L’economia esiste perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale. Per contribuire a una lettura più equilibrata della realtà abbiamo aperto questo blog, ispirato al noto pensiero di Pippo: “è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita”. Una verità semplice, ma dalle applicazioni non banali...
La pulcinellata alla Camera l'avete potuta vedere tutti:
I dati li avevate potuti vedere qui:
e quindi un'idea sulla consistenza delle recriminazioni della Schlein (che il Signore ce la conservi!) ve l'eravate potuta fare.
Ora, è un fatto che io ho una propensione per la Meloni semplicemente perché a suo tempo dimostrò di essere una persona aperta all'ascolto (l'altra certo non era tipa di venire a un #goofy), e resto grato alla cara memoria di Antonio Triolo che me la presentò tanto tempo fa. Penso anche che lei mi sia grata del fatto di non disturbarla (tanto ci pensa Borghi, inutile duplicare). Siccome però amicus Plato sed magis amica veritas, rilevo che in questo caso nessuna delle due contendenti, né quella che ha trionfato secondo i media di destra, né quella che ha trionfato secondo i media di sinistra, hanno detto l'esatta verità.
La menzogna della Schlein (che il Signore ce la conservi!) è tutta nel grafico qua sopra, quindi non ci tornerei su.
L'imprecisione della Meloni mi è stata segnalata da un membro del mio staff (sì, noi arroganti individualisti narcisisti tendiamo a lavorare in squadra: vedi com'è strano il mondo!) e in effetti rafforza l'argomento della Meloni. Il problema non è quindi che la Meloni abbia mentito come mente la Schlein (che il Signore ce la conservi!) quando nega le evidenti responsabilità del suo partito nell'overkill della sanità italiana (chiaramente visibile nel grafico qua sopra). Il problema è che avrebbe potuto spargere il sale sulle rovine della Schlein (che il Signore ce la conservi!), ma per qualche motivo non lo ha fatto.
Per spiegarvi a che cosa mi riferisco devo entrare in aspetti legislativi.
Quello cui le due contendente (dico così per non offendere una delle due, l'altra è una persona spiritosa) si riferiscono nel loro scambio è il comma 71 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (aka legge finanziaria 2010)
ovvero il provvedimento che nella seconda finanziaria (si chiamava così la legge di bilancio) del Governo Berlusconi quater ancorava la spesa finanziaria per il successivo triennio ai valori del 2004.
Credo però che, complice, per una volta, il mancato uso della tecnica dei rimandi normativi, contro la quale si era giustamente scagliato nella XII legislatura il collega Serafino Pulcini con una sua interessante proposta di legge costituzionale in materia di redazione e semplificazione degli atti normativi, sia sfuggito un dettaglio.
Quale?
Il fatto che il tetto alla spesa non è stato adottato nel 2009, come dice la collega Schlein (che il Signore ce la conservi!).
Insomma: il tetto alla spesa per il personale della sanità pubblica è stato adottato da Prodi, quando era primo ministro del secondo Governo Prodi, e non da Meloni, quando era Ministro per la gioventù (non ho detto "giovinezza"!) del quarto Governo Berlusconi.
La mia inesausta Barmherzigkeit mi impedisce di far notare quanto sia comunque ridicolo attribuire a un Ministro per la gioventù la paternità di un provvedimento in materia sanitaria ("questo specifico problema l'ha creato lei!"); mi impedisce anche di infierire sull'"e non certo noi!": perché, Prodi era un fascista? Secondo le categorie di questo blog sì, ma secondo le categorie dei professionisti dell'antifascismo direi proprio di no: mi sembra che fosse del PD, cioè del "noi" cui si riferiva la Schlein (che il Signore ce la conservi!).
Ci sarebbe tanto da dire, ma mi fermo qui.
E la morale della favola, quindi, qual è?
Direi che ce ne sono almeno due: la prima, mi sembra evidente, è "non faccia la destra ciò che ha fatto la sinistra". Il Governo Berlusconi ha senz'altro sbagliato nel prorogare, in nome del "ce lo chiede l'Europa", le scellerate disposizioni del Governo Prodi. Attenzione: qui non mi riferisco al fatto che le politiche procicliche sono sbagliate (non solo in recessione, ma soprattutto in recessione). Qui mi riferisco al fatto che fare quello che fa il PD è comunque sbagliato e resterebbe tale anche se fosse la cosa giusta! Insomma: reitero il mio accorato appello all'ideologia.
UE = PD = cose che non si nominano a tavola, period.
Ma se di tutto quello di nefasto che il PD propone vai a far tuo e riproporre proprio i tagli sulla sanità, allora quando la Leuropa arriva e ti depone (come confessò il ciabattino che somiglia a Mister Bean) non puoi aspettarti che il popolo si scaldi più di tanto in tuo favore.
E la seconda morale?
Beh, la seconda morale è che lo staff va costruito con attenzione. Nessuno di noi potrebbe prendere da solo le infinite decisioni che deve prendere nell'unità di tempo. Ne consegue che la qualità di chi ti aiuta a prenderle è determinante.
E ve lo dice uno che vi ha sempre detto che avrebbe preferito perdere da solo che vincere in compagnia! Eppure, dietro ogni mio discorso c'è tanto lavoro, non solo mio, ma anche di una squadra scelta con cura: perché, nonostante vi detesti, tutto vorrei tranne che deludervi.
Il risultato non dovrebbe essere sorprendente: nei rapporti finanziari con l'UE ci abbiamo complessivamente rimesso. Non vedo come si possa sostenere il contrario, non solo e non tanto perché lo dicono i numeri (vi fornisco subito dopo le fonti dei dati e uno specchietto riassuntivo), quanto perché logica vuole che sia così. Nel progetto europeo l'Italia, soprattutto dopo gli "allargamenti", si è trovata in condizioni di relativa preminenza, con un reddito pro-capite relativamente superiore a quello di tanti altri Stati membri. Il principio di coesione cui il bilancio europeo si ispira (e di cui qui avete un dettagliato resoconto) comporta quindi che gli italiani paghino per chi ha meno di loro.
Il fatto che nei nostri rapporti finanziari con l'UE il risultato sia complessivamente in perdita quindi sarebbe anche commendevole, in quanto rispondente a un principio solidaristico cui astrattamente si potrebbe aderire, considerando anche che in altre epoche (cioè all'epoca della Comunità Europea), l'Italia, di questo stesso principio, aveva beneficiato.
Il fatto però è reso a mio avviso indigeribile da tre circostanze:
1) gli operatori informativi questo fatto lo negano in modo pressoché sistematico, raccontandoci invece un'UE generosa nei nostri confronti (dove la generosità, come ci ha spiegato Romina Raponi, consiste esclusivamente nel dirci che cosa dobbiamo fare coi nostri soldi);
2) i beneficati in alcuni casi notevoli (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria...) non sottostanno ai nostri stessi vincoli perché sono dotati di quel fondamentale strumento di politica economica che è la politica valutaria (hanno cioè una propria valuta e la manovrano per assorbire shock macroeconomici), il che rende il nostro aiuto abbastanza superfluo e la loro concorrenza abbastanza sleale (qui sotto vedete in che modo i tassi di cambio reale di Ungheria, Polonia e Italia hanno reagito alla crisi del 2008: Ungheria e Polonia hanno potuto svalutare subito, e questo le ha indubbiamente aiutate):
3) i fondi che ci vengono restituiti sono utilizzati dall'UE per fare propaganda a se stessa con un profluvio di targhe, simboli, bolli e ceralacche (basta pensare alla scuola dove portate i vostri figli: le targhe all'ingresso trasmetteranno a voi e ai vostri bambini l'idea che senza il generoso sostegno dell'UE quella scuola non sarebbe stata mai edificata! Peccato che quel generoso sostegno consti di soldi vostri...)
Alla fine la circostanza 3, che per me è la più urticante (se vuoi farti propaganda fattela coi soldi tuoi, cribbio!) è in fondo la più naturale: tutti sanno che la pubblicità la paga il cliente!
Ma veniamo ai numeri e alle loro fonti.
In Italia i rapporti finanziari con l'UE vengono monitorati dall'IGRUE (Ispettorato Generale per i Rapporti finanziari con l'Unione Europea), una "regione" di quello "Stato nello Stato" che è la RGS (Ragioneria Generale dello Stato). Le meticolose Relazioni annuale dell'IGRUE sono una delle principali fonti utilizzate dalla Corte dei Conti per redigere la sua Relazione annuale (che trovate qui).
Tutto molto bello, ma siccome noi siamo europei (non europeisti) le fonti che ci interessano sono quelle europee (non se la prendano le istituzioni nazionali: non è sfiducia!).
I numeri che ci interessano sono sostanzialmente due:
il totale delle spese (dell'UE a beneficio dell'Italia) e il totale delle risorse proprie (del bilancio UE versate dall'Italia). Qui vedete questi numeri per l'anno 2000, che, come potrete controllare, coincidono (e non potrebbe essere altrimenti) con quelli riportati nell'EU Budget Financial Report del 2008:
Per vostra comodità riporto questi numeri in una tabella per ogni anno dal 2000 al 2022, usando per semplicità come intestazione delle colonne: Ricevuti, Dati e Saldo (quindi Ricevuti sono la spesa totale (dell’UE per lo Stato membro), Dati sono il totale delle risorse proprie (dell’UE ricevute da parte dello Stato membro), e il saldo è la differenza fra Ricevuti e Dati):
Sintesi: partendo dal 2000 (ma se si partisse da prima cambierebbe poco, e in peggio) abbiamo sistematicamente dato più di quello che abbiamo preso, e la differenza cumulata assomma a 97 miliardi.
A questo punto, però, i più scaltriti di voi potrebbero chiedersi: e il pereperepere (per gli amici PNNR)?
Giusto!
Dobbiamo considerare anche gli effetti di cassa connessi al PNRR, che sono riportati, a partire dal 2021, in questo quadro del "foglione" Excel:
Attenzione però! Le cifre vanno verificate e capite, e la prima cosa da capire è che tutto NGEU è finanziato con soldi presi in prestito, che vanno quindi restituiti, per cui, come in ogni prestito, a un effetto di cassa positivo oggi (un incasso) corrisponderà un effetto di cassa negativo domani (un esborso, cioè un rimborso). La cosa che probabilmente non tutti hanno capito è che questo riguarda non solo quelli che nel contesto del "recovery" vengono definiti loans (prestiti), ma anche quelli che vengono definiti contributi a fondo perduto o sovvenzioni (grants).
Ripagheremo anche il fondo perduto.
Ma dove è scritto, e qual è quindi la differenza fra prestiti e fondo perduto?
Ma semplicemente è scritto nelle informazioni per gli investitori, cioè per chi ha prestato, sta prestando e presterà soldi alla UE nel quadro di NGEU.
La differenza fra prestiti e "fondo perduto" è questa:
i prestiti saranno rimborsati direttamente dagli Stati Membri, mentre il "fondo perduto" sarà rimborsato dal bilancio della UE.
E voi direte: quindi noi non dobbiamo rimborsarlo! E no, non funziona così. Funziona così:
Funziona che per ripagare via bilancio UE il cosiddetto "fondo perduto" gli Stati membri dovranno pensare ad altre "risorse proprie", cioè, in definitiva, ad altre tasse per i cittadini. Ci sono le "Next Generation own resources": mai sentito parlare del mercato del carbonio? Lo Emission Trading System e il Carbon Border Adjustment Mechanism saranno utilizzati per rimborsare il fondo perduto.
E come avverrà questo miracolo, come si arriverà dal carbonio al rimborso?
Semplice: passando dalle vostre tasche.
Tutto quello che comprerete costerà un po' di più (o perché prodotto in Europa da aziende che avranno pagato un po' più cari i permessi di emissione di CO2, o perché prodotto all'estero e quindi sottoposto al dazio "ecologico" del CBAM), e una parte della differenza verrà usata per rimborsare un prestito sul cui utilizzo non vi siete potuti compiutamente esprimere. Ma ovviamente questo non basterà, e quindi per l'occasione verrà innalzato anche il contributo delle altre risorse proprie. E dove sta scritto?
cioè che in deroga al principio secondo cui le "risorse proprie" (i soldi dati dallo Stato membro al bilancio UE) non posso eccedere lo 1.4% del RNL (reddito nazionale lordo) dello Stato membro, per ripagare il "fondo perduto" di NGEU questa soglia può essere innalzata di 0.6, arrivando quindi al 2%, fino al completo rimborso, e comunque non oltre il 2058.
Chiaro, no?
Il beneficio di NGEU, del recovery, del pereperepere, insomma, chiamatelo come volte, non è quindi quello di ottenere un regalo! Il beneficio esiste e consiste nel fatto di poter anticipare certe spese (che è il motivo per il quale normalmente si contraggono prestiti), ma questo beneficio, oltre a essere minimo, a parere di chi scrive (e non solo) è più che compensato da tre serie criticità:
1) con quei soldi non possiamo fare quello che vogliamo noi, ma quello che vuole chi ce li presta (avete presente andare in banca a chiedere un mutuo e la banca ve lo accorda se però sceglie lei che casa acquistate? No, ovviamente, perché nel mondo normale non funziona così. Nell'UE funziona così);
il che richiederà una revisione del MFF (Multilateral Financial Framework, il bilancio dell'UE), e indovinate un po'? Sì, avete indovinato: un ulteriore carico di "risorse proprie" (cioè di soldi vostri).
Qui c'è un articolo di quelli bravi, risalente a maggio 2023, io che ci sarebbero stati problemi a finanziarsi mi ero pregiato di dirvelo nel luglio 2020:
e che ci sarebbero state tante nuove tasse fin dall'inizio, ed ex multis qui:
Dopo aver chiarito questo aspetto (cioè che anche il "fondo perduto" è un prestito, e quindi come tale non andrebbe nel conto economico), vi fornisco anche la tabella comprensiva del fondo perduto:
Siamo sempre in credito, complessivamente, anche se lo sbilancio totale scende a 64 miliardi, ma dopo una breve parentesi in cui saremo apparentemente beneficiari netti come nel 2021 e nel 2022 dal 2027 il saldo annuale tornerà negativo, e pesantemente! (per via delle risorse proprie di NGEU, dell'innalzamento del massimale, e delle ulteriori risorse proprie richieste dall'imprevisto carico di interessi: tutte spese afferenti al rimborso delle “sovvenzioni”).
Nota bene: tanto è vero che i prestiti (loans)non vanno in conto economico, che nel foglio Excel quelli che trovate sono solo i contributi a fondo perduto (che però tali non sono, ma sono prestiti per i motivi che vi ho scritto e documentato). I soldi incassati in totale infatti li trovate nello NGEU tracker:
e i 10198 che vedete per il 2021 nello specchietto precedente corrispondono agli 8954 della Recovery and Resilience Facility riportati dallo NGEU tracker più le somme provenienti dagli altri strumenti "minori" di NGEU (sostanzialmente, finanziamenti addizionali degli abituali fondi europei):
di cui una trentina già incassati (ma non ancora restituiti). Questo significa che se nel prossimi tre anni non ci fosse alcun nostro esborso, ma solo quegli incassi, il nostro bilancio con l'UE resterebbe in rosso. Ma gli esborsi ci saranno, e accresciuti per i tre motivi che vi ho documentato.
Ecco. Oggi in Commissione ho evidenziato (e i colleghi annuivano) che nel nostro Paese troppi confondono il metodo di calcolo contributivo col sistema di gestione a capitalizzazione. Questo equivoco è oggettivamente un problema, ma il qui pro quo è scusabile perché la materia è tecnica e i termini sono complessi. Nel caso di cui ci occupiamo oggi l’equivoco non è però scusabile: non è necessario avere un master in finanza, neanche quello preso all’università di Oscar, per capire che se devi restituirli non sono un regalo!
Molto velocemente, che devo arrivare prima della neve (attesa per stasera).
Da alcuni commenti al post precedente, e da alcuni rigurgiti della cloaca nera, intuisco che una significativa maggioranza di italiani vive in un equivoco: quello secondo cui il passaggio al sistema contributivo (riforma Dini, per gli amici legge 335 del 1995) avrebbe reso il sistema pensionistico più sostenibile perché ognuno finanzierebbe da sé la propria pensione con i contributi che versa.
Purtroppo (e ovviamente) non è così, e visto che hanno voluto non farvelo capire (altrimenti lo avreste capito) e quindi non vi sarà facile credere a me, proiettando un film già visto con l'euro vi fornisco subito l'auctoritas di un vero economista, il prof. Brunetta, attualmente presidente del CNEL, che nella sua audizione alla Commissione che mi onoro di presiedere ha specificato quanto segue:
(il resoconto lo trovate qui). Il cambio di metodo di calcolo (ancorato ai contributi versati anziché alle ultime retribuzioni percepite) non comporta un cambio di sistema di finanziamento, e ci mancherebbe! Se si fosse passati da un sistema a ripartizione a un sistema a capitalizzazione così, "de bbotto", sarebbe stata una tragedia, perché ovviamente intere coorti di pensionati sarebbero rimaste senza pensione. Come mai? Ma per il semplice fatto che i contributi dei lavoratori attivi, anziché a finanziare le pensioni correnti, sarebbero andati, quali novelli zecchini d'oro, nel Campo dei miracoli finanziari, dove si sarebbero moltiplicati (salvo crisi uso Lehman...) in attesa di finanziare le pensioni future.
Lo stesso euro non può essere simultaneamente dato a un pensionato e investito da qualche parte!
Detta in modo brutale (non me ne si voglia), il passaggio dal retributivo al contributivo non significa il passaggio a un sistema che si autofinanzia e che quindi può relativamente fregarsene di demografia e crescita. I soldi vengono sempre dai contributi dei lavoratori attivi correnti, ma col contributivo puoi pagare un po' di meno i pensionati correnti.
E quelli futuri?
Senza crescita economica e demografica, come mi avrete più volte sentito dire, né il metodo retributivo né quello contributivo offrono garanzie di sostenibilità. L'uno e l'altro metodo si applicano a un sistema a ripartizione, si basano cioè sul fatto che ci sia qualcuno che i contributi li stia pagando (non: li abbia pagati. Li stia pagando!).
E per pagare i contributi bisogna nascere, bisogna lavorare, e bisogna guadagnare.
Tre cose che, dopo l'austerità, sono diventate tutte più difficili, in particolare l'ultima, per i motivi riassunti dal noto grafico:
Chiarito l'equivoco, quando potrò tornerò su alcuni interessanti commenti al post precedente, riconoscendo ad anto e Alberto49 di aver sollevato certi temi in tempi non sospetti, quando mai avrei pensato di dovermi occupare per lavoro di pensioni.
(... [20:17, 16/1/2024] Un amico che voi conoscete ma non indovinereste mai chi è: Bell'intervento da Brambilla.
[22:18, 16/1/2024] Alberto Bagnai: Ma la gente non capisce, non capisce! Sono veramente disperato.
[22:18, 16/1/2024] Alberto Bagnai: Comunque grazie!...)
Ringrazio Itinerari previdenziali, il suo Comitato scientifico e in particolare il suo presidente, il Prof. Alberto Brambilla per avermi invitato a questo interessantissimo momento di approfondimento e confronto.
Lo sforzo profuso da Itinerari previdenziali per presentare un quadro quantitativo oggettivo e veritiero del complesso mondo della previdenza, con un lavoro che definirei di vera e propria mediazione culturale fra dati e politica, è particolarmente meritorio. A fronte di un quadro sfaccettato, e di analisi prospettiche non sempre organiche, il Bilancio redatto da Itinerari Previdenziali rappresenta oggi un prezioso strumento di valutazione. Qui troviamo, in un solo documento, una visione d’insieme che insiste in particolare su fonti e sostenibilità del finanziamento del sistema previdenziale.
Come ogni anno, il quadro che ci consegna il Rapporto è caratterizzato da luci ed ombre. Da ottimista preferisco sempre iniziare dalle notizie cattive. Indubbiamente, il dato più inquietante messo in luce dal Rapporto è riferito all’esplosione della spesa assistenziale. Un dato, vorrei sottolinearlo, che di per sé non rappresenterebbe una assoluta novità, ma che inquieta per due motivi: per la dinamica in rapida accelerazione, e perché è totalmente assente dal dibattito pubblico, tutto incentrato sul tema pensioni.
Si potrebbe quindi sintetizzare questa parte dicendo che se un’emergenza previdenziale esiste, non è però del tutto corretto identificarla con un’emergenza pensionistica, soprattutto quando si imposti, come il Rapporto fa, un confronto corretto con la situazione di altri Paesi europei.
Arrivano quindi le notizie buone:
riprende, dopo la parentesi della pandemia, il miglioramento del rapporto attivi/pensionati, che è arrivato a quota 1,44 (lo evidenzia la Tabella 6.1 a pag. 111). Non è ancora stato raggiunto il massimo pre-pandemia (1,46), non è stata raggiunta quella che Itinerari previdenziali ha evidenziato come soglia di sicurezza (1,5), ma le prospettive di questo fondamentale indicatore di tenuta del sistema sono in rassicurante crescita;
aumenta il tasso di occupazione e con esso le entrate contributive;
migliora il saldo fra entrate e prestazioni, e il deficit del sistema, che scende di quasi 7 miliardi rispetto ai 30 dello scorso anno.
Sul versante delle Casse privatizzate, quello più attinente alla Commissione che mi onoro di presiedere, si registrano un numero di iscritti sostanzialmente stabile, rispetto all’anno precedente, e situazioni di equilibrio finanziario, con avanzi di gestione in un quadro in cui le Casse hanno complessivamente dimostrato di essere in grado di attuare il “welfare integrato” e hanno manifestato la propensione a svolgere il ruolo di investitori istituzionali ed a contribuire allo sviluppo dell'economia reale del Paese.
Anche queste notizie relativamente buone vanno però contestualizzate alla luce della “grande transizione demografica”. Un tema su cui il rapporto insiste molto, e che viene rappresentato in modo plastico dalla figura 6.1 a p. 122
che illustra il “grande pensionamento” tramite la consistenza delle coorti dei “baby boomers”: l’ondata di questi ultimi non si è ancora esaurita, e il rapporto indica la necessità di cautele per evitare che l’“equilibrio sottile” sui cui il sistema si regge venga compromesso.
La transizione demografica è nella vita di ognuno di noi, di me che a sessantun anni non ho nipoti, essendo stato nipote di un nonno che all’epoca era più giovane di quanto lo sia oggi (ma anche di un nonno morto più giovane di me, quindi non mi lamento). Un destino condiviso, immagino, anche da molti di voi, e espresso nelle statistiche efficacemente riassunte nel rapporto.
Da vecchio macroeconomista, mi permetto di aggiungere un elemento di analisi, che vorrei proporre come indagine specifica alla Commissione Enti Gestori: oltre all’inverno demografico bisogna tenere conto dell’inverno macroeconomico, non solo e non tanto per piangere sul latte versato, quanto per valutare correttamente l’efficacia dei precedenti interventi riformatori, al fine di indirizzare meglio un eventuale “cantiere delle riforme”, per trovare se non la bussola che auspica il professor Brambilla, almeno il suo ago. La metto in un altro modo, rifacendomi all’interessante contributo del prof. Brunetta, che ha articolato la sua audizione alla Commissione Enti Gestori sul tema della perenne necessità di interventi di riforma del sistema previdenziale italiano: ha senso chiedersi se questa reiterata necessità di correzioni dipenda solo dal fatto che le riforme precedenti erano in qualche modo sbagliate, o se magari la necessità di correggere il tiro sia dipesa da altri fatti, imprevisti e imprevedibili dal riformatore.
In altre occasioni ho ricordato che secondo il Fmi il Pil reale, depurato dagli effetti dell’inflazione, nel nostro Paese tornerà al valore anteriore alla crisi finanziaria globale (il valore del 2007) fra due anni, nel 2026. Speriamo di accorciare questi tempi: per anticiparli di un anno, al 2025, occorrerebbe crescere all’1% nei prossimi due anni, per anticiparli di due anni, al 2024, occorrerebbe crescere del 2% l’anno prossimo.
Obiettivi che nel contesto macroeconomico attuale sono estremamente ambiziosi. Per dare un termine di paragone, al volume di Pil del 2007 la Francia e la Germania sono tornate (superandolo) nel 2011. Quattro anni di arresto del sistema contro19.
La situazione non è molto diversa se si analizzano le dinamiche del Pil nominale, cioè del valore della produzione, che per definizione tiene conto anche dell’evoluzione dei prezzi, e che è quello utilizzato per calcolare i rapporti delle varie grandezze finanziarie.
In questo caso il picco anteriore alla crisi è stato raggiunto nel 2008, ma mentre Germania e Francia sono tornate a quel valore già nel 2010, l’Italia lo ha raggiunto solo nel 2015. Sette anni di arresto del Pil nominale contro i due di Francia e Germania. Possiamo leggere anche alla luce di questa disastrosa anomalia lo scalino nel rapporto fra spesa per pensioni e Pil leggibile nella figura 1.4 a p. 20 del precedente rapporto:
uno scalino che dura per tutta la fase di arresto del Pil nominale e si stabilizza quando il Pil nominale debolmente si riprende.
Sarebbe interessante verificare se gli scenari dei vari riformatori tenevano conto di prospettive così catastrofiche, che rappresentano una assoluta anomalia nella storia del Pil dell’Italia unita (guerre mondiali comprese):
(...n.b.: per carità di patria non ho nemmeno pensato di presentare il grafico in scala logaritmica, ma siccome qui ci sono palati fini, a voi lo faccio vedere:
e chissà se qualcuno lo sa interpretare...).
Questo arresto assolutamente anomalo del Pil ha origini ben precise, rinvenibili nelle politiche di austerità. Per dare qualche ordine di grandezza, secondo l’OCSE nel 2018 gli investimenti pubblici erano 30 miliardi al disotto del loro sentiero tendenziale. Dal 2020 la sospensione delle regole ha consentito di riavvicinarli alla loro tendenza, ma nel 2022 erano ancora di 20 miliardi al di sotto del loro sentiero storico.
Il Rapporto, giustamente, fotografa l’esistente e non si avventura in controfattuali, che però possono essere utili a chi vuole valutare ex post la validità degli interventi di riforma.
Se il Pil nominale fosse rimasto sulla sua tendenza:
(come hanno fatto i Pil dei nostri principali partner europei) nel 2022 sarebbe stato di circa il 20% più alto:
e quindi i rapporti al Pil, ceteris paribus, proporzionalmente più bassi. Andando alla Tabella 6.4 di pagina 116:
questo significa che nel 2022 il rapporto fra spesa pensionistica e Pil, invece del 12.97%, sarebbe stato del 10.36%, e al netto della Gestione Interventi Asstenziali e dell’IRPEF lo stesso rapporto, invece dell’8.6% sarebbe stato del 6.9%.
Ci dobbiamo, insomma, porre seriamente il problema di quanto la sostenibilità della finanza pubblica, in senso lato, e in particolare quella del sistema previdenziale pubblico, sia stata compromessa esattamente da quegli interventi che si proponevano di tutelarla, di quanto l’adeguatezza delle pensioni future sia stata minata da interventi posti in essere in nome delle generazioni future, e che oggi vengono generalmente ritenuti errati.
Le opinioni cambiano, ma le macerie restano!
Lo sottolineo per porre con forza all’attenzione di una platea così qualificata quella che ritengo sia fra le varie emergenze nazionali la più urgente da risolvere. L’attenzione alla demografia e alla natalità è senz’altro commendevole e ben indirizzata, ma una maggiore sostenibilità delle gestioni previdenziali non si consegue solo dando alla Patria figli propri o altrui, ma anche, e forse soprattutto, dandole investimenti, cioè crescita, cioè stabilità dei percorsi di carriera individuali, cioè possibilità concreta di realizzare le proprie aspirazioni alla genitorialità, cioè, attenzione!, minore spesa per interventi assistenziali, e maggior gettito fiscale e contributivo.
Lo dico non per sminuire ma per valorizzare le proposte del Rapporto le cui sagge proposte sarebbero frustrate laddove in un contesto di crisi si attuassero politiche pro-cicliche i cui effetti ho cercato di aiutarvi a quantificare.
(...in realtà poi sono andato a braccio e quindi se volete le esatte parole pronunciate le trovate qui:
Io, lo confesso, ero già con la testa ai prossimi appuntamenti - all'ambasciata indiana dove ho incontrato inaspettatamente uno di voi, che deve avermi visto piuttosto stanco, e poi a una cena di lavoro, dove sono arrivato ancora più stanco - ma mi fido abbastanza di chi abitualmente legge e non guarda come una mucca ecc.:
e il problema è che soprattutto l'intervento del venerabile - a suo modo - collega Tabacci, per il quale ho simpatia, riscontrava compiaciuti cenni di assenso in un pubblico che credo proprio non abbia capito che cosa gli ho detto. Forse non è facilmente spiegabile, o io non ne sono in grado, o l'orrore di esserci fatti in tempi di pace una cosa che è due volte più grave di quella che ci siamo fatti nell'ultima guerra è tale da comandare all'istinto di sopravvivenza un'immediata rimozione psicanalitica. La fossa che ci siamo scavati, per nulla, nella serie del Pil non la vuole vedere nessuno: gli fai vedere che si sono fumati il 20% del Pil nominale, e ti parlano pure loro di Idraulik e della tabaccaia scalabile, e il pubblico compunto annuisce, forse perché si ritrova in un terreno familiare, nel letame che ogni giorno gli propinano gli operatori informativi, quelli così accaniti nel perseguire usque ad effusionem alieni sanguinis le fake news, perché il letame puzza, sì, ma ci si abitua, e alla fine il suo tempore è confortevole.
Non capiranno mai, e quindi non ci aiuteranno mai a uscirne.
Non ne usciremo, pertanto, in modo non traumatico, ma anch'io, invecchiando, vedo che comincio a ripetermi, perché questo ve l'ho sempre detto, mentre voi maturando, forse cominciate a capirlo, e a rimuovere a vostra volta questo orrore, e gli orrori naturaliter da esso conseguenti...).
...ne sono certo (almeno per quanto concerne quelli di voi che conosco, o conoscevo). Sono assolutamente certo che certe cose non le fate con animus nocendi: anzi! Se vi comportate in un certo modo è, in tutta evidenza, perché pervasi dal sacro fuoco del fare qualcosa, del servire la causa, perché posseduti, inebriati dall'entusiasmo di avere compreso, e conseguentemente (?) di detenere la chiave di lettura che può aiutare gli altri a leggere il mondo nel modo giusto (?).
Questa chiave ha un nome che inizia per "v" e finisce per "erità".
Ora, è vero che più di una volta mi è capitato di farvi notare che la verità non è una categoria politica (ad esempio qui, parlandovi del Partito Unico della Verità), così come non lo è l'onestà (cha cha cha), tema quest'ultimo che affrontammo a suo tempo (nel 2012). Quindi in teoria se molti di voi (quasi tutti) pensano di poter affrontare un ragionamento politico brandendo come una clava la Verità (che poi, in generale, sarebbe quello che pensano di aver capito leggendo me e qualcun altro), non dovrebbe essere colpa mia: io, che non funziona così, ve l'ho detto! Tuttavia, siccome in pratica è probabile che qualcuna delle mie considerazioni sfugga (ad esempio, qualcuno di voi potrebbe essersi perso il post sul Partito Unico della Verità), e d'altra parte è certo che fra guardare (come una mucca guarda un cartello stradale) e leggere una differenza c'è (e voi non sempre siete dalla parte giusta di questo spartiacque), poi capita che succedano incidenti, la cui conclusione, invariabilmente, è di far passare quello che da tredici anni sta cercando di aiutarvi a ragionare in modo critico (io, non so se ci avete fatto caso...) per uno che vi irretisce con teorie astruse, e voi, che, in fondo, non siete cattivi, per dei decerebrati adepti di una setta!
Potremmo per cortesia evitarlo?
Non che mi interessi quello che voi o altri pensino di me: non vorrei stucchevolmente tornare sul mio programmatico rifiuto del consenso, che comunque resta l'unica genuina garanzia per chi questo consenso decide di darmelo! Ma siccome voi non siete cattivi, mi dispiace che altri pensino male di voi. Per evitarlo, dovreste forse unire alcuni puntini che ho cercato di fornirvi nel corso del nostro comune cammino. Proviamo a farlo, o rifarlo, partendo da un esempio, questo:
Il tizio della Biblioteca d'Alessandria non so chi sia, anche se, secondo me, non lavora male, e a me piace seguirlo in alcuni dei suoi racconti (molto interessante, ad esempio, la serie sull'esperienza coloniale italiana). L'altro immagino che sia l'idolo di molti di voi (ne ho piena contezza solo nel caso di alcune amanti tradite!), non ho mai ascoltato un suo video, e mi sembra un perfetto interprete di quella che potremmo chiamare "la banalità del sensazionale". Non è però su questa valutazione comparativa che vorrei soffermarmi, o per lo meno non ora. Le considerazioni che ho fatto non implicano che mi sembrino più plausibili le versioni dell'uno o dell'altro: sarebbe veramente idiota addentrarsi in questo ragionamento in un post che parte dal presupposto che alla fine la "Verità" (o forse dovremo chiamarla veritah) non sia una categoria politica! Alla fine, quello che vale per Report vale anche per Luogo comune (che intuisco essere il sito di Mazzucco).
Ciò su cui vorrei invece attirare la vostra attenzione sono i primissimi minuti del video del bibliotecario d'Alessandria, quelli in cui cataloga i commenti ricevuti sotto un suo altro video riguardante (a quanto capisco) l'Ucraina (e che mi interessa il giusto perché su questo, come su altri temi, la mia opinione me l'ero fatta una decina di anni fa e resta quella). Il povero bibliotecario, che sembra una persona civile, bersagliato da commenti di questo tenore: "Guarda questo video e troverai la verità!" giunge a una conclusione: "Io quel video non l'ho mai visto e non ho nessuna intenzione di vederlo, nessunissima intenzione di vederlo!"
So che sarete scandalizzati, ma secondo me la sua conclusione non è solo legittima (perché ognuno ha diritto di vedere quello che gli pare), non è solo naturale (perché chiunque venga aggredito istintivamente si difende), ma è anche, in un senso più profondo, giusta.
Strano come la parola che finisce per "erità" vista dall'altro lato finisca per "affanculo"...
E voi mi direte: "Sì, va bene (forse...), ma perché senti il bisogno di dircelo?"
Perché molti, troppi di voi (a mio avviso sarebbe troppo anche uno) si comportano come i commentatori "assertivi" del povero bibliotecario, cioè si comportano, non scientemente e scientificamente (perché non siete cattivi!), ma oggettivamente, in modo da allontanare qualsiasi lettore indifferente, o anche lievemente prevenuto a favore o contro i nostri argomenti critici, dalla lettura dei contenuti che propugnate con tanta veemenza, in modo da suscitare in chi non vi si sia ancora imbattuto un viscerale disgusto per la vostra "veritah" (che poi sarei io).
Analogamente, molti, troppi di voi, intervengono su quelli che ritengono essere troll (e che magari lo sono, in base ai parametri oggettivi che conosciamo o dovremmo conoscere) agendo da troll, cioè insultando, insistendo, ecc.
Vi risparmio esempi per carità di patria (e anche perché non ho tempo di cercarne, ma se non vi date una raddrizzata sarò costretto a farlo), come pure vi risparmio esempi di best practice (direi che Claudio può valere come repertorio di riferimento).
Mi piace invece commentare un episodio di qualche giorno fa, perché è particolarmente indicativo del fatto che voi non siete cattivi. La cosa è iniziata così:
(dal basso verso l'alto).
Sintesi: il 9 e il 10 gennaio avete disperatamente cercato di fare una cosa che non vi avevo chiesto, quando non ve l'avevo chiesta (non avendovela chiesta mai), e in un modo che vi avrei sconsigliato perché palesemente controproducente: mandare #goofynomicsin tendenza.
Quello che avevo chiesto io era una cosa diversa: usare l'hashtag #goofynomics se si postava un contenuto di Goofynomics. Questa cosa un senso poteva averlo: ad esempio quello di aiutare chi fosse incuriosito dal contenuto di un post o di un tweet a trovarne di analoghi e magari ad atterrare qui. Ma mandare #goofynomics in tendenza per il gusto di farlo era controproducente sotto almeno un paio di profili, piuttosto evidenti (duole rimarcare l'ovvio). Uno è evidenziato già dallo scambio qua sopra, ma per maggior chiarezza vi fornisco un altro esempio:
Secondo voi, uno che non sa che cosa sia #goofynomics, quale interesse può provare ad approfondirlo se si trova a contatto con una simile bolla di sciroccati autoreferenziali!? Io scapperei a gambe levate, e considerate che Goofynomics c'est moi! Aggiungo una cosa più tecnica, ma se vogliamo ancora più ovvia: l'algoritmo, come è ovvio (mi ripeto) penalizza lo spam. Come si fa a essere così... così "non cattivi" da pensare che un algoritmo si faccia forzare dallo spam!? Se per andare in tendenza bastasse ripetere un hashtag sessanta volte in un tweet tutti potrebbero andare in tendenza! Ma ovviamente (insisto, perché è ovvio, com'è ovvio che non siete cattivi) l'algoritmo penalizza lo spam, da cui questo saggio consiglio:
che, permettetemi di sottolinearlo, fa un po' specie dover dare a persone che come voi sui social ci vivono!
La risposta alla domanda "perché #goofynomics non è in tendenza" era quindi molto semplice: perché voi spammando questo tag lo stavate mandando in blacklist:
Quindi, non per cattiveria (perché voi non siete cattivi), stavate conseguendo un fine che era l'opposto delle vostre intenzioni, e soprattutto delle mie (che infatti non vi avevo chiesto niente, e se vi avessi chiesto qualcosa non vi avrei chiesto questo): penalizzare l'hashtag che vi avevo chiesto di utilizzare in modo corretto (e non di provare a mandare in tendenza a genitale esterno di carnivoro).
Eggnente, voi non avete capito dove siete: eppure ho cercato di farvelo capire in ogni modo! Siete a casa di uno che non tifa per Faust.
Quelli di voi più familiari con le lingue sanno che a Roma, quando si dice di uno che non è cattivo, è perché si vuole dire che è un "cojone" (l'ortografia corretta è questa). Se ho dedicato una serata che avrei dovuto dedicare ad altro a reiterarvi la mia profonda convinzione che voi non siate cattivi, è per enfatizzare il mio sofferto e partecipato auspicio che diventiate, o almeno sembriate, meno "cojoni", perché questo non fa bene né a voi, né a me, né al supremo interesse del Dibattito.
Se poi voleste anche diventare cattivi, lo apprezzerei. In qualsiasi opera drammatica il cattivo magari perde, ma è senz'altro più affascinante e piacevole da frequentare del "cojone". E siccome, nonostante siano già passati tredici anni, siamo solo all'inizio del nostro percorso, capirete che preferirei proseguirlo senza annoiarmi...
Ma soprattutto, insisto su questo concetto, vi chiedo un minimo di coerenza con la retorica bellicista che tutti vi penetra e vi permea, la retorica dello scontro decisivo, la retorica del nemico, la retorica dell'eterna lotta del Bene (voi?) contro il Male. Prendiamo come convenient working hypothesis che si sia effettivamente in guerra e che voi siate qualcosa di simile a dei soldati. Bene. Allora io sono il vostro sergente Foley, dal che discende che dovete fare quello che dico io, quando lo dico io e come lo dico io, che è un po' il contrario di quello che avete fatto: fare una cosa che non vi avevo detto di fare, quando non vi avevo detto di farla, e come non vi avevo detto di farla!
Lo dico nel vostro interesse, non nel mio! I social sono un gioco, la vita è altrove. Ma a voi piace vincere. Secondo voi #borghidimettiti e #bagnaiarrogante sono andati in tendenza per caso?
Secondo me no.
E allora limitatevi a fare quello che vi chiedo, o a ignorarmi. Preferisco perdere da solo che vincere in compagnia, ma se c'è una cosa che mi dà al cazzo è perdere in compagnia per colpa degli altri!
Oggi la giornata è iniziata con una pessima notizia. Lega Esteri ci ha lasciato. Ho aspettato un po’, poi ho pensato che fosse giusto dirvelo.
La memoria riandava alle tante persone che ci hanno accompagnato e ora non ci accompagnano più, e che in questo blog e nel cuore dei suoi lettori hanno lasciato una traccia che sopravviverà loro.
Riflettevo su quanto il culto dei morti, dei propri morti, sia un elemento fondante del sentimento di comune appartenenza. Che cosa saremmo senza il #combattere che ci ha lasciato Lè? Senza il sorriso di Antonio? Ci piace pensare che anche chi in vita aveva forse peccato di ingenuità, come Felice, ora possa contemplare e comprendere come gli effetti rispondano alle cause. Ci commuoviamo leggendo le ultime parole che ci ha lasciato Vito, gli siamo grati per averci dato, con l’affidarci un pensiero di serenità in un momento tanto impegnativo, un segno inestimabile di affetto. Ma ci sono persone scomparse senza tracce, nel fragore della battaglia, come kthrcds (chi se ne ricordava?), che per tanto tempo avevano contribuito con intelligenza e disciplina al nostro lavoro, con cui avevo stabilito una corrispondenza, e di cui non ho più saputo nulla (ma sapevo che le cose volgevano al peggio).
Lega Esteri era uno dei non pochissimi behind enemy lines, e per questo il suo resterà uno pseudonimo. Ma chi è stato ai #goofy sa e ricorderà il suo nome. Il suo contributo nell’aiutarci a comprendere le dinamiche del “potere”, quel potere fatto di uomini mortali come lui e come noi, ci è stato utile, e a voi è stato utile il lavoro intelligente di comunicazione che faceva sui social, consentendo a tutti di tenersi aggiornati sulle dinamiche più rilevanti della cronaca quotidiana.
Chiudo.
Nel momento in cui mi sono trovato inaspettatamente a essere vostro condottiero ho preso implicitamente (ma neanche tanto) con voi l’impegno di raccogliere da terra l’asta della bandiera, di continuare nei momenti più difficili a indicarvi l’obiettivo, a farvi serrare i ranghi per resistere, per avanzare, o per non arretrare, l’impegno di non lasciare indietro nessuno, fosse vivo o morto. So che voi mi aiuterete, o almeno ci proverete, non per me, ma per noi. Quest’anno saremo chiamati a una grande e determinante prova. La affronteremo nel nome dei nostri amici, la affronteremo con la consapevolezza del fatto che la vittoria non è fuori dalla nostra portata. Undici anni dopo il post in cui Austerlitz era metafora della ratifica del primo MES, il secondo MES è sconfitto. Aver raccolto l’asta della bandiera non è stato inutile, grazie a voi.
C’è qualcosa che devo dirvi su come potreste e dovreste aiutare, ma ne parleremo con calma, perché vedo che la frontiera dell’ovvio per molti resta evanescente, e va ben evidenziata, per evitare che il male si trasformi in peggio.
Ma ora occupiamoci dei morti e dei vivi: domani ricomincia la lotta.
Ci eravamo lasciati circa un annetto fa con questa sintesi: dopo aver distrutto i propri mercato di sbocco nell'Eurozona, e essersi preclusa i mercati di sbocco extraeuropei con la sua arroganza, cioè dopo aver segato il ramo su cui era seduta, l'economia tedesca si trovava in una situazione delicata. Una "reflazione controllata", realizzata spingendo sulla domanda interna (con investimenti o altra spesa pubblica, o con tagli di imposte) avrebbe sostenuto la crescita, ma, alimentando il processo inflattivo già in atto, avrebbe fatto perdere competitività, e quindi domanda estera:
Da anni i più illustri commentatori (e anche i meno illustri, come chi vi scrive) auspicano che la Germania realizzi una simile politica di sostituzione della domanda estera (esportazioni) con quella interna (investimenti), nell'interesse proprio e di chi le sta intorno. Per motivi sufficientemente ovvi, chiedergliela è però inutile. D'altra parte, questo sarebbe uno dei peggiori momenti per metterla in pratica, sotto molteplici profili. In particolare, il contesto inflazionistico crea alla Germania non solo un problema economico, ma anche un problema politico, considerando lo sforzo fatto lungo gli anni per portare la stabilità dei prezzi al centro dell'attenzione.
Le previsioni macro di un anno fa dicevano che nel 2023 la Germania non sarebbe cresciuta:
Possiamo fare un rapido tagliando di queste previsioni e della nostra analisi, alla luce di quanto segnalano alcuni commentatori:
La cosa ci riguarda perché seduti sotto la Germania ci siamo noi: intendo dire ovviamente che un crollo dell'economia tedesca sarebbe un problema per la nostra economia, che dopo la cura dell'austerità è decisamente "estroflessa", molto dipendente dalla domanda estera (e quindi in particolare da quella tedesca), come abbiamo visto qui:
Intanto, le previsioni OCSE per il 2023 erano azzeccate. Un anno dopo si constata che in effetti noi siamo cresciuti e loro no:
Altro dettaglio: il processo inflattivo continua a procedere più spedito nel Nord che nel Mediterraneo:
L'austerità serviva a farci recuperare competitività, riducendo la pressione della domanda interna sui prezzi, e sotto questo profilo ha funzionato: sparando alla tempia del paziente siamo riusciti a ridurgli la febbre! Nel grafico il Nord è la media di Germania, Austria e Olanda, e il Mediterraneo la media di Francia, Italia e Spagna. Si vede bene che prima della Grandi crisi finanziaria l'inflazione correva più da noi, ma ora corre più da loro. Risultato: le economie del Nord stanno perdendo competitività, il loro tasso di cambio reale, cioè il prezzo dei loro beni in termini di beni degli altri Paesi, sta crescendo (e quindi i loro beni diventano più cari, cioè meno competitivi, dei beni degli altri Paesi):
L'entità del fenomeno è abbastanza rilevante. I rapporti di scambio sono tornati a quelli vigenti a inizio millennio, quando la Germania era il malato di Europa, come è tornata ad essere, ma con una differenza:
Dal 2021 il contributo dell'industria (escluse costruzioni) alla crescita del Pil trimestrale è diventato, in media, negativo, mentre è aumentato quello dei servizi.
La perdita di competitività comincia a riflettersi sul saldo estero (anche se a noi non è che vada molto meglio).
Se torniamo al dilemma che vi illustravo un anno fa:
sembra di poter concludere che da un lato le illuminate élite tedesche abbiano seguito i saggi consigli dei banchieri filantropi, accordando incrementi salariali:
ma che dall'altro ciò abbia effettivamente alimentato l'inflazione senza però spingere efficacemente sulla crescita.
Questo spiega perché le elezioni europee preoccupano tanto chi è al governo, perché i cittadini protestano, e perché anche da noi le cose vanno bene ma non benissimo. La politica del nostro Governo, volta a sostenere la domanda interna, è certamente appropriata alle circostanze, ma la politica monetaria della Bce è tarata sul processo inflattivo tedesco, più vigoroso del nostro, e quindi cercando di riportare al 2% l'inflazione tedesca la Bce spinge verso lo 0% la crescita italiana. Siamo di nuovo in un contesto in cui la stabilità monetaria (bassa inflazione) rischia di generare instabilità finanziaria (accumulazione di sofferenze bancarie), un po' come quando questo blog prese le mosse.
Questo problema, com'è noto, una soluzione ce l'avrebbe, anzi, più di una: ma per un verso o per un altro le condizioni politiche per metterle in pratica non sussistono, e quindi aspettiamoci un 2024 interessante.
(...dovrei dirvi un'altra cosa, ma ve la dico un'altra volta: non siete solo pochi, siete pure...)
Sette anni fa, prendendo spunto da un tweet di Luigi Pecchioli, commentammo insieme i dati sulla disoccupazione, considerando, oltre alla definizione ufficiale, quella estesa, che comprende i lavoratori sottooccupati (che lavorano meno di quanto vorrebbero: in pratica, i lavoratori in part time involontario), gli scoraggiati (che vorrebbero lavorare ma hanno rinunciato a cercare un posto di lavoro), e anche chi sta cercando lavoro ma non sarebbe immediatamente disposto a lavorare se gli offrissero un posto. Insomma, avevamo analizzato la disoccupazione in teoria e in pratica. In un post successivo vi avevo spiegato che la definizione di disoccupazione più ampia è a grandi linee quella che negli Stati Uniti viene definita U6 (qui trovate una tavola con tutte le definizioni):
Ieri mi hanno mandato al Tg a commentare la situazione economica, che è in effetti in via di miglioramento. Da domani riprenderò il mio lavoro parlamentare e potrei avere meno tempo da passare con voi. Approfitto di oggi per darvi un quadro più articolato di quanto sta succedendo nel mercato del lavoro, considerando che, sette anni dopo, il database dell'Eurostat riporta anche il labour market slack "spacchettato" nelle sue quattro componenti.
Vado molto rapidamente.
Dal 2009 a oggi il tasso di disoccupazione si è mosso così:
La conseguenza di aver dovuto scaricare sulla domanda interna l'intero peso dell'aggiustamento della bilancia dei pagamenti (cioè di aver dovuto abbattere il Pil per abbattere le importazioni) è stato un balzo verso l'alto della disoccupazione che ci ha portato dall'avere il tasso più basso fra le tre grandi economie dell'Eurozona all'inizio del 2009, ad avere il più alto nel 2013, raggiungendo e superando la Francia. Non siamo ancora ritornati al livello pre-crisi, anche se, dall'estate del 2017, la disoccupazione è scesa di quasi tre punti (dal 10.1% al 7.2%), e dal suo massimo, raggiunto all'inizio del 2014, di 4.2 punti. La tendenza comunque è negativa.
Quanto alla disoccupazione estesa, al labour market slack, a quello che gli americani chiamerebbero U6, la situazione è questa:
Qui partivamo svantaggiati, avendo già prima della crisi il valore più alto fra le tre grandi economie dell'Eurozona (il 18.6%). La brutta notizia è evidente: siamo ancora molto più in alto della Francia (che invece in termini di disoccupazione "convenzionale" abbiamo raggiunto e probabilmente supereremo presto, ovviamente verso il basso). Le notizie relativamente buone sono che siamo in una posizione migliore di prima della crisi (l'ultimo dato è pari al 17.7%) e su una traiettoria di miglioramento relativamente rapido. Dall'estate del 2017, cioè da quando Luigi attirò la nostra attenzione su questa variabile, la diminuzione è stata di 6.8 punti, di cui, come abbiamo visto, 2.9 attribuibili alla disoccupazione convenzionale, e dal massimo, raggiunto alla fine del 2014, di 9.5 punti.
La composizione della disoccupazione "allargata" la vedete qui:
Il grafico è molto decorativo, ma la lettura non è semplicissima. Si intuisce però che gli scoraggiati sono diminuiti significativamente (-3.2 punti percentuali dall'estate 2017). Le altre componenti, la più significativa delle quali è il part-time involontario, hanno mantenuto la stessa incidenza, con variazioni trascurabili.
Quindi visto che le cose sono un po' migliorate siamo scesi nella graduatoria del Paese messo peggio?
No, purtroppo non rimaniamo terzi a nessuno, esattamente come sette anni fa:
Solo che sette anni fa il primo era la Grecia. Ora la Grecia è in quinta posizione, dopo Spagna, Italia, Svezia e Finlandia (pensa un po'?). Ma ci è arrivata come ci ha spiegato Heimberger:
Quindi stiamo meglio noi, nella nostra dignitosa seconda posizione, che loro nella quinta. Mi resta da capire, ma sicuramente un giorno lo capirò, come mai tutti vanno in sollucchero per l'attuale detentrice della medaglia d'oro della disoccupazione: la Spagna. Niente di personale, anzi! Meno male che c'è qualcuno che va peggio di noi! Ma gli operatori informativi lo sanno?
Secondo me no, ma non è questa la più importante fra le cose che ignorano.
(...domani si riparte! Abbiate pazienza se dovrò trascurarvi. Sto cercando di peggiorare il nostro piazzamento e chissà, magari con un po' di fortuna mi riuscirà di vederci scendere dal podio...)