(...oggi è una giornata non per tutti lieta, perché alcuni ricordano un uomo cui l'umanità non difettava. Allietiamola con un esempio di quel particolare derivato dell'umanità che è la romanità...)
(...scrivo oppresso da un rombo continuo e no, non è uno stormo di B52 - per fortuna - ma un unico tuono che mi arriva, senza soluzioni di continuità, dai Lucretili, interrotto solo dal fragore dei rovesci d'acqua, quando il secondo riesce a sovrastare il primo. Nel caso incontraste la siccità, salutatemela. Deve essere brutto avercela quasi fatta, veder baluginare di fronte a sé un futuro da superstar, e ritrovarsi in un niente fradicia e negletta, abbandonata dai titolisti e rinnegata dagli ecoscemi, per colpa di questi eventi "eccezionali", sulla cui eccezionalità ci intratterremo al #goofy12. Perché ci sarà un #goofy12 e cercheremo, questa volta, di avere più poltrone che... iscritti!...)
Per qualche motivo che vi dirò quando sarà il momento mi occorreva un certificato.
Dice: "Ma tu ce l'hai lo SPID?" Eh, sì, lo SPID ce l'avevo, ma siccome non lo usavo praticamente mai pare sia scaduto. Insomma: l'identità digitale sarà anche una cosa pratica, ma è un po' effimera. D'altra parte, se ci dicono che nulla sarà più come prima, e che gli eventi eccezionali, e che le alluvioni, ecc., una persona prudente non può che preferire l'analogico al digitale.
Ma, soprattutto, l'esperienza dell'ufficio pubblico, riavvicinandoti alla tua fragilità, alla tua kafkiana impotenza di fronte alle indecifrabili logiche delle burocrazia, fa nascere nuove solidarietà, spinge quel brandello di umanità che alberga in ognuno di noi, sbigottito nella contemplazione del non senso, a ritrovare il senso più autentico della condivisione, costretti dall'ansia della sopravvivenza a un comune nemico, spietato, inflessibile, e soprattutto imprevedibile. E poi, se ti piace "er popolo", ti deve piacere anche "la circoscrizzione": un seminario perenne di antropologia (criminale), un manuale di (anti)estetica e di (anti)architettura, un caso (umano) da studiare con passione per capire perché restiamo i migliori (perché sopravviviamo ai nostri uffici), e quanto potremmo ancora migliorare (radendo al suolo quegli stessi uffici)...
Però, per uscire da questa esperienza arricchiti e non defedati, bisogna prenderla con lo spirito giusto, che è questo: lasciarsi compenetrare (ho detto "compenetrare"!) da una granitica, irrevocabile certezza: quella che, per quanto ci si sforzi, dall'ufficio si uscirà a mani vuote, senza aver combinato nulla. Bisogna disporsi serenamente, cristianamente alla rinuncia, alla privazione, al rifiuto delle proprie pulsioni disordinate, come quella di avere, appunto, un certificato che ti spetta avere. Deponi la superbia, utente! Chi sei tu per giudicare del tuo diritto di avere un foglietto gualcito che attesti che tu sei tu, e non un altro? Nessuno! Quindi disponiti alla rinuncia al sé (cioè al te). Solo al termine di questo percorso ascetico, solo dopo aver attraversato il deserto di corridoi fuligginosi e di androni graveolenti, solcati da altri miserabili, inebetiti e assorti nella propria traiettoria, pochi, i più meritevoli, o forse i meno (chi può dirlo?), vedranno sbocciare, quando meno se lo aspettano, quando ormai si sono arresi, e proprio perché si sono arresi, l'agognato fiore cartaceo del certificato!
Io ovviamente ero in questa disposizione d'animo: sapevo che avrei trovato il certificato tanto quanto Livingstone le sorgenti del Nilo. Anzi, per non sbagliare, per acquisire la più tombale certezza di non riuscire a compicciare nulla di nulla, mi ero caricato di un fardello di ben due cose da non volere: un certificato, e una nuova carta d'identità (sì, l'orrendo chip satanista voluto dal WEF e da quello che i coatti chiamano "Sciuàb", ma anche di questo parliamo un'altra volta)! Fortemente risoluto a non ottenerle, e conseguentemente a non inquinare con l'ansia di un desiderio irrealizzabile il piacere di un'esperienza paranormale, imbocco l'androne affollato di varia postulanza, rivolgendomi col consueto sorriso e con la mia connaturata intrepidezza al più elusivo e potente abitante dell'antro: la portinaia.
"Buongiorno, io dovrei fare il certificato tale, e dovrei anche rinnovare la carta d'identità!"
Ben disposta, più che indispettita, dal mio ardire (il mondo è controintuitivo), la padrona di casa benignamente mi risponde: "Per i certificati deve prendere un appuntamento con noi telefonando a quel numero" (e indica un foglio di carta plasticato che un esile scotch assicurava malamente al vetro sbreccato di un malfermo infisso in alluminio) "oppure può andare all'edicola di Piazza Gerundio, mentre per la carta di identità deve andare al primo piano che i ragazzi di Roma facile le spiegano tutto!" Un po' perplesso sul perché mai dovessi prendere appuntamento per telefono, visto che ero lì, chiedo trasognato: "Ma posso chiamarvi da qua dentro o devo uscire?" E lei: "No, può farlo da dove vuole, ma qua dentro c'è poco campo!"
Ringrazio, e vado dai ragazzi di Roma facile, nome che è tutto un programma.
Arrivo al primo piano (che in realtà è il secondo, perché c'è un ammezzato, ma ai miei vigili sensi questo dettaglio non era sfuggito...), busso a Roma facile, e naturalmente non c'è nessuno. Ma io, che sono venuto sapendo che non avrei ottenuto niente, non mi spazientisco nel non trovare nessuno. Nessuno è esattamente la persona che ti serve quando sai che non devi volere niente! Il segreto, posso dirvelo, è tutto lì: è un po' come in un videogame: se non ti spazientisci, si sblocca il livello, altrimenti resti piantato. Mi giro con un bel sorriso, e il livello si sblocca: da una porta anonima esce una donna delle pulizie che mi indica dove sono i ragazzi di Roma facile: nell'altra porta con su scritto Roma facile, quella nascosta da un angolo dell'ettagono concavo in cui l'architetto aveva sublimato il suo ideale di armonia rinascimentale (o qualche atroce violenza sessuale patita in tenera età). Aggiro l'angolo, ribusso, e mi ritrovo in una stanza dove metà dell'età la mettevo io e l'altra era ripartita fra tre antropomorfi.
Mi rivolgo al viciniore, e gli dico: "Buongiorno! Io dovrei rinnovare la carta d'identità, scade a dicembre, penso di dover fare quella elettronica...". E lui: "Guardi, io da qui il primo appuntamento posso darglielo il 9 gennaio". E io: "Ma quindi se la mia carta scade a dicembre resterò un mese senza sapere chi sono?" E lui mi trascina nel gorgo di una narrazione scombinata: "No, lei può chiedere l'appuntamento online, ma deve andare sul sito del Comune a mezzanotte, perché due volte a settimana si rilasciano 40 appuntamenti, oggi avevo quelli per il 5 luglio, se invece vuole venire di mattina deve aspettare a prenotarsi subito dopo la mezzanotte del giovedì, perché gli appuntamenti del martedì sono per il pomeriggio..." (potrei aver dimenticato qualcosa: me lo guardavo affascinato, e gli avrei tanto voluto dire: "Amico, io i click day li faccio, non li subisco!", ma mi piaceva ascoltarlo e pensare a quante domande ovvie avrei potuto porgli...).
Senza averci capito un gran che (me lo farò spiegare da qualcuno al Minint), prendo un foglietto di carta che riassume questa storia e esco, perché, come forse ricorderete, avevo un appuntamento telefonico. Discendo in disordine e senza speranza (che non avevo mai avuto) le scale scalene che avevo risalito con l'orgogliosa sicurezza che non sarebbe servito a un cazzo (e infatti...), varco la soglia, e appena fuori telefono al numero. Mi risponde una signora, cui chiedo: "Buongiorno, sono qui da voi e vorrei prenotarmi per avere il certificato tale...". Risposta: "Guardi, io qui il primo appuntamento posso darglielo il 10 luglio". E io: "Ma a me servirebbe un po' prima!" E lei: "Beh, allora deve andare a Via Dai Piedi 35 la mattina presto e prendere il numeretto!" E io: "Ma perché, da voi il numeretto non si può prendere?" E lei: "No, da noi no!"
Il cielo cominciava a incupirsi, a brontolare, quindi mi avviavo verso il parcheggio pensando a quante possibilità mi si aprivano, in quello che una volta sarebbe stato lo one-stop shop del Comune, e che oggi è l'hub di un groviglio di deliranti alternative: prendere appuntamento in situ per avere la carta d'identità troppo tardi, oppure partecipare a notte fonda a una specie di asta del pesce online per prendere un appuntamento in cui forse ti spiegano come andare avanti, e per il certificato, anche qui, o averlo in ritardo, o alzarsi in questo caso (per simmetria) ante lucem per andare a Via Dai Piedi e aspettare in piedi con altri reietti...
Metto in moto, parto, poi, al primo incrocio, provvidenzialmente un autobus incastrato fra due macchine parcheggiate in doppia fila mi obbliga a cercare un'alternativa: la trovo meccanicamente, mentre soppeso fra me e me le possibilità che mi sono state offerte, quando trasalisco: ma... ma... ma... sono a Piazza Gerundio, quella presso la cui edicola si possono fare i certificati! Quindi, forse, ce l'ho fatta!
L'edicola c'è, il parcheggio pure, quindi è matematico che il certificato non ci sarà (nei giochi c'è tanta matematica: pensate agli scacchi, ma anche al tresette...). Posto quindi che non ci sarà, sarebbe sciocco dubitarne, mi interessa però sapere come non ci sarà: la soluzione, vedrete, è di una intuitività quasi offensiva: ci sarei potuto arrivare subito. Scendo dalla macchina, mi avvicino circospetto, l'edicola sembra deserta, e qui mi sovviene il primo modo in cui avrei potuto mancare di ottenere l'agognato papiro: forse l'edicolante è stato rapito dagli alieni?... No: al mio buongiorno qualcosa emerge dalla penombra, e io: "Vengo da lì..." e lei: "E le hanno detto che qui si fanno i certificati!" E io: "Sì. Ma li fate?" E lei: "Che je serve?" E io: "Questo!" E lei: "Sì, questo lo facciamo!" E io: "Ma io devo darle qualcosa, la carta d'identità, un documento..." E lei: "No, no, io nun vojo sapè ggnente, nun devo vedé ggnente, mica sò l'ufficiale dello stato civile". E io: "Beh, sì, questo l'ho capito. E quanto costa?" E lei: "Un euro e cinquanta". E io: "Va bene, allora se possiamo procedere...". E lei: "Certo!"
Ma...
Da dietro a una catasta di riviste interviene il marito: "Guarda che nun lo pòi fa, perché oggi er sito der Comune è in manutenzione!" E io: "Lo davo per scontato. Ma quanto dura la manutenzione?" E lei: "Ma, dipende: qualche volta poche ore, qualche volta mesi...".
(...d'altra parte, in un Comune retto da un incompetente, come volete che funzionino le cose? Ah, se Claudio riuscisse a portarlo in Tribunale...)