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giovedì 7 agosto 2025

Breve nota tecnica sull'impatto dei dazi

Premesso che chi si è esibito in performance simili:


forse farebbe meglio a lasciar passare qualche secolo in dignitoso silenzio, nella speranza di farsi dimenticare, ma riconosciuto altresì che un minimo di imbonimento da fiera paesana è comunque connaturato alla rappresentazione degli interessi ed è da considerarsi fisiologico, voglio fare ammenda su una mia valutazione errata riportata in questo post. Il delitto mio non è, direbbe Leporello, ma è dei soliti noti, dei nemici della democrazia, degli operatori informativi. Sono loro ad aver titolato:


e questo mi ha indotto a pensare che al CSC avessero seri problemi col concetto di elasticità al prezzo (che con ordini di grandezza simili sarebbe stata del 200%: una cosa mai vista in natura, come spiegavo appunto nel post sull'impatto dei dazi).

In realtà, la valutazione del modello CSC (pubblicato dove?) è coerente con quella del modello di Bagnai et al. (2017) (pubblicato su Economic Modelling), perché, come spiegato da una civile & resiliente esponente della nota associazione di categoria nel corso di questo pacato & costruttivo dibattito:


l'impatto di 23 miliardi è calcolato tenendo conto anche della rivalutazione nominale dell'euro, stimata al 15%, e quindi è riferito a un incremento complessivo del 30% sul tasso di cambio reale. A incremento doppio, impatto doppio, e pari elasticità (sempre intorno a 1).

Tuttavia qualcosa mi lascia supporre che questi impatti siano sempre sovrastimati, e pesantemente, e se volete vi spiego subito perché. Il fatto è che i tassi di cambio reali (che sono il prezzo relativo dei beni nazionali rispetto a quelli esteri) sono costruiti con riferimento a due classi di indicatori: o gli indici dei prezzi al consumo, o il costo del lavoro per unità di prodotto. Lo vedete ad esempio qui, nel database dell'Eurostat, che vi consente appunto di scegliere l'indicatore che preferite:


Non entro ora nella ratio di questa scelta, cioè nel perché si usi l'uno o l'altro indicatore e su quale sia preferibile per quale analisi (a richiesta ve lo spiego). Voglio solo far notare che quello che riusciamo a misurare econometricamente è la reazione dei volumi venduti alla variazione del prezzo finale, quello al consumo. Ora, il fatto è che, come sa chiunque abbia un minimo di cervello, il famoso 15% non si applica allo scaffale, ma in dogana. Per capirci, con qualche approssimazione: non si applica al prezzo al dettaglio (che è quello che confluisce nella valutazione del tasso di cambio reale e quindi nella stima dell'elasticità di prezzo), ma al prezzo all'ingrosso, con riflessi proporzionalmente inferiori sul prezzo al dettaglio.

Credo capiate dove voglio arrivare, anche perché è sempre la stessa storia. Quelli che oggi dicono che all'aumento dei dazi del 15% conseguirà un apprezzamento del cambio reale del 15% sono della stessa pasta marrone (che non è cacao) di quelli che dicevano che a un deprezzamento reale del 20% sarebbe conseguita un'inflazione del 20% (ne abbiamo parlato qui, come ricorderete, analizzando le leggende metropolitane bipartisan - perché il non cacao è assolutamente trasversale, c'è in versione socialisteggiante e c'è in versione #verolibberale...). Ci vuole più di un neurone per capire che l'attività economica è fatta di tanti snodi, e che fra ognuno di questi c'è un pass-through: esattamente come un deprezzamento di x% non comporta una inflazione del x%, e esattamente per gli stessi motivi (perché il pricing in regimi oligopolistici o imperfettamente concorrenziali si basa sull'applicazione di mark-up sui costi, mark-up che possono essere ridotti per assorbire shock di prezzo allo scopo di mantenere quote di mercato), un dazio di x% non comporta un aumento del prezzo finale di x% e quindi un apprezzamento del cambio reale misurato sul prezzo finale di x%.

Morale della favola?

Dopo tanto stracciavestismo e espertonismo un tanto al mazzo (di cui fra un po' avrete un esempio all'Aria che tira) non è escluso che, come già accadde nel primo mandato Trump, e prese tutte le debite cautele rispetto al fatto che qui si parla di un dazio generalizzato e comunque il clima internazionale è improntato a una maggiore conflittualità, alla fine le esportazioni italiane verso gli Usa possano in realtà crescere, se l'effetto reddito (maggiore crescita negli Usa) prevarrà sull'effetto prezzo (minore competitività del prodotto europeo), tanto più che il prodotto italiano è solo italiano, e quindi in re ipsa difficilmente sostituibile.

Quindi calma!

Il vero problema è un altro: il fallimento industriale europeo del green deal, e il nostro fallimento politico nel realizzare quella che è e resta una nostra legittima ambizione: essere arbitri del nostro destino sganciandoci da chi regolarmente ci porta a combattere battaglie in guerre che non sono la nostra guerra. Sì, finora non siamo riusciti a renderci indipendenti, ma qualche passo lo abbiamo fatto (vedi riforma MES) e continuiamo a spingere in quella direzione. Ci vediamo fra un po' in TV con chi lo desidera...

martedì 29 luglio 2025

L'impatto dei dazi: ordini di grandezza

Premesso che sapete bene che cosa pensi del Fmi e delle sue previsioni, segnalo che mentre sui media italiani imperversa la narrazione terribilista e stracciavestista sui dazi di Trump, dalle istituzioni internazionali ci perviene questo messaggio:


e quindi la domanda, oggettivamente, si pone: ma com'è possibile che se siamo finiti, se il disastro dei dazi ci travolgerà, il Fmi innalzi le stime di crescita? Dov'è l'errore, se c'è?

Per mettere un po' di ordine nel caos volevo darvi qualche ordine di grandezza utile a valutare l'impatto di questa contromisura. Come punto di partenza prendo il mio modello dell'economia italiana, quello pubblicato nel 2017 con Brigitte Granville e Christian Mongeau-Ospina su Economic Modelling (la versione working paper, accessibile a tutti, è qui). Questo modello ci è utile intanto perché è pubblicato con peer-review (non mi risulta che i pronostici di altri centri di ricerca più o meno prestigiosi siano tutti passati da quel vaglio) e poi perché il suo blocco del commercio estero rappresenta il commercio estero dell'Italia disaggregandolo per i principali blocchi dell'economia mondiale, e quindi prevede una funzione delle esportazioni specifica per gli Stati Uniti, questa:

dove vi ho evidenziato il parametro che ci serve, l'elasticità delle esportazioni al tasso di cambio reale, che è sostanzialmente pari a -1. Una elasticità di -1 significa che un aumento del 15% del tasso di cambio reale verso gli Stati Uniti, come quello astrattamente causato da un aumento dei dazi del 15%, dovrebbe determinare una variazione del -1x15% (cioè una diminuzione del 15%) del volume delle esportazioni verso gli Stati Uniti.

Ora, secondo le statistiche di bilancia dei pagamenti le esportazioni italiane nel 2024 erano così configurate:


720 miliardi di euro, di cui 341 al di fuori dell'UE, di cui 74 verso gli Stati Uniti. Il 15% di 74 è 11.1, quindi i dazi al 15% causerebbero una diminuzione delle esportazioni italiane di 11 miliardi, che sono il 15% delle esportazioni verso gli Usa, e siccome le esportazioni verso gli Usa sono il 10% di quelle totali, la diminuzione delle esportazioni totali sarebbe pari all'1.5%, e siccome le esportazioni sono un terzo del Pil:


l'impatto sarebbe ceteris paribus pari a circa lo 0.5% del Pil, che non è poco.

Undici miliardi, per capirci, è una roba tipo la stangata che Monti ci diede nel 2011 con l'IMU:


Vi dico subito che queste valutazioni (di cui mi fido per ovvi motivi) sono all'interno del range delle valutazioni effettuate dagli altri (in appendice vi metto un riassunto fatto dall'amico intelligente), i cui valori vanno dai 7.5 miliardi di Unimpresa ai 22 miliardi di Confindustria. 

Va però aggiunto che si tratta di valutazioni di lungo periodo, di equilibrio parziale, e che non considerano il livello attuale dei dazi.

Partendo dalla fine, i dazi prima dell'arrivo di Trump non erano a zero. Una valutazione macroeconomica non è facile da fare, perché l'imposizione dei dazi è molto granulare, colpisce le singole merci, con percentuali differenziate, ma insomma quelli bravi ci dicono che prima di Trump la media si avvicinava di molto al 5%:


L'incremento non sarebbe quindi di 15 (da zero a 15) ma di 10 (da 5 a 15), e conseguentemente l'impatto totale sarebbe ridotto di un terzo: il 10% di 74 è 7,4 che corrisponde appunto al 10% delle esportazioni verso gli Usa, cioè all'1% delle esportazioni totali, cioè allo 0,3% del Pil.

Circa il tema breve-lungo periodo, nel nostro modello in effetti le due elasticità sono sostanzialmente identiche, a testimoniare che gli aggiustamenti di prezzo sostanzialmente hanno luogo all'interno dell'anno (i dati hanno cadenza annuale). L'elasticità di breve periodo infatti è:


-0.92, sostanzialmente pari a uno (volendo fare i precisetti, dovremmo dire che la variazione delle esportazioni è data dal 0.102 x (-0.929) = - 9.4758%, pari a 7 miliardi di calo delle esportazioni nel breve periodo, ma insomma siamo lì, anche se più vicini al limite inferiore del range calcolato da Unimpresa).

Il vero tema però è un altro, cioè il fatto che queste sono valutazioni di equilibrio parziale, cioè non tengono conto di una serie di altri effetti indotti, fra cui:

1) l'effetto reddito negli Stati Uniti (se Trump riesce a spingere l'economia Usa, è vero che il vino costerà di più, ma è anche vero che gli statunitensi, soprattutto quelli in grado di apprezzare il vino italiano, avranno più soldi in tasca);

2) l'effetto reddito negli altri paesi (se #idazzidiTrump scatenassero una recessione mondiale, cosa che il Fmi smentisce:


allora avremmo un calo generalizzato delle esportazioni, cioè avremmo un problema non solo col 10% che va verso gli Usa, ma anche col 90% che va altrove);

3) l'effetto sostituzione (c'è chi è stato "dazziato" più di noi, ad esempio, e sicuramente le misure di Trump un po' di trade diversion la causano: non è detto che non ci facciano guadagnare qualche cliente).

Naturalmente il discorso non si esaurisce qui e va fatto filiera per filiera, prodotto per prodotto, mercato per mercato. Questi però sono gli ordini di grandezza macroeconomici, e in appendice, come vi ho detto, trovate una rassegna fatta dall'amico intelligente, nella quale credo che dopo questo esame sarete in grado di orientarvi meglio.

Buona lettura (ora ho una riunione organizzativa del #goofy14, dove ovviamente si parlerà anche di questo...)!



Appendice: l'amico intelligente

L’imposizione di dazi al 15% sulle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti, come previsto dall’accordo USA-UE annunciato il 27 luglio 2025, avrà un impatto significativo sull’export italiano, con stime che variano in base a fonti e metodologie. Di seguito, sintetizzo le informazioni disponibili da studi recenti, riportando i dati in miliardi di euro e, dove possibile, in percentuale, con riferimento alle fonti consultate.

### Stime del Calo delle Esportazioni
1. *Confindustria e Centro Studi Confindustria*:
   - *Stima del calo: Secondo il Centro Studi Confindustria, i dazi al 15% potrebbero causare una contrazione delle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti di circa **22,6 miliardi di euro, pari a circa un terzo (circa **33%) delle vendite totali verso gli USA, che nel 2024 ammontavano a circa **65-66 miliardi di euro. Tuttavia, parte di questa perdita (circa **10 miliardi di euro*) potrebbe essere compensata da un aumento delle esportazioni verso altri mercati.[](https://www.panorama.it/attualita/economia/dazi-usa-ue-cosa-cambia-per-litalia-dopo-laccordo-trump-von-der-leyen)
   - In uno scenario con dazi più alti (30%), Confindustria aveva stimato una riduzione di *38 miliardi di euro* (58% delle vendite negli USA), ma con i dazi al 15% l’impatto è più contenuto.[](https://www.startmag.it/economia/confindustria-impatto-dazi-trump-italia/)[](https://www.confindustria.it/pubblicazioni/da-dazi-e-dollaro-svalutato-piu-incertezza-e-meno-fiducia-frenano-export-consumi-e-investimenti/)
   - *Impatto sul PIL: L’effetto netto sul PIL italiano è stimato in una riduzione di circa **0,5-0,8%* entro il 2027, mitigato dalla capacità di reindirizzare l’export verso altri mercati.[](https://www.startmag.it/economia/confindustria-impatto-dazi-trump-italia/)[](https://www.confindustria.it/pubblicazioni/da-dazi-e-dollaro-svalutato-piu-incertezza-e-meno-fiducia-frenano-export-consumi-e-investimenti/)

2. *Unimpresa*:
   - *Stima del calo: Un’analisi del Centro Studi di Unimpresa prevede un impatto più contenuto, con una perdita di esportazioni compresa tra **6,7 e 7,5 miliardi di euro, significativamente inferiore alle stime iniziali di **10,5 miliardi di euro*. Questo grazie a esenzioni parziali o totali per settori strategici come le tecnologie avanzate.[](https://benessereconomico.it/esportazioni-italiane-e-nuovi-dazi-usa-ue-impatto-ridotto-ma-ancora-pesante-per-le-imprese/)
   - *Percentuale: Considerando che le esportazioni italiane verso gli USA nel 2024 sono state di **66-70 miliardi di euro, il calo stimato da Unimpresa rappresenta circa il **10-11%* dell’export totale verso gli Stati Uniti.

3. *Confimi Industria*:
   - *Stima del calo: Secondo il presidente di Confimi Industria, Paolo Agnelli, i dazi al 15% potrebbero portare a una perdita di fatturato di circa **12 miliardi di euro, equivalente a una riduzione del **20%* delle esportazioni italiane verso gli USA.
   - Questa stima tiene conto anche del differenziale del cambio euro-dollaro (circa 15%), che aggrava l’impatto economico.

4. *Centromarca*:
   - Per i beni di largo consumo, il calo delle esportazioni è stimato in *767 milioni di euro, corrispondente a una riduzione del **7,7%* a valore.

5. *ISPI*:
   - Secondo l’ISPI, un dazio del 15% potrebbe causare una contrazione delle esportazioni europee verso gli USA del *25-30%. Per l’Italia, considerando un’esposizione di circa **64-66 miliardi di dollari* (circa *55-57 miliardi di euro* al cambio attuale), ciò potrebbe tradursi in una perdita di *14-17 miliardi di euro. Tuttavia, l’impatto sul PIL italiano sarebbe limitato a circa **0,2%*.[](https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/dazi-di-trump-al-15-limpatto-su-europa-e-italia-214963)

6. *Altri studi*:
   - Un’analisi riportata da lavoce.info stima un impatto di breve periodo più contenuto, con una contrazione delle esportazioni di circa *6 miliardi di euro* nei principali settori, grazie alla bassa elasticità di sostituzione dei prodotti italiani di alta qualità nel breve termine.[](https://lavoce.info/archives/107491/lexport-italiano-di-fronte-ai-dazi/)
   - Per il settore agroalimentare, che vale circa *8 miliardi di euro* di export verso gli USA, si stimano perdite di circa *500 milioni di euro per il vino, **240 milioni per l’olio d’oliva, **170 milioni per la pasta* e *120 milioni per i formaggi*.[](https://www.avvenire.it/economia/pagine/tutto-sui-dazi-ecco-cosa-rischia-l-economia-globale)

### Fattori che Influenzano l’Impatto
- *Esenzioni e settori colpiti*: Alcuni settori beneficiano di esenzioni parziali o totali, come i farmaci generici e alcune tecnologie avanzate, riducendo l’impatto complessivo. Tuttavia, settori come agroalimentare (vino, olio, salumi, formaggi), farmaceutico (non generici), meccanica, e moda sono particolarmente vulnerabili.[](https://www.corriere.it/economia/finanza/25_luglio_28/cosa-cambia-made-italy-dazi-esportazioni-usa-4c15e916-98c2-4f5d-8fb6-b85545991xlk.shtml)[](https://benessereconomico.it/esportazioni-italiane-e-nuovi-dazi-usa-ue-impatto-ridotto-ma-ancora-pesante-per-le-imprese/)
- *Cambio euro-dollaro: La svalutazione del dollaro (circa -13% rispetto all’euro dall’insediamento di Trump) aggiunge un “dazio implicito” che porta l’onere complessivo per gli esportatori italiani a circa il **21%*, riducendo ulteriormente la competitività.[](https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/dazi-di-trump-al-15-limpatto-su-europa-e-italia-214963)[](https://www.confindustria.it/pubblicazioni/da-dazi-e-dollaro-svalutato-piu-incertezza-e-meno-fiducia-frenano-export-consumi-e-investimenti/)
- *Capacità di assorbimento*: Le imprese italiane di grandi dimensioni, che rappresentano oltre il 50% dell’export verso gli USA, sono più resilienti grazie a margini più alti e diversificazione geografica. Le PMI, invece, sono più esposte.[](https://www.unimpresa.it/dazi-terzo-aziende-italiane-esporta-usa/66365)
- *Compensazione su altri mercati: La capacità di reindirizzare l’export verso mercati in crescita come Emirati Arabi, Arabia Saudita, Turchia, Brasile, India e Messico potrebbe mitigare le perdite. Secondo ICE, questi mercati valgono già **25 miliardi di dollari* di export italiano.[](https://www.quotidianopiu.it/dettaglio/11090627/nuovi-dazi-usa-impatti-sul-commercio-internazionale)

### Sintesi
- *Range di calo atteso*:
  - *Valore assoluto: Le stime variano da **6 miliardi di euro* (lavoce.info, breve periodo) a *22,6 miliardi di euro* (Confindustria). Una stima media ragionevole si attesta tra *7,5 e 12 miliardi di euro*, con possibilità di compensazione parziale (circa 10 miliardi) su altri mercati.
  - *Percentuale: Il calo delle esportazioni verso gli USA è stimato tra il **7,7%* (beni di largo consumo) e il *33%* (Confindustria), con una media probabile intorno al *10-20%*.
- *Impatto settoriale*: I settori più colpiti saranno agroalimentare (soprattutto vino, olio, pasta, formaggi), farmaceutico (non generici), meccanica, e moda. L’automotive beneficia di una riduzione dei dazi dal 25% al 15%.[](https://www.corriere.it/economia/finanza/25_luglio_28/cosa-cambia-made-italy-dazi-esportazioni-usa-4c15e916-98c2-4f5d-8fb6-b85545991xlk.shtml)[](https://www.panorama.it/attualita/economia/dazi-usa-ue-cosa-cambia-per-litalia-dopo-laccordo-trump-von-der-leyen)
- *Studi di riferimento*: Le analisi più dettagliate provengono da Confindustria, Unimpresa, ISPI, e lavoce.info, con stime basate su dati Eurostat, World Bank-WITS, e modelli macroeconomici.[](https://www.startmag.it/economia/confindustria-impatto-dazi-trump-italia/)[](https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/dazi-di-trump-al-15-limpatto-su-europa-e-italia-214963)[](https://benessereconomico.it/esportazioni-italiane-e-nuovi-dazi-usa-ue-impatto-ridotto-ma-ancora-pesante-per-le-imprese/)

### Conclusione
Il calo delle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti a causa dei dazi al 15% è stimato tra *7,5 e 12 miliardi di euro* (circa *10-20%* delle esportazioni totali verso gli USA), con perdite maggiori nei settori agroalimentare, farmaceutico, e meccanica. Tuttavia, esenzioni per settori strategici e la possibilità di reindirizzare l’export verso altri mercati possono mitigare l’impatto. L’effetto sul PIL italiano è previsto tra *0,2% e 0,8%* nel medio-lungo periodo. Per dettagli su specifici settori o prodotti, posso approfondire ulteriormente se richiesto.

giovedì 25 dicembre 2014

Il moltiplicatore del modello di a/simmetrie (KPD5)

(e come promesso su Twitter, mentre la mia Cosette scarta la sua ennesima bambola - non ci sono più le Thénardier di una volta - voi potete scartare er post tecnico. Ma proprio tecnico, eh! Come dice Frescobaldi, non senza fatica si giunge al fine. Ma chi ci giunge, per ricompensa, sarà più incazzato di prima...)



Chiuso il discorso del benza paper (ma poi ci torniamo, perché da quando abbiamo stimato l'equazione son cambiate tantissime cose, e sono curioso di vedere quale dei vari modelli approssima meglio l'andamento effettivo dei prezzi da maggio a oggi), pubblichiamo un nuovo post della serie KPD (Keynesianesimo per le dame), tornando a parlare del moltiplicatore keynesiano, questo sconosciuto...

Lo faccio per tre motivi:

1) perché volete “er post tecnico” per sentirvi tanto intelligenti;

(è il vostro lato piddino, non ho difficoltà ad assecondarlo)


2) perché devo cominciare a rispondere alle costruttive osservazioni di Lippi sulle proprietà del modello (poi risponderò a Boltho, è un amico e non si offenderà se lo tengo ancora un momento in coda). Ora, Lippi ha fatto delle domande delle quali certamente può capire la risposta (fosse sempre così)! Purtroppo, affinché almeno alcuni di voi siano in grado di comprendere domanda e risposta c’è un pochino di lavoro da fare...

(alla faccia di quelli che “devi chiudere il blog tanto ormai hai già detto tutto”! No, le cose non stanno così: io non ho nemmeno sfiorato la punta dell’iceberg: voi credete di aver capito tutto, perché siete beati, ma da capire c’è ancora molto e quello di oggi è un tassello importante del da farsi);


3) perché devo farvi vedere come i risultati di tanti studi sbandierati sui media siano autentiche scoperte dell’acqua calda, che scaturiscono banalmente dalle proprietà matematiche del modello di riferimento comunemente accettato dagli economisti di qualsiasi forma e colore

(roba che insegnavo ai miei studenti di econometria come Jere (finché ce n’erano) perché l’avevo imparata dal mio maestro Carlucci - per il quale, in segno di riconoscenza, sto preparando il cinghiale nel tegame di rame della mi’ nonna hoc facite in meam commemorationem).


Come alla bottega del Verrocchio si imparava a dipingere un angelo, così alla bottega di Carlucci si imparava come funzionasse un moltiplicatore. Ma certo, a quei tempi non si doveva riempire la (tacci) SUA...


Questo post si basa sul lavoro (sì, lavoro) svolto in quattro post precedenti, che quindi esorto i nuovi venuti e gli smemorati a rileggersi:


1) quello che esponeva la semplice aritmetica del moltiplicatore per evidenziare il carattere dilettantesco (o luciferino?) delle proposte “appelliste” (“austerità brutta e cattiva, teniamoci l’euro ma cambiamo politica”);


2) quello che ricordava un elementare fatto stilizzato della macroeconomia, ovvero che l’elasticità al reddito delle importazioni è mediamente intorno a due;

(una conferma la trovate nella prima colonna della Table 3 del paper sul modello di a/simmetrie, dove il prezioso Christian ha fatto una rassegna della letteratura; è una delle tante perle – con una “e” sola – del paper, che sicuramente sfuggirebbero a una lettura non guidata: ma vi guido io)


3) quello su Marshall-Lerner, dove definivo propensione marginale ed elasticità, delle quali oggi avremo bisogno;

(il post su Marshall-Lerner andrebbe buono anche per parlare di Russia, ma lasciamo che oggi ne parlino Tigellone e la sua corte dei miracoli, che io quello che c’era da dire l’ho pubblicato nel 2012);


4) quello che spiegava come nella modellizzazione economica tornino piuttosto comode e naturali forme non lineari di tipo logaritmico, semplicemente perché queste esprimono il fatto che in economia le proporzioni contano più delle dimensioni 

(una perdita di 1000 euro per me è ‘na traggedia, per Guglielmo Cancelli un dato assolutamente trascurabile...)

(il riepilogo del percorso servirà a farvi apprezzare quale knowledge base sia questo blog, alla faccia dei poveri imbecilli del “basta un tweet, a che serve un blog”...)


Dato che qui si andrà veramente sul tecnico, vi dico prima, in parole più o meno semplici, quale sarà il percorso, così gli esperti capiranno subito dove voglio arrivare e faranno a meno di leggersi le banalità che seguono, e i non esperti, se giunti alla fine torneranno qui e riusciranno a capire quello che dico in sintesi, si sentiranno esperti, e in parte avranno ragione (e certamente lo saranno più di qualsiasi economista da talk show, ma non di qualsiasi economista della bottega del Verrocchio). Per descrivervi il percorso parto dall’osservazione di Lippi alla quale fornisco due risposte: una che capiranno solo gli economisti, e una che descrive quanto voglio fare per farla capire a voi.

Poi comincerà il percorso.

Ars longa, vita brevis, ma i post tecnici li volete voi...

L’osservazione di Lippi
L’osservazione di Lippi era: il moltiplicatore è troppo alto (vicino a due) e in più diverge, il che dovrebbe mettere in guardia sulle proprietà del modello (che potrebbe essere dinamicamente instabile).

 (questa è la slide con le sue osservazioni, la discussione, se vi interessa, è sul nostro canale Youtube).


La risposta per Lippi (astenersi dilettanti)
Preoccupazione fondata, ma il problema non sussiste.

Come illustro nella versione definitiva del paper, il moltiplicatore del modello è attorno a 1.5, quindi conforme alla letteratura scientifica più recente. La “spike” che si vede a fine simulazione e che ti ha messo (giustamente) in allarme dipende da un fatto tecnico. Nel paper i moltiplicatori sono calcolati con simulazione dinamica ex post a partire dal 2004. Ora, com’è noto, nel 2009 è successo un discreto casino. Il “salto” del moltiplicatore è semplicemente il risultato del salto verso il basso dell’Italia e della non linearità del modello. In un modello a elasticità costanti (come sono tutti i modelli macro per i noti motivi) le propensioni marginali, dalle quali dipende il moltiplicatore, variano al variare del Pil, il che fa sì, banalmente, che in recessione i moltiplicatori siano più grandi (precisazione: la funzione del consumo di lungo periodo è omogenea lineare nel mio come in altri modelli, per cui l'elasticità è unitaria e le propensioni marginale e media coincidono e non cambiano al variare del livello del Pil; questo però non vale per le altre propensioni, in particolare quella all’importazione...). Come spiego sotto ai miei lettori, questo risultato, sbandierato ultimamente come una brillante scoperta scientifica a botte di SVAR su NBER, è una ultrabanale conseguenza delle proprietà matematiche di un modello standard.

L’errore (espositivo) mio è stato quello di presentare i moltiplicatori calcolati con simulazione ex post rispetto a una baseline storica. Se li calcoli rispetto a una baseline “ex ante” sufficientemente “smooth” (costruita come da prassi estrapolando le esogene secondo le loro tendenze storiche, ad esempio), i moltiplicatori vengono belli “smooth” anche loro, e convergono attorno a 1.5 (più o meno, a seconda della voce di spesa che vai ad alterare). Il fatto è che in vita mia mi ero sempre regolato così, e tutti si regolavano così, per il semplice motivo che non mi ero mai trovato (non ci eravamo mai trovati) nel campione di stima uno shock di dimensioni tali da evidenziare la non linearità del modello, come quello determinato dall’ultima recessione. La conseguenza era che in tanti studi precedenti, miei o altrui, i moltiplicatori calcolati ex post rispetto alla baseline storica erano sufficientemente “smooth” perché in simulazione endogene ed esogene seguivano sentieri di sviluppo ragionevolmente regolari.

La sintesi però è che ti posso rassicurare: il modello di a/simmetrie non solo ha un moltiplicatore di dimensioni “vidimate” dalla ricerca recente, ma questo moltiplicatore ha anche proprietà che a me sembrano banali, ma che NBER ritiene di dover pubblicare! Questo però fa parte dell’antropologia.

E che vuoi di più dalla vita?

Sottolineo ancora una volta (per i laici) che sei stato molto disponibile a commentare un lavoro così preliminare, e che se il lavoro era troppo preliminare la colpa era mia (avevo sottostimato gli impicci che mi avrebbe procurato l’ultimo best seller!). Se avessi esposto meglio i risultati non avremmo discusso di queste banalità. D’altra parte, la mia militanza divulgativa rende interessanti anche queste divagazioni.

La risposta per gli altri
Se non avete capito, ci sono due possibilità: la prima è andare su Twitter e interpellare Tigellone, che vi dirà che queste cose me le ha insegnate lui (ma semplicemente perché vorrebbe magnasse lui er cinghiale che invece tocca a Carlucci); la seconda è seguirmi nel mio ragionamento, che si riaggancia al percorso fatto in questo blog, che è un blog dove si studia o si resta beati.

Il percorso è in due passi:

1) finora vi ho fatto vedere solo la formula del moltiplicatore in economia chiusa (cioè senza commercio estero), perché è l’unica che conoscono Becchetti, Piga e la CGIL (per non far nomi), altrimenti non proporrebbero referendum pro-troika (fortunatamente falliti). In economia aperta la dimensione del moltiplicatore dipende anche dalle importazioni e per farmi capire bene devo esplicitare questa dipendenza;

2) in post precedenti vi ho motivato il fatto che in economia i comportamenti aggregati sono descritti meglio da funzioni di tipo logaritmico, ma non vi ho ancora esplicitato la conseguenza di questa non linearità sulla struttura del moltiplicatore.

Dal primo fatto consegue che le dimensioni del moltiplicatore in economia aperta diminuiscono (vedremo poi perché), e quindi che chi addita come risolutiva la lotta all’“autteità butta attiva” sta usando un’arma relativamente spuntata (e ignora il rischio in termini di vincolo esterno).

Il secondo fatto (non linearità) ha due conseguenze:

a) il moltiplicatore non può essere più ricavato in termini algebrici, come avevamo fatto qui, ma occorre calcolarlo con metodi numerici (con simulazioni, appunto);

b) le sue dimensioni variano a seconda del valore delle variabili, e quindi, in un modello empirico, del momento storico nel quale il moltiplicatore viene calcolato (esattamente come la derivata di una funzione non lineare non è necessariamente identica in ogni punto, mentre quella di una retta sì – questo era per gli ingienggngneri).

(...sempre a beneficio degli ingienggngneri - così capiscono subito e vanno a fare altro: vi ricordate com’è fatto il grafico della funzione logaritmica? Derivata? 1/x, bravi! Ecco perché quando x è grande, il suo impatto su ln(x) è piccolo. ASAT - as simple as that - ma non ditelo a un economista...)

Siete pronti? Non ci avete capito niente? Ma come! Avevate capito tutto! Eh, la vita è fatta così. Proprio quando stai per chiederle di sposarti, la trovi a letto col tuo migliore amico...


Pensavi di aver capito tutto, e invece: sorpresa!

Consoliamoci con un po’ di matematica.

(Certo, per gli intellettuali da quattro soldi che girano oggi sui social, per gli spin doctor dozzinali che ci hanno venduto per decenni l’euro come un dogma, e che ora, per gettare fumo negli occhi ai gonzi, ci additano come persone offuscate dalle proprie certezze ideologiche, per questi individui infimi che fanno di una esornativa esaltazione del dubbio metodologico l’arma del più vile dei fascismi, quello dell’opinione, va da sé, per questa ciurma di collaborazionisti traditori, ai quali qualcuno un giorno chiederà il conto (e se non lo farà un tribunale italiano lo farà il ragioniere di ultima istanza, l’Altissimo), per questi elminti, può anche darsi che la derivata della funzione logaritmica sia una mia opinione.


Sapete, è un problema di tassonomia. Io gioco un po’ con gli ingienggngneri, che sanno di sapere molto più di quanto sappiano, ma è un fatto che essi sono fra i migliori amici dell’uomo: rientrano almeno nei mammiferi. Ma i laureati in scienze politiche, quelli, stanno da qualche parte fra l’anfiosso e l’ameba, giù giù, dove noi non abbiamo tempo di andare a ravanare...)

E ora, tecnica sia!


Il moltiplicatore in economia aperta: caso lineare

La contabilità
Allora: per capire quanto segue dovete rileggervi questo. Se non lo fate e non capite sono fatti vostri. Se lo fate e non capite è colpa mia, nel qual caso petite et dabitur vobis.

In che modo nel nostro raccontino l’appellista di turno, che poi si scopre essere Belzebù, cogliona il politico di turno? Semplicemente glissando sul fatto che in un’economia aperta al commercio estero gli incrementi di reddito provocati da una politica espansiva necessariamente si scaricano, almeno in parte, sull’acquisto di beni esteri, e quindi: (1) producono reddito all’estero (sintesi: “fanno aumentare il Pil altrui”), e (2) mandano in rosso la bilancia commerciale.

Nulla di male di per sé, ma sono effetti che vanno quantificati con cautela e valutati nel contesto (per evitare amare sorprese).

Cerchiamo di formalizzare questa semplice nozione. Come sempre, la formalizzazione non serve a complicare cose semplici, ma a semplificare cose complicate. Capisco non sia divertente come un sulfureo scambio di tweet (so sorry...), ma se volete evolvere dovete faticare.

Partiamo dal considerare che quando consumiamo (“acquistiamo beni di consumo”), parte di quanto consumiamo è prodotto in casa e parte all’estero:

C = CN + CM

dove CN sono i consumi di beni nazionali e CM i consumi di beni iMportati. Questo vale anche per i consumi (intermedi) della pubblica amministrazione:

G = GN + GM

e anche nel caso degli acquisti di capitale fisico da parte delle imprese (la formazione lorda di capitale fisso industriale, che in contabilità nazionale si chiama investimenti fissi lordi):

I = IN + IM

Ora, le importazioni di un paese sono la somma delle tre componenti di acquisto di beni importati, ovvero:

M = CM + GM + IM

D’altra parte, il prodotto di un paese, cui corrisponde il reddito complessivamente distribuito nel paese (cioè er Pil), può essere acquistato da parte dei suoi abitanti o da parte di quelli del resto del mondo, per cui:

Y = CN + GN + IN + X

Questa complicatissima formula matematica (ve lo meritate l’euro) dice semplicemente che quanto viene prodotto in Italia (Y) viene acquistato in parte dalle famiglie italiane (CN), in parte dal governo italiano (GN), in parte dagli imprenditori italiani (IN) e in parte dagli abitanti del resto del mondo, cioè viene esportato, e le esportazioni sono appunto X. Le spese di tutti questi gruppi di acquirenti generano reddito in Italia, e la loro somma è il reddito complessivo generato in Italia (er Pil).

C’è però un problemino-ino-ino pratico. Molti di noi sanno quanto spendono per campare la famiglia (io no, ad esempio), ma quasi nessuno di noi è in grado di stabilire quanto di questa spesa vada in prodotti esteri.
Lo stesso vale a livello aggregato: nell’identità del PIL entrano le spese complessive, in prodotti nazionali ed esteri, cioè una cosa di questo tipo:

Y = C + G + I + X

ma... attenti! Così la formula è sbagliata! Perché? Perché include anche spese che hanno generato reddito all’estero. Infatti, se sostituiamo, vedremo che:

Y = CN + CM + GN + GM + IN + IM + X

e tutte le componenti con la M (quelle importate) generano reddito nel resto del mondo, non da noi!
La soluzione però è a portata di mano: basta sottrarre dal computo le componenti di spesa importate.
Se acquisto un’auto tedesca è l’imprenditore tedesco a far profitti e il suo operaio a ricevere un salario, quindi è chiaro che questi acquisti devo sottrarli, se quello che mi interessa è il Pil italiano:

Y = CN + CM + GN + GM + IN + IM + X – (CM + GM + IM)

Questa è la formula corretta, che, usando le definizioni di C, G, I e M date sopra, può essere espressa in modo più semplice (e a voi noto) come:

Y = C + G + I + X – M

dove, quindi, i flussi di spesa interni (C, G, I) comprendono anche la parte che si rivolge a beni importati, ma poi il totale delle importazioni viene sottratto, in modo da restituire in Y tutti e soli i redditi corrispondenti ad acquisti di beni nazionali (e quindi i redditi distribuiti agli abitanti del paese, non a quelli di altri paesi).

Chiaro fin qui? La risposta deve essere sì, perché se è no o forse, allora è inutile che andiate avanti. Raggiungete la colonnina più vicina e chiedete soccorsi.

L’economia
Da quanto sopra consegue che il modellino abbiamo usato qui è troppo semplice: dobbiamo considerare anche la spesa che si rivolge ai beni esteri (importazioni) e quindi le equazioni diventano tre:

C = cY
M = mY
Y = C + A – M


Il modellino ora ha tre equazioni: oltre alla funzione del consumo C = cY, c’è anche una funzione delle importazioni, M = mY, che dice appunto che più guadagni (più cresce Y), più importi (più cresce M). Come c è la propensione marginale al consumo (percentuale di un incremento di reddito speso in beni di consumo), così m è la propensione marginale all’importazione (percentuale di un incremento di reddito speso in beni importati). Il modello è chiuso da una condizione di equilibrio: l’offerta aggregata Y (cioè i redditi prodotti e distribuiti) è uguale alla domanda aggregata (cioè alla somma algebrica delle tre componenti di spesa). La spesa autonoma A comprende G, I e X (tre componenti di spesa che, in prima approssimazione, possiamo supporre non dipendano direttamente dal nostro Pil – per I e G non è del tutto vero, ma per ora ci accontentiamo di un modello semplice).

L’aumento di dimensioni del modello non procura grossi traumi: siamo ancora a tre equazioni, non a 140 come nel modello di a/simmetrie, e quindi una soluzione algebrica è facile da trovare. Il modello si risolve come sempre sostituendo le equazioni di comportamento nella condizione di equilibrio (fra offerta e domanda aggregata, cioè fra reddito e spesa):

Y = cY + A – mY

Visto? Al posto di C abbiamo messo la sua espressione, cY, e al posto di M la sua espressione, mY. Questo significa “sostituire le equazioni di comportamento nella condizione di equilibrio”. Perché lo facciamo? Perché così possiamo raccogliere Y a fattor comune a sinistra dell’uguale:

(1 – c + m)Y = A

e quindi:


(P.s.: non ci provate: ho un figlio alle medie e uno al ginnasio, quindi so che queste cose dovreste saperle fare. Il fatto che i miei studenti non sappiano farle non prova nulla: loro hanno vissuto la scuola post-berlingueriana...)

Il moltiplicatore è la frazione che vedete, ed è passato 1/(1-c) a 1/(1-c+m). Siccome m è un parametro positivo (se guadagni di più consumi più prodotti importati), la conseguenza è che in economia aperta il moltiplicatore keynesiano diminuisce.

(...prima lezione di Economia della globalizzazione)

Esempio numerico: in economia chiusa, con una propensione marginale al consumo del 75% il moltiplicatore è 1/(1-0.75)=1/0.25=4 (lo abbiamo visto qui). Se però la propensione marginale all’importazione è dell’80% (cioè: su un euro di spesa, ottanta centesimi vanno verso l’acquisto cosciente o inconsapevole di beni esteri), il moltiplicatore diventa 1/(1-0.75+0.8)=1/1.05=0.95.

Bella differenza, vero?

Ecco, tenetela a mente.

Questo è ovviamente il risultato del fatto che in economia aperta le spese che vengono a valle all’iniziale iniezione di spesa pubblica (per investimenti o altro) non si rivolgono solo a beni italiani, e quindi l’operaio forse compra solo pane italiano, ma questo non è necessariamente fatto con farina italiana, e lievito italiano, anche se è riscaldato forse in un forno italiano (ma probabilmente precotto in un forno francese); il fornaio, non compra solo latte italiano, munto in Italia da una vacca cresciuta in Italia e alimentata con mangime italiano, dopo essere stata vaccinata con vaccini italiani, e trasportato da un camion italiano alla centrale del latte per essere pastorizzato con macchinari italiani e confezionato da macchinari italiani in tetrapak prodotti in Italia a partire da cellulosa italiana, ma molto probabilmente latte tedesco... e via dicendo. Ogni spesa che non si rivolge a un prodotto italiano genera reddito altrove e quindi gli incrementi cumulati di reddito italiano che fanno seguito a una spesa iniziale sono ovviamente minori in economia aperta che in economia chiusa. Queste “dispersioni” (leakage) di domanda aggregata, cioè di spesa, verso l’estero, formalmente sono espresse dal termine +m al denominatore del moltiplicatore. Più sono grandi, più grande è m, più piccolo è il moltiplicatore.

Visto che ormai sapete tutto e siete tanto bravi per cui non avete più bisogno del blog (finalmente!), non mi affretto ad aggiungere una cosa talmente banale che quasi mi vergogno di segnalarvela: quanto sopra vale anche per gli altri paesi. Ricordate la voce X nell’identità del reddito nazionale? È strano come le importazioni altrui somiglino alle nostre esportazioni, no?

Bene.

Quindi io non sto dicendo che dovremmo tornare all’autarchia! Così come noi sosteniamo i redditi altrui importando, gli altri sostengono i redditi nostri importando da noi: sono le nostre esportazioni. Il commercio non è una panacea ma non è il demonio. I disonesti (intellettualmente) sono il demonio, come vi ho raccontato. In altre parole, io vi sto dicendo che in economia aperta cambia l’efficacia della politica economica, non che l’economia aperta sia un male perché ci impoverisce. La prima cosa è un fatto incontrovertibile. La seconda dipende dalle circostanze, ma normalmente l’apertura e lo scambio permettono di stare meglio (se gestiti).

Il moltiplicatore in economia aperta: il caso non lineare
Il modellino che stiamo vedendo è più realistico di quello che conoscevamo, ma non è ancora abbastanza realistico perché non tiene conto del fatto, da noi ampiamente documentato, che l’elasticità delle importazioni al reddito è 2.

Come faccio asapere che la funzione M = mY non ha elasticità 2? (in effetti, ha elasticità 1).

Be’, ci dovrebbero aiutare le definizioni di propensione ed elasticità studiate qui. Mettiamola così: la funzione delle importazioni che vi ho proposto, M = mY, ci dice che nel lungo periodo le importazioni sono in rapporto costante al Pil: M/Y = m. Due grandezze rimangono in rapporto costante se variano nella stessa proporzione, cioè allo stesso tasso di variazione percentuale. Ma l’elasticità è, come sappiamo, proprio il rapporto fra le variazioni percentuali di due variabili. Quindi, se queste due variazioni sono identiche, il loro rapporto è 1. Detto in altre parole: se due grandezze rimangono in rapporto costante, sono legate da una elasticità unitaria. Quindi, siccome la funzione delle importazioni che vi ho proposto ha una elasticità unitaria, non fornisce una buona rappresentazione della realtà (perché in realtà l’elasticità delle importazioni al reddito è di circa 2, cioè due. Capito bene? Due. Chiaro? Due).

(quant’è l’elasticità delle importazioni al reddito?...)

Sintesi: il fatto che la funzione considerata abbia un'elasticità troppo bassa è conseguenza del fatto che essa postula che importazioni e reddito crescano secondo un rapporto costante m. E invece? E invece non è così: il rapporto fra importazioni e reddito non è stato storicamente pari a una costante m, ma è andato crescendo così:


Vedete? La propensione al consumo si è stabilizzata dagli anni '70 attorno al 60% (0.6), mentre quella all'importazione è partita a 0.07, e, se non ci fosse stata la battuta d'arresto determinata dalla crisi, oggi sarebbe forse a 0.3 (il 30%). In altre parole, dal 1960 a oggi reddito e consumi sono cresciuti in media praticamente allo stesso tasso (2.5% il reddito, 2.6% i consumi), mentre le importazioni sono cresciute a velocità doppia: il 5% in media. 5/2.5 = 2, ovvero l'elasticità delle importazioni al reddito è...

Dai, su, che la sapete: è due!

Questo però significa che la funzione che abbiamo messo nel modellino (M=mY), e che si trova in ogni e ciascun modellino di macroeconomia aperta da secondo anno, è fasulla, non rispecchia la struttura della realtà.

Per capire come potrebbe essere fatta la funzione giusta, quella che rispecchia la struttura della realtà, quella dove se il reddito cresce dello z%, le importazioni crescono al doppio (cioè al 2z%), cominciamo col fare un esempio numerico, perché forse può aiutare.

Guardatevi questa tabbellina:



La prima colonna fornisce i valori di Y, il reddito, la variabile esplicativa nelle funzioni del consumo e delle importazioni. Al tempo 0, Y vale 100. Se al tempo 1 vale 101, significa che è aumentato di 1 (incremento assoluto), cioè, in questo caso, dell’1% (incremento percentuale). La seconda colonna fornisce i valori di C, che sono quelli di Y moltiplicato per 0.75. Quando Y vale 100, C vale 75, e se Y aumenta di 1, C aumenta di 0.75 (incremento assoluto), cioè dell'1% (incremento percentuale).

Un discorso analogo vale per M. Quando Y vale 100, M vale 40. Quando Y vale 101, M vale 40.4. Quindi M aumenta di 0.4, che corrisponde, guarda caso, all’1% (anche lui). Insomma: in questo modello (che è quello che vi ho descritto sopra) quando Y aumenta dell'1%, tutto aumenta dell'1%: sia C che M, ed è ovvio che sia così, visto che i rapporti fra consumo e reddito (C/Y=c=0.75) e fra importazioni e reddito (M/Y=m=0.74) rimangono costanti (noi economisti li chiamiamo propensione media).

Guardate un altro (anzi: un'altro) dettaglio. Vi ricordate quando abbiamo definito le elasticità come rapporto fra incrementi percentuali?

Abbiamo detto che la propensione marginale era un rapporto fra incrementi assoluti:


e che l'elasticità era un rapporto fra incrementi percentuali, che in quanto tale può essere espresso come rapporto fra propensione marginale (MP, marginal propensity) e propensione media (AP, average propensity):

da cui consegue che la propensione marginale è il prodotto fra l'elasticità e la propensione media:

Ora, tutta questa robetta, mi rendo conto, è molto astratta, vista così, ma da essa dipende un fatto molto concreto, come vedremo poi sotto. Intanto, mettiamoci dei numeri, quelli dell'esempio sopra.


Se consideriamo le importazioni, vediamo che la MP a importare (che poi sarebbe m=0.4) è uguale al rapporto fra gli incrementi assoluti di importazioni e reddito (0.4/1=0.4), e che l'elasticità delle importazioni al reddito, che in questo caso poi sarebbe 1, è uguale sia al rapporto fra incrementi percentuali di importazioni e reddito (0.01/0.01=1) che al rapporto fra propensione marginale e media all'importazione (0.4/0.4=1), mentre la propensione marginale, a sua volta, è uguale all'elasticità delle importazioni al reddito per la propensione media a importare (1x0.4=0.4).

I conti tornano...







































Oh, sentite, i post tecnici li volete voi, e io non posso sempre rompermi i coglioni con l'aritmetica! Qui, se volete andare avanti, bisogna studiare, e questi sono i compiti per le vacanze.

Ma....

E se invece volessimo una funzione con elasticità 2?

(perché le importazioni che elasticità hanno? Due! Bravi!)

Vediamo quest'altra tabbbella:



Qui ho considerato una diversa funzione delle importazioni: le importazioni aumentano con il quadrato del reddito, moltiplicato per 0.004. E che succede se la funzione delle importazioni ha questa forma arcana? Lo vediamo nell'ultima colonna!

Quando il reddito aumenta da 100 a 101, le importazioni aumentano da 40 a 40.8, cioè aumentano di 0.8. Guarda un po'! L'incremento assoluto delle importazioni è 0.8, quindi quello percentuale è del 2%, e siccome l'incremento percentuale del reddito è sempre dell'1%, ne consegue che l'elasticità è 2 (2.01 per problemi di arrotondamento), e tutti i nostri altri discorsi tornano.

1) la propensione marginale è uguale al rapporto fra gli incrementi assoluti (0.8/1 = 0.8), ma anche al prodotto fra elasticità e propensione media (0.4x2 = 0.8);

2) l'elasticità è uguale al rapporto fra incrementi percentuali (0.02/0.01=2), ma anche al rapporto fra propensione marginale e propensione media: 0.8/0.4=2.

Fico, no?

No?

Veramente non vi piace?

E allora come facciamo? Siamo in una crisi economica, e non mi andrete mai oltre ai ragli di Twitter?

No, dai, non è possibile: fate come i piddini! Anche se non vi piace, fate almeno finta che vi piaccia, perché se non squarciate il velo di Maya non arriverete mai al paradiso del #DAR, quello nel quale si aggirano le anime elette (IO) contemplando il dibattito economico italiano e internazionale.

Allora: vediamo un po' cosa abbiamo intuito (forse) finora: abbiamo intuito (ma non dimostrato) che in una relazione del tipo:

X = a Zb

l'elasticità è l'esponente della Z (della variabile a destra). In effetti, nella funzione delle importazioni

M = 0.4 Y

l'esponente della Y (della variabile a destra) era uno (non si vede, ma c'è, perché se non ci fosse Y sarebbe 1... Qualcuno l'ha capita?), e l'elasticità, calcolandola, veniva uno, mentre nella funzione:

M = 0.004 Y2

l'esponente della Y è due, e l'elasticità calcolata ci viene 2.

In effetti sì, siete maggiorenni, ed è ora che sappiate certe cose: nella modellistica economica le relazioni a elasticità costante vengono proprio rappresentate mediante funzioni del tipo:


X = a Zb

(dove l'elasticità, ovviamente, è b). Poi, per raggiungere l'apice del delirio, vi ricordo che i logaritmi ("C'è un medico in sala?"), dei quali abbiamo parlato qui, hanno la proprietà che chi è passato per la scuola dell'obbligo conosce, di trasformare il prodotto in somma e l'elevazione a potenza in prodotto, il che, in buona sostanza, significa, che in economia lavoriamo con la trasformata logaritmica della funzione che vi ho appena mostrato, cioè con:

ln(X) = ln(a) + b ln(Z)

Ad esempio, nel caso di

M = 0.004 Y2

la trasformata logaritmica sarebbe:

ln(M) = -5.52 + 2 ln(Y)

Bbbboni, state bboni...

Dunque, intanto se prendete il working paper del modello, vedrete che praticamente tutte le equazioni di lungo periodo stimate hanno questa forma.

Ad esempio, a pagina 97 trovate questa tabella arcana:

la quale vi informa del fatto che il logaritmo delle importazioni dalla core Eurozone, cioè la variabile LOG(MGUSDVB), dipende da una costante C uguale a -18.35 e da 2.119 moltiplicato per il logaritmo del Pil italiano LOG(GDPVUSD) (la tabella vi dà tante altre informazioni che per ora non vi interessano, ma intanto vorrei farvi capire che anche il nostro complicato modello è fatto di pezzi relativamente semplici come quello che vi ho appena descritto). Perché vi faccio vedere i risultati di queste stime? Intanto per cominciare a guidarvi nella loro interpretazione, e poi per farvi capire che una funzione delle importazioni del tipo M = 0.004 Y2 non è poi così arcana, non è un parto della mia fantasia perversa (sai che soldi col romanzo erotico?), ma è, banalmente, quello che si trova quando si mettono due dati in un computer e si spingono un paio di tasti.

Ora, attenzione, qui prendetevi un tè, una camomilla, una grappa, insomma, qualcosa, perché dobbiamo fare il passo determinante per farvi capire come mai in recessione non si deve mai fare austerità (ma proprio mai mai mai). Sì, lo so che lo sapete, che ve lo hanno detto, ma in realtà non lo sapete, non potete saperlo, è una cosa un pochino tecnica.

Mettiamola così: mi appello al vostro animo piazzaleloretista: voi non siete quelli che vogliono appendere tutti per i piedi? Ma mica si può appendere uno per i piedi solo perché porta il loden! Eh no, non sta bene, soprattutto a Natale! Se volete farlo, io non sono e non sarò d'accordo, ma almeno esigo che lo facciate a ragion veduta, dopo aver capito quanto era evidente a ogni economista (lui compreso) che quello che stava facendo ci avrebbe condotto al disastro!

(...voi direte che abbiamo la sua confessione, ma quella è venuta ex post: io vi voglio dimostrare con evidenza matematica che quello che sarebbe successo lo sapeva benissimo prima).

Sono riuscito a motivarvi? La vostra stolida e improduttiva sete di sangue è stimolo sufficiente per incitarvi a capire?

Bene, allora mettiamo insieme due pezzi del discorso:

1) abbiamo visto sopra che le dimensioni del moltiplicatore dipendono da quelle della propensione marginale all'importazione:



Più m è grande, più piccolo è il moltiplicatore.

2) abbiamo visto anche che la propensione marginale è il prodotto dell'elasticità per la propensione media:

Quindi (rullo di tamburi) se in un modello l'elasticità è costante, la propensione marginale cresce con la propensione media. Ma:

3) quando l'elasticità al Pil è maggiore di uno, la propensione media all'importazione cresce col Pil, e quindi la propensione marginale all'importazione cresce col Pil, e quindi il moltiplicatore cala al crescere Pil, e aumenta al diminuire del Pil.

Questa proprietà delle funzioni normalmente utilizzate per rappresentare la realtà macroeconomica (perché ne rispecchiano il funzionamento) ci garantisce che in tempi di recessione il moltiplicatore keynesiano sarà più grande che in tempi normali, e che quindi in recessione i tagli avranno un effetto amplificato sul Pil.

Ed ecco l'esempio numerico: riprendo esattamente l'ultima tabella, dove però, a causa della recessione, il valore di partenza del Pil considero sia 93 anziché 100 (è diminuito del 7%).


Allora: col Pil che vale 93, i consumi valgono 0.75x93=69.75, le importazioni valgono 34.60 (fate il conto voi), e notate: il rapporto fra consumi e Pil (la propensione media al consumo) è esattamente quello di prima (0.75), mentre il rapporto fra importazioni e Pil (la propensione media alle importazioni) è diminuito da 0.4 a 0.37. Questo, ovviamente, perché siccome l'elasticità è due, alla diminuzione del reddito (denominatore) è conseguita una diminuzione più che proporzionale delle importazioni (numeratore) e quindi il rapporto è diminuito.

Ormai siete dei professionisti, e quindi sapete da voi che la propensione marginale all'importazione, cioè m, non sarà più 0.8 come prima: possiamo calcolarla come prodotto fra l'elasticità (2) e la propensione media (0.37), e troviamo (arrotondando) 0.75. Oppure, se non ci fidiamo, incrementiamo il reddito di uno: i consumi passano a 70.50 (aumentano di 0.75), mentre le importazioni aumentano di 0.75 pure loro... E allora vedete che il rapporto fra incremento assoluto delle importazioni e incremento assoluto del reddito è pari appunto a 0.75, cioè quando il Pil è pari a 93 la propensione marginale alle importazioni casualmente scende fino a diventare pari a quella alle importazioni.

Ora occhio, guardate il moltiplicatore!

Nel caso in cui il Pil partiva da 100, avevamo:

(è riportato nella tabbbella, quella con tre b), mentre quando il Pil parte da 93 abbiamo:

cioè il moltiplicatore aumenta.

E questo cosa significa?

Be', ve la ricordate la storiella della Ruritania e della Cracozia? Nell'esempio che stiamo svolgendo, in condizioni di recessione stiamo proprio come la Ruritania: moltiplicatore pari a uno significa che un punto di spesa pubblica in meno fa calare di un punto sia il debito che il Pil, quindi se il debito è 6/5=120% del Pil, dopo diventa 5/4=125% del Pil.

In condizioni più floride le cose non andrebbero così male: una diminuzione di uno del numeratore (via tagli alla spesa e al deficit) farebbe diminuire il denominatore solo di 0.95, e quindi si andrebbe solo al 123%!

Va bene, questi sono numeri ovviamente dati a caso, ma avete capito il messaggio?

Le dimensioni del moltiplicatore aumentano nelle fasi di recessione, semplicemente per effetto della fisiologica non linearità della funzione delle importazioni (fatto stilizzato universalmente riconosciuto in letteratura), che comporta che in condizioni recessive le "dispersioni" di reddito verso l'estero calino in modo più che proporzionale (m diminuisce), e quindi la spesa pubblica attivi un reddito proporzionalmente maggiore all'interno del paese. Nel modello di a/simmetrie il moltiplicatore è 1.5 in condizioni "normali" ma sale a circa 1.8 in presenza di una brusca recessione.

Non è un mistero: è quello che ogni economista sa e che, come ho cercato di spiegarvi, risulta da una banale ispezione dei fatti stilizzati macroeconomici (la costanza del rapporto fra consumo e reddito, che implica elasticità unitaria e propensione marginale al consumo costante, l'andamento crescente del rappporto fra importazioni e reddito, che implica elasticità vicina a due e propensione marginale all'importazione crescente).

Ne consegue che in recessione, dato che il Pil scende, per cui m diminuisce e il moltiplicatore aumenta, la politica di bilancio agisce sul Pil in modo più che proporzionale, il che consiglia di non usarla per tagliare, perché se tagli finisce come in Ruritania. Molto meglio usarla per sostenere il reddito, visto che un euro in più di deficit produce più di un euro di Pil.

Concludiamo
Lo so. Per molti di voi è stata una sofferenza. Ma altri hanno goduto. Però tiro le conclusioni, se posso.

L'osservazione di Francesco Lippi era acuta, ma risentiva di un problema pratico che il materiale che gli avevo fornito non documentava sufficientemente bene (colpa mia): il calcolo del moltiplicatore incorporava, a fine periodo, un anno di recessione estrema. Era quindi ovvio che il moltiplicatore si avvicinasse a due, e del resto, come sapete, questo è il valore che il Fmi suggerisce per economie in recessione nella sua stucchevole palinodia del 2012 (a pag. 41). D'altra parte, in condizioni normali il moltiplicatore del modello converge a 1.5, e questo è il valore che viene riscontrato da autori molto più autorevoli di me (secondo loro) e con metodo molto più sofisticati dei miei (secondo loro).

La bellezza (per chi può apprezzarla) di questo post consiste nel fatto di aver mostrato a chi ha fatto lo sforzo per capirlo che non c'è alcun bisogno di structural vector autoregressions, di regime switching models, e di altre menate simili, per giungere alla conclusione che il moltiplicatore aumenta nelle recessioni.

Basterebbe saper leggere un cazzo di grafico e sapere cos'è un logaritmo.

E lo sanno, vi assicuro che lo sanno.

La palinodia del Fmi è ipocrisia allo stato puro, purissimo, al 1000%, perché, vedete, che Alesina e Giavazzi coi moltiplicatori negativi delirassero si sapeva, e va bene così, ma che comunque il moltiplicatore fosse maggiore di uno in recessione lo si sapeva ugualmente. Nessun economista serio ha mai avuto dubbi. Avere dubbi su questo significherebbe non sapere la semplice algebra del moltiplicatore, che ormai sapete anche voi, significherebbe ignorare i più banali fatti stilizzati relativi all'andamento delle variabili macroeconomiche (come quelli riassunti dal grafico qua sopra), significherebbe aver dimenticato l'aritmetica per imparare le equazioni alle derivate parziali...


































Ah, voi dite che i miei colleghi...





























Be', in effetti, forse, almeno gli appellisti...
































Però, su, è Natale: veniamoci incontro. Se voi dite che i miei colleghi sono così imbecilli, vi credo, o almeno faccio finta. Ma allora voi in cambio promettetemi di non appenderli per i piedi: la loro minushabensitudine laddove provata, li renderebbe innocenti di fronte a qualsiasi tribunale!























Non appendeteli per i piedi...












































































































































...lo faccio io (metaforicamente e pacatamente, s'intende).



Buon Natale!


(ah, naturalmente la conclusione è che il moltiplicatore del modello è assolutamente standard, le sue dimensioni sono quelle convalidate dalla letteratura più recente e tecnicamente agguerrita, e in questo senso il modello è del tutto ortodosso e può essere considerato affidabile quanto qualsiasi altro modello di banca centrale o di centro studi - anzi, di più, perché è finanziato in crowd funding, e quindi qui se Squinzi telefona nessuno scatta sull'attenti. Appena avrete digerito questo cenone, useremo il modello per vedere cosa sarebbe successo se Monti non avesse fatto austerità. Quanto è costato Monti, con la sua decisione folle, a ogni italiano? Dobbiamo purtroppo escludere quelli ai quali è costato la vita: ma anche i superstiti hanno sentito una bella botta. Il conto si fa presto, basta un buon modello, e il nostro lo è, e Eviews 8.1. Ci vuole meno di un secondo - perché i modelli buoni convergono in fretta. Chi offre di più?)

(e mi raccomando, so che fa male, ma poi ci si abitua: se vogliamo parlare ad esempio di Russia in modo un po' più elevato di Tigellone o di Boldrin, dovete capire cos'è un'elasticità. Non ci sono santi. Altrimenti restiamo al permeismo puro. Sinceramente, ormai sarebbe il caso che ve ne affrancaste...).