giovedì 29 novembre 2018

A braccio...

(...la dichiarazione di voto di ieri. Potreste leggerla al posto suo, nei resoconti di seduta, ma lì non potreste commentarla. Qui sì. A proposito: alle migliaia di persone che ci hanno inondato di lettere tutte sostanzialmente identiche a proposito di un problema che le affliggeva vorrei dire che le ringrazio perché evitano di inondarci di lettere ugualmente identiche per ringraziarci di averlo risolto. Non lo abbiamo fatto perché ci hanno inondato di lettere, ma perché pensavamo che fosse giusto farlo. Quindi lo avremmo fatto anche se l'inondazione non ci fosse stata....)


BAGNAI (L-SP-PSd'Az). Signor Presidente, gentili colleghi, ho accettato con gratitudine l'incarico del Capogruppo di esprimere la dichiarazione di voto del mio Gruppo sul decreto-legge fiscale: un provvedimento che ho accompagnato nel suo percorso in VI Commissione al Senato.
Ringrazio i colleghi che hanno generalmente espresso un apprezzamento per il modo con cui abbiamo cercato in quella sede di dare alle nostre opposizioni la possibilità di esprimere il loro contributo.
Voglio anche esprimere un ringraziamento non di circostanza agli Uffici, che ci hanno aiutato nel compito complesso di affrontare un provvedimento che, per le sue sfaccettature, necessitava di un supporto consistente, anche sotto il profilo tecnico. (Applausi del senatore D'Alfonso).
Quando mi sono affacciato al mondo della politica, l'ho fatto portando con me le parole di un amico, Giorgio La Malfa, che mi aveva detto che questa esperienza mi avrebbe arricchito culturalmente. Credo che volesse dirmi che avrei visto tante cose strane. In effetti, questo, in qualche modo, sta succedendo. Una l'ho vista oggi, quando mi sono sentito rimproverare la mancanza di autonomia valutativa dall'erede del partito che ha eretto a sistema il metodo del centralismo democratico. (Applausi dai Gruppi L-SP-PSd'Az e M5S). Questa è stata per me una sorpresa e per discolparmi, in un certo senso, da questa accusa, e anche perché - devo dire - il mestiere di Presidente di Commissione che sto provando ad apprendere è piuttosto impegnativo, per dare prova di autonomia, se non valutativa quantomeno discorsiva, non ho con me un foglio (perché non ho avuto il tempo di scriverlo, essendo tante le questioni da affrontare).
Voglio quindi soffermarmi, con spontaneità, sincerità e con lo spirito di confronto che ha caratterizzato un po' tutta la genesi del provvedimento in Commissione, su tre punti che mi sembrano essenziali, sui quali mi piacerebbe veramente che, posatasi la polvere e attenuatisi i toni, che sono necessariamente accesi in Assemblea, si possa riflettere con calma. Un punto è il contesto; un altro è il metodo e un terzo punto sono i contenuti.
Il contesto nel quale questo decreto-legge nasce è stato evocato dalla collega Conzatti, relatrice di minoranza, facendo, però, riferimento alle informazioni giornalistiche degli ultimi giorni e delle ultime settimane, che dipingono un'Italia completamente allo sbando; un Paese sull'orlo della bancarotta per colpa di noi, i barbari. Vi proporrei, tuttavia, un esercizio diverso.
Per apprezzare il tipo di operazione che è stata fatta con questo decreto-legge, vi proporrei di allargare un po' lo zoom e magari di non rifarci alle fonti della stampa, che necessariamente esprime un ampio ventaglio di opinioni, ma, come sapete, citando - visto che qualche giorno fa abbiamo commemorato un grande classico del nostro cinema - un classico del cinema statunitense, l'ispettore Callaghan, le opinioni ognuno ha le sue. Io vorrei piuttosto soffermarmi sui dati - guardiamo cosa ci dicono - secondo cui ci vorranno ancora cinque anni perché il livello del reddito in Italia ritorni a essere quello pre-crisi. Questa frase ve l'ho già detta in altre circostanze, quindi rischia di diventare un ritornello un po' stantio. Per arricchirla di icasticità, mi sono permesso di mettere il grafico sul mio blog così chi vuole può andare a vederlo, sta lì.
Ci vorranno altri cinque anni, e questo non significa che fra cinque anni la crisi sarà finita: significa che fra cinque anni avremo quindici anni di ritardo sulla nostra storia. Significa che, nella storia del prodotto interno lordo di questo Paese, la crisi appena terminata ha aperto una cicatrice che si vedrà per i prossimi secoli, se qualcuno fra secoli avrà voglia di registrare ancora il PIL come oggi lo concepiamo.
L'evento nel contesto del quale ci muoviamo in termini economici ha la dimensione di un evento bellico. Questo per dire che, quando sento porre questioni pregiudiziali rispetto all'urgenza d'intervenire in campo fiscale, non posso resistere alla tentazione di considerare queste eccezioni come strumentali o come derivanti da un non completo apprezzamento della tragicità della situazione nella quale siamo, della drammaticità della situazione del nostro Paese. Questo per il contesto.
Vorrei ricordare che altri Paesi, i quali a differenza di noi non hanno ritenuto di fare i primi della classe obbedendo a tutte le regole dettate dai loro concorrenti, hanno già raggiunto - e anche questo lo trovate oggi sul mio blog - il sentiero di crescita di lungo periodo. Fra il sentiero di crescita pre-crisi e quello sul quale siamo adesso c'è un gap di 400 miliardi di euro, che non so se riusciremo mai a recuperare. Teniamo conto di questo quando parliamo di un atteggiamento condonistico.
Vorrei poi intervenire brevemente sul metodo, dopo aver individuato il contesto. Ci è stato detto che quello in esame è un provvedimento omnibus, che non era il sedime normativo adeguato. Peraltro devo dire, a titolo di cronaca, che per me è stato, è tutt'ora e sarà un grande piacere avere come Capogruppo del PD in Commissione finanze il senatore D'Alfonso, del quale anche in questa sede abbiamo potuto apprezzare l'eloquenza, che comunque è sempre pregna di contenuti e ci permette di approfondire l'analisi. Egli ha parlato di sedime normativo inadeguato. Beh, io non desidero fare il facile gioco di dire che avete cominciato voi, però voglio notare che nelle pieghe del provvedimento in esame, che era molto complesso, siamo dovuti intervenire anche perché c'è una storia di provvedimenti di struttura presi in un sedime normativo inadeguato. Noi abbiamo cercato di rimediare ad alcune criticità emergenti da riforme del credito fatte per decreto-legge, senza una necessaria adeguata attività istruttoria ed eccependo un'urgenza che in quei casi invece non c'era. Infatti, se prendiamo ad esempio il comparto del credito cooperativo e andiamo a vedere cosa ne dicono le relazioni della Banca d'Italia, noteremo che da nessuna parte emerge una necessità ed un'urgenza d'intervento complessivo in quel comparto. E quando poi si interviene sull'onda di una emotività o di circostanze contingenti, accadono cose come quella che abbiamo dovuto gestire nel provvedimento in discussione. Non so se fosse la sede opportuna per affrontare il tema, ma vi ricordo che una riforma, quella delle banche popolari, adesso è sub iudice alla Corte di giustizia dell'Unione europea per il semplice motivo che qualcuno ha riflettuto sul fatto che neanche i regolamenti europei sono così draconiani da prevedere che chi affida i propri risparmi a un istituito non venga rimborsato mai, che è l'interpretazione data qui in Italia di una regola europea. Ci sarebbe quindi da aprire anche un dibattito sul metodo, su questa nostra velleità di applicare sempre ciò che viene dall'estero in modo estremamente penalizzante per noi stessi. Fino a che noi non apriremo un dibattito sereno - e lo chiedo in questo senso all'opposizione di sinistra - su questo tema, qualsiasi richiamo a regole esterne verrà visto dai nostri concittadini, dai lavoratori italiani, più come una volontà di aggressione nei loro riguardi, che come una volontà di aderire a un progetto di ordine superiore. (Applausi dai Gruppi M5S e L-SP-PSd'Az). Questo, se posso sommessamente dirvi dal mio punto di vista, che è settoriale, limitato, di avversario politico, è il principale problema che dovete risolvere.
Passando ai contenuti, perché noto che mi devo avviare alla conclusione (ma in questa sede sul serio perché non è come nelle conferenze dove poi si parla per mezz'ora), ci è stato detto che noi, con misure condonistiche, avremmo in qualche modo intaccato ed eroso il patto sociale. Occorre però ragionare su quale riteniamo sia lo scopo della vita. A mia figlia a scuola hanno insegnato che gli articoli più importanti della prima parte della Costituzione sono il decimo e l'undicesimo, perché sono quelli che ci hanno consentito di entrare in Europa. Questo le è stato detto, poverina. Io non l'ho contestato, perché per carità! Non sia mai per me entrare nei percorsi didattici degli insegnanti. Però anche l'articolo 3 non è male. Lo vogliamo leggere insieme? «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». (Applausi dai Gruppi L-SP-PSd'Az e M5S). Ce lo ricordiamo. L'austerità, intaccando questi inderogabili doveri di solidarietà, ha messo, quella sì, a rischio il patto sociale del Paese.
E che al termine di un periodo in cui abbiamo visto aumentare i poveri si ricorra a interventi di rottamazione che, a differenza dei precedenti, sono più accessibili (perché prevedono una maggiore dilazione delle rateizzazioni), quindi offrono un effettivo ristoro, non mi sembra che ci possa essere imputato come una grave violazione del patto sociale o come un aggiramento dei doveri che il contribuente ha nei riguardi dello Stato.
Dobbiamo capire a che punto siamo: siamo in una situazione di estrema, tragica recessione, della quale - ahimè - non riusciamo a vedere effettivamente la fine. E proprio per questo motivo riteniamo parlando di una cosa della quale qui oggi non si tratta - che l'impianto espansivo della legge di bilancio abbia una piena legittimità di essere e possa contribuire a risolvere il problema.
È per questi motivi che dichiaro il voto favorevole del Gruppo Lega-Salvini Premier-Partito Sardo d'Azione. (Applausi dai Gruppi L-SP-PSd'Az e M5S. Congratulazioni).






(...nota: io però ho dettp Psdàz, con l'accento sulla "a"...)

(...avrei avuto delle cose un po' più strutturate da dire circa il provvedimento, ma siccome rigore è quando arbitro fischia e legge è quando esce in Gazzetta, prima portiamo a casa, e poi commentiamo. Non me ne vogliano gli operatori informativi: un modo per tutelarsi dalla loro tanto inesausta quanto certamente involontaria attività distorsiva è mantenere un minimo di décalage rispetto a quello che loro chiamano il "notiziabile": qui lo abbiamo sempre fatto, per metodo, e non sussistono motivi per deflettere proprio ora da questa bestpràctis...)

mercoledì 28 novembre 2018

A futura memoria...

Come da prassi, e come previsto dal regolamento, quando si arriva alla conversione di un decreto legge le opposizioni pongono le questioni pregiudiziali, eccependo l'inesistenza dei presupposti di necessità e urgenza: una prassi che scaturisce dal lecito desiderio dell'opposizione di ritagliarsi il maggior numero possibile di spazi per esprimere la sua visione politica. Lo abbiamo visto accadere anche in sede di presentazione del decreto fiscale. Tuttavia, sul fatto che non ci fosse necessità e urgenza di intervenire in questo caso, in particolare accordando ai contribuenti il beneficio di una "rottamazione" (definizione agevolata) dei vari carichi a condizioni meno onerose di quelle previste dalle precedenti (ampliando la rateizzazione), mi permetto di dissentire civilmente, partendo dai dati, che non sono come le opinioni. Di opinioni, ognuno ha le sue, ed ha diritto ad averle e esprimerle, mentre nessuno ha diritto ai propri dati. Quelli è meglio prenderli dalle fonti statistiche, e il breve ragionamento che voglio svolgere con voi si basa su dati della fonte più autorevole, il Fondo Monetario Internazionale. Qui trovate la pagina da cui attingere, e qui trovate per vostra comodità i soli dati utili ai nostri fini: livello e tasso di crescita del Pil reale in Italia e Stati Uniti (ci trovate anche la Germania, se vi interessa).

Il ragionamento è molto semplice: a me sembra che ad alcuni fra i miei tanti illustri colleghi non sia esattamente chiaro quanto catastrofica sia la situazione del nostro paese. Forse converrà fare qualche disegnino che la metta in prospettiva, e chiedere che venga allegato al resoconto di seduta, in modo tale che anche chi non ha familiarità con le statistiche economiche non possa poi dire di non aver capito quanto la necessità e l'urgenza in un contesto simile siano motivate e non pretestuose. Si potrà, dopo, discutere civilmente sulla direzione che si sarebbe dovuto o voluto prendere, ma non si potrà affermare, alla luce dei dati che mostro (non a voi, che li conoscete, ma chi non li conosce o finge di non conoscerli), che il paese non sia in condizioni tali da giustificare necessità e urgenza.


Partiamo da qui: secondo il Fondo Monetario Internazionale, nel 2023 (cioè fra cinque anni) l'Italia sarà ancora lievemente al disotto del livello di reddito precedente all'inizio della crisi (1687 miliardi di euro nel 2007). Sono d'accordo con voi che le previsioni di questa illustre e prestigiosa istituzione tecnica lascino il tempo che trovano (un esempio preclaro lo trovate qui), ma al di là di quanto ci metteremo per tornare dove eravamo dieci anni fa, resta il fatto che oggi siamo ancora sotto del 4.4% (usando le ultime stime riferite all'anno in corso).


Quello che va capito bene, però, e che regolarmente viene frainteso, è che quando nel 2023 saremo tornati al livello pre-crisi (scopriremo poi che le riforme proposte da questo governo ci permetteranno di accorciare i tempi, ma questo è un altro discorso), quando saremo lì, non avremo risolto tutti i problemi, e questo per un motivo molto semplice: perché saremo sempre ben lontani da dove ci saremmo potuti ipoteticamente trovare se, facendo opportune politiche anticicliche (impedite dalle note regole che i Soloni europei continuano a volerci imporre, nonostante a casa loro stiano determinando qualche lieve criticità), avessimo potuto contenere lo shock del 2008 entro margini minimamente compatibili con le esperienze storiche precedenti. Invece è andata come vedete: dal 2012 (cioè da Monti) l'Italia ha fatto un ulteriore gradino verso il basso che l'ha posta su una specie di "divergenza parallela" rispetto all'ipotetico percorso di lungo periodo, che qui ho stimato molto rozzamente estrapolando la tendenza storica dal 1980 al 2007. Qualche analfabeta economico vorrà adesso venire a spiegare a me quello che devo ancora terminare di spiegare a voi, e glielo lasceremo fare (siamo pacati e pazienti). So benissimo che un esercizio di questo tipo può avere al più valore descrittivo, ma prima di parlar male dei trend lineari, vediamo cosa succede se questo tipo di analisi lo applichiamo a un altro paese, come, ad esempio, gli Stati Uniti:


Diciamo che le cose anche lì non sono andate benissimo: la crisi è stata persistente, più delle precedenti, ma almeno in prospettiva si vede un ricongiungimento con il sentiero di lungo periodo del Pil.

Qui da noi no.

Quello che è successo nel 2008, a causa del modo in cui è stato gestito a partire dalla fine del 2011, resterà visibile come una cicatrice nella serie storica del Pil italiano per i secoli a venire. In condizioni come queste venire incontro al contribuente, proponendo una rateizzazione che consenta di superare  è un'esigenza di razionalità, cioè di umanità. Poi sul resto si può discutere, e in effetti si è discusso e si sta discutendo.

Aggiungo una breve supercazzola tecnica a beneficio dei colleghi: se poi mi volete dire che il Pil è caratterizzato da una tendenza stocastica (cioè è la somma di tutti gli shock passati, motivo per il quale non abbiamo particolari motivi di aspettarci mean reversion), allora vedete che la pensate come me? Proprio perché le cose stanno così non possiamo permetterci un atteggiamento di politica economica che non solo è passivo, ma anzi è addirittura prociclico (ma solo quando le cose vanno male, perché quando vanno bene dobbiamo comunque fare sacrifici, come ci spiegano i vari Daniel Gros, cioè dobbiamo diventare anticiclici)! L'isteresi determinata dall'esistenza di radici unitarie impone una immediata reazione a shock aversi tramite politiche di gestione della domanda. E questo, come al solito, non lo dice solo il senatore leghista già professorino di provincia: lo dite voi, cari colleghi farisei! Leggetele le cose che scrivono quelli col CV, magari non solo quando dicono quello che vi fa comodo per attaccare l'asino dove vuole il padrone di turno (attenti: i padroni cambiano...).

Insomma: il quadro normativo e regolamentare all'interno del quale ci stiamo muovendo è totalmente assurdo alla luce di quanto sappiamo del funzionamento di un'economia moderna. Prescindendo dal fatto che in sette anni di studio abbiamo imparato quale metodo soggiaccia a questa follia, resta che è una follia. Questo governo potrà fallire in alcuni, o perfino in tutti i suoi scopi (non contateci troppo), ma un obiettivo lo ha già raggiunto, ed è quello di mettere in evidenza l'assurdità consistente nell'applicare regole procicliche in recessione e anticicliche in espansione. Assurdità apparente perché lo scopo del gioco sappiamo quale sia: influenzare la distribuzione del reddito, cioè mettere le fasce deboli della popolazione in condizione di accettare remunerazioni particolarmente basse per il proprio lavoro. L'austerità non è solo una politica di taglio dei redditi: è soprattutto una politica di redistribuzione dei redditi.

Ma questo voi lo sapete, e chi nel 2018 non l'ha ancora capito lo capirà, purtroppo, senza bisogno che ci sforziamo di insegnarglielo.

(...e per questo motivo annuncio il voto favorevole del gruppo L-SP-PSdAz...)

martedì 27 novembre 2018

Dal banco delle commissioni...

Guardate che io non ho detto che il blog chiude. Ho solo detto che scriverò meno spesso, perché ho un po' da fare. Se volete vedere cosa ho da fare, la diretta è qui. Se ci cliccate ora (martedì 27 novembre 2018 alle 9:26) mi vedrete seduto alla destra del relatore. Buona visione...

domenica 25 novembre 2018

La scienza inesatta

Carissimi, manca a me come a voi lo scambio pressoché quotidiano che ci ha tenuti uniti per oltre sette anni, ma le circostanze sono cambiate, e i motivi che mi impediscono di mantenere vivo il nostro rapporto sono molteplici.

Forse il primo per importanza, almeno dal mio punto di vista, è che nonostante la nostra relazione potesse apparire come quanto di più esteriore e artificioso fosse dato immaginare, essendo sorta dalla parola pubblicata in rete, cioè sul più rapido, transitorio e superficiale dei media, essa ha sempre avuto una connotazione di estrema libertà, che la rendeva profondamente intima. A questa intimità mi urta, mi offende, mi rivolta che si affacci oggi lo sguardo voyeuristico della journaille, come è inevitabile sia, dato il ruolo che oggi rivesto. Il fatto che gli "yes men" (and women) che fino a ieri hanno ignorato o storpiato tutto quanto qui veniva scritto, incluso il nome dell'autore, oggi possano impadronirsi delle nostre parole per piegarle ai loro sozzi ed effimeri fini propagandistici mi disturba, non tanto per me, che ho un modo molto semplice di evitare che le mie dichiarazioni vengano distorte: non ne rilascio!, quanto per voi, che meritereste rispetto per il semplice fatto di esservi sobbarcati un percorso didattico di non lieve peso, un percorso che sarebbe stato compito di altri, non vostro, affrontare. Lungo questi anni abbiamo costruito in un mutuo travaso di esperienze il nostro lessico e le nostre categorie. Abbandonarle per timore che il guardone di turno le strumentalizzi, come è già accaduto, mi ripugna, come mi ripugna, e ripugnerebbe a voi, parlarvi con un linguaggio non mio, cioè non nostro.

Ma sui metodi di quello che ho chiamato la continuazione del fascismo con gli stessi mezzi (squadrismo e subalternità al capitale) vi intratterrò un'altra volta: è anche giusto che chi lavora male si sottoponga a un civile e continente diritto di critica, e ci sarà tempo per esercitarlo. 

Torno ai motivi che mi separano da voi, enunciando il più ovvio: le considerazioni di opportunità. Quello che ha reso così forte il rapporto che ci lega, la cui intensità tanto stupisce i mediocri, è la sua assoluta sincerità. A questa sincerità occorre che io oggi rinunci per dovere di ufficio. Non posso parlarvi di tutto quello di cui vorrei parlarvi: devono parlare i fatti, parleranno le memorie, ma non è opportuno che io vi metta a parte di ogni accadimento (è così divertente vedere i "retroscenisti" brancolare nel buio...), né che io commenti tutto quanto vedete accadere voi. I motivi sono tanti, a partire dal fatto che anche se qui si è sempre fatta politica (anzi: direi che per qualche anno si è fatta politica solo qui, mentre intorno si faceva "tecnica"), ora io appartengo a un partito, a una squadra che mi ha accolto come una famiglia. Per i superficiali guardoni de cujus io ora sono "il leghista Bagnai": avendo così ridotto questo fenomeno (un blog dal quale, per dire, sono nati svariati articoli scientifici, sono cambiati gli orientamenti di alcuni partiti non banali, è sorta una comunità di decine di migliaia di persone assolutamente trasversale sia rispetto alle classi sociali che alle posizioni politiche...), avendo ridotto tutto questo all'angustia delle loro categorie, i nostri cari amici, come è anche comprensibile che sia, tradurrebbero ogni mia frase in posizione del partito, virgoletterebbero (ovviamente previo passaggio per la galleria degli specchi deformanti) la qualunque pur di seminare zizzania, insomma: le cose che abbiamo visto e quotidianamente vediamo.

Preferisco evitare, e so che mi capite.

Certo, un modo di aggirare questo ostacolo ci sarebbe, e farebbe lieti molti di voi: basterebbe parlare un linguaggio che non può essere travisato, anche perché pochi lo capiscono: quello dell'economia e dei dati! Un bel post tecnico, insomma, ogni tanto potremmo anche farlo: i nostri cari amici ne uscirebbero vergini, potrebbero virgolettare ben poco (a voi, ormai, bastano i grafici: il commento lo sapete fare da soli, e le immagini non si virgolettano), e noi ci terremmo al corrente. I grafici hanno una loro certa ferocia: guardate ad esempio cosa sta succedendo oggi al povero Macron, la vittima più illustre - finora - dei saldi settoriali (ancora ricordo la povera ascara dei mercati che a Londra con infinita saccenza, da figlia di una cultura minore, si esaltava di fronte a me per l'efficienza e la capacità di delivery di Macron...)! Non a caso Macron affronta esattamente la situazione che avevamo pronosticato qui (e il meglio deve ancora arrivare). Non è né la prima né l'ultima volta che un pronostico "tecnico" formulato su queste pagine si avvera, d'altra parte, e quindi, in effetti, sì, volendo il modo di non farsi stuprare, e di mantenere un rapporto con voi, forse ci sarebbe.

Ma poi c'è un terzo vincolo, oggettivo, non soggettivo: il tempo. Con buona pace degli imbecilli che "scaldi la poltronah!" o "volevi la cadregah!" (due frasi che entrano nell'ampio novero di quelle che dicono molto su chi le pronuncia), i ritmi di lavoro sono estenuanti per due ordini di motivi. Il primo è che la quantità di documentazione da esaminare è (volutamente) tremenda, come potreste tranquillamente verificare da voi se ve ne andaste sul sito del Senato, che è una delle istituzioni più aperte e trasparenti che io abbia mai visto (il che rende particolarmente odiosa l'acribia delle varie "anonime trasparenza" che gli grufolano intorno, la cui attività rinvia all'incisivo aforisma del Pedante: "Se non serve a niente, serve a qualcos'altro!"...). Quanta roba ci tocchi assorbire potete facilmente intuirlo partendo dal sito della Commissione, e bisogna starci con la testa, perché è quasi tutta roba che viene dai nostri amici europei, quelli che, come ben sapete, ci consigliano per il nostro bene, cioè per farci (ri)diventare dei loro temibili concorrenti...

E poi c'è il lavoro politico, che non è cosa banale, nemmeno nelle sue articolazioni più tecniche, organizzative, procedurali, come la gestione della Commissione. In questo momento, invece di occuparmi di voi, dovrei sentire i relatori di due pareri che dobbiamo rendere la prossima settimana (quei pareri che a Bruxelles stampano con la stampante della Merkel), per chiedergli a che punto sono, se si sono consultati con il capogruppo dell'altro partito di maggioranza, se i testi sono stati condivisi con i rispettivi uffici legislativi, se hanno trovato lumi nei documenti degli uffici tecnici, ecc. Sembra tutto ovvio, ed è in effetti affare di una mezz'oretta, o un quarto d'ora, se tutto va bene. Solo che non succedono solo due cose in una settimana (anche astraendo dalle settimane di delirio come queste), e poi non sempre tutto è così ovvio e automatico: bisogna approfondire, confrontarsi, e ognuno è preso nel flusso dei suoi impegni di collegio, o di aula, o di partito, per cui anche solo trovare il tempo di incontrarsi a quattr'occhi ogni tanto è un'impresa. Far parlare le persone, provare a capirle, aiutarle a capirti, aiutarle a capirsi fra loro, non è un'attività banale. Le parole vanno scelte con attenzione, quando lavori in un'istituzione dove esse possono diventare legge e quindi in re ipsa produrre fatti giuridici, e quando cerchi di operare una sintesi fra posizioni diverse, sintesi che può essere efficace solo se le diverse posizioni sono rappresentate e quindi intese con assoluta precisione.

La conclusione di questo lungo discorso è che quando alla fine approdo a casa sono totalmente svuotato di ogni e qualsiasi energia interiore. Posso essere soddisfatto o insoddisfatto della giornata, ma comunque non ho la forza di aprire il computer e di raccontarvi com'è andata. Semplicemente, arrivo a fine giornata svuotato, del tutto deprivato di energie spirituali. Non ho più voglia di suonare, non ho più voglia di scrivere, voglio solo dormire e prepararmi a combattere per un'altra giornata, sperando di non dover arretrare troppo, e di poter avanzare un po'.

Questo mi impedisce di frequentarvi quanto vorrei.

Qualcuno di voi, ne sono certo, potrà pensare che io sia cambiato... ma  non è esattamente così!

Poche settimane fa un collega dei cinque stelle mi ha fermato in aula dicendomi: "Bagnai, ma lo sai che ho scoperto che tu sei veramente come sei!" Un ego sum qui sum (visto dal mio lato) che mi ha lasciato un po' interdetto (nonostante tutta la stima che io possa avere di me). Il collega, che se n'è accorto, ha aggiunto: "Ti spiego: sto leggendo il tuo libro, e mi rendo conto che tu scrivi come sei, e sei come scrivi". Che poi è il massimo cui un artista possa aspirare. Se chi non mi conosceva mi riconosce nei miei scritti, potete pensare che io non sia cambiato molto.

Potreste però supporre che questo dipenda da una certa sclerosi: a 55 anni (quasi 56) magari cambiare è difficile... Ma qualche sera fa un amico mi ha ricordato un aneddoto di un passato lontano, che avevo del tutto dimenticato, e che condivido con voi perché conferma che ego sum qui fui (e inevitabilmente qui ero). La storia è semplice. Ero sottotenente di complemento in una caserma della steppa romana e per qualche motivo avevo fatto un biglietto di punizione a un VAM (all'epoca non c'erano social su cui bloccare le persone sgradite...). Fatto sta che il VAM  de cujus era raccomandato da un generale (nota: nella mia caserma l'ufficiale più alto in grado era un tenente colonnello, se non ricordo male), e quindi mi arrivò una telefonata, che avevo completamente dimenticato. Se la ricorda ancora il mio amico, sottotenente del corso successivo al mio (nonostante per qualche strano motivo si ostini a chiamarmi "paricò"), perché mi entrò in stanza in tempo per sentirne la fine. Con grande cortesia e determinazione pare che io abbia detto: "Vede, generale, io sono solo un sottotenente di complemento, e ho pochi mesi di vita militare, ma in questi pochi mesi una cosa penso di averla capita: la raccomandazione non è una scienza esatta, e quindi io il biglietto di punizione non lo strappo. Arrivederci!"

Naturalmente il mio amico mi prese per un matto, e naturalmente non successe niente (o forse sì, chissà: ma io non me ne accorsi...).

Ecco: se penso a qualche risposta che mi è capitato di dare ultimamente nelle grandi occasioni, mi rendo conto che in fondo non sono cambiato molto. Un paio di voi lo sanno perché c'erano. Gli altri le leggeranno fra altri trent'anni (qualcuno ha sentito qualcosa in qualche capannello al #goofy7...). Solo per confermarvi che se quando capita mi permetto di riallocare al suo posto chi nell'ordine contingente delle cose è in quel momento meno di me, posso farlo con grande serenità perché so di essermela presa, quando occorreva, e negli stessi termini, anche con chi era o credeva di essere da più di me. Del resto, la stessa esistenza di questo blog, aperto da un associato sotto concorso per cannoneggiare il Gotha della sua disciplina, ne è una prova. Rispetto le gerarchie e i ruoli, ma non la prevaricazione. Nel frattempo, e (anche) per questo motivo, ogni giorno la storia va avanti: la lotta per la nostra autodeterminazione è incominciata e possiamo vincerla solo confidando nella forza dei nostri avversari, che poi significa che chi ha voluto il fine, deve ora godersi i mezzi per realizzarlo, come sta accadendo nel grande a Macron, e nel piccolo a... tanti altri!

Lasciare che ognuno abbia ciò che vuole, o almeno dice di volere: non sarà un fine altissimo, ma è almeno un buon principio d'opera, non vi pare?

E così voi stasera avete avuto qualche parola in italiano, e io ho avuto l'essere me stesso in vostra compagnia.

Domani si ricomincia.

Tenete duro.

(...ah, naturalmente se non siete contenti potete sempre votare PD: all'opposizione si lavora di meno. Ma qualcosa mi dice che siete più furbi di così, e preferite che io continui a lavorare per noi...)