Mentre gli intellettuali organici si leccano le ferite, rilasciando dichiarazioni francamente inquietanti, da cui trapela, con un misto di ingenuità e protervia che lascia sbalorditi, la ferma volontà di servirsi della categoria dell'odio per
criminalizzare il dissenso politico (fenomeno particolarmente appariscente in chi è stato così poco lungimirante da
saltare sul carro del vincitore un attimo prima dello schianto), a/simmetrie continua a lavorare. Chi si fosse messo in ascolto in questo momento, e magari gradisse la trasmissione, è esortato a ragionare su quel "la libertà non è gratis" scritto in rosso qua sopra, magari dopo aver notato che le poche voci autorevoli realmente critiche nel dibattito italiano collaborano a
questo progetto.
Conversando ieri sera con Vladimiro Giacché, dall'A24, lui attirava la mia attenzione su un dato il cui significato sembra essere sfuggito ai commentatori: il "sì" ha prevalso fra gli elettori oltre i 55 anni,
come documenta il Corriere. Documenta, ovviamente, è una parola grossa. Purtroppo, e sottolineo purtroppo, il più autorevole quotidiano nazionale
ci ha dato soddisfazioni anche con i dati misurabili. In questo caso, però, più che la fonte (ideologicamente schierata, il che è lecito, come è lecito esercitare diritto di critica), suscita qualche perplessità la natura stessa del dato. Visto che il voto è segreto, viene un po' da sorridere al constatare la pretesa di quegli stessi sondaggisti che ultimamente toppano tutti i pronostici di descriverci
ex post la natura dei risultati: quanti giovani, quanti vecchi, quanto uomini, quante donne, quanti colti, quanti incolti, e via divinando.
Tuttavia:
1) in questo caso i sondaggiai ci avevano tutto sommato preso: il no lo davano vincente tutti, anche se nessuno si aspettava una percentuale simile (
proprio nessuno no...);
2) il dato sulla maggiore propensione al sì degli anziani risulta da più di una indagine. Ad esempio, SWG segnala che
la percentuale di no decresce monotonamente con le classi di età, dal 71% dei 18-24, al 55% degli oltre 64.
Il post precedente spiega le ragioni del "no" con una variabile che presenta una buona capacità esplicativa: la disoccupazione giovanile. Questa variabile, però, è riferita appunto alla condizione dei nostri amati giovini. Ora, la domanda è:
se il voto è stato per difendere i Sacri Principi consacrati nella Carta Costituzionale col Sangue dei Partigiani che hanno combattuto sulle Montagne ecc., perché mai proprio chi è più anziano, cioè chi quella stagione l'ha vissuta e dovrebbe serbarne il caro ricordo che si mantiene della giovinezza, delle sue vittorie, e anche delle sue sconfitte, ha votato per stuprare questa Carta Costituzionale? Come mai chi ha (oggettivamente) meno futuro davanti ha manifestato tanta attiva volontà di incidere sulle norme che lo regoleranno?
Chiaramente c'è qualcosa che non torna. Ma forse potrebbe semplicemente non tornare il dato dei sondaggiai. Siamo allora andati a verificare come stanno le cose basandoci su dati oggettivi: la distribuzione regionale del no, la disoccupazione giovanile (come nel grafico precedente), e alcune variabili descrittive della struttura della popolazione.
Cominciamo con il replicare il grafico del post precedente, mettendo qualche numero:
I numeri ci dicono che la disoccupazione giovanile spiega il 64% della variabilità infraregionale del voto (è il coefficiente R quadro che vedete nel grafico e nel tabulato), e che un aumento di un punto della disoccupazione giovanile U1524 fa aumentare di mezzo punto la percentuale di votanti per il No (più esattamente, di 0.502492 punti). La relazione statisticamente è molto significativa, come sa chi sa cosa significa statisticamente significativo. I residui sono normali, omoschedastici, incorrelati (se interessa).
Tutto bene, ma si può fare di più. Intanto, vediamo se è vero che esiste una relazione negativa fra età e percentuale di no. A questo scopo, utilizziamo alcune statistiche che descrivono la struttura demografica regionale: la percentuale di popolazione sopra i 55 anni POP55 (per analogia con la suddivisione dei votanti utilizzata dal Corriere), quella sopra i 65 anni POP65 (che ha più senso perché legata al termine della vita lavorativa (quando va bene), l'età media regionale AGE, il
tasso di dipendenza DIP, e il tasso di dipendenza degli anziani DIPA (come il precedente, ma considera solo gli anziani al numeratore). Le correlazioni in effetti sono tutte negative:
(le leggete sulla prima colonna), ma dato che il campione è esiguo (20 regioni), quelle effettivamente significative sono solo tre: con la percentuale di over 65 (-0.43), con il tasso di dipendenza degli anziani (-0.47), e con il tasso di dipendenza (-0.64) (per verificare la significatività vi consiglio questo
simpatico strumentino). Per le vostre sempre opportune verifiche, qui i dati:
Quindi in effetti sembra che nel determinare la distribuzione regionale del risultato l'età abbia contato qualcosa. Ad esempio, fra percentuale di no e popolazione sopra i 65 anni di età si ottiene questa relazione negativa:
La relazione esiste, ma è relativamente debole: spiega solo il 19% della variabilità infraregionale del voto. Tuttavia, il coefficiente che lega le due variabili è statisticamente significativo al livello del 10%:
(lo vedete nella colonna "Prob.": la probabilità che il coefficiente sia statisticamente nullo è del 5.3%, molto bassa).
Si capisce anche cosa c'è che non va: il visibile
outlier (cioè osservazione che "sta fuori" dalla nuvola di punti) cerchiato di rosso nel grafico, corrispondente, pensate un po', al Trentino Alto Adige: regione dove il no ha raggiunto appena il 46%, nonostante la popolazione fosse relativamente giovane (o meglio: la percentuale sopra i 65 anni relativamente bassa: 19.9%). La statistica ci permette di tenere conto di questa idiosincrasia, utilizzando quella che tecnicamente si chiama una variabile
dummy, ovvero una variabile che vale uno in corrispondenza dell'anomalia statistica che si vuole isolare, e zero altrove. Se operiamo in questo modo, otteniamo questi risultati:
I risultati ci dicono, in definitiva, che il Trentino Alto Adige ha avuto una percentuale di no pari a 19.6 punti in meno rispetto a quelli previsti dalla sua struttura demografica (è il coefficiente della variabile CRUCCHI - aspetto fiducioso il
flame dei cari amici sudtirolesi). Una volta tenuto conto di questa anomalia, la struttura demografica impatta in modo molto, molto significativo: il coefficiente di POP65 arriva a -1.88 ed è significativo all'1% (la probabilità che sia statisticamente nullo è pari allo 0.45%, irrisoria...).
Non ve la faccio tanto lunga. Da un rapido processo di
specification search, il modello più robusto ottenuto su dati regionali mettendo insieme tutte le variabili delle quali vi ho parlato è una cosa di questo genere:
Una volta "nettato" con la variabile dummy l'impatto delle appartenenze etniche e partitiche (la variabili "PIDDINI" vale uno in Emilia Romagna, Toscana e Umbria, regioni "rosse", e zero altrove), che in media hanno abbassato do 9.36 punti la percentuale di "no", la determinante socioeconomica più rilevante è il tasso di disoccupazione giovanile, seguito dal tasso di dipendenza. Sarei curioso di vedere cosa verrebbe fuori a livello provinciale. Ovviamente, con dati più "fini" avremmo più rumore statistico, ma da qualche analisi che mi è arrivata il segnale circa l'impatto positivo della disoccupazione emerge bello chiaro:
Diciamo che a livello provinciale la disoccupazione
tout court spiega il 52% della variabilità del voto (mentre a livello regionale la disoccupazione
giovanile spiega il 64%). Purtroppo in questo momento a/simmetrie è senza ricercatore, e non ho nessuno da incaricare di lavori simili, che ovviamente sarebbero interessanti. Vi faccio solo un esempio: secondo voi, quale altra variabile potrebbe influenzare l'atteggiamento degli elettori verso l'Europa? La risposta è dentro di voi ed è giusta.
Intanto, però, dobbiamo tirare un senso politico da questo delirio statistico.
Diciamo che a grandi linee il dato desunto dai sondaggiai pare essere supportato dall'evidenza: la struttura demografica della popolazione conta, nel senso che una maggiore percentuale di pensionati (over 65) o una maggiore dipendenza strutturale (che non è esattamente la stessa cosa) influiscono in modo negativo e statisticamente significativo sul no alla riforma.
Pare che così gli anziani fossero ansiosi di riformare, anche se un po' meno di quanto i giovani fossero ansiosi di lavorare. Torno a dire che il primo dato è strano, dato che, normalmente, con l'età sorge una certa neofobia, e anche una certa cautela, che confluiscono in un atteggiamento generalmente conservatore. Inoltre, si suppone che chi è più maturo abbia avuto più tempo (anche se non necessariamente più voglia, o più opportunità) di informarsi, anche perché è senz'altro passato, come me e come i miei coetanei, per un sistema scolastico nel quale l'educazione civica esisteva, e la Costituzione veniva studiata, o almeno rammentata, anche a scuola.
Tutti elementi che contrastano con certe analisi sinceramente un po' estemporanee,
come quelle profuse a Radio 24 da Riccardo Illy, secondo cui l'Italia del "no" sarebbe quella che "si è fatta influenzare da persone che perseguono altri obiettivi di breve termine, che sarebbero quelli di vincere le elezioni", "un'Italia poco informata", insomma.
Ah, questo, naturalmente detto da uno secondo cui:
1) non ci sono stati sfracelli dopo il no perché "i mercati a termine tendono sempre a scontare in anticipo gli effetti che si prevedono", ma "purtroppo i mercati e soprattutto la borsa tende a premiare i risultati a breve termine, non quelli a medio lungo" (ravviso una certa incongruenza: e voi? I mercati anticipano il medio termine, o premiano il breve termine?).
2) la Spagna è ripartita perché "aveva fatto riforme molto importanti in precedenza e quindi è andata avanti per inerzia; anche con il governo Renzi alcune riforme importanti sono state fatte... ne cito una per tutte, quella del mercato del lavoro, che erano attese da decenni"
3) in Italia la recessione è stata devastante più che altrove perché "gli altri paesi non avevano il 130% di debito pubblico"
Vi risparmio le altre perle, ma già da queste trapela una persona molto consapevole dei propri interessi di classe più immediati (tagliare i salari e togliersi di torno i lavoratori sindacalizzati grazie alla meravigliosa riforma del jobs act), ma poco consapevole dei più elementari dati di finanza pubblica di un paese nel quale tuttavia mi risulta abbia esercitato funzioni di governo locale (la nostra
non è una crisi di debito pubblico, come qui abbiamo detto
fin dall'inizio, la situazione della finanza pubblica italiana non ha mai destato l'allarme delle autorità europee, il rapporto debito/Pil all'inizio della crisi era al 103% e non al 130% del Pil - dislessia? - ed è stato portato al 130% dalle politiche di Monti che Renzi - e quindi presumo Illy - ha appoggiato, come abbiamo visto tante volte e dettagliatamente
qui). Una persona, infine, piuttosto all'oscuro (nella migliore delle ipotesi) di cosa ci sia dietro i pretesi miracoli altrui (lo schiacciamento delle retribuzioni e dei diritti dei lavoratori, come abbiamo ampiamente documentato
qui e
qui).
Naturalmente povertà non è vergogna: se uno che per lavoro deve fare altro (a quanto capisco, il renziano
post litteram) mi dà dell'ignorante, io lo scuso, lo compatisco, e
non compro i suoi prodotti.
Come sempre, però, prendo il buono da chi la vita mette sulla mia strada. Analisi come questa, che attribuisce il "no" a motivazioni superficiali, sono a loro volta di una tale superficialità, o, se vogliamo, di una tale cecità ideologica, da lasciarci supporre che in effetti le motivazioni del "no" non possano che essere più razionali ed avvedute,
subordinatamente alle informazioni di cui gli elettori disponevano.
Sì, caro Illy: una parte degli elettori aveva effettivamente un obiettivo di breve termine, e in questo senso la sua analisi è corretta. Temo però che l'obiettivo non fosse quello che ella ravvisa (vincere le elezioni), bensì quello, meno ambizioso, di mettersi a lavorare il prima possibile. Sa, quella cosa un po'
démodé dell'esistenza libera e dignitosa da realizzare con una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del proprio lavoro? Ella naturalmente non ignora
da dove vengano queste parole, giusto?
Ecco: questa anticaglia, che lei voleva legittimamente spazzare via, oggi è fattualmente ostacolata dall'appartenenza all'euro, che obbliga a realizzare l'aggiustamento macroeconomico innalzando la disoccupazione, come qui è stato
spiegato in tempi non sospetti (cioè prima che lo spiegassero
i soloni del mainstream, i quali, peraltro, ne erano consapevoli da sempre: valga per tutti
Dornbusch, da noi citato
qui).
Cianciate sempre di quanto sarebbe immorale la "svalutazione competitiva", voi industriali italiani (sempre più scissi dalla vera base produttiva del paese, fatta di piccole e medie imprese), e questo sarebbe strano, perché della flessibilità del cambio avete beneficiato. Ma l'apparente mistero si risolve quando si consideri che a voi sta ancora meglio la disoccupazione competitiva, il regolare la competitività schiacciando i salari di lavoratori più ricattabili perché più stremati. Certo, a voi questo meccanismo di aggiustamento sembra perfettamente naturale, non avendo voi quasi mai dovuto preoccuparvi di come garantire a voi stessi un domani, come non se ne dovette mai preoccupare il compianto Padoa Schioppa, quello che da figlio di amministratore delegato delle Generali, condannato a vivere nella bambagia, auspicava per gli altri un sano contatto con
la durezza del vivere.
Poi c'è l'altra parte dell'elettorato, quel quinto della popolazione (a spanna) fatto di pensionati. Credo su di loro abbia fatto leva l'opera cialtrona e fascista di disinformazione condotta dai media. Questi da anni terrorizzano le fasce più anziane della popolazione con l'idea (non supportata né della teoria, né dall'evidenza empirica) che un'uscita dall'euro significherebbe una svalutazione catastrofica, con una impennata dell'inflazione che eroderebbe il valore reale delle loro pensioni. Il pensionato che legge il giornale, che passa il tempo di fronte alla televisione, succube di fronte alla marea di disinformazione crescente, è lo stesso che ai tanti incontri che ho fatto in giro per l'Italia mi dice "ma io non lo so usare il blog"! A differenza del giovane, quindi, non ha accesso ad altre informazioni che non siano quelle che gli ottimati vogliono che abbia.
Ma esattamente come il giovane, anche il vecchio ha dato un voto razionale ed informato (anche se il suo info set era stato inquinato dal giusquiamo di un'informazione che dovrà, prima o poi, essere richiamata seriamente ai suoi stessi principi deontologici).
In sintesi, insomma, anche l'impatto della struttura demografica sulla distribuzione del voto ci chiarisce che questo non è stato (solo) un voto pro o contro la riforma costituzionale, dato per motivazioni ideali, ma è stato (soprattutto) un voto pro o contro l'euro dato per motivazioni economiche.
Ha votato a favore chi temeva che il voto, causando un'uscita dall'euro, ledesse i suoi interessi economici. Ha votato contro chi sperava che il voto, causando un'uscita dall'euro, favorisse i suoi interessi economici. Certo, questa consapevolezza non può essere stata chiara e distinta in ognuno. Ma il dato sull'età è in qualche modo la prova del nove, e rivela che i merdia hanno fatto un gigantesco autogol quando hanno legato l'esito del referendum a una potenziale uscita dall'Italia.
Hanno tirato dalla propria parte il 22% dei pensionati (esclusi i tanti, di cui qui si è parlato, con la spina dorsale dritta), ma hanno anche allontanato il restante 78% della popolazione, quella che ha capito che di Unione Europea si muore.
Quella che i piddini chiamano "Europa", quel delirio imperialistico scisso da qualsiasi percorso di razionalità storica e politica, quel luogo ideale che rappresenta la radicale negazione non tanto della democrazia, quanto della stessa politica, perché non può esserci
polis, cioè comunità, senza
logos, e che infatti ci propone di sostituire alla politica la "governabilità", la
governance, intesa come aderenza passiva a un insieme di regole spacciate per ottimali, nonostante siano producendo disastri ovunque (tranne che dove ci si può permettere di non applicarle),
regole che esprimono rapporti di forza sui quali le nostre élite non hanno voluto incidere (perché volevano servirsene per schiacciare i sottoposti, cioè noi) e ora non possono più incidere (perché aderendo ad esse hanno indebolito il paese, cioè loro stessi), la famigerata
governance, che è l'idea che il paese sia come un treno che viaggia sui binari, e dove il macchinista deve semplicemente regolare la velocità, cioè l'inflazione: ecco:
questo delirio fascista è mortifero perché è menzogna, a tutti i livelli.
Ai pensionati che hanno votato "sì" perché preoccupati del legame fra svalutazione e inflazione io non dirò altezzosamente che sono disinformati, come un padrone qualsiasi. Darò loro umilmente, con dedizione, con impegno, con sforzo, un'informazione, quella che ho diffuso nell'ultima newsletter dell'associazione a/simmetrie, ovvero questa:
La vedete? Questa è la relazione fra svalutazione (variazione del prezzo del dollaro in sterline) e inflazione nel Regno Unito. Sì, con la Brexit c'è stato un rapido riallineamento del cambio, una svalutazione di circa l'8% (il primo picco della linea verde scuro), nel mese di luglio. Ma l'inflazione è addirittura calata, nonostante Carney abbia fatto una politica monetaria inutilmente espansiva per intestarsi il merito dei benefici economici che il Regno Unito stava traendo dall'aver abbandonato un cambio che le stime del Fondo Monetario Internazionale indicavano come chiaramente sopravvalutato:
(le fonti sono
questa per il tasso di cambio,
questa per i prezzi al consumo nel Regno Unito,
questa per la sopravvalutazione della sterlina pre-Brexit).
Sì, cari amici pensionati, disinformati da media criminali, perché responsabili della più atroce delle guerre civili, quella dei vecchi contro i giovani: potete credere ai vostri occhi! Una svalutazione dell'8% ha portato con sé un'inflazione di quanto? Ve lo dico io: dello 0%.
Non credete ai giornali!
Come potete pensare che organi di informazione in mano a una classe imprenditoriale giustamente sensibile ai propri interessi vi forniscano informazioni utili a tutelare i vostri?
Potete pensare che un Illy, o un Boccia, vogliano il vostro bene? No: giustamente essi vorranno il loro, che non coincide, né mai coinciderà, col vostro, perché ora che il paese è spolpato l'unico modo che queste persone hanno di estrarne valore è spremere ancor più le retribuzioni, o spostare all'estero la creazione di valore. In questo modo, cari amici pensionati, la vostra pensione diminuirà per forza: non si può distribuire il reddito che non viene creato. Ora, le cose stanno così: è il lavoro che crea valore, ma l'unico modo di tutelare la stabilità dei prezzi è far aumentare i disoccupati, cioè distruggere valore. Non è per cattiveria che la Fornero vi ha fatto il bello scherzo che sapete, e non è perché le finanza pubbliche fossero in pericolo (questa è una enorme balla): è perché nel mondo della disoccupazione competitiva bisogna tagliare i redditi per favorire l'aggiustamento di competitività, e quindi, tautologicamente, diminuiscono i redditi da redistribuire per garantire un'esistenza dignitosa a chi in vita sua di valore ne ha prodotto, come voi, amici pensionati, che avete contribuito a fare grande questo paese.
Votando sì, cari amici, avete votato contro i vostri figli (per fortuna perdendo), e lo avete fatto non per cattiveria, ma per mancanza di informazioni, di dati, come quelli che vi ho fornito, e che nessuno dei grandi media in Italia vi fornisce. I vostri figli possono accedere ai pochi baluardi di informazione libera e indipendente, come questo blog: mi dispiace aver spiegato loro come stanno le cose, perché il triste esito dell'aver adempiuto alla mia missione di intellettuale rischia di essere che i vostri figli vi chiudano gli occhi non con una lacrima, ma con una maledizione. Questo, naturalmente, a meno che tutti, vecchi e giovani, non ci attrezziamo per contrastare efficacemente la marea montante della disinformazione e del delirio fascista che vuole delegittimare a tutti i livelli e in tutte le sedi la libera espressione del voto.
Oggi compio 54 anni.
Non avrei mai pensato di essere chiamato un giorno a rivolgermi ai miei concittadini, a mostrar loro i dati della crisi, a svolgere, inizialmente in completa solitudine, in questo paese, l'unica operazione veramente politica: coinvolgere la mia polis in un processo di graduale consapevolezza del meccanismo che ci sta schiacciando, un processo nel quale ho insegnato molto, ma ho anche molto appreso, al quale ho sacrificato molto, ma che mi ha anche dato molto, e quotidianamente mi dà, in termini di soddisfazioni umane inaspettate e incommensurabili. Le vostre parole di incoraggiamento e gratitudine sono il coronamento di cinque anni di lavoro che non avrei mai pensato di poter sostenere e che ho sopportato solo grazie alla vostra presenza.
All'orizzonte si profila la troika, come qui avevamo ampiamente previsto dodici mesi or sono. Saranno momenti molto duri: dopo le nostre libertà economiche, verrà conculcata anche la nostra libertà di espressione, la nostra possibilità di dissentire dal disegno criminale delle nostre élite cialtrone e bancarottiere. Vi chiedo un ulteriore sforzo:
sostenete a/simmetrie, unico laboratorio coerente e strutturato di elaborazione di un pensiero critico scientificamente rigoroso, accuratamente documentato e comunicativamente efficace. Abbiamo bisogno di incidere sulla realtà finché abbiamo ancora (per poco) la possibilità concreta di farlo, attraverso i social media. C'è molto da fare in questa direzione (e ve ne parlerò), ma le risorse di cui disponiamo non ce lo consentono (e ve ne parlerò).
Vi chiedo anche di prendere in considerazione l'opportunità di aderire ad a/simmetrie,
i cui scopi sociali sono descritti dallo statuto. Ci aspettano anni duri. Forse è il momento di conoscerci meglio, di contare quanti siamo, di promuovere con più efficacia presso i nostri compatrioti il tanto lavoro che abbiamo fatto e che non deve andare disperso.
Concludo però con una nota di ottimismo.
Al di là delle analisi dei sociologi da bar, gli italiani hanno dimostrato di votare col portafoglio, razionalmente, subordinatamente alle informazioni in loro possesso, spesso di pessima qualità. Questo conferma la validità del messaggio che fin dall'inizio vi ho dato: l'unico, decisivo atto politico da compiere è portare corretta informazione. Il resto segue. I tanti "qualcosisti" che hanno disperso forze in improbabili esperimenti "politici" invece di concentrarsi nella diffusione dei messaggi corretti hanno la mia compassione, ma non sono miei alleati: sono miei nemici. Questo va chiarito, come va anche chiarito che se il nemico si arrende, è possibile stilare un trattato di pace e andare avanti.
Qui stiamo facendo la cosa giusta: voi la state facendo.
Vi chiedo solo di non arrendervi.