(...in un commento al post precedente Luciano evidenziava come il problema della maggior parte delle persone non sia non aver capito, ma non essere venute a conoscenza del Dibattito - cioè del blog che stai leggendo, caro lettore! Il mio spirito polemico e sofistico mi porterebbe a dire che, invece, il successo del Dibattito [e quindi la sua diffusione, che, per quanto scarsa, è stata sufficiente a farmi Presidente di bicamerale] sia da attribuire al fatto che la gente aveva capito, cioè che si riconosceva in quanto trovava scritto, con un atto di adesione emotivo e intuitivo. Insomma: il blog ha funzionato perché era inutile, ha funzionato con quelli cui era inutile, e quindi non tanto perché abbia aggiunto qualcosa alle loro conoscenze o al loro bagaglio culturale, quanto perché ha dato loro coscienza di non essere soli nella percezione di certi problemi, e ha dato loro una casa, che è appunto, caro lettore, il blog che stai leggendo, questa pagina, questo schermo di laptop o di smartphone [questo passa il convento!]. Però ha ragione anche Luciano: le persone che conoscono il nostro lavoro sono poche, pochissime, e per quanto questo possa apparire paradossale, sono in particolare pressoché assenti in Abruzzo! Pensate un po'! Quello che gli sprovveduti chiamano "sovranismo" è sostanzialmente nato in Abruzzo, per un decennio qualche collega - o presunto tale - particolarmente cretino è andato avanti sui social [che a voi sembrano il mondo e sono una bolla di metano ] a canzonarmi con la storiella di "Pescaracas", per anni abbiamo portato centinaia di persone fra cui un paio di scappati di casa rispondenti ai nomi di Giorgia e Matteo a Montesilvano, in tutti i media nazionali si parlava del professorino abruzzese di provincia... Quando questo lavoro ha contribuito a mutare il panorama politico italiano, per inciso mettendo una "poltrona" sotto il sedere di tante persone, non solo di chi vi scrive!, ci si sarebbe aspettati che là dove se non tutto, molto era successo, un minimo di campanilismo portasse a rivendicare il lavoro svolto, ad appropriarsene in qualche modo. O no? Invece no! I miei rappresentati per lo più non sanno un cazzo di niente di chi li rappresenta [e certo non possono affidarsi ai media locali per colmare questa lacuna, laddove vogliano], e i miei "colleghi" leghisti locali a loro volta non sanno un cazzo di niente di chi credono di essersi portati in casa [ma era qui, e costruiva senza minimamente immaginarselo un pezzo del pensiero "leghista", molto prima che loro sapessero che esisteva la Lega]! Eppure leggere il blog, o almeno sapere chi lo ha scritto, sarebbe utile: non vorrei sembrare eccessivamente enfatico, ma in certi casi letteralmente salverebbe la vita. Basterebbe sapere che queste pagine sono scritte dal Cavaliere nero, e al Cavaliere nero... Ma è inutile: non leggono - se leggessero non scriverei così, ça va sans dire - non mi seguono, né me né altri personaggi rilevanti come Claudio, sui social, non hanno idea di che ruoli io svolga a Roma, non hanno idea di quanto sia risalente e di quale sia il mio rapporto con Matteo e con gli altri leader politici in utroque, e quindi non capiscono, il che non è del tutto un male, perché mi consente di esercitare nel piccolo le virtù che spero di essere chiamato ad applicare nel grande: la pazienza, l'umiltà, spinta fino alla dissimulazione, la tenacia, l'arte di vincere una battaglia politica mandando l'avversario a schiantarsi contro le proprie contraddizioni, l'arte di vincere [eliminando i problemi] senza stravincere [umiliando chi li ha creati], e così via. Quindi, amici miei, guardate il bicchiere mezzo pieno: in un mondo a informazione completa fottere chi ti vorrebbe fottere sarebbe molto più difficile! Il messaggio, insomma, è sempre il solito: facciamoci bastare quello che sappiamo, e cerchiamo di usarlo a nostro vantaggio, se non per trarne un guadagno, almeno per limitare le perdite! E a questo proposito...)
Lo scorso otto ottobre Olivier Blanchard e Angel Ubide hanno scritto sul blog del Peterson Institute for International Economics un commento dal titolo particolarmente eloquente: Essential issues raised, but not fully answered by the Draghi report sull'ormai mitologico rapporto di Draghi. Un titolo che, se vogliamo, è un riuscito esercizio nella mia preferita fra le arti marziali: l'eufemismo estremo (not fully answered è un colpo mortale, inutile girarci intorno).
(...apro e chiudo una parentesi per confessare a voi fratelli che senza Marco Zanni mai e poi mai sarei venuto a conoscenza di questo pezzo di bravura! Esattamente come cerco di vincere le mie battaglie sfruttando la forza dei nemici, e ci riesco, sviluppo il mio pensiero sfruttando il cervello dei miei amici, e ci riesco. Vi ho sempre confessato che l'economia in fondo a me non interessa: è perché non l'amo che l'economia mi ama e cerca di compiacermi comportandosi in modo per me prevedibile! Certo però che un economista deve almeno far finta di interessarsi all'economia, e qui arrivano in soccorso gli amici: mi riconosco il merito di aver creato le strutture di coordinamento in cui ci confrontiamo, ma quelli bravi, posso dirlo senza tema di smentita, sono loro...)
La parte più corrosiva del commento di Blanchard e Ubide coincide con quella che vi ho illustrato in una slides del #goofy13:
Loro la mettono (diplomaticamente) così:
"Let us start with a strong statement: The title of the report, The Future of European Competitiveness, is misleading. What the report is about, and indeed should be about, is productivity, not competitiveness. Productivity determines the standard of living. Competitiveness is a different issue: A country can have low productivity and still be competitive. This is what a flexible exchange rate is supposed to achieve and typically does. The European Union does not have a competitiveness problem—in fact, it runs a current account surplus. If anything, it has a potential productivity problem."
Il titolo del rapporto Draghi è fuorviante (io direi sbagliato, ma fuorviante è più cortese), perché l'UE non ha un problema di competitività, dal momento che è in surplus di partite correnti: eventualmente si può argomentare che l'UE abbia un problema di produttività. Diciamo che io l'ho detta in modo più rude, fornendo una mia personale definizione di trombone sopravvalutato ("persona che in piena crisi del modello mercantilistico ravvisa un problema di competitività in un'area che ha un surplus estero superiore a quello della Cina"), ma tant'è: il concetto è lo stesso, e fanno meglio loro a esprimerlo in modo asettico (non sia mai che qualcuno mi accusi di invidiare economisti a basso h-index!).
Il problema di produttività c'è tutto, e ve lo mostro con una delle slides che al #goofy13 non vi ho fatto vedere (il tempo era poco, l'anno prossimo mi prendo due ore):
Se facciamo 100 nel 1995 il Pil in termini reali per addetto, AMECO prevede che al 2025 negli USA sarà aumentato di quasi il 60%, nell'UE di quasi il 30% (la metà) e nell'Eurozona di quasi il 20% (un terzo). Mi sembra evidente che quello che "tira su" la produttività dell'Unione europea è la performance dei Paesi non appartenenti all'Eurozona, e ci vuole poco a verificare che in effetti è così:
Naturalmente i Paesi "non-EZ" sono un insieme molto eterogeneo, composto per lo più da Paesi che partivano da posizioni relativamente arretrate. Tuttavia, i loro risultati smaglianti in termini di crescita della produttività non sono imputabili esclusivamente al meccanismo di catch-up implicito nel modello di crescita neoclassico, che spiegammo ad esempio qui, tra l'altro perché anche la Svezia, paese storicamente "avanzato", ha fatto meglio dell'Eurozona! Ma insomma, il problema di produttività c'è e si vede.
Può forse stupire che dopo aver affermato questo problema, Blanchard e Ubide ne neghino la rilevanza:
"In comparing the European Union to the United States, and in characterizing the diagnostic of the report, Draghi has talked about an “existential challenge” and, if nothing is done, a “slow agony.” This overstates the case."
Insomma: parlare di "lenta agonia" dell'Eurozona sarebbe un'esagerazione. Certo è che la crescita del Pil per addetto (Blanchard e Ubide usano il Pil pro capite) nell'Eurozona è stata un terzo che negli Usa. Un gran successo non è...
Perché Blanchard e Ubide devono sminuire?
Io un'idea ce l'avrei, ma prima condivido seco voi un'altra riflessione, destinata ai più anziani del blog e studiosi. Alla luce del nostro modello di crescita standard, quello di Verdoorn-Kaldor-Thirlwall, spiegato ad esempio qui, il primo e il secondo grafico di questo post non sono coerenti: ci aspetteremmo infatti che la produttività sia maggiore (minore) dove maggiore è il surplus (deficit) della bilancia dei pagamenti. L'argomento è quello di Smith: al crescere dei mercati di sbocco viene incentivata l'innovazione di processo (divisione del lavoro), quindi aumenta la produttività, che non è un dato tecnico, esogeno, ma un dato endogeno, dipendente dalla domanda. Ci si aspetta quindi che cresca di più in Paesi i cui beni sono in domanda netta, che sono cioè esportatori netti. Invece cresce di più negli Usa (importatori netti) e di meno nell'Eurozona (esportatore netto).
Perché?
La risposta è in alcune slides che vi ho mostrato al #goofy13, e il suo tenore spiega anche perché Blanchard e Ubide, dopo aver puntato il dito sul problema di produttività, preferiscono poi girarci intorno.
Mi limito a una slide, quella centrale nel ragionamento:
Il modello di Thirlwall in linea di principio è sempre valido: la crescita delle esportazioni (nette) in linea di principio causa una crescita della produttività. Il problema dell'Eurozona però è che la crescita delle esportazioni nette è a sua volta stata provocata con misure che deprimono la produttività: la svalutazione interna, cioè la deflazione salariale. Certo, abbattere i salari fa aumentare le esportazioni perché abbatte il costo dei prodotti nazionali. Tuttavia, la compressione dei salari esercita un effetto avverso sulla produttività che compensa, riducendolo o addirittura azzerandolo, l'effetto propizio via aumento delle esportazioni. Altro sarebbe se la crescita delle esportazioni fosse assicurata via svalutazione esterna, cioè affidando il cambio di una ipotetica valuta nazionale alle forze di mercato.
Questo spiega, fra l'altro, il differenziale di produttività fra Paesi dell'Eurozona (necessità di tagliare i salari, produttività più bassa) e Paesi UE extra-Eurozona (possibilità di manovrare la valuta nazionale, produttività più alta).
Ma naturalmente questo banale fatto stilizzato a Blanchard e Uribe non fa comodo vederlo, quindi non lo vedono, sciorinando invece tutto il pattume supply-side che a Montesilvano ci fu propinato in occasione del #goofy8:
(Tir di faldoni, tabaccaie scalabili, amo perso er treno de 'a rivoluzzzione diggitale, ecc.).
Va bene così: il vero problema non fa comodo evidenziarlo nemmeno a noi. Nel momento in cui Germania e Francia si schiantano contro la propria arroganza, nel momento in cui le agenzie sono costrette se non ad alzarci il rating almeno a rivedere al rialzo l'outlook, inutile far casino per portare l'attenzione sulla "contraddizione principale". Quella è, e resta, l'euro, ma visto che ora sta lavorando per noi, ragazzi: lasciamola lavorare! Ora sono gli altri a dover tagliare i propri salari, e quindi la propria produttività. Il problema è loro: si prendano loro il costo politico di accennare la soluzione!
(...ci eravamo detti a settembre che la Francia poteva solo scegliere come, non se, far crescere il rapporto debito pubblico/Pil: aumentando la spesa sociale, o praticando politiche di austerità. Ha fatto la sua scelta: sarà austerità! Non possiamo che congratularci con Barnier: l'esperienza italiana dimostra che questo è il modo più rapido per far crescere il rapporto debito/Pil, e quindi presto non saremo più soli in testa alla classifica. Non è Schadenfreude! Semplicemente, ormai sapete che l'UE, come Goofynomics, è fatta di figli e di figliastri: quando i problemi li hanno solo i figliastri, va tutto bene, ma quando toccano i figli bisogna intervenire, e in questo caso è veramente difficile immaginare un intervento selettivo che aiuti solo i figli, trascurando i figliastri...)
(...ah, naturalmente non vi ho spiegato perché, invece, la produttività cresce negli Usa, che sono importatore netto. In realtà al #goofy13 l'ho detto: qualcuno se lo ricorda?...)