Oh! È sabato pomeriggio, mancano un paio d'ore alla cena, e pare che finalmente l'ISTAT, dopo qualche vicenda burrascosa della quale ci ha riferito il Fatto Quotidiano, ci abbia fornito i dati definitivi della crescita 2015. Non entro nel merito del battibecco, i popcorn li ho avuti al cinema con Uga.
Piuttosto, procedo a inaugurare un mio souvenir della Cina:
e contestualmente commento con voi i dati, che trovate qui.
Intanto, una prima constatazione: nel 2015 l'Italia (rectius: il PIL italiano, ovvero la somma dei redditi percepiti da tutti gli operatori economici che hanno agito sul territorio del paese, ovvero la somma dei valori aggiunti dei diversi settori dell'economia italiana, ovvero la somma delle diverse voci di spesa di famiglie, imprese, settore pubblico e settore estero) è cresciuta dello 0.6%, anziché dello 0.8% come sembrava fosse appena qualche giorno fa.
In altre parole, è successo questo:
invece di questo:
No, non vi sto prendendo in giro! Non mi permetterei mai! Sapete bene che se lo faccio i bocconians accorrono a difendervi (come fece, dimostrando un senso dell'umorismo non esattamente all'altezza delle sue competenze settoriali, il caritatevole Panunzi col povero Previti, quando bloccai quest'ultimo...), quindi me ne ben guardo.
(...in realtà sto aspettando che dalla valle dei castori qualcuno intervenga in soccorso del Giovine Baroni, ma non se lo caca nessuno nemmeno lì, e il progetto Giovinia langue per mancanza di leader carismatico...)
I due grafici in effetti non sono identici.
Lo si vede se si accostano le due serie, quella effettiva e quella auspicata dal nostro illuminato governo:
Le speranze del governo le ho messe in verde fava, colore appropriato a cotanto consesso, lasciando in verde Ulivo (concedo ai congeneri una grattatina) i dati effettivi, fulgida testimonianza di cosa produca un aggiustamento macroeconomico al tempo dell'euro (e anche qui la simbologia mi sembra evidente).
La differenza fra la realtà e gli auspici è impercettibile, ma non potrebbe essere altrimenti, atteso che essa è appunto lo 0.8%-0.6%=0.2% del PIL del 2014 (visto che dal 2014 siamo cresciuti dello 0.6% e non dello 0.8%), cioè all'incirca 2.4 miliardi di euro (su circa 1536 del PIL 2014). Insomma, nel 2015 abbiamo fatto 1546 anziché 1548 miliardi di euro. Questo è stato l'oggetto del contendere fra Daveri e l'ISTAT, e forse, a questo punto, sarebbe meglio che per carità di patria il post si chiudesse qui, perché il grafico fa ben capire che di questo passo ci vorranno anni anche solo per tornare ai valori del 2011 (e su quanto ci vorrebbe per tornare a una vita normale non vi intrattengo, avendolo fatto tanto tempo fa, e non volendo guastarvi la giornata... anzi: ci ho ripensato: guastatevela!).
Una disputa su cifre che sono all'interno di un ragionevole margine di errore statistico non dovrebbe appassionarci. Il governo è riuscito, se ci è riuscito, ad arrestare una caduta libera che nel 2016 è probabile riprenda (chi è su Twitter ha già riso sui bins di Nannhchnh, gli altri, mi credano, non hanno perso nulla).
Quindi ci avevamo preso!
Permettetemi di smorzare gli entusiasmi del vostro seguacesimo. Sì, è vero: in questo post avevamo parlato di crescita dello 0.6%. Ma, attenzione: quella non era la mia previsione, e ve lo avevo detto:
Quella era la previsione del modello, condizionata agli scenari IMF, che secondo me erano troppo rosei. Io ritenevo che saremmo stati di poco al disopra dello 0%, diciamo in un range fra 0% e 0.4%. Invece abbiamo sforato la soglia dello 0.5%, portandoci addirittura a 0.64% (che arrotondato dà 0.6%). Quindi il nostro modello è più bravo di me, e ovviamente ne sono contento per lui. La mia onestà mi impone però di moderare gli entusiasmi, per almeno un paio di motivi: intanto, perché io in effetti, a rigore, mi sono sbagliato (ero più pessimista del nostro modello), e poi perché la gazzarra intorno allo 0.2% in più o in meno mi riempie di tristezza (ma ve ne parlerò se avanza tempo).
Prima di ragionare sugli errori di previsione, ragioniamo un po' sul valore effettivo. Con i dati resi disponibili dall'ISTAT possiamo farlo in almeno due modi diversi: lato spesa (domanda), e lato produzione (offerta).
Lato spesa, constatiamo questo:
Intanto, una prima constatazione: nel 2015 l'Italia (rectius: il PIL italiano, ovvero la somma dei redditi percepiti da tutti gli operatori economici che hanno agito sul territorio del paese, ovvero la somma dei valori aggiunti dei diversi settori dell'economia italiana, ovvero la somma delle diverse voci di spesa di famiglie, imprese, settore pubblico e settore estero) è cresciuta dello 0.6%, anziché dello 0.8% come sembrava fosse appena qualche giorno fa.
In altre parole, è successo questo:
invece di questo:
No, non vi sto prendendo in giro! Non mi permetterei mai! Sapete bene che se lo faccio i bocconians accorrono a difendervi (come fece, dimostrando un senso dell'umorismo non esattamente all'altezza delle sue competenze settoriali, il caritatevole Panunzi col povero Previti, quando bloccai quest'ultimo...), quindi me ne ben guardo.
(...in realtà sto aspettando che dalla valle dei castori qualcuno intervenga in soccorso del Giovine Baroni, ma non se lo caca nessuno nemmeno lì, e il progetto Giovinia langue per mancanza di leader carismatico...)
I due grafici in effetti non sono identici.
Lo si vede se si accostano le due serie, quella effettiva e quella auspicata dal nostro illuminato governo:
Le speranze del governo le ho messe in verde fava, colore appropriato a cotanto consesso, lasciando in verde Ulivo (concedo ai congeneri una grattatina) i dati effettivi, fulgida testimonianza di cosa produca un aggiustamento macroeconomico al tempo dell'euro (e anche qui la simbologia mi sembra evidente).
La differenza fra la realtà e gli auspici è impercettibile, ma non potrebbe essere altrimenti, atteso che essa è appunto lo 0.8%-0.6%=0.2% del PIL del 2014 (visto che dal 2014 siamo cresciuti dello 0.6% e non dello 0.8%), cioè all'incirca 2.4 miliardi di euro (su circa 1536 del PIL 2014). Insomma, nel 2015 abbiamo fatto 1546 anziché 1548 miliardi di euro. Questo è stato l'oggetto del contendere fra Daveri e l'ISTAT, e forse, a questo punto, sarebbe meglio che per carità di patria il post si chiudesse qui, perché il grafico fa ben capire che di questo passo ci vorranno anni anche solo per tornare ai valori del 2011 (e su quanto ci vorrebbe per tornare a una vita normale non vi intrattengo, avendolo fatto tanto tempo fa, e non volendo guastarvi la giornata... anzi: ci ho ripensato: guastatevela!).
Una disputa su cifre che sono all'interno di un ragionevole margine di errore statistico non dovrebbe appassionarci. Il governo è riuscito, se ci è riuscito, ad arrestare una caduta libera che nel 2016 è probabile riprenda (chi è su Twitter ha già riso sui bins di Nannhchnh, gli altri, mi credano, non hanno perso nulla).
Quindi ci avevamo preso!
Permettetemi di smorzare gli entusiasmi del vostro seguacesimo. Sì, è vero: in questo post avevamo parlato di crescita dello 0.6%. Ma, attenzione: quella non era la mia previsione, e ve lo avevo detto:
Quella era la previsione del modello, condizionata agli scenari IMF, che secondo me erano troppo rosei. Io ritenevo che saremmo stati di poco al disopra dello 0%, diciamo in un range fra 0% e 0.4%. Invece abbiamo sforato la soglia dello 0.5%, portandoci addirittura a 0.64% (che arrotondato dà 0.6%). Quindi il nostro modello è più bravo di me, e ovviamente ne sono contento per lui. La mia onestà mi impone però di moderare gli entusiasmi, per almeno un paio di motivi: intanto, perché io in effetti, a rigore, mi sono sbagliato (ero più pessimista del nostro modello), e poi perché la gazzarra intorno allo 0.2% in più o in meno mi riempie di tristezza (ma ve ne parlerò se avanza tempo).
Prima di ragionare sugli errori di previsione, ragioniamo un po' sul valore effettivo. Con i dati resi disponibili dall'ISTAT possiamo farlo in almeno due modi diversi: lato spesa (domanda), e lato produzione (offerta).
Lato spesa, constatiamo questo:
Come da copione (ce lo siamo detto tante volte, ad esempio qui e qui), una ripresa della crescita, in assenza di un riaggiustamento del cambio rispetto ai nostri partner dell'Eurozona, comporta un deterioramento dei conti con l'estero. Quest'anno il fenomeno è impercettibile: si passa da 46 a 41 miliardi di esportazioni nette. Ma è stata impercettibile anche la crescita. Non lo è stata la svalutazione dell'euro, pari a oltre il 30% dalla metà del 2014, e gli effetti sulle esportazioni si sono visti: +2.9% nel 2015 e +4.1% quest'anno. Ma le importazioni sono sempre cresciute di più. I keynesiani di buona volontà non lo ammetteranno mai (è roba sporca, roba da neoclassici...) ma i prezzi contano, come ogni casalinga non ideologizzata sa, me compreso.
Altro dato che denota una certa fragilità strutturale è la dinamica degli investimenti. Dal 2012 sono diminuiti del 19% cumulato (contro circa un 5% cumulato di diminuzione del PIL). La loro quota sul PIL è scesa dal 19.5% nel 2011 al 16.7% nel 2014 e lì è rimasta. Potremo parlare di ripresa quando almeno per gli investimenti avremo crescite di un ordine superiore ai punti decimali.
Altro dettaglio, i consumi collettivi (G), cioè la spesa della pubblica amministrazione per stipendi e acquisti di beni. L'unica voce ancora in caduta libera nel 2015, a indicare che l'austerità prosegue (anche se tutti dicono che è sbagliata, ma nel dubbio...).
Se invece vogliamo dare un'occhiata lato produzione, le cose si presentano così, senza particolari sorprese:
Nel 2015 l'agricoltura ha fatto un bell'exploit, con un tasso di crescita quasi al 4%. Peccato che conti per il 2% del valore aggiunto totale, e quindi non abbia potuto contribuire un gran che alla ripresa (ma son contento per gli agricoltori). Contano di più le costruzioni, anche se il loro peso sul totale sta inesorabilmente slittando (dal 5.3% del 2011 al 4.6% del 2015), e questo perché il tasso di crescita del settore è costantemente negativo. Lo è anche quest'anno, per l'1% tondo. L'industria in senso stretto (totale meno costruzioni) quest'anno si riprende, dopo tre anni di tassi di crescita negativi. Prosegue la terziarizzazione dell'economia: il peso del servizi quest'anno resta stabile a 74.7% del totale, era 73.8% nel 2011.
Per capirci, dei 6.5 miliardi di valore aggiunto totale in più realizzati quest'anno, 4.1 vengono dai servizi, cui si sommano 2 che vengono dall'industria in senso stretto, e 1.1 che viene dall'agricoltura, e si sottraggono -0.7 dalle costruzioni.
Se volete il dettaglio dei servizi (visto che contano per tre quarti del totale, può valerne la pena, e del resto, se è così, significa che la maggior parte di voi lavora in quel settore), eccolo:
C'è un solo settore che sta meglio oggi di quanto non stesse nel 2011, ed è quello delle attività immobiliari. La bastonata più forte l'hanno avuta i servizi di informazione e comunicazione, e le attività professionali e di supporto. Temo che avrete diversi aneddoti da raccontarmi. Notate la dinamica delle attività finanziarie e assicurative, che nel 2012, in piena crisi finanziaria, erano le uniche a conoscere un tasso di crescita vicino al 2%. Controintuitivo, ma questo dicono i dati.
Ci sarebbe da discutere per ore, ma vorrei tornare un momento al famoso 0.2% di differenza. La semplice analisi che abbiamo fatto dovrebbe dirvi una cosa: che il PIL, da qualsiasi lato lo si consideri, è la somma di componenti che vengono esse stesse stimate, ognuna con un suo errore.
Capite quindi perché è poco appassionante, anche dal punto di vista tecnico, un dibattito sullo 0.2% in più o in meno nella somma? Chi sa quali e quanti errori compiuti nella stima delle parti si compensano in questo dato aggregato, errori fisiologici, non certo maliziosi, e che con il tempo vengono recuperati, modificando il dato definitivo, così come accade, del resto, per il continuo adeguamento dei criteri di misurazione delle quantità e dei prezzi.
Alla battaglia dello 0.2% perdono quindi tutti.
Perde chi è stato puntiglioso, perché alla fine se l'Italia non riparte è proprio perché il governo ha pedissequamente applicato quelle riforme dal lato dell'offerta che tanto piacciono al professor Daveri (il collega che ha sollevato il problema con l'ISTAT). Il professore, lo sappiamo e per quello gli vogliamo bene, è un offertista convinto, fino al punto, come ricorderete, di trovare strano un dato che invece è del tutto fisiologico: il boom dell'import, che lui attribuisce a una carenza di offerta (e che noi avevamo ampiamente discusso e previsto come conseguenza delle elasticità alla domanda e ai prezzi delle equazioni del commercio estero; notate che all'epoca dell'intervento del prof. Daveri tutti andavano in sollucchero per lo 0.9% annunciato, e noi pazienti aspettavamo il cadavere dello 0.6% sulla riva del fiume... consapevoli del fatto che purtroppo era il nostro!). Ma da quelle parti, si sa, vige la legge dell'offerta e dell'offerta, come l'ha battezzata Giuseppe Rubino (su Twitter).
Perde l'ISTAT che, forse per un problema di comunicazione, si aggiunge alla lista delle istituzioni che nell'ultimo semestre hanno perso credibilità (magari ingiustamente, chi può dirlo? Ma che un vulnus ci sia è indubbio e non fa bene alla democrazia).
E perdiamo, naturalmente, noi, come ho appena ricordato, visto che per risolvere i nostri problemi ci vorrebbe almeno cinque volte tanto di crescita, e per almeno un decennio.
Ma questo, lo sapete, dentro l'euro è impossibile, e fuori difficile.
Altro dato che denota una certa fragilità strutturale è la dinamica degli investimenti. Dal 2012 sono diminuiti del 19% cumulato (contro circa un 5% cumulato di diminuzione del PIL). La loro quota sul PIL è scesa dal 19.5% nel 2011 al 16.7% nel 2014 e lì è rimasta. Potremo parlare di ripresa quando almeno per gli investimenti avremo crescite di un ordine superiore ai punti decimali.
Altro dettaglio, i consumi collettivi (G), cioè la spesa della pubblica amministrazione per stipendi e acquisti di beni. L'unica voce ancora in caduta libera nel 2015, a indicare che l'austerità prosegue (anche se tutti dicono che è sbagliata, ma nel dubbio...).
Se invece vogliamo dare un'occhiata lato produzione, le cose si presentano così, senza particolari sorprese:
Nel 2015 l'agricoltura ha fatto un bell'exploit, con un tasso di crescita quasi al 4%. Peccato che conti per il 2% del valore aggiunto totale, e quindi non abbia potuto contribuire un gran che alla ripresa (ma son contento per gli agricoltori). Contano di più le costruzioni, anche se il loro peso sul totale sta inesorabilmente slittando (dal 5.3% del 2011 al 4.6% del 2015), e questo perché il tasso di crescita del settore è costantemente negativo. Lo è anche quest'anno, per l'1% tondo. L'industria in senso stretto (totale meno costruzioni) quest'anno si riprende, dopo tre anni di tassi di crescita negativi. Prosegue la terziarizzazione dell'economia: il peso del servizi quest'anno resta stabile a 74.7% del totale, era 73.8% nel 2011.
Per capirci, dei 6.5 miliardi di valore aggiunto totale in più realizzati quest'anno, 4.1 vengono dai servizi, cui si sommano 2 che vengono dall'industria in senso stretto, e 1.1 che viene dall'agricoltura, e si sottraggono -0.7 dalle costruzioni.
Se volete il dettaglio dei servizi (visto che contano per tre quarti del totale, può valerne la pena, e del resto, se è così, significa che la maggior parte di voi lavora in quel settore), eccolo:
C'è un solo settore che sta meglio oggi di quanto non stesse nel 2011, ed è quello delle attività immobiliari. La bastonata più forte l'hanno avuta i servizi di informazione e comunicazione, e le attività professionali e di supporto. Temo che avrete diversi aneddoti da raccontarmi. Notate la dinamica delle attività finanziarie e assicurative, che nel 2012, in piena crisi finanziaria, erano le uniche a conoscere un tasso di crescita vicino al 2%. Controintuitivo, ma questo dicono i dati.
Ci sarebbe da discutere per ore, ma vorrei tornare un momento al famoso 0.2% di differenza. La semplice analisi che abbiamo fatto dovrebbe dirvi una cosa: che il PIL, da qualsiasi lato lo si consideri, è la somma di componenti che vengono esse stesse stimate, ognuna con un suo errore.
Capite quindi perché è poco appassionante, anche dal punto di vista tecnico, un dibattito sullo 0.2% in più o in meno nella somma? Chi sa quali e quanti errori compiuti nella stima delle parti si compensano in questo dato aggregato, errori fisiologici, non certo maliziosi, e che con il tempo vengono recuperati, modificando il dato definitivo, così come accade, del resto, per il continuo adeguamento dei criteri di misurazione delle quantità e dei prezzi.
Alla battaglia dello 0.2% perdono quindi tutti.
Perde chi è stato puntiglioso, perché alla fine se l'Italia non riparte è proprio perché il governo ha pedissequamente applicato quelle riforme dal lato dell'offerta che tanto piacciono al professor Daveri (il collega che ha sollevato il problema con l'ISTAT). Il professore, lo sappiamo e per quello gli vogliamo bene, è un offertista convinto, fino al punto, come ricorderete, di trovare strano un dato che invece è del tutto fisiologico: il boom dell'import, che lui attribuisce a una carenza di offerta (e che noi avevamo ampiamente discusso e previsto come conseguenza delle elasticità alla domanda e ai prezzi delle equazioni del commercio estero; notate che all'epoca dell'intervento del prof. Daveri tutti andavano in sollucchero per lo 0.9% annunciato, e noi pazienti aspettavamo il cadavere dello 0.6% sulla riva del fiume... consapevoli del fatto che purtroppo era il nostro!). Ma da quelle parti, si sa, vige la legge dell'offerta e dell'offerta, come l'ha battezzata Giuseppe Rubino (su Twitter).
Perde l'ISTAT che, forse per un problema di comunicazione, si aggiunge alla lista delle istituzioni che nell'ultimo semestre hanno perso credibilità (magari ingiustamente, chi può dirlo? Ma che un vulnus ci sia è indubbio e non fa bene alla democrazia).
E perdiamo, naturalmente, noi, come ho appena ricordato, visto che per risolvere i nostri problemi ci vorrebbe almeno cinque volte tanto di crescita, e per almeno un decennio.
Ma questo, lo sapete, dentro l'euro è impossibile, e fuori difficile.
Si apra la discussione (se pensate che ne valga la pena).
(...se non discutete voi, magari più tardi discuto io guidandovi nell'analisi delle fonti di errore di previsione. Per esempio, potremmo andare a vedere se il modello ha detto la cosa giusta per il motivo sbagliato. C'è sempre da imparare. Certo, quando per ragionare su queste fonti occorre il microscopio, il tema, me ne rendo conto, resta puramente accademico. Ma siamo qui anche per passare il tempo, e quindi...)
C'è poi la propaganda di regime, che ha già perso, facendosi vanto di tassi di crescita degni dei bei tempi in cui avevamo i goti alle porte di Adrianopoli e il dibattito era orientato sul ben più serio tema dell'eresia ariana. Si dovrebbe imparare molto dall'annata 377-378: molti schiavi fuggirono dalla Tracia per unirsi a Fridigern (credo) e alla sua armata di ribelli, che dopo aver subito per diretto ordine dell'imperatore Valente le peggiori spoliazioni, prole inclusa in molti casi, videro bene di bruciare vivo lo stesso che si era rifugiato, uomo dalla grande saggezza, in una capanna di paglia.
RispondiEliminaOvviamente non c'è altro da dire.la struttura deldel bilancio italiano era strutturaTa sul PIL ante crisi,l'idiozia dei monetaristi teorizzato la supremazia delle politiche monetarie su quelle fiscali ha inventato l'austerità espansiva.in piena crisi abbiamo ridotto una componente del PIL, la spesa pubblica compressa x i tagli e il limite del 3%.negli usa sono ripartiti con qe e una politica di investimenti privati supportata e mascherata da fondi pubblici ovvero shake gas e tight oil.non più tardi di 5 ore fa una mia amica in Virginia mi ha detto che rispetto al 2008 in tanti in usa hanno una situazione economica migliore.noi siamo vittime di un furto di democrazie chiamato UE che in nome del liberismo e del mwrcantilismo tedesco ha messo in ginocchio interi stati e risvegliato demoni del continente.a quando la fine di questo incubo?
RispondiEliminaleggendo il tuo commento mi viene in mente che siamo, tra le altre cose, vittime di una povera figura retorica che nulla c'entra: l'ossimoro.
Elimina"l'austerità espansiva" è come dire "il dimagramento ingrassante".
forse, invece de "l'inutile intelligente" dovremmo cominciare ad allinearci all'uso della retorica del regime e usare "l'intelligente coglione", o "il coglione intelligente", scegliete voi.
Caro mio stanno facendo i tennisti con le nostre palle per non dire altro.
EliminaGM (General Motors) nel 2009 fù salvata dallo Stato americano o meglio nazionalizata.
EliminaCosto per lo stato 51 mrd. $
Nel 2013 lo stato americano mette sul mercato la sua quota di azioni GM (100%). GM torna ad essere privata.
Ricavato per lo stato 39 mrd. $
Differenza -12 mrd. $
Maaaaaaaaaa.
Grazie al salvataggio statale si sono salvati 1.2 mio. di posti di lavoro. Tra stabilimenti, concessionari GM, industria del acciaio, industria tessile, industria della gomma ecc.
Questi 1.2 mio. di posti di lavoro salvati hanno creato per lo stato 35 mrd. di entrate fiscali.
Fiat per l'acquisto di Chrysler è anche Ford hanno ricevuto crediti per diversi mrd. dallo stato americano. I crediti statali sono tutti stati restituiti. Lo stato ha incassato interessi per più di 1 mrd. $ o giù di lì.
Ford nel 2008/9 era in una crisi pesante. Chrysler un morto che cammina.
Nel 2015 i stabilimenti di RAM-Truck, Jeep (Chrysler) è Ford hanno piena occupazione. RAM- Truck è Jeep persino non riescono a coprire la domanda per mancanza di posto, qui sono in atto dei spostamenti per creare posto. Lo stato bruuuutto a sua volta gioisce per le entrate fiscali.
Eppure voi non avete idea di quanta gente è convinta di stare con il culo al caldo..... Per certi versi sarei quasi contento venisse giù tutto. Un saluto al Prof.
RispondiEliminaNon ricordo se fu il professore o Claudio Borghi che disse in un Tw che per avere una crescita sana. l'inflazione si dovrebbe attestare tra il 5% e il 7%. Con una vera indicizzazione dei salari, la produttività sarebbe stata innescata, così come l'innovazione. Era una cosa logica, se non naturale da capire. Eppure molti mi hanno guardato come se fossi il Pluto dantesco che grida:
RispondiElimina«Pape Satàn, pape Satàn aleppe!»,
so solo che sarà una tonnara..
RispondiEliminaPS: 0 di "appassionamento" per questa vicenda
la soluzione potrebbe essere passare dal % al ‰
RispondiEliminaL'Italia è al 17° posto delle economie complesse. Davanti a paesi come Israele, Olanda, Danimarca, Canada, Polonia, Mexico, Cina, Nuova Zelanda, Spagna, Turchia, Argentina, Brasile. Ma nessuno di questi paesi ha avuto una depressione così devastante come l'Italia.
RispondiEliminaLa Turchia ha la mettà del PIL italiano ed è al 40° posto delle economie complesse, ma non si fà in nessun modo condizionare nè dalla culona, nè dalla commissione UE, nè dal eurogruppo è nè dalla Trojka. Anzi, tutte stè 4 merdacce a strisciare in ginocchio, come dei morti di fame davanti ad Erdogan.
È `<a href="> questo</a> è il PIL Turco.
PS:
Tanti laureati Turchi di 2° generazione in Germania sono tornati in Turchia perchè non trovavano un posto di lavoro che risponde alla loro qualificazione in Germania. Alla catena di montaggio o come lava piatti, camerieri o per pulire i cessi non avrebbero avuto problemi, naturalmente sotto Hartz IV cioè 400 € al mese.
Odiatori dell'occidente che crescono grazie e per colpa dell'occidente, e che a un regime nazista ne preferiscono uno nazista ma dove possono avere la libertà più grande: essere loro stessi, cioè turchi.
EliminaLibertà che al momento in Italia appare un po' coartata.
Friedman diceva che soltanto una crisi produce cambiamento ergo avanti con un'altra recessione perché così sarà più facile implementare il trattato del tipo. È come nel mercato sanitario:il più grande business è far credere ai sani di essere ammalati e via con test predittivi,farmaci personalizzati,inutili screening.pEr chi volesse approfondire cerchi Gianfranco domeninghetti.una sola cosa:da uno studio francese si è rilevato che negli ultimi 30 anni solo il 3% delle nuove molecole presenterà significativi effetti terapeutici innovativi.le altre erano solo copie più costose
RispondiElimina@gianfranco compagnon
EliminaGrazie per il rimando agli articoli di Gianfranco Domenighetti. Tristemente confermano ciò che mi diceva un amico medico.
Vedi: Peter Conrad, The medicalization of Society. On the Transformation of Human Conditions into Treatable Disorders, The Johns Hopkins University Press,2007
EliminaPrecondizione necessaria e' la sistematica distruzione della scuola pubblica. Statisticamente i nostri figli non sono in grado di leggere un romanzo che non sia fantasy. Crederanno alle creme dimagranti ed agli integratori dietetici, per citare i piu' simpaticamente innocui.
EliminaBuonasera,
RispondiEliminaHo preparato una presentazione divulgativa per spiegare ai miei conoscenti i concetti dei saldi settoriali in modo semplice, mooolto più elementare di quello del prof.
Accetto volentieri commenti costruttivi e metto a disposizione liberamente per uso divulgativo
https://drive.google.com/file/d/0Bxy6N-_qjjzMQk1wYlNFcnpzTUk/view?usp=sharing
Saluti
grazie , schema molto utile , apprezzo molto il suo lavoro e la ricerca di sintesi
Eliminahttp://www.bis.org/publ/qtrpdf/r_qt1603_ontherecord.pdf
RispondiEliminaMai na gioia.
"Put differently, we may not be seeing isolated bolts from the blue, but the signs of a gathering storm that has been building for a long time."
Vorrei chiarire un aspetto inerente allo sviluppo positivo delle attività immobiliari, come sopra descritto.
RispondiEliminaA detta del Prof. Bagnai, giustamente, "C'è un solo settore che sta meglio oggi di quanto non stesse nel 2011, ed è quello delle attività immobiliari."
Non si pensi, però, che esso sia attribuibile alla ripresa dell'edilizia, poiché gli stessi dati dell'Istat ci indicano tassi di crescita costantemente negativi del settore (produttivo) delle costruzioni. E sarebbe altrettanto interessante analizzare l'andamento del comparto della vendita dei materiali edili, in base alla mia esperienza anch'esso in crisi profonda.
Insomma, il settore immobiliare si regge, se non sulla costruzione e vendita di nuovi edifici, sul commercio di quelli preesistenti.
Quindi, per quelli che dicono che l'edilizia è uno dei motori principali della nostra economia, non a torto, c'è ancora da aspettare una vera e significativa ripresa dell'intero settore.
Ahah sì, ecco, er lider. Ma quale leader se manco tre mesi fa ho rifiutato un'offerta di lavoro per una società USA in Italia che si occupa, tra le altre, di recupero crediti deteriorati? Siccome è la seconda occasione che rifiuto in 2 anni per motivi analoghi ( cioè la nausea) qua la prospettiva futura per me diventa sotto il ponte, come Baudelaire, altro che Giovinia... in famiglia mia dicono che sono troppo rigido. Non hanno capito che, in realtà, è perché sono fin troppo flessibile. Come glielo spiego Alberto?
RispondiEliminaPer dire le stesse cose,
RispondiEliminail PIl dell'italia è grosso modo 1.500 miliardi di Euro/anno, il mio stipendio è circa 1.500 Euro al mese.
Lo 0,2% del mio stipendio sarebbe l'1 per 1000, e cioè 3 Euro. Ma io, avrò guadagnato 3 euro in più al mese rispetto all'anno scorso?
Boh! proprio non lo so.
però, se mi offrissero un aumento di 3 euro, con tutto il rispetto, credo che manderei qualcuno a quel paese...
quello di Daveri, intendo.