(...credo sia di interesse generale, perché riguarda tutti voi, il discorso che la Presidente della "Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla discriminazione" ha tenuto nell'Ufficio di Presidenza del 20 maggio. Su questa pietra angolare si articola la passerella di audizioni cui avete assistito, attoniti, nell'ultimo mese. Si tratta di un documento che deve essere offerto al pubblico dibattito per il suo valore di testimonianza della nostra epoca. Ve lo offro senza alcun commento: mi sono limitato a aggiungere qualche grassetto...)
Negli ultimi anni la diffusione dei “discorsi d’odio” è andata aumentando in maniera esponenziale. Le più viete forme di aggressione verbale e di discriminazione contro le donne, i neri, gli omosessuali e i transessuali, le minoranze etniche, religiose e nazionali, i migranti sono state implementate dal ricorso massiccio a mezzi di comunicazione di massa sempre più sofisticati e pervasivi. Questi hanno messo nelle mani di milioni di persone strumenti di diffusione delle loro qualsiasi idee, linguaggi, stili di vita in una misura che non ha pari nella storia del genere umano. Esponenziale è stata così anche la crescita dei rischi di diffusione e magari anche di messa in pratica di linguaggi e comportamenti devianti, disumani, antisociali.
Da anni il tema dei discorsi d'odio è divenuto oggetto di studio in sede scientifica, politica e giuridica. Credo debba essere compito della nostra Commissione riprendere quel dibattito internazionale, assicurando un nostro originale contributo in fatto di conoscenza e approfondimento.
Una considerazione preliminare mi sembra indispensabile: i discorsi d’odio non sono solo parole. Non sono chiacchiere. Non un fenomeno magari sconveniente ma in ultima istanza circoscrivibile. A parte infatti i casi estremi dell’insulto e della diffamazione già puniti dalle leggi, in questione è il diffondersi di modi di pensare, di esprimersi, di comportarsi che hanno effetti concreti e duraturi nella vita civile. Che aumentano le diseguaglianze, aumentano le ingiustizie, aumentano il tasso di violenza. Rendono legittimi il pregiudizio, l’odio, la discriminazione.
Il caso del linguaggio d’odio antisemita è paradigmatico. Nel corso dei secoli si sono accumulati giacimenti di odio, pregiudizio, ignoranza che sono precipitati nei fondi più oscuri dello spirito pubblico, emergendo poi nelle forme di violenza e di genocidio culminate nella tragedia della Shoah.
Dobbiamo sapere che c’è un nesso diretto fra certe parole e certi fatti. Che se si lascia proliferare un determinato ambiente, se non si lavora a fondo dal lato della formazione e dell’informazione, ma anche della prevenzione e della repressione la situazione rischia di sfuggire di mano e si consuma una regressione dello spirito pubblico e dei livelli di civiltà.
Si pensi anche alla violenza verbale contro le donne. Dei discordi d'odio fa parte infatti tutta una gamma di forme espressive denigratorie che favoriscono il costituirsi e il consolidarsi di stereotipi sessisti contro le donne. Un’altra prova che non si tratta solo di parole, per quanto particolarmente offensive, ma di espressioni in grado letteralmente di costituire, strutturare, consolidare una condizione di minorità della donna nella società, sul posto di lavoro, in famiglia. Perché parole capaci di costruire barriere e gerarchie, potenziare il potere di un sesso sull’altro, favorire ovvero pregiudicare carriere. Col risultato di impedire a cittadini di sesso diverso di avere pari livelli di potere e pari opportunità sociali.
I discorsi d'odio insomma costituiscono oggi un inedito strumento di diseguaglianza e di ingiustizia. Inedito data la potenza davvero inusitata dei nuovi media.
Questa novità e peculiarità dei nostri tempi è la ragione forse più importante che spiega e legittima la costituzione di una Commissione come la nostra.
Può essere utile ricordare, in sede introduttiva, che lo studio sistematico dei discorsi d'odio prende le mosse negli Stati Uniti particolarmente negli anni ‘80 del ‘900, quando il temine fu usato in sede giuridica per definire la condizione delle vittime di discorsi di odio razzista. Fu da allora che si cominciarono a definire le categorie con cui appunto nominare e organizzare le nuove forme di razzismo e discriminazione a base etnica e sociale. Si trattava di parole, frasi, immagini, caricature, condotte tali da causare danno a singole persone o gruppi di cittadini, per lo più individuati con riferimento appunto a caratteristiche fisiche, al genere, agli orientamenti sessuali, alla religione, alla nazionalità.
In sede scientifica e di filosofia del linguaggio è ormai acquisito che il linguaggio non ha solo una funzione descrittiva, di puro e semplice riflesso della realtà data, ma anche performativa, di costituzione di quella stessa realtà.
Si capisce allora che la rete o il mondo dei social media non è solo una infrastruttura che si tratta di regolarizzare con esclusivo riferimento alla sua efficienza, pervasività, concorrenzialità, ma di un potente, anzi potentissimo, strumento di costituzione della realtà. E troppo spesso di una realtà falsa, stravolta, ingiusta e discriminante.
Parole che sono pietre questo significa: ragionare di che cosa è divenuta oggi la nostra vita civile, che cosa è ormai il nostro modo di comunicare e di formarci una opinione e una identità, nell’epoca dell’interconnessione e interazione tendenzialmente totale delle piattaforme digitali. Nell’epoca cioè dei Big Data, Big Tech e delle cosiddette “very large online platforms”.
Un recente caso negli Stati Uniti è stato clamoroso. A seguito di un violento attacco di massa contro il Parlamento americano, con invasione e devastazione dello stesso e con la morte anche di uno degli aggressori, addirittura il Presidente degli Stati Uniti dell’epoca Donald Trump è stato “bannato”, cioè escluso da Facebook ed Instagram. La motivazione della clamorosa iniziativa era proprio l’aver creato con le sue parole “un ambiente di cui c’era un serio rischio di violenza”. L’assalto al parlamento sarebbe stato cioè conseguenza diretta di certi discorsi d’odio politico, reiterati nel tempo e legittimati dalla fonte.
Comunque la si pensi si tratta di un atto grave e denso di conseguenze, se ancora di recente il “comitato etico” di Facebook ha confermato, sia pure con distinguo, quel bando.
Si capisce insomma che non siamo di fronte a banali questioni politicamente corrette. In questione è qualcosa che ci interroga sullo stato delle nostre democrazie, sui sensi e modi della moderazione del discorso politico (e non solo) in rete, sul fatto che possa essere un privato o addirittura un algoritmo a comminare il bando agli haters, se non debba essere invece la legge e in che termini ecc.
Dovremo necessariamente parlarne.
In questa seconda parte del mio ragionamento introduttivo dei lavori vorrei partire da alcuni punti fermi giuridici e di civiltà che ritengo debbano guidare il nostro lavoro.
La Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata dalle Nazioni unite nel dicembre 1948, stabilisce in primis che “tutti gli esseri umani nascono eguali in dignità e diritti”. Ma anche l’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea definisce inviolabile la dignità umana, così come la nostra Costituzione repubblicana già agli articoli 1 e 3 riconosce e tutela i “diritti della persona” ovvero tutela onore e dignità di una persona come un bene fondamentale e inviolabile della persona umana.
Della persona umana, non dei soli cittadini italiani. La dignità è qualcosa che prescinde dal possesso della cittadinanza. Riguarda il nucleo intangibile della personalità umana, come stabilito anche dalla nostra giurisprudenza costituzionale. Ora la nostra è una Costituzione democratica, sociale, lavorista, personalista e parla di “pari dignità sociale” proprio perché prevede il perseguimento dell’effettiva eguaglianza e giustizia per tutte le donne e tutti gli uomini.
Non solo non dobbiamo mai dimenticare questo quadro forte e strutturato di diritti e di doveri che ci hanno lasciato i Padri e le Madri Costituenti, ma dobbiamo rilanciarne e valorizzarne proprio la grande apertura sul presente e per il futuro. Tanto più oggi nell’epoca delle nuove sfide della tecnica e della politica.
Le previsioni della Costituzione del 1948 sono infatti così ampie e lungimiranti da lasciare sempre aperta la possibilità di riconoscere e codificare valori e diritti nuovi. Basti pensare come in questi ultimi anni abbiano trovato riconoscimento sociale e costituzionale temi come la privacy, l’ambiente, l’Unione europea, le nuove forme di tutela del lavoro, ma anche del mercato e della concorrenza.
Un quadro di civiltà giuridica che deve spingerci naturalmente a impostare il nostro programma di lavoro, di audizioni, di ricerca ad una interlocuzione approfondita con le istituzioni europee e sovranazionali, sempre attenti alla migliore produzione scientifica e legislativa.
Così un’attenzione particolare dovremo riservare al lavoro che la Commissione europea sta svolgendo in tema di rinnovamento del mercato unico dei servizi digitali. Una cornice naturale per una Commissione come la nostra.
È all'esame del Parlamento europeo e del Consiglio una proposta di Regolamento nota come Digital Services Act. Il suo obiettivo è traghettare l’Europa verso una nuova fase di regolamentazione delle piattaforme digitali.
Si tratta evidentemente di questioni sensibili e strategiche. Che riguardano già la fase ex-ante del lavoro di quelle piattaforme, dato che oggi sono esse a stabilire preventivamente le regole per utenti e concorrenti, a decidere cosa promuovere e cosa nascondere, ad imporre argomenti, stabilire priorità.
Tutto ciò ha a che fare direttamente con le nostre libertà. Ne va della effettiva tutela dei diritti fondamentali degli utenti e di conseguenza della qualità della democrazia nella società dell’informazione.
Per questo si sta discutendo del rafforzamento delle regole di responsabilità per i gestori, un vero fondamento dell’economia digitale, a tutela di diritti fondamentali dei singoli e degli utenti, come per altro richiesto dalla Corte di Giustizia europea. Gli intermediari online debbono assumere sempre più precise responsabilità, avere specifici obblighi di intervento in caso di contenuti illegali, soprattutto rispondere ad un massimo di trasparenza ed affidabilità, in un quadro di regole stabilito dal decisore pubblico.
A quanto si sa il nuovo Regolamento sui Digital Services prevede sanzioni rapportate al fatturato molto alte, soprattutto nel caso che i gestori non rispettino gli obblighi di controllo e rimozione di contenuti illeciti quali proprio discorsi d'odio, fake news, materiale contraffatto, illegale ecc.
Naturalmente le nuove norme rientrano in un più complessivo piano di tutela dei diritti portato avanti da anni dall’Unione Europea, si pensi solo alla Governance dei dati informatici, un ambito di portata strategica regolato dal Regolamento generale sulla protezione dei dati (in inglese GDPR); entrato in vigore nel 2016, esso regola il modo in cui aziende e altre organizzazioni trattano i dati personali.
Tutto questo in Europa ‘fa sistema’. Noi, una volta di più, dobbiamo porci a questo livello, evitando per quanto possibile polemiche sterili che ci devierebbero dai temi più importanti e sensibili.
Certo dobbiamo sapere che in queste materie sono in gioco interessi rilevantissimi, ma soprattutto che sono in gioco i diritti dei cittadini europei e il futuro della giustizia, dell’eguaglianza, della democrazia.
Il potere pubblico, cioè dei cittadini elettori e sovrani, deve mostrarsi in grado, oggi più che mai, di espandere la propria incidenza democratica, regolando mercati e diritti, implementando tutta una serie di diritti esigibili non solo verso i poteri pubblici tradizionali, ma anche verso gli attori privati. Questi del resto se già da una parte disimpegnano funzioni para-pubbliche, come eclatante nel caso proprio delle grandi piattaforme online, devono accettare oneri e responsabilità di controllo e trasparenza. Così si tutela l’interesse pubblico, si tutelano i diritti di tutti, si imposta in modo democratico il rapporto fra pubblico e privato.
L’obiettivo deve essere quello ambizioso di un costituzionalismo digitale al tempo della società dell’informazione. Il nuovo Regolamento su Servizi Digitali non deve comprimere le libertà economiche, ma certo non è accettabile il contrario e cioè una compressione sproporzionata di altri interessi costituzionalmente rilevanti, a cominciare dalla dignità della persona.
I discorsi d'odio costituiscono insomma una cartina di tornasole particolarmente sensibile dello stato dei nostri diritti e delle nostre libertà. Non possiamo nasconderci che andiamo verso un futuro di insidie crescenti alla dignità umana, non solo nelle forme antiche e sempre ritornanti del razzismo, dell’antisemitismo, dell’intolleranza, ma anche in quelle connesse proprio alla diffusione dei social media.
Libertà e dignità. Promozione della prima e rispetto della seconda. Questo il discrimine sottile e delicato, mutevole e a volte sfuggente, che non però possiamo rinunciare a individuare, seguire, tracciare.
La libertà di espressione è forse la forma più alta di libertà. Ma anch’essa, come tutte le libertà, trova sempre il suo limite nel rispetto dell’altrui diritto e dell’altrui dignità, di quei “valori condivisi” che rendono davvero civile la vita di una comunità.
La mia libertà finisce dove inizia la libertà degli altri. Questo senso del limite, come costitutivo dell’idea stessa della libertà, dobbiamo assumerlo come dato di partenza, come premessa e canone di un lavoro. Un lavoro che sarà lungo e impegnativo, ma anche indefettibile.
Vorrei passare ad alcune questioni più direttamente connesse con l’avvio e l’impostazione dei nostri lavori.
Credo che il nostro obiettivo finale debba essere l’approvazione di un documento politico o Risoluzione entro il 2022. Per ragioni pratiche legate ai tempi della sessione di bilancio, penso sarebbe utile immaginare una data di fine lavori fra novembre o primi dicembre del 2022.
La Risoluzione dovrebbe raccogliere, oltre agli esiti del lavoro di indagine conoscitiva, anche alcune ipotesi di massima di iniziativa politica e legislativa per il Parlamento italiano.
In questo modo lasceremmo in eredità alla prossima legislatura un lavoro importante, con anzi l’auspicio che esso possa continuare istituendo nuovamente negli anni a venire la Commissione contro l’odio e l’intolleranza.
Per poter organizzare al meglio i nostri lavori e corrispondere adeguatamente ai compiti assai impegnativi che la mozione istitutiva ci assegna, penso sia indispensabile stabilire in modo chiaro gli ambiti d’intervento; così le varie articolazioni del nostro lavoro risulteranno come parti organiche di un ragionamento unitario e confluiranno naturalmente in un documento finale.
Servirà senza dubbio una prima fase di audizioni di soggetti in grado di arricchire il nostro bagaglio di conoscenze e di suggerire ipotesi di lavoro e di previsione normativa. Le audizioni potrebbero cominciare nel giugno del 2021, per terminare nella primavera del 2022; per una durata dunque di circa dieci mesi, magari intervallate da focus istituzionali.
Dopo questa fase, diciamo da maggio 2022 a settembre 2022, potrebbe svolgersi una fase di discussione politica in preparazione della Risoluzione conclusiva da approvare entro l’autunno del 2022.
La terza fase dei lavori coinciderebbe poi con la discussione e l’approvazione in Aula della Risoluzione.
Credo inoltre che lo strumento più utile ai nostri fini sia quello dell’Indagine conoscitiva. Si potrebbe pensare ad un’unica indagine che approfondisca natura, cause e sviluppi recenti del fenomeno del discorso d'odio con un’attenzione particolare alla evoluzione della normativa europea ed internazionale. Più determinatamente:
a) Diffusione e innovazione dei media, loro efficacia nel produrre discorsi d’odio, valutazione delle forme di (auto-)regolazione atte a prevenire e sanzionare detti fenomeni.
Possibili audizioni: mondo accademico, MIUR, Autorities di controllo, rappresentanti delle piattaforme dei social media;
b) Normativa europea ed internazionale in fatto di contrasto dei fenomeni detti di hate speech ovvero di promozione dell’inclusione e non discriminazione.
Possibili audizioni: Rappresentanti UE, Consiglio d’Europa, ECRI, OSCE, Nazioni Unite;
c) Approfondimento delle cause sociali e culturali della generazione e diffusione dei discorsi d’odio e dei fenomeni di intolleranza e discriminazione.
In aggiunta ed integrazione di questo lavoro di conoscenza e di indagine, credo dovremmo valutare anche l’opportunità e l’importanza di uno strumento di studio e raccolta dati quale un Osservatorio ad hoc, da costituire su proposta della Commissione stessa.
Suo compito potrebbe essere il monitoraggio dei fenomeni dei discorsi d'odio e intolleranza, insieme alla raccolta sistematica di dati statistici e documenti risultanti dalle diverse fonti istituzionali, accademiche o associative, con particolare riferimento appunto ai fenomeni di intolleranza, discriminazione, razzismo, antisemitismo, sia nella forma dei crimini d’odio, sia dei fenomeni di discorso d'odio
In aggiunta a questo può essere utile che la Commissione programmi sessioni di lavoro congiunte con organismi sovranazionali e internazionali e Parlamenti di altri Paesi.
Resta inteso che entro il 30 giugno 2022 (come previsto dalla mozione istitutiva) la Commissione dovrà trasmettere al Governo e alle Camere una Relazione sull’attività svolta e in corso di svolgimento.
Penso questa possa costituire una proficua traccia di lavoro. Una traccia aperta, parte di un lavoro che si arricchirà oltre che dei contributi dei singoli Commissari, anche dell’attivo coinvolgimento di quante più possibili realtà associative e singole personalità scientifiche ed autorevoli, tali da implementare il lavoro della nostra Commissione e collocarla in modo strategico nel dibattito pubblico sulla qualità del nostro vivere civile e sulla difesa e la promozione della nostra democrazia.
Infine, ma non certo ultimo in ordine di importanza, il rapporto con il mondo dell’Istruzione e della Formazione. Quella certo di ragazze e ragazzi, ma più generalmente intesa come formazione permanente dell’intera nostra società civile.
La Commissione dovrà vivere in sintonia ed osmosi con il mondo che ci circonda, non certo per surveiller et punir, ma al contrario per conoscere, formare, individuare soluzioni. Nostro compito sarà dunque contribuire a porre la nostra società nelle condizioni migliori per progredire nella libertà e nella responsabilità.
Se riusciremo ad impostare un lavoro con questa latitudine e questa ambizione credo che avremo svolto al meglio la nostra missione di rappresentanti della Nazione e della Repubblica.
Liliana Segre
Maggio, 2021
(...le audizioni cui avete assistito dovrebbero ricadere nel contesto delineato da questo programma di lavoro...)