(...
ci deve essere qualcosa all'Olimpico: sento le urla da qua. Per il resto pace santa. La vera vacanza, quella con tutti fuori dalle palle - tutti tranne uno, er Palla, che purtroppo insiste sull'abitazione causa debbbito in matematica... Comunque, ho passato la giornata a referare un paper: quattro pagine di report, con mezza pagina di bibliografia, una giornata per scriverlo, altre tre per leggere il paper e capirlo... Questa cosa non va scritta in nessun libretto, non viene documentata in nessun modo, non viene valutata per la carriera, ecc. Ma noi - dicono i gazzettieri - siamo dei privilegiati: abbiamo il privilegio di lavorare gratis. Presto lo avrete anche voi. Sempre meglio dell'alternativa, comunque. Ecco, parliamone...)
Nel post precedente sono partito da questo grafico segnalato da
Luigi:
e ho cercato di verificare i dati riportati. Mi aveva spinto a farlo, fra l'altro, l'osservazione un po' facilona del solito espertone (probabilmente un bot): "Mi fido più dell'ISTAT!". Osservazione non molto intelligente, perché anche se la fonte dei dati nel grafico non veniva specificata, presumibilmente era l'Eurostat (e quindi, per la parte italiana, l'ISTAT). I risultati ottenuti partendo da dati Eurostat, infatti, pur partendo da informazioni molto scarse circa la metodologia adottata dagli autori, erano sostanzialmente congruenti con l'evidenza riportata nel grafico, come vi ho mostrato:
Fallisce quindi il tentativo del bot di screditare la fonte (che peraltro era il
Financial Times), e il fatto che ci abbia provato ci lascia intuire che quel dente, ai poteri cosiddetti forti, duole parecchio. I risultati di dicembre hanno dimostrato che
la disoccupazione influisce sul voto. Se almeno si potesse evitare di parlarne, penseranno compatte le prime tre cariche dello Stato...
Passo ora da spiegarvi come ho ottenuto il mio, di grafico. Resta poi da vedere come il fenomeno descritto si è evoluto nel tempo, e resta da capire che significato attribuire ad analisi simili. Lo spunto alla base di esse è chiaro: l'insofferenza sempre più diffusa verso le metodologie ufficiali di calcolo del tasso di disoccupazione, ritenute inattendibili, insofferenza che si riflette in molti vostri commenti (in particolare
questo e
questo).
Vorrei chiarirvi che la mia analisi si basa su dati ufficiali e quindi
non è assolutamente da leggere in chiave polemica verso l'ISTAT o l'Eurostat. Sì, sappiamo che la definizione di occupato adottata dall'ISTAT non è particolarmente stringente, in particolare perché si considera occupato chi abbia lavorato anche una sola ora nella settimana di riferimento:
(come specifica il
glossario).
La rivelazione di questo criterio statistico (che peraltro nessuno aveva nascosto!) ha sollevato
un certo clamore lo scorso anno, ma trovo che l'ISTAT abbia ragione: loro possono solo applicare i criteri uniformi a livello europeo (e sostanzialmente omogenei fra paesi OCSE) che l'Eurostat definisce e impone. Io, per dire, trovo più
disturbing la definizione di disoccupato, che non è, come forse potreste immaginare, una persona in età attiva (16-65) non occupata, ma:
Quindi per essere disoccupati non essere occupati occorre (è necessario) ma non basta (non è sufficiente). Questo significa che un occupato che perde il lavoro potrebbe non diventare disoccupato: potrebbe anche scomparire dalle forze di lavoro,
come vi chiarii a suo tempo. Ma il punto è che, se da una parte è ovvio che lavorare un'ora a settimana non assicura il soddisfacimento del diritto costituzionalmente garantito a un'esistenza "libera e dignitosa" (a meno che tu non sia una rockstar), d'altra parte qualsiasi criterio è arbitrario: la cosa importante è che i criteri siano stabili nel tempo e nello spazio, per poter analizzare la dinamica dei fenomeni e per poter fare confronti internazionali sensati.
Quindi lascerei da parte l'ISTAT, e chiamerei eventualmente in causa i media che non spiegano certi concetti, e i politici che profittano degli inevitabili paradossi delle statistiche per fare campagna elettorale.
Comunque, tornando al grafico: da quello che si poteva capire, gli autori avevano espresso tre categorie di persone (disoccupati, lavoratori inattivi desiderosi di lavorare, e lavoratori in part time contro la propria volontà) in percentuale della popolazione in età attiva (
working age population).
Qui penso che ci sia un primo errore, perché in tutta evidenza le tre categorie sono state espresse in percentuale delle
forze di lavoro o popolazione attiva. Se così non fosse, il dato sarebbe più basso. Considerando ad esempo l'Italia, secondo l'Eurostat nel 2016 la popolazione attiva era 25243.2 migliaia di persone, date dalla somma di 22241.1 occupati e 3002.1 disoccupati. Il rapporto fra disoccupati e popolazione attiva (forza di lavoro) ci restituisce un tasso di disoccupazione di 3002/25243=11.9%, che coincide con quello di cui abbiamo parlato e, a grandi linee, anche con quello che si vede nel grafico. Se invece rapportassimo i disoccupati alla popolazione in età lavorativa, che era, sempre nel 2016, di 38870 migliaia, otterremmo una percentuale di disoccupazione pari a 3002/38870=7.7%, lontana sia dalla disoccupazione ufficiale, che dal dato visibile nel primo grafico (dove la sbarra violetta della disoccupazione supera 10).
Appurato quindi che gli autori del grafico dicevano una cosa per l'altra, mi sono procurato intanto la serie al denominatore, le forze di lavoro o popolazione attiva, scaricandola
qui. Nella stessa tavola ho trovato anche i disoccupati, e rapportandoli alla popolazione attiva ho ricalcolato i tassi di disoccupazione (
unemployment nel grafico originale).
Poi c'erano da misurare gli "scoraggiati", ovvero la popolazione inattiva che non appartiene alle forze di lavoro perché:
1) non ha lavorato almeno un'ora nella settimana di riferimento (e quindi non è occupata);
2) non ha effettuato almeno un'azione attiva di ricerca di lavoro nelle quattro settimane precedenti ecc. (e quindi non è occupata).
MA
desidererebbe lavorare (uno può essere inattivo anche perché è ricco di famiglia)! Questa è una cosa relativamente poco problematica, perché l'Eurostat fornisce i dati sulla
popolazione inattiva classificata per età, sesso, e disponibilità a lavorare.
Poi c'erano da misurare i sottoccupati, cioè quelli gli
involuntary part-time (quelli che lavorano meno ore di quanto desidererebbero). Qui la cosa è un po' più
tricky, perché l'Eurostat fornisce i
lavoratori in part-time "involontario" come percentuale del totale dei lavoratori part-time. Per ottenere il dato in migliaia ho quindi dovuto scaricare (o anche: "sò dovuto scaricà") i
lavoratori part-time totali. Moltiplicando la percentuale di involontari per il totale dei part-time ho ottenuto le migliaia di lavoratori in part-time involontario (sottoccupati).
Cosa siano esattamente i
seeking employment-not ILO unemploymed non lo so e non ho cercato di capirlo: verosimilmente un'altra categoria di scoraggiati, ma visto che erano pochi non ci ho perso tempo.
Questo è come ho costruito i dati. E ora andiamo a vederli un po' in dettaglio, anche se, considerando la mole di numeri scaricati (per tutti i paesi europei e circonvicini e per tutti gli anni dal 1999 al 2016) do per scontato che non riusciremo a vederli tutti ora.
Intanto, vi faccio vedere l'evoluzione nel tempo del tasso di disoccupazione corretto per scoraggiati e sottoccupati nei quattro grandi dell'Eurozona:
Noi siamo quelli gialli (come i nostri sindacati).
Nel 2004 c'è un forte balzo verso l'alto dovuto a una revisione nei criteri di calcolo degli scoraggiati. Con i nuovi criteri (cioè dal 2004), la nostra situazione sembrava fortemente compromessa già allora. Certo però che è seccante non poter fare confronti sensati con i dati antecedenti al 2004 (ricordate cosa dicevo sopra? Non importa quale sia il criterio, purché sia uniforme. Ma gli statistici "migliorano" sempre i loro criteri, che poi è un ottimo modo per intorbidare le acque...).
Faccio notare un altro dettaglio. La Francia sta meglio di noi, ma peggio della Germania, la cui situazione migliora stabilmente dal 2005 in poi, con l'entrata a regime del dumping salariale Hartz. Tuttavia, il peggioramento della disoccupazione "corretta" in Francia è molto persistente, più del nostro. Dopo la crisi, non solo la Spagna (dal 2013) ma perfino l'Italia (dal 2014) vedono una correzione (più lieve da noi). La Francia no.
Poi vi faccio vedere in che modo il tasso "corretto" è andato muovendosi da noi per effetto delle sue componenti:
Qui è evidente la rottura statistica nella serie degli scoraggiati (in arancione), ma c'è un altro fenomeno che è meno evidente: mentre disoccupati e scoraggiati (al netto dell'anomalia statistica) alla fine del campione sono più o meno gli stessi che all'inizio, i sottoccupati aumentano costantemente e alla fine sono quasi 8 punti percentuali di forza lavoro in più rispetto che all'inizio. Vi faccio vedere la situazione degli altri quattro "big" dell'Eurozona:
e in questa tabella vi fornisco la variazione della percentuale di disoccupati, scoraggiati e sottoccupati sulla forza lavoro, in tutto il periodo dell'euro, e nei due sottocampioni prima e dopo la crisi.
I due numeri più grandi sono l'aumento dei disoccupati in Spagna dopo la crisi (11.5) e quello dei sottoccupati in Italia su tutto il campione (7.9, di cui 5.5 dall'inizio della crisi: un aumento sostanzialmente identico a quello della disoccupazione, pari a 5.7).
Entrando un po' in dettaglio, va notato che prima della crisi la Germania aveva "fatto peggio" di tutti gli altri: la sua disoccupazione era scesa di solo -0.2, passando da 8.9 a 8.7, mentre la sua sottoccupazione era aumentata più che in tutti gli altri, passando da 2.3 a 5.2. La dinamica della sottoccupazione era sostanzialmente analoga a quella italiana, ma in Italia la disoccupazione era diminuita di -5.7 punti prima della crisi. In Spagna la disoccupazione era diminuita addirittura di -7.3 punti, e la sottoccupazione aumentata solo di 1.7.
La dinamica più sostenuta dei sottoccupati in Germania penso sia legata alle famose "riforme".
Dopo la crisi le cose cambiano: la disoccupazione "ufficiale" e la sottoccupazione diminuiscono solo in Germania: il tumore tedesco prospera solo in un'Europa malata (fino a quando questa morendo non si porta anche lui nella tomba). Gli scoraggiati aumentano più in Francia (+1.7) che in Italia (+0.2), dove però colpisce l'aumento piuttosto rilevante (+5.5) dei sottoccupati che abbiamo già evidenziato. Sono i contratti atipici, la flessibilità, come notava uno di voi commentando il post precedente: tutta roba che alla natalità non fa bene...
Se le statistiche non mentono, molti sottoccupati saranno qui.
Vi lascio discutere questi numeri con calma, visto che politici e giornalisti non pare siano intenzionati a farlo, o almeno non fino a quando saranno raggiunti dalla durezza del vivere.
(...
a proposito: per evitare che questa raggiunga noi, vi ricordo di votare questo sito come miglior sito politico-d'opinione a MIA2017. Notate che dovete esprimere un voto in almeno altre nove categorie, per un totale di almeno dieci, affinché la vostra scheda sia considerata valida! Non è facile, ma si può fare...)