L’economia esiste perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale. Per contribuire a una lettura più equilibrata della realtà abbiamo aperto questo blog, ispirato al noto pensiero di Pippo: “è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita”. Una verità semplice, ma dalle applicazioni non banali...
Lo spread per antonomasia è lo scarto fra il rendimento dei titoli di stato decennali italiani (BTP) e quello dei corrispondenti decennali tedeschi (Bund). Lo trovate in tanti posti, ad esempio qui, e oggi si presenta così (i mercati sono chiusi, quindi i dati arrivano a l'altrieri):
Senza negare l'importanza di questo indicatore, vorrei però segnalarvi un altro scarto, cioè spread: quello fra la crescita della Germania e la nostra. Qui metto prima la Germania, e sottraggo l'Italia, per avere omogeneità di lettura: così come è negativo che il rendimento del titoli italiani sia di molto superiore a quello dei corrispettivi titoli tedeschi (perché questo significa che i mercati finanziari percepiscono il debito italiano come più rischioso), altrettanto sarebbe negativo se la Germania crescesse molto più rapidamente dell'Italia, quindi costruendo così lo spread "reale" (quello fra i due tassi di crescita) possiamo leggerlo come lo spread "finanziario" (quello fra i due tassi di interesse).
Naturalmente il Pil non si misura ogni giorno, quindi lo spread "reale" può essere misurato solo a cadenza annuale o trimestrale.
Quello annuale è qui:
e ci vedete quello che sapete (la Germania è cresciuta più dell'Italia solo quando ha fatto dumping salariale a partire dal 2003 e quando ci ha imposto via sorrisetti la funesta austerità a partire dal 2012), mentre quello trimestrale ve lo fornisco per gli ultimi tre anni ed è qui:
Da quando ci sono i fascisti questo spread è nullo o negativo (insomma: quando le va bene la Germania cresce come noi, altrimenti di meno), e questo per gli antifascisti è un bel problema, perché se osserviamo la serie su un periodo più lungo:
magari isolando il periodo pre-pandemico, per evitare che i picchi della pandemia schiaccino troppo il profilo dei dati:
constatiamo che al glorioso ma ormai tramontato tempo dell'antifascismo lo spread fra tassi di crescita era per lo più positivo, a indicare che mentre la sinistra macellava i lavoratori l'Italia, stranamente, arrancava.
Questo lo dedichiamo a quelli che "ma la produzzzzione industriale sta diminuendo!"
E grazie... tante! Con Germania e Francia in recessione da un paio d'anni (e in calo di produzione industriale da quasi dieci, nel caso tedesco) che cosa volete che succeda al nostro Paese, dopo che voi gli avete legato il macigno europeo al collo?
Fra l'autunno 2022 e oggi abbiamo fatto quasi tre punti di crescita cumulata in più rispetto alla Germania: se per i tassi di interesse si usa la Germania come benchmark, usiamolo anche per la crescita reale, altrimenti il discorso è falsato! Dire che nel 2024 siamo cresciuti poco perché abbiamo fatto solo 0.7 sarebbe come dire che oggi i tassi di interesse sono bassi perché sono al 3% o negli anni '80 alti perché erano al 15%. Alti o bassi rispetto a cosa?
Il fatto è che nel 2024 la Germania ha fatto -0.2, quindi noi eravamo sopra di 0.9 (aiutatevi con la calcolatrice). Questa è la valutazione da fare, la variabile da controllare, e quella su cui riflettere. La affido quindi alla vostra riflessione.
Ai piddini, porelli, sta crollando il mondo addosso. Un certo smarrimento, quindi, lo si comprende, con il correlato bisogno di attaccarsi, in cotanto naufragio, alla festuca di un qualsiasi argomento consolatorio per loro, cioè denigratorio per il Paese, all'insegna come sempre del #fateskifen!
Purtroppo però i fatti, che hanno la testa dura, di questi tempi prendono sonoramente a sberle i nemici del Paese.
Guardate ad esempio lo spread, che da due giorni, nonostante i lugubri vaticini di tanti uccelli del malaugurio, se ne sta quatto quatto sotto i 100 punti:
a coronamento di una traiettoria discendente iniziata da quando ci siamo liberati di LVI:
Ma guardate anche e soprattutto come si sgretolano una dopo l'altra le fole autorazziste sulla superiorità etnica degli altri popoli europei, cioè sull'inferiorità ontologica degli italiani, quella pretesa inferiorità utilizzata dal PD per dimostrare agli stessi italiani come la loro unica speranza di redenzione consistesse nel votare per i superuomini di sinistra!
C'era una volta la Germania, locomotiva d'Europa (secondo i coglioni), cui avremmo dovuto ispirarci (ibidem), e che ora, porella, arranca un po':
"Fare come la Germania" oggi significherebbe andare in recessione per due anni di fila, cumulando un -0.6% di crescita su base trimestrale nello stesso periodo in cui noi Untermenschen abbiamo portato a casa un +1.4%. Nessuno dei nostri validi avversari è abbastanza intelligente da capire (o abbastanza onesto da ammettere) che questo esito lo avevamo previsto, lo dimostra il loro ossessivo ed ecolalico refrain della "competitività". Quasi tutti però sono abbastanza furbi da intuire che la canzoncina della Germania incanta ormai solo i gonzi.
Il nuovo argomento per denigrare il Paese quindi è: "Guarda come cresce la Spagna, che ha saputo usare bene il PNRR!" Ora, su come cresca la Spagna un'idea che la siamo fatta: coi soldi dei creditori esteri, seguendo una tradizione consolidata:
"Mi scusi, Bagnai, però lei non può negare che la Spagna stia facendo meglio dell'Italia per quanto riguarda il PNRR!" (direbbe con accenti inquisitori l'operatrice radiotelevisiva di turno). No, la cosa non sta così. Non è che io non possa: semplicemente non voglio negarlo, perché è inutile che lo faccia io! Lo fanno loro:
Mentre il motivo della crescita spagnola che vi ho segnalato io (il massiccio afflusso di investimenti esteri) è comprovato dai dati (e come!), quello continuamente citato dall'average Joe piddino (la Spagna cresce perché usa bene er pereperepere!) è, ahimè, disproved dai dati. La burocrazia borbonica resta tale attraverso i secoli (astenersi neoborbonici!), e in effetti la Spagna è indietro. I dati sono (come sempre) qui, nel Cruscotto del piano di ripresa e resilienza, da cui risulta che la Spagna ha raggiunto solo il 30% dei suoi obiettivi e pietre miliari:
e quindi sta messa decisamente peggio di noi che abbiamo realizzato il 43%:
nonostante che abbia avuto una allocazione di fondi del PNRR di entità comparabile alla nostra (loro il 10,9% del Pil, noi il 9,1%). Chi sta messo peggio però è la Polonia:
un altro di quei Paesi per cui si estasia il piddino: "Sò tanto organizzati, signora mia, e nun c'è 'na carta in terra!" (coi soldi nostri, ovviamente, ma questo è un altro discorso). Risultato deludente anche perché, non essendo scemi, loro di pereperepere ne avevano preso relativamente poco:
Appena (si fa per dire!) il 7.9% del Pil...
Qualche sera fa ero a cena con un po' di manager non banali. Questa idea che il pereperepere fosse stato indirizzato solo verso le cose che "non inkuinano" (quindi, ad esempio, che non ci fossero soldi per rifare le strade) li lasciava sconcertati. Certo, all'epoca fummo lasciati soli a denunciare questa assurdità, ma quando sei in minoranza è difficile che tu possa avere molta compagnia, e onestamente voci anche autorevoli, se intellettualmente oneste, si sarebbero condannate all'irrilevanza. L'importante è che ora abbiano capito e che sappiano che noi avevamo capito prima (e infatti veniamo ascoltati).
Due considerazioni conclusive (su cui potremo articolare, eventualmente, un paio di QED).
La prima è un educated guess: visto che i suoi ascari stanno messi peggio di noi, non so quanto la Germania insisterà nel suo atteggiamento draconiano (o, come sentii dire una volta a un operatore informativo, "dragoniano"). Considerate anche il fatto che il pereperepere andrebbe rendicontato l'anno prossimo (cioè ieri) e la Germania non sta al 97%, sta qui:
C'è quindi una probabilità assolutamente non nulla che venga proposta una extension (una proroga), e che in questo momento si stia facendo una infondata pressione psicologica (infondata perché in materia di pereperepere "er più pulito c'ha la rogna", come si dice a Roma), solo per precostituire una posizione negoziale di questo tipo: "Sì, vabbè, v'accordamo 'extenscion, ma però voi ce dovete accordà er rollover!" (ovvero: in cambio di tempi più razionali per la rendicontazione di questi lavori, si vorrà stabilire il principio che il debito non debba essere necessariamente rimborsato ma possa essere rinnovato). Ovviamente questo negoziato sarebbe nefasto per noi, significherebbe sdoganare una cosa che i tedeschi, quando non erano disperati, non volevano, cioè gli Eurobond. Tutto sta a vedere come reagiranno i tedeschi alla disperazione (normalmente non benissimo, ma pensiamo positivo).
La seconda considerazione conclusiva si aggancia a quanto dicevano i miei amici AD. La favola del piddino è che la munifica Europa ci ha fornito i fondi per farci diventare più produttivi e quindi più competitivi. La realtà di tutti i giorni è diversa: le amministrazioni che mi chiedono aiuto sono subissate da uno tsunami di adempimenti burocratici riferiti a opere che con la produttività non c'entrano una mazza: asili nido, piste ciclabili, una spruzzata di fotovoltaico... L'idea bizzarra che costruendo un asilo nido a Roccacasteldisotto i novantenni che ivi abitano, eccitati dall'odore dell'intonaco fresco e dalla visione delle placche "Finanziato coi fondi de Leuropa", si congiungano carnalmente a qualche loro coetanea partorendo ventenni che immediatamente inizino a produrre beni per "fare Pil" contiene diversi punti che non mi convincono, ma almeno è una narrazione in cui la produttività (e non solo) si innalza! Ma le piste ciclabili (aka "mobilità sostenibile"), in nome di Dio!, mi volete dire che diavolo c'entrano le piste ciclabili con la produttività? E quindi vi preannuncio quale sarà la prossima "sorpresa" (per gli altri) e QED (per noi): il momento in cui si scoprirà che questa fraccata di soldi serviva solo a comprare la nostra sottomissione, ma ovviamente non ad aumentare la nostra produttività, per il semplice e ovvio motivo che non è molto intelligente pensare che i nostri concorrenti ci aiutino a fargli le scarpe, ci aiutino cioè a diventare concorrenti ancor più produttivi e quindi temibili! Si scoprirà così che alla fine quello che Leuropa voleva era semplicemente aumentare la quota di nostra spesa pubblica da lei intermediata a uso e consumo dei suoi fini, e che quei soldi che abbiamo usato male pagandoli molto li avremmo dovuti prendere sui mercati quando costavano poco per utilizzarli meglio. Si scoprirà cioè che qualsiasi cosa ci avessimo fatto, coi nostri soldi, tranne quelle imposte dal PNRR, avrebbe dato un contributo significativo alla nostra produttività.
In fiduciosa attesa di questi due QED, vi saluto e vi auguro una buona serata...
P.s.: anche il simpatico utile idiota lettone ha poco da stare allegro. Il suo Paese sta messo così:
cioè peggio del nostro. So che un piddino non ci crederebbe mai, e nemmeno voi, ma almeno voi potete verificare... perché io vi ho messo in condizioni di farlo!
A commento del post precedente, visto che il tempo è poco e le domande sono tante, vi fornisco un breve contributo cotto e mangiato da Eurostat perché riflettiate sul senso e il nonsenso di certe valutazioni del tipo: "Ma se la Germania cresce poco perché i tedeschi sono ricchy!", e via argomentando (o meglio: provandoci):
Nel periodo fra 2018 e 2022, che a qualcuno, non so perché, sembrava particolarmente rilevante (io la penso diversamente perché è un periodo "disturbato" da eventi eccezionali, ma tant'è), il Pil tedesco è aumentato di 522 miliardi di euro, le esportazioni di 348 miliardi di euro, e il monte salari di 211 miliardi di euro, il che significa, ripercorrendo a ritroso, che non tutti i soldi che entrano a fronte di esportazioni vanno in salari, e che il Pil non aumenta solo per le esportazioni. Fatto sta che mentre la quota di esportazioni sul Pil è cresciuta dal 43% al 46%, la quota salari è scesa dal 44% al 43% e questo non è per nulla strano, come non è strano che si accumuli ricchezza in un Paese in cui gli investimenti (e quindi la crescita reale) sono repressi, dal momento che come dovreste sapere bene almeno fin da quando parlammo della Premiata armeria Hellas contabilità vuole che:
X - M = S - I
Quindi ovviamente a esportazioni nette positive corrisponde un'esportazione di risparmio (e un'accumulazione di ricchezza: è il mercantilismo, bellezza!). Il problema è sempre quanto sia sostenibile questo modello, il modello che forza gli altri a fallire sotto il peso del debito accumulato. Mi sembra che sia ormai una evidenza conclamata quella che nel 2011 era solo un educated guess: non è sostenibile, e infatti non si sta sostenendo.
La Germania è in recessione da due anni, se non ve ne siete accorti.
Tutto qua.
(...sono a disposizione dopo il primo turno delle amministrative per valutare se quello che micuggino o la tal banca d'affari ha detto della ricchezza dei tedeschi sia compatibile con quello che la contabilità nazionale ci racconta. Il semplice schema che vi ho proposto ci dice che qualche tedesco si è sicuramente arricchito, e che molto verosimilmente costui rientra nella classe di persone a bassa propensione marginale al consumo, cioè rientra fra i ricchi...)
Fin dall'inizio di questo percorso di divulgazione abbiamo chiarito che l'espressione "la Germania è la locomotiva dell'Eurozona" è fattualmente falsa. Parlando de "La locomotiva d'Europa e le locomotive della Germania" chiarimmo che all'epoca (2012) la crescita tedesca era alimentata dalle esportazioni nette verso l'Eurozona, che per l'Eurozona sono importazioni nette (e quindi sottraggono alla crescita). Dodici anni dopo, ne "I cretini e il saprofita d'Europa", abbiamo fatto vedere che nel frattempo, distrutto il mercato unico con le politica di austerità, la Germania si era rivolta ad altri mercati di sbocco, ma sempre reprimendo la sua crescita. Parlando de "La locomotiva tedesca (repetita juvant)" abbiamo fatto vedere che il tasso di crescita della Germania è stato strutturalmente inferiore a quello dell'Unione Europea, e quindi non si capisce come avrebbe potuto un Paese che, crescendo di meno, tira giù la media, avere il ruolo trainante che il termine "locomotiva" le attribuisce.
Oggi insisto su questo punto, che non sarà mai chiarito abbastanza, né mai abbastanza recepito (perché #alogomotivadeurozzona è come #erdebitopubblico) procedendo in due direzioni: in primo luogo, mostrandovi i dati di crescita dell'Eurozona depurati dalla zavorra tedesca; in secondo luogo, calcolando il contributo della Germania alla domanda di beni sul mercato unico, il mercato interno europeo.
Partiamo dal primo punto. Questo grafico:
riporta il tasso di crescita reale della Germania e dell'Eurozona depurata dalla Germania. Per costruire il Pil dell'Eurozona senza la Germania ho prima preso dal database OCSE il Pil di Germania ed Eurozona a valori concatenati ai prezzi del 2020. I dati partono dal 1970 per la Germania e dal 1995 per l'Eurozona, e quindi li ho retropolati utilizzando i tassi di crescita tratti dai World Development Indicators, dopo aver appurato che nei periodi in cui venivano riportati da entrambe le fonti i dati coincidessero. Sottratto così al volume del Pil dell'Eurozona quello del Pil della Germania ne ho calcolato la crescita, che vedete nel grafico. Può essere di aiuto qualche statistica riassuntiva:
Sull'intero campione 1961-2024 il tasso di crescita della Germania è 2.2%, quello del resto dell'Eurozona del 2.7% (lo 0.5% in più), e conseguentemente quello dell'intera Eurozona (Germania compresa) viene trascinato al ribasso al 2.6%. In due periodi la Germania cresce di più: negli anni '80, fino al 1992, e negli anni '10, per i motivi che abbiamo già ricordato (SME credibile negli anni '80, politiche della Bce negli anni '10). Gli intervalli campionari che vi evidenzio sono stati scelti con questa logica: il 1978 è l'anno della dichiarazione di voto di Napolitano contro lo SME, in cui lui dichiarava che la Germania praticava politiche di repressione della crescita (nei 17 anni precedenti era cresciuta al 3.8% di media contro il 5.1 dell'Eurozona!); il 1992 è l'anno della crisi dello SME; il 2009 è l'anno della crisi finanziaria globale; il 2020 è l'anno della pandemia. Sono tutti anni che marcano una rottura di sistema, in qualche modo. Lo scarto fra crescita dell'Eurozona e della Germania tuttavia non è mai stato così ampio come nei quattro anni dal 2021 al 2024, arrivando a 2.3 punti percentuali (da 1.1 a 3.4)!
Diciamo che la Germania non è mai stata una locomotiva, ma non le è mai accaduto di essere una zavorra così pesante come dopo la pandemia!
E con questo speriamo di aver chiuso l'annosa questione de #alogomotivadeurozzona (ma ne dubito).
Passiamo al secondo punto. La domanda di beni dell'Eurozona da parte degli Stati membri sono appunto le loro importazioni dall'Eurozona. La base dati International Trade in Goods (IMTS) del Fmi (quella che una volta si chiamava DOTS: Directions of Trade Statistics) permette di ottenere per ogni Paese membro dell'Eurozona le sue importazioni dall'Eurozona stessa. Sommandole, otteniamo il totale della domanda di beni dell'Eurozona espresso dai Paesi dell'Eurozona. Come per ogni somma, è possibile calcolare il contributo dei singoli addendi alla crescita del totale utilizzando la tecnica descritta ad esempio qui in appendice. Visto che la crescita tedesca è repressa, ovviamente lo saranno anche le sue importazioni, in particolare quelle dall'Eurozona. Questo però non significa necessariamente che il contributo della Germania alla crescita della domanda interna dell'Eurozona sia necessariamente piccolo: in effetti, la Germania, pur avendo una dinamica meno sostenuta, ha però dimensioni maggiori. Le due cose potrebbero bilanciarsi.
Fatti tutti i debiti calcoli e espressi i contributi in percentuale si ottiene questa tabella:
dove ci sono troppi numeri (spiaze!), ma in cui provo a guidarvi.
Intanto, se parliamo di Eurozona dobbiamo partire dall'ultima riga, quella che riporta il contributo medio sul periodo 1999-2024 (la durata - finora - dell'Eurozona). Da quando esiste l'Eurozona, fatto 100 il tasso di crescita delle importazioni dei Paesi membri da altri Paesi membri, la Germania ha contribuito solo per 13.3. La locomotiva in questo periodo è stata senz'altro la Francia, che ha contribuito per 17.9, mentre l'Italia ha contribuito solo per 11.1. Insomma, l'Eurozona non ha avuto una Lokomotive ma una locomotive. Se guardiamo al periodo post-pandemia riscontriamo però che il contributo maggiore lo dà l'Italia, a 14.1 su un totale di 100: più della Germania e della Francia. Naturalmente il nostro Paese ha dato il contributo minore negli anni '10, quando era stritolato dall'austerità (solo 9 su 100). Il resto della tavola è abbastanza leggibile e plausibile.
Attenzione però! Quello che vediamo qui è il contributo dei singoli Paesi alla domanda lorda di beni. Vediamo cioè quello che i singoli Paesi hanno aggiunto alla domanda del mercato interno europeo importando beni europei, non quello che hanno sottratto alla domanda del mercato interno europeo vendendo beni (esportando). Quello che aggiunge alla crescita altrui sono le importazioni nette di beni altrui. Ma questo calcolo, col vostro permesso, lo riportiamo a una successiva puntata. Basterà comunque ricordare che un Paese che, come la Germania, esprime in media il 27% del Pil dell'Eurozona contribuisce per meno del 14% alla crescita della domanda interna dell'area, mentre la Francia, col suo 20%, ha contribuito per il 18%.
Ci siamo detti più volte che l'espressione "locomotiva tedesca" è il marker del dilettante, della persona inadeguata, ignara dei dati e dei principali fatti stilizzati del mondo circostante; forse, potremmo dire: del politico (e non è antipolitica: è statistica)!
Eppure, una volta i politici non erano così!
Rileggiamo, ad esempio, le parole di Napolitano nella famosa dichiarazione di voto contro lo SME che trovate nello stenografico della Seduta di mercoledì 13 dicembre 1978, quando si chiedeva:
se cioè il nuovo sistema monetario debba contribuire a garantire un più intenso sviluppo dei paesi più deboli della Comunità, delle economie europee e dell’economia mondiale, o debba servire a garantire il paese a moneta più forte, ferma restando la politica non espansiva della Germania federale e spingendosi un paese come l’Italia alla deflazione.
Per Napolitano era ovvio che la Germania federale praticasse politiche di repressione della crescita. E del resto, ponendosi a dicembre 1978, quando lui pronunciava queste parole, i dati disponibili, che arrivavano fino al 1977, facevano vedere questo:
La crescita media della Germania dal 1961 al 1977 era stata del 3.8%, contro il 4.6% dell'UE (comprensiva della Germania, peraltro, cioè tirata giù dalla zavorra tedesca! Ma non ho ora il tempo di farvi il calcolo nettando dall'UE la Germania, operazione che porterebbe il tasso di crescita del resto dell'UE sopra al 5%...).
Napolitano, quindi, cosa strana per un politico e stranissima per un politico di sinistra, non negava la realtà: la conosceva, la riconosceva, e ci costruiva un ragionamento politico (molto semplice, peraltro: un Paese che ha interesse a crescere, anche per recuperare un importante divario territoriale, come è il caso dell'Italia, non ha interesse a legarsi monetariamente a un Paese come la Germania che va col freno tirato, perché rischia di andare in deficit commerciale a vantaggio del Paese che reprime la crescita).
Ma perché oggi tutti ripetono "lalocomotivatedesca, lalocomotivatedesca" (un po' come ripetono "erdebbitopubblico", "aspesaimproduttiva", ecc.)?
Forse le cose sono cambiate?
No, direi proprio di no:
Il tasso di crescita della Germania è stato inferiore, e spesso significativamente inferiore, a quello dell'Unione Europea in 40 su 63 anni, e le due eccezioni di un qualche rilievo, i due episodi di protratta crescita della Germania, corrispondono a circostanze che arrecavano alla Germania un ingiustificato vantaggio.
Il primo si verifica nei quattro anni fra 1989 e 1992, la fase finale dello "Sme credibile", quella in cui l'aggancio valutario fra Italia e Germania venne rafforzato (impedendo quindi alla Germania di rivalutare). Il secondo occorre nel periodo 2010-2014, in cui la Germania, dopo aver scatenato il panico sui mercati col discorso del private sector involvement, beneficiò di afflussi di capitali derivanti dalla sua fama di "porto sicuro" per i risparmi dell'Eurozona.
Fatti salvi questi due periodi, la performance della Germania è sempre stata inferiore alla media, tant'è che se costruiamo l'indice del Pil reale a partendo dai dati dei tassi di crescita il quadro che otteniamo è questo:
Nel periodo in cui il Pil della locomotiva europea si è moltiplicato per 5, quello del rimorchio tedesco si è moltiplicato solo per 4. Oppure, se volete vederlo in un modo diverso, potete considerare che il tasso medio di crescita sull’intero periodo è pari a 2,26 per la Germania, e 2,62 per l’Unione Europea, zavorrata da quella che quindi non è una locomotiva ma un rimorchio, cioè la Germania (i calcoli del tasso di crescita dell’Unione Europea non zavorrata li facciamo con calma un’altra volta a cortese richiesta).
Non è un caso: è una deliberata "politica non espansiva", come diceva Napolitano, corrispondente a un ben preciso orientamento ideologico, descritto ad abundantiam da Luciano Barra Caracciolo (ad esempio qui) ma anche da Machiavelli (e ne abbiamo parlato qui). Ha radici antiche, che non si possono estirpare, come credo sia difficile estirpare allo scorpione il suo pungiglione, senza causargli un danno irreversibile. Quindi, se si vuole rispettare la vita altrui, ma preservare la propria, meglio non prenderselo indosso, lo scorpione, nel traversare il fiume della Storia, cioè meglio non allearsi mai con i tedeschi, perché, come il grafico dimostra, se non ti pungono per avvelenarti, comunque ti intralciano con il loro desiderio di essere creditori netti, cioè esportatori di decrescita.
E quindi, quando sentite qualcuno dire "la locomotiva tedesca", non fategli notare che è un ignorante e un cretino: potrebbe offendersi! Ma non cedete, qualsiasi altra cosa brillante egli dica, alla tentazione di ritenerlo una persona intelligente, perché sarebbe un errore fatale.
Ieri su Twitter Savino Balzano chiedeva: “Che si fa?”. La famosa domanda leninista (“Che fare?”) che mi avete posto in tanti fin dall’apertura di questo blog, quattordici anni or sono. La mia risposta è stata concisa: “Gli si vota contro fino all’esaurimento (loro)”.
Oggi apprendiamo che Merz non ha avuto la fiducia del Bundestag. Non ho idea di come funzioni la costituzione tedesca e quindi non so se abbia altre possibilità e che cosa comporti questo sgradimento da parte di uno dei due rami del parlamento tedesco per le ambizioni del cancelliere in pectore. D’altra parte, da quattordici anni in qua quelli che sanno tutto qui siete voi, quindi vi leggerò con attenzione: magari qualcuno sarà anche un troll, ma certamente non è un operatore informativo, quindi vale la pena di leggerlo! 😉
Questo è un QED per motivi che dovrebbero essere evidenti: se gli si vota contro qualche risultato si ottiene. Certo, gli elettori tedeschi non hanno fatto #aaaaarivoluzzione o il gesto eclatante. Non stiamo assistendo alla vittoria (cioè alla sconfitta) definitiva. Ma sarebbe molto stupido non ammettere che un po’ di sabbia nell’ingranaggio è stata gettata, che questo è molto più di quanto ci potessimo aspettare fino a poco tempo fa, e che sta succedendo perché il popolo tedesco ha votato compatto per il partito osteggiato dal sistema. Duole ammetterlo, ma per una volta i tedeschi sono stati più intelligenti, o meno fuuuuurbi, di noi! Quale sia il partito nel mirino del sistema qui da noi è sufficientemente ovvio, e a chi segue il nostro percorso dovrebbero anche esserne ovvi i motivi, ma in tutta evidenza nelle scelte di voto di molti hanno prevalso altre “logiche". In molti, troppi, hanno ceduto alle sirene dell’astensione, quelle contro cui oggi la sinistra si scaglia, dopo averle strumentalmente schierate contro la Lega al tempo delle elezioni politiche, con un lavoro capillare su tutti i social media, al quale troppi hanno abboccato, nonostante che gli fosse stato mostrato che chi chiamava l’astensione per lo più non era un “rivoluzionario”, ma semplicemente un troll del PD che interveniva eseguendo una strategia assolutamente razionale ma anche chiaramente leggibile. Ovviamente, chapeau a chi ha saputo fare questa intelligente propaganda! Speriamo però che la giornata di oggi faccia capire a chi ci è cascato perché sarebbe meglio non cascarci…
Tanto vi dovevo, e anche qui abbiamo un interessante evoluzione da seguire con attenzione e rispetto.
Nel post precedente Ciaone ha chiesto come mai la Polonia abbia conservato la propria valuta nazionale, rilevando che questo le conferisce un vantaggio sugli altri Stati membri. Non ha reagito benissimo al mio caloroso "benvenuto fra noi!" che non aveva lo scopo di mettere lui di fronte alla sua ignoranza (non mi permetterei mai), ma di mettere tutti voi di fronte all'ignoranza del resto del mondo. Sono reduce da una serata in cui, sia pure in modo piacevole e per certi versi "progressivo", si è comunque reinventata la ruota, come dicono gli inglesi. Chi sta qui da un po' non ha idea di quale sia il suo vantaggio comparato sul resto del mondo, e anzi commette l'errore di pensare che quanto qui abbiamo appreso in quattordici anni di percorso comune, di mutuo arricchimento culturale, sia patrimonio condiviso.
Non è così!
Le domande che mi sono sentito fare questa sera denotavano una totale inconsapevolezza dell'esistenza di serie criticità (per essere gentili) nel progetto europeo, per non parlare poi di analisi di ordine superiore circa le motivazioni e la genesi di queste criticità. La gente semplicemente non sa, semplicemente non capisce che il suo mondo (il mondo in cui lei vive) è una loro rappresentazione (una rappresentazione orchestrata e gestita dai suoi nemici di classe). Nel momento in cui apri un giornale invece di un libro, hai già perso la lotta di classe, e di libri non ne mancano, e presto ce ne sarà uno particolarmente utile (anche se nel titolo c'è una parola particolarmente dannosa). I giornali puoi sì leggerli, ma solo dopo aver capito bene come vengono scritti, quale fabbrica del falso siano, quali stregoni della notizia ci lavorino.
Prendiamo una delle tante cose che secondo me pochi sanno: l'Eurozona non coincide con l'Unione Europea, che a sua non coincide con l'Europa e in questo momento è ad almeno tre "velocità" (cioè coesistono in essa tre regimi):
1) Stati membri (dell'Unione) la cui valuta è l'euro: Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Grecia, Slovenia, Cipro, Malta, Slovacchia, Estonia, Lettonia, Lituania, Croazia (dovrebbero essere venti, magari ricontateli, fosse successo qualcosa nella notte...);
2) Stati membri che conservano la valuta nazionale in virtù di deroghe (clausole di opt-out) definite nei Trattati: prima erano due (Regno Unito e Danimarca), ora ne è rimasto solo uno (sapete quale);
3) Stati membri che non hanno ancora adottato l'euro ma non beneficiano di una deroga, quindi a tendere lo adotteranno (in teoria): Svezia, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania, Polonia, Bulgaria;
e fino a qui siamo a 20+1+6=27 Stati membri dell'Unione, ma se ci riferiamo all'Eurozona dobbiamo sapere anche che esistono:
4) Stati non membri dell'Unione che hanno adottato l'euro in seguito ad accordi bilaterali: Andorra, Monaco, Vaticano e San Marino (piccoli, ma non trascurabili);
5) Stati non membri eurizzati, cioè che hanno deciso di adottare unilateralmente l'euro: Montenegro e Repubblica del Kosovo,
dove la differenza fra (4) e (5) è che i Paesi sub (4) possono coniare monete (ma non stampare banconote), mentre i paesi sub (5) (cioè gli "eurizzati") non possono nemmeno coniare le monete.
Vi sembra abbastanza complicato?
No, è peggio di così, perché, ad esempio, non tutti gli Stati la cui valuta non è l'euro lasciano fluttuare liberamente il cambio. Basta fare il disegnino (sono solo 7):
Sicuramente il leu si è svalutato molto, il forint ha ceduto in misura minore, zloty e krona hanno avuto alterne vicende e la koruna invece si è tendenzialmente rivalutata (nota bene: sono quotazioni incerto per certo, quindi se salgono significa che ci vogliono più unità di valuta nazionale per acquistare un euro, cioè che la valuta nazionale vale meno). Se togliamo queste cinque valute, noteremo una differenza fra le restanti due:
il lev (che non ha opt-out)ha cambio praticamente fisso (a parte qualche mal di pancia iniziale), mentre la krone (che ha un opt-out) oscilla in una banda ristretta, nonostante formalmente entrambi abbiano adottato (la Danimarca non essendo tenuta a farlo) il regime ERM-2 o AEC-2 che dir si voglia. Quindi, pensate un po': dei due Paesi con opt-out, uno lasciava fluttuare il cambio (il Regno Unito) e l'altro no (la Danimarca), quest'ultimo era entrato in banda di oscillazione ristretta non essendo tenuto a farlo, mentre la Bulgaria in realtà non è esattamente entrata in banda di oscillazione ristretta (il che comporterebbe che stesse iniziando il suo percorso verso l'euro), ma ha semplicemente ereditato un precedente aggancio valutario con il marco tedesco (un currency board in vigore dal 1997), e se l'è tenuto, difendendolo con qualche difficoltà, il che significa però che è di fatto nell'euro, pur non essendo un Paese eurizzato.
Se vi è venuto un lieve mal di testa vi capisco, considerando che siamo a circa sette diversi regimi, e ovviamente non stiamo considerando l'Europa non unionale, che presenta Stati non banali come Svizzera e Norvegia.
Ora: quanti di voi la sapevano tutta? O, di converso, quanti di voi identificavano "Europa" e "euro"?
Se facciamo un focus sulla Polonia, il Paese che interessava a Ciaone, la situazione è questa:
una bella svalutazione di quasi il 30% in occasione della crisi del 2009, descritta a pag. 75 de L'Italia può farcela, poi recuperata, e da lì in avanti una tendenza alla svalutazione fino al 2022, poi recuperata anch'essa.
Ora, a voi è stato raccontato che l'euro è stato fatto per non indurci in tentazione, per non farci svalutare, ma vi ho spiegato e mostrato coi fatti che la realtà era un'altra: il suo scopo era quello di impedire alla Germania di rivalutare, lo scopo dell'euro era cioè di inibire un meccanismo di mercato che avrebbe corretto il gigantesco surplus tedesco, che la Germania non voleva correggere. Ma le cose stanno peggio di così! Eh sì, e dovreste averlo capito: perché mentre da un lato la Germania manipolava la propria valuta impedendole di rivalutarsi in modo da conservare competitività di prezzo rispetto ai Paesi terzi (fra cui gli Stati Uniti), dall'altro, però, uno dei suoi principali subfornitori, la Polonia, che è il secondo Paese di provenienza delle sue importazioni dopo gli Stati Uniti, svalutava progressivamente la propria valuta, cioè la Germania (l’euro) si rivalutava rispetto allo zloty, rendendo così sempre più convenienti la componentistica e i semilavorati polacchi per l'industria tedesca.
Insomma: la Germania, con questo bel guazzabuglio di arrangiamenti monetari a millemila velocità, è riuscita nel duplice scopo di manipolare al ribasso la propria valuta verso i suoi clienti, mentre beneficiava di un ribasso della valuta dei suoi fornitori! Vendi sottoprezzo e ti rifornisci sottocosto: che vuoi di più dalla vita? Guadagni competitività perché svaluti rispetto al dollaro e perché rivaluti rispetto allo zloty, cioè lo zloty svaluta rispetto a te...
E così abbiamo anche risposto alla domanda di Ciaone: "a chi faceva comodo?". La domanda non è mal posta, ma forse un po' superflua. I rapporti di forza vigenti finora rendevano la risposta sufficientemente ovvia: a chi comanda(va), cioè alla Germania. So che molti di voi storceranno il nasino, ma against this backdrop qualsiasi cosa faccia comandare un po' di meno la Germania mi sembra debba essere visto come un successo, o almeno come la mitigazione di un danno, anche se comporta scelte geopolitiche urticanti per alcune sensibilità.
Liberi voi di pensarla diversamente: io la penso così, e credo di avervi spiegato oggi il perché.
Un paio di anni fa vi feci vedere che prima della Strafexpedition tedesca (per restare in tema di 25 aprile) contro gli Untermenschen colpevoli solo di aver acquistato beni tedeschi gli squilibri commerciali fra Paesi europei erano rimasti all'interno dell'Eurozona. Falcidiate le popolazioni periferiche con una raffica di austerità, nell'inverno del '43 (no, scusate, quelli erano i Limmari, che ora risarciremo, forse, coi soldi del PNRR, cioè coi soldi nostri), nell'inverno del '13 la Germania, non potendo invadere la Polonia, che ora si difendeva con l'arma più potente (la flessibilità del cambio) invase gli Stati Uniti con le proprie auto:
Questo è il grafico che vi mostrai all'inizio del 2023 nel post sui banchieri filantropi, mentre qui trovate l'analisi più dettagliata che ho esposto al nostro convegno del 5 marzo, descrivendo 50 anni di squilibri europei e globali:
Non sapevo, nonostante che gli squilibri globali fossero già all'epoca un mio tema di ricerca, e apprendo oggi da un amico che se ne era nel frattempo dimenticato, che un paio di anni prima che l'Unione Europea adottasse, sotto l'egemonia del Reich millenario, politiche deliberatamente volte ad alimentare questi squilibri, uno de passaggio aveva esplicitamente chiesto ai Governi del G20 di attuare politiche per ridurli:
E no, non lo mandava Trump: lo mandava Obama! Pensate un po'! Quello che Draghi è venuto a farfugliare in Senato, Geithner lo diceva chiaro e tondo al G20 quindici anni prima (nell'anno 1 a.G.):
Ci sarebbero diverse riflessioni da fare, ma vado di corsa perché devo essere alle 20 a Bucchianico per accogliere l'ex direttore amministrativo dell'Ospedale San Giacomo di Roma. Mi limito a quella ovvia: le istituzioni multilaterali hanno fallito nel guidare i Governi mondiali verso una soluzione cooperativa di quello che veniva all'epoca percepito come un problema, e l'Unione Europea, addirittura, implementò due anni dopo il richiamo di Geithner politiche che andavano frontalmente contro l'idea di spostare l'asse della crescita dalla domanda esterna alla domanda interna, e lo fece perché questa è la sua natura, perché sono i suoi Trattati a chiederle di comportarsi in modo "competitivo" (cioè beggar-thy-neighbour): citofonare Barra Caracciolo per esaustiva trattazione del tema!
L'Unione Europea resta quindi una minaccia per un ordinato e pacifico sviluppo dell'economia mondiale, anche se mi rendo conto che questo sia impossibile da far capire a quelli che dopo aver cacciato (da soli?) i tedeschi dalla porta, li hanno poi fatti rientrare dalla finestra, costringendoci per la seconda volta in un secolo a condividerne il destino, quando la principale lezione della Storia del XXI secolo era proprio che convenisse tener separata la propria politica da quella di nazioni animate da una grottesca Wille zur Macht. Legarsi al più suicida dei nazionalismi non è combattere il nazionalismo, ma hai voglia a insistere: è un dialogo fra sordi, o, forse, come si direbbe a Roma, fra sòrdi (cioè fra grandi capitali).
E ora vado a riverire una persona che ha fatto del bene, perché ha saputo cambiare vita.
Non poteva che finire così: l'autore del blog che non c'è non poteva che diventare il rappresentante di una Regione che non c'è, la cui arte, geografia, storia non fanno parte del bagaglio culturale dell'italiano colto. Dell'orso sanno tutti, delle piste da sci troppi, degli arrosticini molti, i più ardimentosi si spingono fino ai trabocchi, i più appassionati ricordano gli alianti di Skorzeny, i più dotti (forse) Bominaco, o Saturnino Gatti, o (ma la vedo difficile) Andrea De Litio, e poi, va da sé, qualcuno conosce Flaiano, molti credono di conoscerlo, e tutti conoscono D'Annunzio (o pretendono di conoscerlo).
Dimentico qualcosa, di quanto sapete voi?
Lo confesso: all'inizio (e parlo quindi di vent'anni fa, perché sono ormai vent'anni che lavoro in Abruzzo, e sette che indegnamente lo rappresento), quando giravo per certe città o paesi di questa Regione (di cui comunque preferivo, nella mia connaturata misantropia, le creste e gli altopiani isolati) non potevo nascondere un sentimento di sufficienza nell'imbattermi in spiacevoli soluzioni di continuità: talvolta un rudere diroccato, o un cumulo di macerie, o ancora qualche palazzina moderna, tutta cemento, intonaco e alluminio anodizzato. Lacerazioni vistose del tessuto architettonico dei centri storici, niente a che vedere col travertino di Montepulciano o col cotto di Pienza, i paesi della mia infanzia, pressoché intatti nella nitidezza del loro disegno rinascimentale; episodi che prima facie se non a trasandatezza o scarsa attenzione delle amministrazioni, potevano rinviare a storie di povertà, economica o culturale che fosse. Solo da poco ho capito una cosa che non sarebbe poi stato così difficile intuire, soprattutto a conoscere la storia dell'Abruzzo: se tanti borghi hanno perso in tutto o in parte il loro fascino antico, i loro palazzi gentilizi, le loro chiese, le loro case dagli infissi squadrati in pietra scolpita dagli scalpellini di Pennapiedimonte, le loro ringhiere in ferro battuto dagli artigiani di Guardiagrele o di Pescocostanzo, se il loro tessuto urbano è così dolorosamente lacerato, se presenta cicatrici così mal rabberciate e risarcite, un motivo c'è, ed è un motivo commovente e angoscioso, che mi fa guardare con affettuoso e coinvolto rispetto, considerandolo come testimonianza di un impreveduto e immeritato martirio, ciò da cui prima distoglievo un po' altezzosamente lo sguardo.
La Regione che non c'è è stata vittima della sua geografia che nessuno conosce, ma che la Wehrmacht conosceva bene. Si vis pacem, para bellum, e i tedeschi, in questo affini al vostro autore preferito, pensando che se qualcosa avesse potuto andar male lo avrebbe fatto, prima che le cose cominciassero ad andar male avevano mandato, travisati da turisti, dei loro cartografi a zonzo per l'Italia centromeridionale, alla ricerca di linee che si prestassero a organizzare una difesa. The Hamptons is not a defensible position, ma la sinistra orografica del Sangro (sarebbe il versante Nord, per quelli meno addentro) lo è, oh se lo è!, soprattutto, ça va sans dire, se la potenziale minaccia si immagina possa arrivare da Sud. E così i monti Pizzi, e in particolare Pizzoferrato, da dove si vede tutto, da Vasto alle montagne dello spartiacque, attrassero la loro attenzione, quella dei cartografi, e qui venne attrezzata la linea Gustav, dove vi ho portato in più di una diretta Facebook. Più in generale questa Regione, fatta di fiumi (Trigno, Sinello, Sangro, Aventino, Moro, Foro, Alento, ecc.) che scendono a pettine dalle montagne verso il mare, perpendicolarmente, creando altrettante trincee, fu il luogo dove si combatté una battaglia di ferocia uguale a quella combattuta a Ovest della cresta spartiacque, ma totalmente caduta nel dimenticatoio. Di Montecassino saprete tutti, ma della battaglia del Sangro credo sappiano pochi. La cosa che perdevo di vista era appunto questa: quello che ha fatto perdere a tanti paesi il loro antico fascino, preservato integralmente in pochi casi (Pescocostanzo fra tutti), è proprio questo: i Liberator dei liberatori, e gli Immergrün degli invasori.
Città come Orsogna, o Castel di Sangro, o la stessa Ortona
vennero completamente piallate dall'artiglieria, mentre i tedeschi resistevano alla pressione dell'ottava armata inglese di Montgomery, e dei reparti alleati: canadesi, neozelandesi, poi polacchi. E certo oggi Tommaso riposa in una diversa basilica:
che ma un motivo c'è, e va ricercato nella storia.
Una storia cui si intrecciano tante altre storie di eroismo e di viltà, fra cui suggerirei, per chi non la conoscesse, quella della brigata Maiella, che ha avuto uno dei suoi episodi culminanti proprio nella chiesa in cui ho inciso il mio ultimo disco:
(se ingrandite, vedrete nell'abside i fori delle pallottole, che i cittadini di Pizzoferrato non hanno voluto stuccare - e hanno fatto bene!).
Qualche mese fa (era a gennaio), salendo lungo la costa a Ortona da San Vito, dove ero stato a incontrare un collega per apprendere da lui alcune delle mille storie del mio collegio (perché anche questo fa parte dell'impegno che ho preso con i miei elettori: avere l'umiltà di ascoltare chi ne ha viste più di me), avendo, per una volta, tempi non troppo contingentati, mi sono lasciato tentare da una deviazione:
Their name liveth for evermore!
Quando c'è, perché alcuni sono ignoti, cioè, come si dice nella loro lingua:
Known unto God (ed ho imparato che questa formula così ispirata ed espressiva era stata scelta da un poeta nominato dalla Imperial War Graves Commission: ci sono anche burocrazie che funzionano...). Tirava un vento porco, ma non sentivo freddo (era l'11 gennaio e poi l'avrei pagata). Erano i canadesi: passavo in rassegna smarrito e colpevole il loro schieramento:
più ordinato e solenne di quello dei miei VAM di Torricola, e pensavo che l'inglese, in fondo, è una bella lingua:
o almeno così risultava, in quelle lapidi, al confronto con la da me tanto amata e frequentata lingua francese. La sintesi e la concisione conferivano alla lingua imperiale una potenza certo amplificata dalla sacralità del luogo.
Poi, a Ortona, a casa di un altro rispettabile politico di lunga esperienza, mi sono imbattuto in un bel libro sulla battaglia di Ortona, apprendendo così dell'esistenza del "Moro river":
Chissà che età aveva il ragazzo della prima foto, chissà se ha portato la pelle a casa, se ha ancora un nome, o se è noto solo a Dio. Chissà che cosa stavano osservando i suoi occhi sgranati sotto al Brodie. Chissà se ci era voluto venire, sulla sponda Sud del Moro river, o se ce lo avevano costretto, o se non si era posto troppe domande, nel partire, ritenendo che quello fosse un suo dovere, o magari ignorando che cosa questa decisione, presa o subita, significasse: fango, sangue, terrore... Noi oggi non possiamo concepire, perché non vogliamo vedere. Sta succedendo ancora, non ha mai smesso di succedere, quelli che ci hanno propinato il mito irenico dell'Europa sono gli stessi che non hanno voluto, e tuttora non vogliono, fare i conti con quello che è successo, perché vogliono rimuovere quanto sta succedendo, e soprattutto il perché stia succedendo, e il perché potrebbe succedere di nuovo (cioè il perché potrebbe succedere a noi, perché è sufficientemente chiaro, e la storia dei punturini ce lo ha definitivamente chiavato in testa, che finché non succederà a noi non capiremo che la Storia non è finita).
Vorrei dirvi molte altre cose, ma devo dormire. Non mancheranno occasioni.
(...oggi, rientrando da Pizzoferrato verso Fortunati con Rex,
a Casale Greci - c'è anche Casale Turchi, Pizzoferrato è stato costretto all'inclusività dalla sua lunga storia - due cani ci hanno aggredito. Pareva ce l'avessero con lui, che non si sottraeva. Devo dire che la mia prima reazione è stata quella di lasciare che se la spicciassero da soli. Ho sempre avuto paura dei cani: l'appostismo non è una loro virtù, la troppa confidenza con l'uomo li rende pericolosi. Quando poi ho capito che Rex era in difficoltà, ho pensato che fosse troppo facile abbandonare al suo destino qualcuno che aveva avuto la cortesia di accompagnarmi dove avrei preferito non essere solo, e allora ho fatto l'uomo: ho deciso che comandavo io, che in cima alla piramide alimentare c'ero io - anche se a mani nude avrei potuto essere smentito - e mi sono convinto di avere coraggio, "facendo brutto" ai due aggressori. Ripristinata la gerarchia naturale - cioè artificiale - delle cose, Rex si è venuto immediatamente a rifugiare fra le mie gambe, come mi hanno detto che facciano i cani quando sentono il lupo - o una sua convincente imitazione - mentre io invitavo col mio proverbiale garbo i suoi distanti cugini ad andarsene per i fatti loro. Evidentemente sono riuscito a convincerli che non mi spaventavano, ma non era così. D'altra parte, Rex è community, ormai - e qualcuno di voi sa che per quanto vi possa trovare appiccicosi e indigesti, quamdiu fecistis uni de his fratribus meis minimis, mihi fecistis. Entro certi limiti, non sempre gestibili, la paura è una scelta. Sarebbe bello non dover sondare questi limiti, ma purtroppo, come ci ricorda questo racconto, e la sua foto d'apertura, questo non è sempre possibile. Non abbiate paura... o almeno non fatelo vedere!...)
Per gestire le interazioni nella cloaca nera ci eravamo dati leggi e regole, riportate in questo post.
Quella che oggi fa al caso nostro, come vedremo più avanti, è la seconda legge, quella sulla baio in inglisc, detta anche sindrome di LinkedIn, che sarebbe questo ricettacolo di cretini autoreferenziali:
(penso di essere stato il primo a iscrivermi e il primo a cancellarmi in Italia: il video non è vero, perché è satirico, ma proprio per questo è particolarmente veritiero).
Come abbiamo amaramente constatato più volte, il baio è un cavallo (piuttosto diffuso), ma il "baio in inglisc" (altrettanto e più diffuso) è un somaro, o forse, visto che quasi sempre è specializzato, un cretino, dato che "oggi anche il cretino è specializzato" (come Flaiano aveva intuito), dal che desumiamo, peraltro, che tutti i cretini sono specializzati ma non tutti gli specializzati sono cretini (anche se trovare gli esempi del contrario è impresa progressivamente più ardua).
Con questa premessa, il cui senso si chiarirà leggendo, consentitemi di introdurvi l'argomento di oggi.
Il grafico sul declino dell'Eurozona:
introdotto in questo post, nella sua fredda e irrefutabile eloquenza ha dato parecchio fastidio. Eppure, un pattern, un andamento simile è esattamente quello che dovremmo aspettarci dall'Eurozona così come ce l'ha descritta Draghi! Per capire cosa intendo, però, occorre prima un breve ripasso de #lebbasi. Permettetemi quindi di ripetere brevemente che cos'è e come si misura il Pil. Questo servirà anche a fare un discorso di verità sull'intelligenza artificiale, strumento caro ai cretini naturali.
Che cos'è il Pil?
Di questo abbiamo parlato infinite volte (una delle ultime qui). In buona sostanza, in un'economia di mercato il valore della produzione realizzata in un determinato lasso di tempo coincide col valore delle remunerazioni erogate ai fattori produttivi che l'hanno posta in essere e col valore della spesa effettuata per acquistarla. I tre concetti devono coincidere: in un'economia di mercato si produce per vendere (quindi il valore della produzione coincide con la spesa) e si vende per guadagnare (quindi il totale della spesa coincide col totale dei redditi distribuiti). Ne consegue che i tre metodi di calcolo del Pil (quello del valore aggiunto, quello della spesa, e quello dei redditi), cui corrispondono tre diverse definizioni di Pil, conducono necessariamente allo stesso risultato. Una delle infografiche più chiare su questo tema è questa:
Ora, è parte della mia, e credo anche della vostra esperienza quotidiana, il fatto che chi parla di economia generalmente non abbia alcuna idea di che cosa sia il Pil.
Le distorsioni ideologiche della teoria della decrescita si basano appunto sul non comprendere che cosa sia il Pil, come spiegammo in uno dei primissimi post di questo blog (togliendoci dai coglioni una legione di invasati), semplicemente perché il mondo più pulito e come oggi si dice "sostenibile" che in teoria vorrebbero i decrescisti è un mondo con più, non meno Pil, dato che le tecnologie che consentono di ridurre gli impatti ambientali richiedono investimenti e consumi piuttosto ingenti (e quindi per definizione non puoi avere riduzione degli impatti ambientali senza aumento di Pil).
Un altro dato che emerge nitido a chi sa che cosa sia il Pil è che un incremento della spesa pubblica è in re ipsa un incremento di Pil. Il motivo è semplice: la spesa pubblica considerata nella definizione di Pil corrisponde ai consumi di servizi pubblici da parte dei cittadini (consumi collettivi), e siccome questi servizi pubblici non hanno un prezzo di mercato (il poliziotto che regola il traffico o interviene dopo un incidente non vi rilascia fattura, come non lo fa il medico di pronto soccorso o l'insegnante di vostro figlio), vengono misurati con un particolare criterio di imputazione: con la somma delle retribuzioni corrisposte a chi materialmente li eroga (i dipendenti pubblici). Capite quindi anche come questa spesa entri nella definizione di Pil dal lato delle retribuzioni (i consumi collettivi sono in re ipsa retribuzioni). Ovviamente questo non significa che "allora basta aumentare gli stipendi degli statali per fare Pil!" o altre sparate del genere. Significa però che quando si ipotizza che un aumento della spesa pubblica di un euro porti a 0.5 euro di aumento del Pil si sta dicendo che qualche altra voce del Pil diminuirà di 0.5 per effetto dell'aumento dei consumi collettivi, e di converso che quando si ipotizza che un taglio di un euro della spesa pubblica porti a una diminuzione di 0.5 euro del Pil si ipotizza che qualche altra voce di domanda aumenterà di 0.5 euro. Siamo sicuri che sia sempre così? In Grecia non è andata così, come hanno poi ammesso i criminali che l'hanno massacrata.
Infine, non vi sfuggirà che per mera necessità algebrica un taglio dei salari (cioè delle retribuzioni) è un taglio del Pil, anche perché è, per forza di cose, un taglio della spesa (se meno soldi vengono corrisposti al fattore lavoro, meno soldi vengono spesi dai lavoratori e meno soldi vengono fatturati dalle aziende) e quindi un taglio della produzione. Anche qui, è chiaro che il discorso non finisce qui: ma è da ignoranti non sapere, e da cretini non ammettere, che il primo effetto di un taglio dei salari è per definizione un taglio di Pil. Con questa informazione, il grafico del declino europeo diventa immediatamente più leggibile, se ricordiamo le parole di Draghi...
Come si misura il Pil?
Dobbiamo però fare un approfondimento sulle possibili misure del Pil.
Consideriamo per fissare le idee il calcolo dal lato della produzione (metodo del valore aggiunto). Ogni singolo Paese offre una quantità sterminata di prodotti eterogenei, non tutti materiali e tangibili (non ci sono solo merci ma anche servizi, e ci sono anche elementi intangibili come i marchi o i brevetti, che pure si scambiano...). Ovviamente, "sommare le pere con le mele" è impossibile! Quello che è possibile è sommare il valore delle pere e delle mele (e dall'acciaio, e di una cura canalare, e di un concerto, e di un appartamento, ecc.). Per ottenere il valore di una data produzione ci occorre sapere qual è il prezzo di mercato del prodotto, dopo di che moltiplicando le quantità prodotte per il loro prezzo si ottiene il valore monetario di quella produzione, che sommato ai valori di tutte le altre ci dà il valore complessivo del prodotto, cioè il Pil (che coincide con i redditi corrisposti ai fattori produttivi e con la spesa effettuata da residenti e non residenti per acquistare il prodotto realizzato).
Tutto chiaro?
In caso affermativo, siete già sopra il nono decile di chi parla di economia sui grandi media. In caso contrario rileggete, perché "io più chiaro di così non lo so dire" (cit.), o meglio: saprei certamente dirlo, ma non credo sia opportuno più di tanto per un docente seminare il degrado incoraggiando l'imbecillità. Magari non sempre si riesce a incoraggiare una riflessione, ma anche se potrei farvi il disegnino con una pera e una mela, i rispettivi prezzi, ecc., mi spiace, ma qui mi rivolgo a persone dotate di capacità di astrazione, che poi sono le uniche che possano capire. Alle altre puoi dare l'illusione di aver capito, ma senza astrazione non c'è comprensione.
Sorgono a questo punto almeno due ordini di problemi che i più acculturati di voi già conoscono, i più vispi avranno intuito, e per gli altri esplicitiamo.
Confronti intertemporali: pil nominale, reale e deflatore
Dice: non si sommano i prodotti fisici ma il loro valore e quindi occorrono i prezzi di mercato.
Sì, va bene, ma i prezzi cambiano per via dell'inflazione! E quindi: prezzi di mercato di quale anno?
Qui subentra la differenza fra Pil nominale e reale. Se la produzione di ogni anno viene valorizzata ai prezzi di ogni singolo anno (accettando quindi il rischio di scambiare per aumento della produzione un mero aumento dei prezzi) otteniamo il Pil nominale (il termine "nominale" in economia indica le grandezze calcolate a prezzi correnti). Se invece la produzione di ogni anno viene valorizzata ai prezzi di un determinato anno preso come base di riferimento (assicurando così che ogni aumento del Pil corrisponda a un effettivo incremento dei volumi fisici di produzione) otteniamo il Pil reale (il termine "reale" in economia indica le grandezze depurate dall'effetto dei prezzi, cioè calcolate a prezzi costanti, prendendo i prezzi di un anno base).
Se chiamiamo Y (maiuscolo) il Pil nominale e y (minuscolo) il Pil reale valgono queste relazioni:
dove p è il deflatore del Pil, un indice aggregato di prezzo che può essere utilizzato per calcolare il tasso di inflazione (gli altri indici utilizzabili sono il deflatore dei consumi privati e l'indice dei prezzi al consumo: la logica sottostante a ognuno di essi è diversa e diversi sono i risultati, ma qui si entra in sottigliezze per voi superflue).
Confronti internazionali: dollari e PPP
La differenza fra reale e nominale ci aiuta a intendere correttamente l'evoluzione del Pil nel tempo. Ad esempio, se siamo interessati a valutare la produttività, è chiaro che la misura che ci occorre è quella reale, perché altrimenti basterebbe una ventata di inflazione a farci sembrare più produttivi! I confronti intertemporali sono utilissimi e comunque centrali nell'agenda politica: tutte le gnagne dell'opposizione in questi giorni sono concentrate proprio su un confronto intertemporale, il tasso di crescita (che confronta il Pil di domani con quello di oggi, o quello di oggi con quello di ieri).
C'è un altro tipo di confronto però che riveste particolare importanza, e se guardate il grafico da cui siamo partiti capite subito qual è: il confronto internazionale.
Qui la difficoltà è dovuta al fatto che in Paesi diversi generalmente si usano valute diverse (salvo i casi miserevoli e miserabili di Paesi che decidono di concludere quel matrimonio infelice noto come "unione monetaria"), e quindi non avrebbe particolarmente senso confrontare direttamente i valori del Pil, sia esso nominale o reale, ognuno espresso in una diversa valuta, ovvero in una diversa unità di misura! Si ritornerebbe al caso delle mele e delle pere!
Per fare un esempio: se prendiamo il reddito pro capite in valuta locale (LCU, Local Currency Units) a prezzi correnti
sembrerebbe proprio che in Tanzania si stia meglio che negli Stati Uniti (questi dati e i successivi sul Pil sono tratti dai WDI), e che in Afghanistan non si stia poi così peggio rispetto all'Italia. Qui il problema non è tanto il tasso di inflazione, tant'è che se invece di prendere le serie a prezzi correnti prendiamo quelle a prezzi costanti il risultato è sostanzialmente inalterato:
(unica differenza: così pare che alle Bahamas si stia meglio che in Italia...). Le cose cambiano se misuriamo tutte le serie in dollari, e naturalmente potremmo farlo a prezzi correnti:
e già da qui si ottiene un quadro leggermente più compatibile con quello che sappiamo del mondo, ma ovviamente il confronto più sensato è anche in questo caso quello depurato dall'inflazione, cioè a prezzi costanti:
ancora più nitido. Il senso, molto semplicemente, è che 2.916.849 scellini della Tanzania equivalgono ad appena 1093 dollari a prezzi 2015, e quindi no: non sono più ricchi i cittadini della Tanzania (strano, vero?).
Ora, per avvicinarci al discorso del cretino specializzato, devo dirvi una cosa che da specializzato non cretino a me non sfugge, ma potrebbe sfuggire ad altri. Il tasso di cambio è un prezzo. Questo significa che se consideriamo serie misurate in dollari ai prezzi del 2015, stiamo in effetti parlando di serie misurate ai prezzi e al tasso di cambio del 2015.
In altre parole, se si raffrontano serie a prezzi costanti espresse in una comune valuta di riferimento (il dollaro) si effettua un confronto che è depurato non solo dagli effetti dell'inflazione, ma anche da quelli di apprezzamenti o deprezzamenti del cambio. Questo uno specializzato non cretino lo sa (e discende dalla definizione di tasso di cambio: prezzo relativo fra due valute), mentre un cretino specializzato potrebbe tendere a ignorarlo.
Cerchiamo di dare un senso ordinato a questa riflessione, con un esempio concreto, riguardante il nostro Paese. Lo facciamo con questa tabella, che riporta le varie misure del Pil nazionale e i loro rapporti:
Le colonne (a) e (b) sono in miliardi di euro, le (c) e (d) in miliardi di dollari, sulle altre vi darò ragguagli via via.
Siete pronti?
Nella colonna (e) abbiamo il deflatore del Pil p, cioè il rapporto fra il Pil nominale (a) e il Pil reale (b). Potremmo immaginarlo come il "prezzo in euro" del Pil italiano (anche se questo ragionamento è un po' impreciso, ma ci aiuterà).
Nella colonna (f) abbiamo il deflatore del Pil in dollari, cioè il rapporto fra il Pil a dollari correnti (c), che risente delle variazioni dei prezzi e del tasso di cambio, e il Pil a dollari costanti (d), che non risente né delle variazioni dei prezzi né di quelle del tasso di cambio. Potremmo immaginarlo come il "prezzo in dollari" del Pil italiano.
Se prendiamo il rapporto fra le colonne (e) (prezzo in euro) e (f) prezzo in dollari, abbiamo, nella colonna (g), qualcosa di simile al tasso di cambio espresso in euro per dollaro (quotazione incerto per certo).
In effetti, la colonna (h) riporta il tasso EURUSD, che è quotato certo per incerto, e quindi in dollari per euro, e la colonna (i) ne riporta l'inverso, cioè il cambio quotato incerto per certo (numero di euro per un dollaro), e si vede bene che le colonne (g) e (i) hanno sostanzialmente lo stesso andamento, con l'unica differenza che l'indice ricavato nella colonna (g) è normalizzato a uno nell'anno base dei prezzi (il 2015).
Da tutto questo però che cosa ricaviamo? Che il Pil espresso in dollari ai prezzi 2015 non risente della variazione del tasso di cambio. Infatti, se prendiamo il rapporto fra la colonna (b) (Pil reale in euro) e la colonna (d) (Pil reale in dollari) vediamo che questo rapporto è costante e pari al valore del tasso di cambio nell'anno base (2015).
Questo che cosa significa?
Significa che se rapportiamo le serie riferite a due Paesi calcolate entrambe in dollari ai prezzi (e tassi di cambio) del 2015 il rapporto non sarà influenzato né dalle inflazioni nazionali né dalle variazioni del tasso di cambio.
Ripeto: è una mera conseguenza del fatto che il tasso di cambio è un prezzo, e che quindi quando si parla di "prezzi 2015" si afferma che si sta utilizzando il cambio di quello specifico anno, per cui la serie in LCU e quella in $ differiscono solo di un fattore di scala costante: il valore del cambio in quel singolo anno. Il loro rapporto può essere alterato, nel senso di slittare verso l'alto o verso il basso, dalla scelta di un diverso anno base, che comunque manterrebbe invariata la dinamica crescente o decrescente del rapporto, cioè, per quanto ci riguarda qui, l'impietosa rappresentazione del nostro inesorabile declino.
Trattasi di mera aritmetica (e di basic economic reasoning, quello che ai somari, anzi, ai bai in inglisc non entra proprio in testa).
Potremmo a questo punto aggiungere un ulteriore elemento, volendo.
Vi ho già parlato del Big Mac Index costruito dall'Economist: lo abbiamo trattato nel post su Lampredotto, ed è un modo rozzo ma efficace di considerare il fatto che i prezzi non variano solo nel tempo, ma anche nello spazio, e che il tasso di cambio nominale non sempre riesce a tenere conto di questa variazione internazionale. Un modo più raffinato è utilizzato dalle Penn World Tables. In alcuni Paesi la vita costa di più (il potere d'acquisto di una certa somma di denaro è più basso), in altri costa di meno (il potere d'acquisto di una certa somma di denaro è più alto) e in linea di principio per impostare confronti internazionali sensati, oltre a non confrontare dati espressi in valute diverse, ma in una uguale valuta a prezzi e quindi tassi di cambio costanti, può avere un senso affidarsi alle stime del cambio a parità dei poteri d'acquisto.
Tornando all'esempio fatto sopra, la tabella diventerebbe:
dove constatiamo quello che di solito si constata in simili raffronti: nei Paesi veramente sfortunati generalmente il confronto a PPP fornisce un quadro lievemente meno fosco, perché è vero sì che in quei paesi si guadagna poco, ma è anche vero che di solito in quei paesi la vita costa (e spesso non vale) niente...
Questa roba qui, però, non altera drammaticamente il profilo temporale delle serie, semplicemente perché riflette caratteristiche economico-sociali che evolvono lentamente, troppo lentamente.
Tenetelo presente, perché ne parleremo subito dopo.
I babbei
Armati di questo bagaglio di nozioni che chi è qui da un po' già possedeva (ma saranno pochi quelli cui questo ripasso è stato inutile), affrontiamo ora un singolare pezzo di babbeo, lui:
La baio in inglisc ce l'ha, quindi sicuramente è un somaro. Ora godetevi lo scambio che inizia sotto questo mio tweet:
Simone dà subito la risposta giusta, ma il babbeo incompetente ovviamente non la capisce (e forse anche alcuni di voi, prima della lunga premessa, avrebbero avuto qualche difficoltà: ma non si sarebbero impancati a dar lezioni a uno che ha tre decenni di pubblicazioni scientifiche sulla materia, credo...). Del resto, se il rapporto fra due serie che per definizione sono misurate a tasso di cambio dell'anno base costante (cosa che solo i cretini ignorano) potesse essere influenzato dal tasso di cambio (cosa impossibile per definizione), il suo andamento dovrebbe essere dominato dalla variabilità del tasso di cambio, cosa che evidentemente non è, come si percepisce immediatamente mettendo accanto il rapporto in questione con la serie del tasso di cambio:
(i dati sul tasso di cambio vengono da Eurostat). Le due serie, com'è ovvio per chiunque non sia un baio in inglisc (cioè un somaro) non si parlano proprio, tant'è che il declino del Pil pro capite europeo in rapporto a quello mondiale inizia nel 2001 in una fase di protratto e violento apprezzamento del cambio, che va avanti fino al 2007! Per sette anni, insomma, il declino relativo del Pil è accompagnato da una violenta rivalutazione del cambio, esattamente come, del resto, nei cinque anni dal 1979 al 1984 una violenta svalutazione del cambio si era accompagnata a un sostanziale recupero del Pil pro capite europeo rispetto al dato mondiale. Evidentemente il babbeo non ha idea di quale sia il profilo temporale del tasso di cambio del dollaro nell'ultimo mezzo secolo: esattamente quello che ci aspettiamo da un "Investor/entrepreneur"!
Ma insomma, questo grafico, anche se l'ho voluto metter qui a futura memoria, è inutile per chiunque non sia un babbeo, per chiunque abbia un minimo di capacità di astrazione: mi spiegate in che modo un grafico costruito utilizzando serie in cui il tasso di cambio viene mantenuto costante potrebbe riflettere la variabilità del tasso di cambio (visto che questa è sterilizzata per costruzione)? Chiunque non fosse un cretino lo capirebbe.
La solfa invece va avanti:
(Simone Bonomi santo subito). Il babbeo, cercando di calciare la palla in tribuna con concetti che gli consentano di sembrare familiar with the matter, tira fuori la PPP, che, come gli fa notare Simone, non c'entra nulla. Per avere comunque (a beneficio dei meno esperti) anche un tangibile riscontro di quanto il passaggio alla PPP non cambi le cose, eccovi il grafico a PPP, che però parte dal 1990 (i dati antecedenti non sono disponibili sui WDI, anche se forse si potrebbero ricostruire con le PWT):
e anche qui si vede la stessa cosa: una crescita (debole) fino al 2001, una decrescita pronunciata dal change over in poi. Ma tutto è inutile, il babbeo insiste mostrando dati che non c'entrano assolutamente nulla (estratti da chissà dove, peraltro):
Lo stolido e pretenzioso babbeo, con la sua sicumera da "baio in inglisc", dimostra di non aver nemmeno capito quello che la legenda del grafico chiariva e che comunque avrebbe chiarito la lettura del post (ma figurati se un analfabeta funzionale simile si mette a leggere un post!): il mio grafico rappresentava un rapporto, che cazzo c'entra il fatto che il numeratore cresca? Neanche la differenza fra numeratore e frazione...
Con grande pazienza Simone spiega... ma lui insiste:
continuando ad avvitarsi su se stesso, fino a quando, all'improvviso, il genio! Ma prima, permettetemi una digressione.
Intelligenza artificiale e cretini naturali
Questa mattina ho ricevuto da un amico di a/simmetrie la segnalazione di un suo articolo all'insegna del veloavevodettismo (che è un po' la nostra maledizione) su un tema di grande attualità: i cretini naturali. Tutti i nodi dell'IA vengono al pettine, ci segnala Enrico. Non solo lugrin, ma anche ludiggital (che fra l'altro non è grin) s'ha mort, sostanzialmente perché
cioè perché, di converso, e per metterla con le parole di un informatico pratico:
La cloaca pullula di cretini che utilizzano l'IA (che è un raglio) per dirimere questioni in materie di cui nulla sanno. Ma come dice l'altro Enrico, quello teorico:
Un minus habens privo di alfabetizzazione economica al punto da non distinguere un rapporto dal suo numeratore e di non avere una contezza se pure elementare delle unità di misura dell'economia in che modo potrebbe trarre beneficio dall'utilizzo dell'IA per sostenere una conversazione economica?
In nessun modo, e infatti...
Babbei e IA (che è un raglio)
Immancabilmente e inesorabilmente entra nella conversazione l'IA, il micuggino digitale. Al nostro povero babbeo l'IA ha detto che:
Ora, qui si vede bene come l'IAG sia un realtà un amplificatore di cretinate piddine! Intelligenza infatti vorrebbe che si capisse che se la stessa unità di misura è utilizzata al numeratore e al denominatore il rapporto fosse adimensionale, ma lasciamo stare. L'amico insiste:
e qui la cosa si fa surreale. Inutile dire che l'amico attira l'immediato consenso dei suoi simili:
ma questa diventa rapidamente una breve storia triste, quindi la lasciamo stare:
Paulo maiora canamus: le origini del declino
Lasciato alle nostre spalle il mondo dei babbei incompetenti, e validato l'uso delle serie a dollari 2015 come perfettamente consone al nostro scopo (a detta della stessa IAG, peraltro, che andando a casaccio ogni tanto ci coglie), poniamoci invece qualche domanda seria sull'evidente declino europeo. Vi ricordo che il mio educated guess è che, rebus sic stantibus, fra circa quindici anni la quota dell'Eurozona sul Pil mondiale sarà a una cifra (e solo una cosa potrebbe evitare questo infausto destino: l'uscita della Germania dall'Eurozona, secondo la nostra storica proposta).
Lasciato il mondo delle contestazioni sciocche e disinformate di babbei e analfabeti funzionali poniamoci una domanda che potrebbe aiutarci a capire la natura del problema: il declino europeo è dovuto solo a quello italiano, o è comune agli altri Paesi? In altre parole, siamo noi ad aver zavorrato la zona, nonostante il forte impulso datole dalla locomotiva tedesca (daje a ride), o tutti i Paesi hanno cominciato a dare segni di affanno? La risposta a questa domanda dovrebbe essere abbastanza semplice, no? Ricordate le parole del Migliore?
(riportate qui). Dato che i salari sono Pil (nella definizione basata sul reddito), razionalmente ci aspettiamo che questa race to the bottom reciproca abbia riguardato tutti i principali Paesi dell'Eurozona, e in effetti è proprio così:
In Italia il fenomeno è stato più pronunciato, ma ha riguardato tutti, e si vede molto bene come in Germania il declino del Pil pro capite rispetto al valore mondiale, iniziato nel 1992, cioè con la rivalutazione del marco, si sia accentuato nel 2003, quello in cui sono entrate a regime le riforme Hartz, l'anno dell'aggressiva deflazione salariale competitiva che ha quasi mandato in cocci l'Eurozona sette anni dopo. Se la rivalutazione esterna non ha aiutato, la svalutazione esterna ha fatto peggio, e questo qualche indizio sulla natura del problema dovrebbe darcelo (in piena sintonia con le parole di Draghi).
Ora, è chiaro che il fatto che per definizione un taglio del salari sia un taglio di Pil non esaurisce il discorso, perché naturalmente ci sono effetti di secondo, terzo, ennesimo ordine. Per capirci, e riprendendo l'apparato analitico che abbiamo utilizzato per spiegare il miracolo lettone:
Y = C + I + NX = W + GOS + TS
un taglio di W (salari) potrebbe determinare un aumento di NX (esportazioni nette) sufficientemente elevato, nel qual caso l'austerità potrebbe, in astratto, determinare un aumento o almeno una ricomposizione del Pil (a vantaggio dei profitti): il flusso monetario in entrata via NX potrebbe più che compensare la distruzione di Pil via W, ovviamente determinando un aumento dei profitti GOS, e poi, magari, a ricasco, consentendo anche una redistribuzione su W. La scommessa era un po' questa, ma che cosa l'ha fatta fallire? Semplice! La fallacia di composizione, cioè il non capire che ci sono cose che funzionano finché le fai solo tu, ma non funzionano se le fanno tutti. La strategia beggar-thy-neighbour tedesca poteva funzionare se l'avesse praticata solo la Germania, che tra l'altro poteva permettersela perché, partendo dal reddito pro-capite più alto, poteva tollerarne una diminuzione senza generare uno stress sociale troppo intenso. In questo senso, la Germania razionalmente avrebbe dovuto impedire che gli altri Paesi aderenti al mercato unico la seguissero sulla strada della deflazione salariale: sarebbe stata la sua principale assicurazione del fatto che il suo surplus industriale avrebbe trovato uno sbocco nel mercato unico. Invece, come sapete, la Germania ha imposto (via sorrisetto della Merkel, austerità, ecc.) la deflazione agli altri, cioè ha tolto soldi dalle tasche dei propri clienti! Come sarebbe andata a finire era chiaro ad alcuni (lo sapete) e ad altri non sarà mai chiaro (lo constatate), ma chest'è! E siccome ciò che obbliga ad aggiustare la competitività deprimendo i salari è l'appartenenza all'Unione monetaria, finché esisterà l'euro proseguirà il declino dell'Eurozona, di cui, volta a volta, incolperemo i PIGS (ma abbiamo appunto visto oggi che loro non c'entrano: tutti sono andati giù insieme per i motivi illustrati da Draghi), la Cina, l'America, la Russia, i marziani (che non esistendo ci impediscono di vivere in un mondo in cui ogni Paese sia esportatore netto), e via dicendo.
In tutto questo, vorrei che non perdessimo mai di vista perché ci stiamo suicidando! Perché l'austerità non ha come obiettivo il consolidamento della finanza pubblica: quello è un pretesto, il vero obiettivo è alterare la distribuzione del reddito a favore delle rendite finanziarie:
Quello che vi ho sempre detto, cioè che l'austerità, la svalutazione interna, la svalutazione del salario, era per definizione una politica redistributiva, oggi si affaccia timidamente anche alla mente di quelli bravi. Guardate ad esempio questo lavoro:
assolutamente accessibile per chi è qui da un po'. Anche all'estero, col loro connaturato ritardo (non essere italiani è oggettivamente un handicap) cominciano a capire che il problema non è Italia-Germania 4 a 3, ma Capitale-Lavoro 1 a 0.
Credo sia interessante analizzare le sfaccettature che nei vari Paesi hanno spinto la sinistra a perdere di vista la difesa della quota salari, le diverse modalità e le diverse motivazioni di questo tradimento. Ci interessa sia da persone che vorrebbero tutelare il potere d'acquisto della propria remunerazione, sia, eventualmente, da politici cui il potere (molto relativo!) è stato consegnato appunto da questo tradimento, e che quindi devono interpretarlo e almeno fingere di porvi rimedio, se al potere vogliono restare per consolidarlo ed esercitarlo allo scopo di effettuare l'unica riforma strutturale di cui abbiamo bisogno. Insomma, si torna sempre alla conversazione con Luciano Canfora: per capire se e in che modo fare qualcosa di sinistra da destra è indubbiamente utile capire per quali motivi la sinistra si sia condannata a fare cose di destra (e nonostante le apparenze anche questa lo è: so che fa male ammetterlo, ma lo è...).
Bene.
Tanto vi dovevo per questo piovoso weekend di Pasqua. Come vedete, i temi di fondo sono i soliti, il problema resta il solito, la soluzione razionalmente e astrattamente è disponibile. Ci vorrà molto tempo e molta pazienza, ma alla fine la violenza dei fatti prevarrà sullo stupido egoismo di pochi. Guidare il Paese in acque così insidiose non sarà semplice: se ci riusciremo, sarà anche per merito di chi si sarà affidato a chi per primo ha dimostrato di capire che cosa stesse succedendo e come sarebbe andata a finire.