarlo prima bisogna capire qual è...


Quel giorno che ho previsto (o deciso?) l'obiettivo di deficit

Sempre a proposito di favole, voglio raccontarvi di quel giorno in cui ho previsto l'obiettivo di deficit del Governo (e ci ho anche preso)! Era l'anno scorso: all'uscita da una riunione complessa e interessante su un tema non facile (lo stato del nostro sistema bancario), uno dei tanti impegni in agenda, dopo essermi deliziato con MREL, TLAC, UTP, AMC, ecc., ricevo dall'addetto stampa questa simpatica email di sintesi:



e mi assale un intenso disagio, per un motivo tanto semplice quanto incontrovertibile: questo virgolettato non era mai stato pronunciato, perché l'intervista era stata rilasciata per iscritto! Il motivo ve lo immaginerete: parlando al telefono lasci al professionista di turno ampio margine per fare il suo lavoro (vedi slide in fondo al paragrafo precedente): se invece le risposte le scrivi, cambiarle diventa un po' più delicato. Ma a nulla erano valse le mie precauzioni. Non avevo capito una cosa fondamentale: tu puoi anche, con il consueto scrupolo, dedicarti alla parte che nessuno leggerà (il corpo dell'articolo). L'unica parte che il lettore leggerà (il titolo) resta affidata all'arbitrio del titolista, il quale ci metterà letteralmente quello che gli pare, indipendentemente da qualsiasi appiglio trovi nelle parole da te dette: se occorrerà, si servirà di quelle non dette (e nemmeno pensate).

Immaginatevi il mio raccapriccio nel constatare che mi veniva attribuita, e con enfasi (nel titolo) una frase non solo insensata, ma anche inesistente: mai pronunciata! Tutte le agenzie sul 2%, in un momento in cui ognuno di noi stava ben attento a non dare numeri per il semplice motivo che darne non avrebbe avuto alcun senso, e anzi sarebbe stato controproducente. Avevo appena parlato col ministro di questi aspetti comunicativi, trovandomi d'accordo con lui, ed ecco che un anonimo titolista, che il Signore ricompenserà, come ricompenserà tutti noi, per lo scrupolo col quale svolge il suo lavoro, mi fa fare la figura del coglione o del doppiogiochista col ministro e collega Tria, mettendomi in bocca un target da me mai espresso!

Anche qui, prima di prendermela, ho voluto controllare. Tornato in ufficio, ho cercato prima la cifra 2 nel testo: trovandola solo nei numeri 2000 e 2017 (date delle riforme del fisco proposte da Visco e da Rossi), ma non in 2%. Nel testo, la parola "due" proprio non c'è.

In questo caso, avendo consuetudine col vicedirettore, l'ho chiamato, per capire come fosse possibile che in un titolo e fra virgolette mi fosse stato attribuito un numero che non avevo mai pronunciato, e che per la mia posizione attuale poteva contribuire a guidare le aspettative del mercato dove mai avrei inteso di condurle (dandomi quindi la responsabilità di contraccolpi laddove le cose fossero andate in modo diverso da come qualcuno potesse pensare che io avessi inteso indicare che avrebbero potuto andare). Telefonata cordiale, grande disponibilità, ma... ggnente! Il problema non ha rimedio.


Bagnai la fa difficile

Aveva cominciato Il Mattino di Napoli, sempre a settembre scorso. Titolo: "Difficile procedere, ma dopo le europee rinegozieremo regole fiscali e monetarie".


(allego fotina sfuocata, per chi non se lo ricordasse: non voglio violare il diritto d'autore). Nel rileggere il titolo, mi assalì un dubbio: "Ma veramente io ho detto che procedere è difficile? A me sembra di aver detto che in difficoltà sia la cosiddetta Europa, come dimostrano certi suoi scomposti atteggiamenti minatori!" Anche qui, aiutandomi con la funzione Trova di Word, andai alla ricerca nel mio file di questo aggettivo sideralmente lontano dal mio pensiero, e, naturalmente, non lo trovai. Nulla nell'intervista accennava a difficoltà, anzi!

Ma questo, rispetto al precedente, era un peccato veniale: certo, veniva messa fra virgolette, attribuendomela, una cosa che non avevo né detto, né pensato, e che era ortogonale rispetto a quanto volevo esprimere nella mia intervista. Ma almeno non mi si facevano dare i numeri! E poi, diciamocelo: dopo anni passati a sentirmi dire che "la facevo facile!", per una volta sentirmi dire che "la facevo difficile!", pur essendo ugualmente una bufala, aveva almeno la freschezza della novità!

Bagnai insabbiah la Commissione d'inchiestaaah!

D'altra parte, perfino un giornale che con me era sempre stato equilibrato da tempi non sospetti, il 20 settembre cosa mi fa trovare? Questo:


Gombloddoneeeeh! Bagnai, minacciato da Tria e da Visco, sta insabbiando la Commissione d'inchiesta sulle banche!

Ovviamente nulla di tutto questo. Avevamo una serie di pareri da rendere, e alcune scadenze tecniche che potrete tranquillamente consultare (come avrebbe potuto chiunque) qui. Io di pressioni, da quando sono in Parlamento, ne ho viste due sole: la minima o diastolica, sempre a 80, e la massima o sistolica, sempre a 120 (anche quando leggo minchiate come questa). Né Tria né Visco, che rappresentano istituzioni con le quali devo confrontarmi e vorrei poterlo fare, nell'interesse di tutti, senza che il gossip intorbidi i nostri rapporti, hanno mai esercitato alcuna pressione: non è nel loro stile, non è il loro ruolo, e con tutto il rispetto io non rispondo a loro. Anche qui, ho pensato a una mia ipersensibilità. Magari sarò troppo sospettoso, mi sono detto. Certo, è assurdo che qualcuno possa pensare che io non dia corso a una proposta di legge che ha l'avallo dei vicepremier. Il Parlamento, peraltro, è indipendente sia dalla Banca d'Italia che dal Governo, cui dà la fiducia, e questo perché è espressione diretta della sovranità popolare. Il discorso, insomma, non tiene. Ma sarà stata una svista.

Poi, però, mi arrivò quest'altro bel capolavoro:

che, attribuendomi un perentorio (e mai detto) "verità sulla vigilanza", mi dipinge come un tribuno del popolo che vuole mettere Visco sul banco degli imputati. Insomma: il Fatto vuole farmi litigare con Visco, questo ormai è ovvio (come ha constatato ironicamente uno dei suoi giornalisti). Io però non litigo, e non faccio processi a nessuno (nemmeno ai giornalisti: quelli che riporto sono fatti, i giudizi ce li metta chi desidera farlo...). La Commissione di inchiesta avrà cose più serie da fare e le farà.


Quel giorno che sono uscito dall'euro

Dice: "Vabbè, questi coi virgolettati abbondeno un po', ma nun è che ssò cattivi, ssò ssolo un po' distratti, ssò regazzi...". Sicuro? E allora perché quando le virgolette andrebbero messe non le mettono? Qui un preclaro esempio di professionismo:


Nel riportare le parole di un maestoso rudere di precedenti stagioni politiche con idee tutte sue sulle statistiche dell'economia italiana (da noi ampiamente commentate quando avevamo tempo di dedicarci a persone irrilevanti), viene riportata out of the blue e senza virgolette la frase "Per Bagnai e Borghi uscita dall'Euro è l'unico sbocco". Ovviamente, a una lettura superficiale appare che o io o Claudio ci siamo espressi in questo senso, laddove questa simpatica affermazione è un parto della mente irrilevante di Della Vedova (che, scontando un forte isolamento culturale, non è in grado di comprendere quanto sia sfaccettata la nostra critica al progetto europeo, né è in grado di capire che alcuni argomenti non sono "di Bagnai", ma della letteratura scientifica: ma questo è un suo problema, cui gli elettori provvederanno). Certo, poi nel testo (che nessuno legge) dell'agenzia le cose sono rimesse al loro posto, cioè nello sproloquio di un nostro inconsistente avversario politico:

Ma credo che tutti voi possiate apprezzare il modus operandi: le virgolette che vengono messe per dare a Bagnai quello che non è di Bagnai, poi non vengono messe per dare a Bagnai quello che è di Della Vedova (cioè per lo stesso motivo)! Scopo: preparare il terreno in modo che gli algos, quando accadrà l'inevitabile, impazziscano. Ma l'isteria degli algos, cari operatori informativi, è breve: non potrete fermare il vento con le mani.

Mi avvio a concludere...

...come dice un politico prima di tirarla in lungo per altri venti minuti. Ma a me ne occorreranno di meno. Gli esempi che ho riportato sono solo una piccola quantità, ex multis, di cose capitate a me. Nelle nostre chat ormai la mattina ci salutiamo chiedendoci: "Oggi che cosa ti hanno fatto dire?", e i giornali non li leggiamo più. La notizia siamo noi, e non abbiamo bisogno di essere fuorviati o indotti a scaramucce inutili da chi lavora come io con serenità, continenza verbale, e fattualità, ho documentato (inutile scaldarsi: che parlino i dati).

Ora, gli operatori informativi, in tutta evidenza, si sono costituiti, come altri poteri asseritamente indipendenti, in organo politico, in partito politico. Quale? Quello che ha perso le elezioni e deve ancora elaborare il lutto. Mentre questa dolorosa elaborazione va avanti, per non saper né leggere né scrivere i nostri amici continuano a far propaganda giocando sporco, con grave detrimento dei loro conti economici e della democrazia (che non trarrà particolare beneficio dalla loro scomparsa, come non ne trae dalla loro presenza).

Perché il giochino è chiaro: ti mettono in bocca cose che non hai detto, e lo fanno da una posizione sottoesposta comunicativamente, in modo che tu le ripeta da una posizione comunicativamente sovraesposta, per smentirle, naturalmente: ma una smentita è una notizia data due volte! Insomma: vogliono che tu lavori per loro, portando acqua al loro mulino. Ma con me, purtroppo, non funziona così, e questo per un motivo molto semplice. A differenza dei tanti colleghi che hanno un percorso di militanza nei territori, percorso che rispetto ora che ne so la difficoltà e la fatica, io ho fatto un percorso di militanza nel dibattito. Quindi, a me, di avere l'attenzione dei media interessa relativamente poco. Ne ho fatto a meno per sette anni, quando avevo tante cose interessanti da dire, ne faccio volentierissimo a meno ora che la mia attività è tenuta a doveri istituzionali di riservatezza, e che la mia posizione politica mi espone al rischio di creare incidenti se (cioè quando) le mie parole vengono riportate in modo inesatto.

Quindi, cari giornalisti, fatevene una ragione: io non ho bisogno di voi. Io sono la notizia, non voi. Io sono la vostra materia prima. Voi avete bisogno di me. Converse is not true. So benissimo che questo vi fa sclerare, che vorreste tanto avere a che fare con uno che per vedere il suo nome su dei fogli che nessuno più legge rifila il fascicolo degli emendamenti prima che vengano depositati, o fa la dichiarazione urlata, o sussurra il pettegolezzo, il retroscena. In questa maggioranza, di gente così, credo che ne troverete poca, ma naturalmente cercare è lecito. Ora sapete però perché vi scanso (con un sorriso e con cortesia): da voi posso avere solo noie, nessun vantaggio. Un mio tweet fa più visualizzazioni di un vostro articolo, il mio blog è la fonte delle fonti, i miei lettori sanno dove trovare le fonti primarie: disintermediazione o barbarie! Se volete farmi dire quello che vi pare, non avete bisogno di me (come l'ultimo esempio, quello della prestigiosa agenzia ADN-Kronos, dimostra), e quindi, col vostro riverito permesso, tengo per me la cosa più preziosa che ho: il mio tempo. Me ne serve molto, qui seduto in riva al fiume.


Come? Mi dite che cosa c'entra il titolo col contenuto del post? Bè, evidentemente nulla, il che dimostra che potrei fare il giornalista anch'io! E allora accettate un consiglio da un collega: per sopravvivere alla sfida della modernità vi occorrono tre ingredienti. Sono sicuro che quasi tutti voi ne disponete, in proporzioni variabili: schiena dritta, dati, e capacità di approfondimento. Il resto, il gossip, la dichiarazione travisata, il tentativo di provocare l'incidente politico, vi condanna al fallimento. Io ve l'ho detto, con solidarietà e simpatia (annovero fra di voi i miei più cari amici). Poi voi fate come vi pare, ma... not in my name!



Il testo che del mio intervento (che mi sono fatto sbobinare perché quando cancello qualcuno dalla mia anagrafe desidero avere la più assoluta certezza di non compiere errori).


"Grazie, grazie. Grazie a Enrico Giovannini per l'invito, e a Marco Tarquinio per la cortese introduzione.

Intanto vorrei scusarmi se dovrò comportarmi come un politico e, per compensare il fatto di essere arrivato in ritardo, me ne dovrò andare in anticipo.

La vita del politico è fatta così, qui abbiamo più di una persona familiar with the matter, per cui non devo spiegare che in aula ci sono stati alcuni incidenti, manifestazioni diciamo di giubilo per l'approvazione al Senato del decretone, che hanno un pochino fatto slittare i lavori. E alle ore 14 la mia commissione audirà (ed è la prima volta che ciò accade da quando la legge che lo consente esiste -  mi riferisco alla legge 234/2012, legge Moavero sulla partecipazione dei parlamenti nazionali al processo legislativo europeo), audirà il ministro Tria sulle risultanze dell'ultimo Ecofin. Questo per dire che questa maggioranza e questo governo stanno dando dei segni concreti di voler andare oltre un europeismo fideistico e di maniera, per passare verso un europeismo partecipato e costruttivo. Ma naturalmente ciò prende del tempo. Ciononostante ho voluto essere qui e voglio anche chiarire, perché poi occasioni di approfondimento così importanti, di livello così elevato (io mi sento anche a disagio nell'essere in compagnia di esponenti politici che hanno una vita politica e una serie di risultati al loro attivo molto più lunghi e corposi dei miei) appuntamenti di questo tipo sono preziosi, e secondo me lo sono soprattutto se vengono colti come occasione di approfondimento, e quindi mi sento, visto che l'ho fatto ieri in aula lo faccio anche qui, molto rapidamente, di deprecare una certa informazione che cerca di politicizzare in modo un po' petulante e gossipparo chi c'è, chi non c'è, in un'occasione che è soprattutto un'occasione di approfondimento scientifico e di riflessione sui principi, dove quindi i tatticisimi politici dovrebbero essere tenuti fuori, anche se li si usa nella vana speranza di attizzare la curiosità di lettori che invece rifiutano proprio questo modo di fare politica, perché vogliono essere informati sui principi, vogliono essere informati sulla sostanza delle cose, e ne hanno un pochino abbastanza dei ragionamenti di corto respiro.

Non è di corto respiro la mia frequentazione con Enrico Giovannini. Ho fatto prima il calcolo, con la calcolatrice, perché ormai, essendo un politico, anche le sottrazioni non riesco a farle (il che testimonia comunque di una certa onestà, almeno per il momento): sono 33 anni che ci conosciamo, perché Enrico è stato mio insegnante al corso di econometria tenuto dal professor Carlucci (che abbiamo accompagnato insieme alla sua ultima dimora pochi mesi fa), presso l'università di Roma La Sapienza.

Enrico Giovannini è una di quelle persone che hanno fatto di me una persona in grado di entrare nella dimensione tecnica dell'eccellente lavoro fatto con questo rapporto.

Però non vi voglio annoiare con la dimensione tecnica, siamo in una sede politica. E allora vorrei fare qualche considerazione politica. Io, devo dire la verità, sono qui a titolo personale, sono un presidente di commissione: è andata così! I miei commissari sono abbastanza contenti che lo sia io, tranne qualche volta: ieri qualcuno si è lamentato, ma è la prima volta in sei mesi e ci sta. Quindi, come sapete, non sono nell'esecutivo, e sono leghista dal 18 gennaio dell'anno scorso: quindi sono l'ultima persona al mondo intitolata ad esprimere o a distillare il pensiero politico e la linea politica di un partito che rispetto e al quale sono grato, perché mi ha accolto e mi ha aperto ulteriori spazi di dialogo oltre quelli che mi ero aperto da me (perché qualcuno ero riuscito ad aprirmelo anche da me).
Ma non sono evidentemente qui per parlare a titolo, diciamo, collettivo, se non su alcune cose sulle quali ho avuto l'opportunità di condividere.

Ho appreso dal rapporto intanto, con un certo piacere, che fra i barbari, che saremmo noi e i colleghi a cinque stelle, la Lega è il partito il cui elettorato ha, sia pure marginalmente, per qualche decimale - ma oggi i decimali vanno di moda - la maggiore conoscenza dell'agenda 2030. Io, devo dire, ce l'ho per puro caso, per circostanze esistenziali, per il rapporto che mi lega a Enrico Giovannini. E devo dire, lo dico subito, così almeno do una delusione a Enrico, che non è esattamente al centro della mia attività professionale, e in un certo senso neanche dei miei pensieri. Tant'è vero che quando ieri il mio addetto stampa mi ricordava sull'agenda 2030 ho chiesto: "Stai parlando della 2020?" "No, è la 2030!". "Ah!".

E questo ci porta ad un pezzo di discorso che volevo fare. Le agende sono belle, soprattutto se sono quelle in pelle, sono degli oggetti che dovremmo usare, io ormai uso solo l'iPhone per registrare i miei appuntamenti e invece amo chi ancora scrive. Non voglio negare che sia importante per i politici avere un richiamo di forte autorevolezza scientifica ad allargare gli orizzonti. Però voglio fare un warning (visto che sono un economista ogni tanto, perdonerete, devo mettere qualche parola in inglese), un avvertimento, un richiamo al fatto - qui certamente non è successo - che bisogna stare un pochino attenti anche alla dimensione retorica, che poi rischia di svuotare la effettività di questi risultati.

Se noi vediamo cosa è successo all'agenda 2020, e parto dal dato della occupazione, l'agenda si proponeva di portare al 75% il tasso di occupazione della popolazione in età attiva.
Son partiti dal 70,3% sono arrivati al 72,2%, quindi in nove anni sono aumentati di due punti, e adesso per raggiungere l'obiettivo bisognerebbe che in tre anni questo tasso di occupazione aumentasse di tre quando tutti noi del mestiere, io, Enrico e gli altri del mestiere sanno che siamo alla vigilia di un altro massiccio evento economico avverso a livello globale. Non dubitiamo che nella meravigliosa famiglia europea qualcuno cercherò di addossarne l'esclusiva colpa a noi, ma siamo anche abbastanza fiduciosi nel fatto che le dinamiche che si esplicheranno chiariranno che...

Allora, c'è il problema della verifica dei risultati. Avere degli indicatori misurabili è un primo passo. L'agenda 2030 ha come primo vantaggio quello di farci dimenticare quella 2020 e il fatto che non siamo riusciti a realizzare gli obiettivi che erano lì. Quindi su questo richiamo la mia attenzione di politico, pur marginalmente, perché voi sapete che mi occupo di tasse e di banche, quindi non mi occupo di tutta una serie di aspetti di tecnologia, di ricerca scientifica, tutti altri elementi che concorrono alla sostenibilità. Io ho delle resistenze culturali quando si parla di sostenibilità, ho dei sospetti, vivo con un certo sospetto questo dibattito. Quando se ne parla vedo aleggiare lo spettro di Malthus, e vedo anche aleggiare poi lo spettro dell'Europa, e questo è molto evidente, è emerso anche nel dibattito: è stata identificata l'Europa con la sostenibilità.

Quindi, due osservazioni spot, perdonatemi sono osservazioni che possono sembrare un po' polemiche, sono un po' contrarian, ma insomma ci vuole nel dibattito qualcuno che la pensi in un modo diverso. Quando in un dibattito si affermano cose con le quali si dice che non si può non essere d'accordo, beh naturalmente certo, diciamo, nessuno è contro la mamma (forse qualcuno sì, di questi tempi...), ma insomma nessuno è contro il bene, nessuno è contro l'amore, nessuno è contro l'ambiente. Quindi, adottare una certa agenda significa, di per sé, escludere la possibilità di un contraddittorio. E questo, dal mio punto di vista, è la negazione della politica e anche, se vogliamo, l'essenza della propaganda. Quindi nella scelta della comunicazione bisogna stare attenti a mantenere comunque una comunicazione, su temi così rilevanti, che valorizzi la dimensione politica e quindi la dimensione di confronto.

Quando sento dire che su certe cose non si può non essere d'accordo io, automaticamente, non sono d'accordo. Questo però non è un fatto politico, è un fatto etnico, sono fiorentino e quindi ho delle specificità culturali che mi impongono di essere un bastian contrario. Ci sarà qualcuno qui che condivide con me questo infausto destino. Allora, attenzione alle cose sulle quali non si può non essere d'accordo. E poi, diciamo, essere per lo sviluppo sostenibile significa essere fortemente europeisti. Io amo l'Europa, ho delle forti riserve sull'Unione Europea, le ho argomentate scientificamente nel dibattito, e non solo sull'Unione Europea come progetto politico ma su alcuni altri aspetti specifici di questa costruzione. Però, il semplice fatto che noi stiamo parlando di una agenda che è propugnata dalle Nazioni Unite, Nazioni Unite che non stanno portando avanti il progetto di stati uniti del mondo, perché si farebbero ridere dietro, perché è chiaramente nonsensical, dimostra che il richiamo a una dimensione sovranazionale politicamente organizzata, cioè con un parlamento, un governo, o un ente simile, non è di per sé condizione né necessaria né sufficiente per proporre o realizzare un agenda simile.

Tant'è vero che l'agenda 2020 è fallita, quindi se dovessimo dire che ci dobbiamo affidare a chi ha fallito sulla 2020 per realizzare la 2030... Fallita, sto tagliando con l'accetta, ci sono stati dei progressi importanti, sono stati promossi dibattiti importanti, sono state introdotte norme importanti, non voglio fare le pulci ai numeri, non voglio essere così capzioso. Però voglio solo aprire una discussione serena sul fatto che ci sono molti modi di dibattere e molti modi di organizzarsi fra comunità per ragionare sul tema del nostro destino comune.

Vi avrei voluto raccontare la breve storia triste che accadde tre miliardi di anni fa, quando iniziò la fotosintesi clorofilliana e per un po' l'ossigeno venne catturato dal ferro che era libero in superficie, in particolare nelle acque del mare, poi precipitò, tutto questo ferro, e alla fine questo ossigeno cominciò ad accumularsi e ci fu un evento particolarmente catastrofico per i batteri anaerobi. Una volta la terra era una palla ricoperta di muffe, due miliardi e mezzo di anni dopo arrivammo noi, che pensiamo di essere qualcosa di più di una muffa, ma forse non lo siamo... Quindi ricorderei sempre il salmo 127, quando si vuole allungare lo sguardo, cioè "Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laboraverunt, qui aedificant eam". Ecco, ricordiamoci sempre, anche se so che questo è un riferimento culturale che verrebbe molto condiviso dal senatore Pillon e forse poco da altri, ma insomma la dimensione della nostra finitezza umana è qualche cosa che dobbiamo tener presente proprio nel momento in cui allarghiamo lo sguardo al lungo periodo e esattamente perché allunghiamo lo sguardo al lungo periodo. E quindi dobbiamo sapere che quello che facciamo lo faremo per lasciare il testimone ad altri. A chi? Ai nostri figli, che sono stati menzionati in varie forme, e anche a chi ci succederà, perché avrà il gradimento delle generazioni future come politico al governo del paese. Siamo consapevoli del fatto che il nostro orizzonte temporale, come politici, non è infinito. A questo proposito vorrei dire anche due cose costruttive e un pochino più sul punto di queste con le quali oggi ho cercato di descrivere il recinto culturale all'interno del quale valuto e apprezzo il lavoro che viene svolto dall'ASVIS.

Lo considero importante, perché qualsiasi lavoro di misurazione è importante. Questo l'ho imparato alla scuola alla quale sono stato formato accademicamente, una scuola nella quale, tra l'altro, l'elaborazione di indicatori sintetici come quelli che il rapporto propone era presa molto sul serio.
Intanto vorrei dire che, quanto sarà sostenibile, in particolare sotto il profilo ambientale (perché una cosa che va apprezzata nel rapporto è quella di considerare altre dimensioni di sostenibilità, in particolare quella sociale, io nel mio lavoro mi occupo della sostenibilità finanziaria, che è un'altra cosa ancora), quanto sia sostenibile ambientalmente un certo percorso di sviluppo dipende dallo sviluppo della tecnologia, una cosa che è anche in parte imprevedibile, avanza per salti, per eventi discontinui, come quello della scoperta e dell'applicazione tecnica dell'elettricità, che è stato menzionato poc'anzi, ma che è anche qualcosa su cui occorre investire. E allora qui dobbiamo stare un po' attenti, perché noi, da un lato, vogliamo affiancare al PIL misure di cose svariate (mi pare che in Bhutan si misuri addirittura la felicità, a livello aggregato, che può essere un esperimento interessante ma, insomma...): il BES e altri esperimenti di questo tipo. Io non sono assolutamente contrario a questo tipo di sperimentazione, fra l'altro voglio ricordare che il Senato, in particolare, ha un Ufficio di valutazione d'impatto, che effettua analisi di questo tipo, che ha preso in forte considerazione il BES, ecc.

Però ci sono anche cose più semplici da fare, e  perché non le facciamo?

Se vogliamo pensare alla sostenibilità del nostro percorso di crescita, dovremmo smettere di contabilizzare in contabilità nazionale, tra i consumi, gli investimenti in capitale umano. Cioè la spesa per l'istruzione dovrebbe essere considerata per ciò che è, per un investimento, e dovrebbe essere valorizzata in quanto tale.

Visto che abbiamo questa simpatica retorica supply side, "offertivista", neoliberale, di cui qui a destra ho un esponente valido che capita anche che sia un amico (non potrò litigarci perché dovrò scappare, quindi poi tu massacrami), insomma, perché non giochiamo su questa retorica dell'investimento e mettiamo il capitale umano fra gli investimenti una volta per tutte? E mettiamo una golden rule nelle regole europee, che consideri tutti gli investimenti, anche quello in capitale umano, tra gli investimenti che devono essere promossi? "Investimento in capitale umano", lo traduco, significa stipendio degli insegnanti. Sono in conflitto d'interesse perché ero un insegnante e tornerò ad esserlo, non sono un politico perché vi confesso il mio conflitto d'interesse, però il tema esiste. E, con mia grande sorpresa, il presidente Bassanini mi segnalò, arricchendo la mia cultura, che questo tema era stato sollevato nientemeno che da Jacques Attalì. E se lo ha sollevato lui, ma è poi rimasto sotto al tappeto, vuol dire che c'è proprio una fortissima resistenza a considerarlo. Fortissima, molto più che a considerare la purezza dell'aria o dell'acqua, e questo ci dovrebbe far fare una riflessione.

Poi, vorrei aggiungere una considerazione che emerge anche dalla lettura degli indicatori. Ecco, diciamo, la povertà non dipende dalle persone che ci hanno preceduto in questa esperienza di governo, che io sto imparando a conoscere ed apprezzare (perché naturalmente la politica ti insegna il rispetto dell'avversario). Però attenzione, dire che la povertà dipende dalla crisi è un pezzo della storia, perché le crisi si gestiscono. Le crisi si gestiscono, si fabbricano anche. La fragilità intrinseca del sistema nel quale viviamo dipende anche dal non aver adottato regole razionali come quella che ho appena menzionato. E dipende anche dall'essere costretti a fare delle cose irrazionali, che compromettono il nostro breve periodo, compromettendo anche il lungo periodo. Perché se adesso mi arriva, grazie alla solerzia dei miei collaboratori, un'agenzia che dice che, secondo l'Unione Europea, arriveremo al 132% del debito/pil (vediamo, perché anche le previsioni, come le agende, sono uno strumento di comunicazione politica, in senso alto - non voglio fare una critica), io non posso non ricordare che eravamo scesi sotto il 100 (nessuno se ne era accorto perché la contabilità nazionale venne riformata due anni dopo che noi potessimo argomentare di essere scesi sotto al 100) e siamo tornati sopra il 130 per come la crisi è stata gestita.

Quindi, nel prendere le responsabilità della parte nella quale ho deciso di militare, per quello che succederà da qui in avanti, vorrei però che non ci dimenticassimo che, se noi siamo qui, un motivo c'è. E il motivo non è solo la crisi. La crisi, se gestita bene, non sarebbe bastata. Penso di avervi detto tutto quello che volevo dirvi, c'è la domanda politica: volete mettere in costituzione questa o quell'altra cosa? In realtà, se proprio dovessi esprimermi su questo punto, lo farei a titolo personale, e vi direi che, a titolo personale, prima di mettere qualcosa in costituzione vorrei togliere qualcosa che ci è stato messo con il solito meccanismo delle condizioni di necessità ed urgenza gestite o create ad arte. Cioè vorrei togliere il pareggio di bilancio. Perché per fare queste cose ambiziose, che qui ci poniamo come obiettivo e che sono in massima parte condivisibili, occorre un ruolo dello Stato attivo, interventista. Occorre anche ragionare a mente fredda e con scientificità sulla retorica delle generazioni future, intese come quelle alle quali noi lasceremmo in eredità il debito. Pensando di non lasciargli in eredità il debito, gli abbiamo lasciato in eredità un'altra cosa. Io potrei dire a chi mi ha preceduto: potevate scegliere se lasciare alle generazioni future il debito o la povertà, avete rifiutato di lasciargli il debito, gli avete lasciato il debito e la povertà (parafrasando uno statista col quale ho solo in comune un pessimo carattere).

Ecco, ragionamo seriamente su come uno Stato debba recuperare dei gradi di libertà nella sua azione, perché altrimenti su questi temi si possono fare proclami, si possono fare modifiche della Costituzione, ha sicuramente senso promuovere un dibattito a quel livello, ma se manca la volontà dello Stato di intervenire, finanziando progetti di simile respiro, ho come la sensazione che ci si avvii ad un'altra realizzazione parziale di obiettivi che invece sicuramente meritano tutti la nostra massima attenzione e il nostro massimo impegno. Io vi saluto perché devo accogliere il ministro Tria, che prima conoscevo da collega e adesso conosco da figura istituzionale, spero di non avervi annoiato troppo, spero di non aver troppo deluso Enrico, con il mio scetticismo da keynesiano vecchia maniera, e spero anche di aver risposto alle domande del cortese moderatore."

Moderatore: "Ha sviluppato il suo ragionamento in modo molto coerente e teso, direbbe qualcuno."

"La ringrazio per la definizione, grazie, perdonatemi veramente. Visto che prima si parlava di bambini, questa audizione è stata un parto perché il ministro è molto impegnato. Apro e chiudo una parentesi, per dire qui una cosa che dirò dopo, noi abbiamo voluto fare la razionalizzazione e avere un ministero dell'economia, poi abbiamo una commissione bilancio e una commissione finanze. Ora se noi avessimo quattro ministeri, com'era quando eravamo giovani, avremmo un'interlocuzione più fluida con il governo, in re ipsa. Queste cose certe volte non ci si pensa, quando si fanno gli interventi di riforma e razionalizzazione. Tipo sopprimere questo, sopprimere quello, adesso non parlo se no poi sembra che voglia parlar male degli assenti. Grazie ancora per l'attenzione, scusatemi."

mercoledì 29 giugno 2016

Monti (fact checking)

Questo post consta di due parti. La prima riporta dei freddi dati statistici. La seconda è una delle tante lettere che quotidianamente ricevo. Come sapete, post hoc ergo propter hoc è una fallacia logica. Vi invito ovviamente a non esserne vittime.

I dati
Mario Monti (Varese, 19 marzo 1943), oltre a tutte le cose che sapete e che potrete facilmente reperire in rete, è stato primo ministro del nostro paese dal 16 novembre 2011 (data di apertura di questo blog per i motivi qui ricordati) al 28 aprile 2013. Vorrei farvi un succinto riassunto dei risultati di questi 529 giorni di governo limitandomi ad alcuni fondamentali macroeconomici, con l'osservazione preliminare che, come credo sappiate, la maggior parte dei dati macroeconomici non sono ovviamente disponibili a cadenza giornaliera. Non sarà quindi sempre possibile riferire il loro andamento all'esatto intervallo temporale di governo del prof. Monti, se non per approssimazione o per difetto, cosa della quale mi scuso fin da ora con voi, e naturalmente anche con l'interessato.

Va ricordato il contesto nel quale il governo Monti si insediò: quello di una forte turbolenza finanziaria, che i giornali di allora attribuivano al debito pubblico italiano. Sappiamo però che già all'epoca la Banca Centrale Europea aveva chiarito nei suo documenti tecnici che la crisi cosiddetta dei "debiti sovrani" non dipendeva dal debito pubblico, come specificato in questa slide:


dove si evidenzia il periodo nel quale il saldo del settore privato del Sud passa in deficit, mentre il deficit pubblico del Sud sostanzialmente si riduce (la fonte è questa).

Eh già, non era una crisi di debito pubblico...

Nel 2012 ce lo ribadiva la Commissione Europea, che nel suo Fiscal sustainability report chiariva come l'Italia non avesse mai avuto problemi di sostenibilità del debito di breve periodo (tradotto: il pagamento degli stipendi e delle pensioni pubbliche non era mai stato a rischio, con buona pace dei gazzettieri), e ce lo mostrava con l'indicatore di sostenibilità di breve periodo S0:


(vedete che il nostro paese era sempre stato al disotto del livello di guardia). L'Italia non aveva nemmeno problemi di sostenibilità del debito nel lungo periodo (leggi: problemi di sostenibilità del sistema pensionistico), e ce lo mostrava l'indicatore di sostenibilità di lungo periodo


(vedete che il nostro paese, anche qui, era praticamente l'unico sotto al livello di guardia, insieme alla Lettonia, cui vogliamo molto bene, ma che non rientra fra i paesi più significativi in termini di dimensioni - anche se certo non disconosciamo il suo contributo alla cultura europea).

Il motivo di questa collocazione, che sarà parsa strana a tutti, ma non ai miei lettori, era che:


Eh già! Non era una crisi di debito pubblico...

Nel 2013 lo confermava Vitor Constancio, ad Atene, in un discorso celebre, mostrando una slide celebre, questa qui:


(che poi è una versione ripulita del primo grafico di questo blog). Non credo di dovervela spiegare.

Non era una crisi di debito pubblico, in effetti: era aumentato solo in due dei cinque paesi in crisi, e aumentato di meno in quello che era più in crisi (la Grecia).

Mentre il debito privato...


Nel 2014 il discorso di Constancio diventava un articolo scientifico.

Nel 2015 ci arrivava anche Giavazzi (not a public debt crisis), e io salutavo la sua tardiva conversione con viva cordialità.

Oggi credo che tutti capiscano dov'è il problema: nelle banche, cioè nei debiti dei privati (famiglie e imprese), che, strozzati dalla crisi, non riescono a restituire alle banche i soldi che devono loro. Cosa che qui ci eravamo detti niente meno che il 20 novembre 2011.

Sì, proprio nei giorni in cui il professor Monti era alacremente intento a curare una crisi di debito privato come se fosse una crisi di debito pubblico, cioè tagliando i redditi dei privati (via aumenti di imposte e tagli di prestazioni sociali), per risanare le finanze pubbliche, con il risultato però di dissestare quelle private, e quindi, a valle, le banche.

Ah, che il legame fra dissesto dell'economia reale e dissesto delle banche esista non lo dicevo solo io nel novembre 2011: lo ha detto anche l'ABI nel dicembre 2015:


C'è chi parla perché ha coraggio, e c'è chi parla perché ha paura. Indipendentemente dalle motivazioni, alla fine la verità viene a galla.

Ora voi mi direte: "D'accordo, avevi ragione tu e te lo dicono ormai tutti (i dati, i colleghi, la stampa finanziaria internazionale...). Mancano all'appello i gazzettieri, ma datti una calmata! In fondo, che male c'era nella fissazione del professor Monti per il debito pubblico? Un eccesso di debito pubblico è comunque un problema, no? Ci hai fatto una tesi di dottorato, dovresti saperlo? Quindi, che problema c'è se il professor Monti si è adoperato per ridurlo? Va bene: ammettiamo pure che abbia amplificato i problemi dell'economia reale e quindi delle banche - nel grafico dell'ABI si vede che le sofferenze si impennano dal 2011 - ma almeno avrà risolto l'altro problema, no? Quindi?".

Ecco, in effetti l'altro problema, quello del debito pubblico, quello che l'austerità avrebbe dovuto risolvere, non vorrei sembrare irrispettoso, ma a me non pare sia stato risolto.

Il fatto è che nel periodo del governo Monti il debito pubblico ha continuato a crescere come se niente fosse (con buona pace degli aumenti di imposte e delle sforbiciate varie). Lo vedete qui:



(dove vi ho evidenziato il mese di presa di servizio e quello di fine servizio). Una performance non esaltante, in termini di contenimento del debito, aggravata dal fatto che i tagli su qualcosa avevano avuto un impatto. Indovinate un po' su cosa? Bravi, sul PIL:


che inizia a scendere nel trimestre precedente all'arrivo di Monti (il terzo del 2011), ma poi mica smette, anzi: continua la sua caduta libera e si stabilizza, casualmente, solo quando Monti se ne va (dal secondo trimestre del 2013). Questo è il Pil reale, ma a quello nominale (a prezzi correnti, che quindi incorpora l'inflazione) non è che sia andata meglio:


La flessione è meno evidente (per forza! C'era un po' di inflazione...), ma anche il Pil nominale diminuiva. Ora, dato nel rapporto debito/PIL il numeratore cresceva, ma il denominatore diminuiva, cosa pensate che sia successo al rapporto stesso? Pensateci un po' su, non è difficile...

È successo questo:


Monti lo ha trovato attorno al 116%, e ce lo ha restituito attorno al 131% (la serie trimestrale è costruita dividendo il valore del debito nell'ultimo mese di ogni trimestre per la somma mobile del PIL nel trimestre e nei tre precedenti, e quindi coincide alla fine di ogni anno col valore annuale del rapporto debito/Pil).

Chiaro, no?

Cosa poteva determinare una politica di tagli così severi?

Bè, ce l'immaginiamo un po' tutti. Intanto questo:


Nessuno si sarebbe mai aspettato che politiche procicliche potessero arrestare la crescita della disoccupazione (a dire il vero già iniziata da due trimestri). Monti l'ha trovata al 9% e ce l'ha restituita al 12%. Con quali conseguenze? Quelle viste sopra: una perdita di prodotto (perché se non si lavora non si produce), ma anche con quelle che vedete qui:


Monti ha trovato un'Italia con un milione di famiglie povere, e ha lasciato un'Italia con 1.6 milioni di famiglie povere, pari a 4.4 milioni di individui in povertà assoluta (erano solo 2.6 quando è arrivato).

Insomma: quando Monti è arrivato l'Italia aveva una gamba malata (la finanza privata) e una gamba relativamente sana, anche se un po' zoppicante (la finanza pubblica). Per non sbagliare Monti ha "curato" la gamba sana. Naturalmente ora l'Italia non cammina meglio, ma consolatevi: poteva andare peggio.

Se non ci credete, leggete l'aneddoto.

Un aneddoto

Gentile Professore,

vorrei rubare un po’ di tempo per raccontarle un'esperienza che è, a mio avviso, emblematica di ciò che tutti i giorni stiamo vivendo e combattendo.

Mia mamma è scomparsa il 31 marzo del 2015 per un infarto non diagnosticato.

Viveva in un paese di provincia dove fino a 7 – 8 anni fa esisteva un ospedale dotato di reparti di medicina, chirurgia, cardiologia, ostetricia, ginecologia e un pronto soccors; servizi rivolti ad un bacino di utenza di circa 25 – 30 mila persone.

L’ospedale è stato ridimensionato, per via delle politiche di cui sappiamo, fino ad eliminare tutti i reparti fin qui descritti; sostituiti con un reparto di geriatria, dei laboratori analisi ed il primo soccorso.

La mamma il venerdì sera ha accusato i primi malori e il sabato pomeriggio l’abbiamo accompagnata al primo soccorso del paese per dei controlli.

Dopo alcune analisi, tra cui un tracciato cardiologico, mia madre veniva  tranquillizzata dal medico responsabile sul fatto che si trattava di dolori reumatici. Rimandata a casa imbottita di antidolorifici e con il consiglio di sentire un medico remautologo.

Dopo quasi 3  giorni da quella visita mia madre è morta di infarto.

L’elettrocardiogramma segnava un infarto in corso ma era stato letto da un urologo che, evidentemente, non aveva gli strumenti professionali adeguati per valutare un tracciato cardiologico.
Sarebbe bastato non tagliare i reparti ospedalieri del paese per avere mia madre ancora viva.
Sarebbe bastato uno studente di cardiologia per salvare la vita di mia mamma.

Abbiamo intentato una causa civile all’Azienda Sanitaria Locale. Prima di andare in giudizio l’Ufficio Legale della ASL  ha chiesto una transazione, pagano pur di non finire in Tribunale.
Ma mia madre non me la restituisce più nessuno.

Però  la cosa che mi ha spinto a scrivere sul blog è stata un'altra. E’ stata la chiusura del cerchio avvenuta qualche giorno fa.

Guardando su twitter mi sono imbattuto in un intervista di R. Prodi che diceva: “Ci siamo illusi che la gente si rassegnasse a un welfare smontato a piccole dosi, un ticket in più, un asilo in meno, una coda più lunga...” ho tremato pensando: un reparto di cardiologia in meno …

Rassegnarsi ….

Ho pianto di nuovo, come se mia madre fosse morta un'altra volta. Ho pianto come non piangevo dal suo funerale.

Ho pianto perché la mamma e il babbo, che spiritualmente è morto insieme a lei,  hanno sempre sostenuto Prodi in tutte le campagne elettorali. Stravedevano per Prodi.

Ho pianto di rabbia per il tradimento di questa gente.

Quanto dolore inutile.

Grazie per il blog, dove a volte ho commentato anch'io, per i suoi libri e per l'attività di divulgazione e libertà che sta facendo.

Un caro saluto.

P.S. : se vuole pubblicare la lettera sul blog La prego di escludere la firma e il nome di mia madre.

Conclusioni


- In che posso ubbidirla? - disse don Rodrigo, piantandosi in piedi nel mezzo della sala. Il suono delle parole era tale; ma il modo con cui eran proferite, voleva dir chiaramente: bada a chi sei davanti, pesa le parole, e sbrigati.
Per dar coraggio al nostro fra Cristoforo, non c’era mezzo più sicuro e più spedito, che prenderlo con maniera arrogante. Egli che stava sospeso, cercando le parole, e facendo scorrere tra le dita le ave marie della corona che teneva a cintola, come se in qualcheduna di quelle sperasse di trovare il suo esordio; a quel fare di don Rodrigo, si sentì subito venir sulle labbra più parole del bisogno. Ma pensando quanto importasse di non guastare i fatti suoi o, ciò ch’era assai più, i fatti altrui, corresse e temperò le frasi che gli si eran presentate alla mente, e disse, con guardinga umiltà: - vengo a proporle un atto di giustizia, a pregarla d’una carità. Cert’uomini di mal affare hanno messo innanzi il nome di vossignoria illustrissima, per far paura a un povero curato, e impedirgli di compire il suo dovere, e per soverchiare due innocenti. Lei può, con una parola, confonder coloro, restituire al diritto la sua forza, e sollevar quelli a cui è fatta una così crudel violenza. Lo può; e potendolo... la coscienza, l’onore...
- Lei mi parlerà della mia coscienza, quando verrò a confessarmi da lei. In quanto al mio onore, ha da sapere che il custode ne son io, e io solo; e che chiunque ardisce entrare a parte con me di questa cura, lo riguardo come il temerario che l’offende.
Fra Cristoforo, avvertito da queste parole che quel signore cercava di tirare al peggio le sue, per volgere il discorso in contesa, e non dargli luogo di venire alle strette, s’impegnò tanto più alla sofferenza, risolvette di mandar giù qualunque cosa piacesse all’altro di dire, e rispose subito, con un tono sommesso: - se ho detto cosa che le dispiaccia, è stato certamente contro la mia intenzione. Mi corregga pure, mi riprenda, se non so parlare come si conviene; ma si degni ascoltarmi. Per amor del cielo, per quel Dio, al cui cospetto dobbiam tutti comparire... - e, così dicendo, aveva preso tra le dita, e metteva davanti agli occhi del suo accigliato ascoltatore il teschietto di legno attaccato alla sua corona, - non s’ostini a negare una giustizia così facile, e così dovuta a de’ poverelli. Pensi che Dio ha sempre gli occhi sopra di loro, e che le loro grida, i loro gemiti sono ascoltati lassù. L’innocenza è potente al suo...
- Eh, padre! - interruppe bruscamente don Rodrigo: - il rispetto ch’io porto al suo abito è grande: ma se qualche cosa potesse farmelo dimenticare, sarebbe il vederlo indosso a uno che ardisse di venire a farmi la spia in casa.
Questa parola fece venir le fiamme sul viso del frate: il quale però, col sembiante di chi inghiottisce una medicina molto amara, riprese: - lei non crede che un tal titolo mi si convenga. Lei sente in cuor suo, che il passo ch’io fo ora qui, non è né vile né spregevole. M’ascolti, signor don Rodrigo; e voglia il cielo che non venga un giorno in cui si penta di non avermi ascoltato. Non voglia metter la sua gloria... qual gloria, signor don Rodrigo! qual gloria dinanzi agli uomini! E dinanzi a Dio! Lei può molto quaggiù; ma...
- Sa lei, - disse don Rodrigo, interrompendo, con istizza, ma non senza qualche raccapriccio, - sa lei che, quando mi viene lo schiribizzo di sentire una predica, so benissimo andare in chiesa, come fanno gli altri? Ma in casa mia! Oh! - e continuò, con un sorriso forzato di scherno: - lei mi tratta da più di quel che sono. Il predicatore in casa! Non l’hanno che i principi.
- E quel Dio che chiede conto ai principi della parola che fa loro sentire, nelle loro regge; quel Dio le usa ora un tratto di misericordia, mandando un suo ministro, indegno e miserabile, ma un suo ministro, a pregar per una innocente...
- In somma, padre, - disse don Rodrigo, facendo atto d’andarsene, - io non so quel che lei voglia dire: non capisco altro se non che ci dev’essere qualche fanciulla che le preme molto. Vada a far le sue confidenze a chi le piace; e non si prenda la libertà d’infastidir più a lungo un gentiluomo.
Al moversi di don Rodrigo, il nostro frate gli s’era messo davanti, ma con gran rispetto; e, alzate le mani, come per supplicare e per trattenerlo ad un punto, rispose ancora: - la mi preme, è vero, ma non più di lei; son due anime che, l’una e l’altra, mi premon più del mio sangue. Don Rodrigo! io non posso far altro per lei, che pregar Dio; ma lo farò ben di cuore. Non mi dica di no: non voglia tener nell’angoscia e nel terrore una povera innocente. Una parola di lei può far tutto.
- Ebbene, - disse don Rodrigo, - giacché lei crede ch’io possa far molto per questa persona; giacché questa persona le sta tanto a cuore...
- Ebbene? - riprese ansiosamente il padre Cristoforo, al quale l’atto e il contegno di don Rodrigo non permettevano d’abbandonarsi alla speranza che parevano annunziare quelle parole.
- Ebbene, la consigli di venire a mettersi sotto la mia protezione. Non le mancherà più nulla, e nessuno ardirà d’inquietarla, o ch’io non son cavaliere.
A siffatta proposta, l’indegnazione del frate, rattenuta a stento fin allora, traboccò. Tutti que’ bei proponimenti di prudenza e di pazienza andarono in fumo: l’uomo vecchio si trovò d’accordo col nuovo; e, in que’ casi, fra Cristoforo valeva veramente per due.
- La vostra protezione! - esclamò, dando indietro due passi, postandosi fieramente sul piede destro, mettendo la destra sull’anca, alzando la sinistra con l’indice teso verso don Rodrigo, e piantandogli in faccia due occhi infiammati: - la vostra protezione! È meglio che abbiate parlato così, che abbiate fatta a me una tale proposta. Avete colmata la misura; e non vi temo più.
- Come parli, frate?...
- Parlo come si parla a chi è abbandonato da Dio, e non può più far paura. La vostra protezione! Sapevo bene che quella innocente è sotto la protezione di Dio; ma voi, voi me lo fate sentire ora, con tanta certezza, che non ho più bisogno di riguardi a parlarvene. Lucia, dico: vedete come io pronunzio questo nome con la fronte alta, e con gli occhi immobili.
- Come! in questa casa...!
- Ho compassione di questa casa: la maledizione le sta sopra sospesa. State a vedere che la giustizia di Dio avrà riguardo a quattro pietre, e suggezione di quattro sgherri. Voi avete creduto che Dio abbia fatta una creatura a sua immagine, per darvi il piacere di tormentarla! Voi avete creduto che Dio non saprebbe difenderla! Voi avete disprezzato il suo avviso! Vi siete giudicato. Il cuore di Faraone era indurito quanto il vostro; e Dio ha saputo spezzarlo. Lucia è sicura da voi: ve lo dico io povero frate; e in quanto a voi, sentite bene quel ch’io vi prometto. Verrà un giorno...
Don Rodrigo era fin allora rimasto tra la rabbia e la maraviglia, attonito, non trovando parole; ma, quando sentì intonare una predizione, s’aggiunse alla rabbia un lontano e misterioso spavento.
Afferrò rapidamente per aria quella mano minacciosa, e, alzando la voce, per troncar quella dell’infausto profeta, gridò: - escimi di tra’ piedi, villano temerario, poltrone incappucciato.
Queste parole così chiare acquietarono in un momento il padre Cristoforo. All’idea di strapazzo e di villanià, era, nella sua mente, così bene, e da tanto tempo, associata l’idea di sofferenza e di silenzio, che, a quel complimento, gli cadde ogni spirito d’ira e d’entusiasmo, e non gli restò altra risoluzione che quella d’udir tranquillamente ciò che a don Rodrigo piacesse d’aggiungere. Onde, ritirata placidamente la mano dagli artigli del gentiluomo, abbassò il capo, e rimase immobile, come, al cader del vento, nel forte della burrasca, un albero agitato ricompone naturalmente i suoi rami, e riceve la grandine come il ciel la manda.
- Villano rincivilito! - proseguì don Rodrigo: - tu tratti da par tuo. Ma ringrazia il saio che ti copre codeste spalle di mascalzone, e ti salva dalle carezze [4] che si fanno a’ tuoi pari, per insegnar loro a parlare. Esci con le tue gambe, per questa volta; e la vedremo. Così dicendo, additò, con impero sprezzante, un uscio in faccia a quello per cui erano entrati; il padre Cristoforo chinò il capo, e se n’andò, lasciando don Rodrigo a misurare, a passi infuriati, il campo di battaglia.


(...questa la conclusione morale. La conclusione tecnica è che Monti ci ha lasciato con tre monti: un monte di debiti pubblici, un monte di disoccupati, un monte di poveri. Res sunt consequentia nominum...)