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mercoledì 4 ottobre 2017

Le leggi razziali

Il padrenobilismo è una malattia ben diffusa qui a sinistra.

Direte cinici: bè, per forza, i padri nobili sono un serbatoio di voti! Sì, avete ragione, ma non è tutto qui. Questo può spiegare il caso Bersani (tanto per non far nomi), e perché politici (uno, in particolare) perfettamente consapevoli del fatto che "noi siamo quelli dell'euro" è un suicidio politico (prima di essere una vergogna), se lo tengono ancora stretto. Ma un padrenobilismo simile, di matrice meramente opportunistica, lo trovereste anche a destra, e anche al centro. A noi, a sinistra, ne è toccata in sorte una forma più radicale e perversa. Certo, fa strano che quelli del "vietato vietare", i dissacratori, oggi girino coi santini col cruscotto, come un qualsiasi "operatore logistico" (suppongo che oggi camionista si dica così) "diversamente settentrionale" (ovvero di S. Giovanni Rotondo). Eppure, ogni volta che viene evocato Ventotene, ve ne sarete accorti, si viene proiettati oltre la liturgia, dal rituale si transita nella superstizione, nella religio di Lucrezio, in una sfera prerazionale, prepolitica, sciamanica...

Non a caso scelgo il termine "sciamanico": perché solo una dimensione tribale, o meglio, più esattamente: solo il bisogno di ritrovare, di ricostruire, le dinamiche di appartenenza tribali, così cogenti, così vincolanti perché dettate dalla necessità di sopravvivere in contesti ancora non domesticati dalla civilità, può spiegare per quale dannato motivo persone come noi istruite, e spesso più di noi capaci di fare i propri interessi con la sordida meticolosità degli avari di Balzac (ma sempre conservando una patina a modo suo balzacchiana di rispettabilità - in questo caso, però, non borghese, ma "de sinistra"), soggiacciano poi nel ragionamento politico a logiche elementari, anzi, a logiche illogiche, che li portano ad assumere come un dato di natura, un dato prepolitico, ordinamenti che non sono naturali, ma umani, e ad appoggiare nei fatti esattamente quel tipo di politiche che a parole dicono di voler combattere, e questo perché "glielo chiede l'Europa", che, beninteso, non è "quella di Ventotene" (questo si affrettano ad aggiungerlo), ma potrebbe forse esserlo: e a questo "poter forse essere" (che non è non dico l'embrione, ma nemmeno il gamete di un "dover essere") essi si inchinano.

Il bisogno di appartenenza, del resto, alimenta un prepotente bisogno di auctoritas. Ed è qui che interviene il padrenobilismo: come scusa per nobilitare (appunto), per riscattare, un atteggiamento sostanzialmente gregario e passivo verso la politica, atteggiamento del quale lo pseudocolto di sinistra non potrebbe non vergognarsi, se dovesse limitarsi a leggerlo per quello che è: una manifestazione di scarso spirito critico e di nulla passione civile. Insomma: il prezzo dell'identità, dell'appartenenza a un gruppo, è naturalmente quello di venire a compromesso con se stessi, di dire o fare cose che non si approverebbero. In cambio hai protezione (sotto forma, a seconda dei casi, di una scodella di sorgo o di un ruolo sociale). Tradire se stessi è la strada maestra per tradire tutti gli altri, e viene certo molto più facile se puoi farlo sotto l'ombrello di una autorità presentata come inconfutabile: "i Padri Fondatori" (con le maiuscole), leggevo oggi in uno sconclusionato sproloquio padrenobilista, nel quale, ovviamente, si lamentava che questa Europa ecc... ma! (Ma ce la teniamo, ovviamente. Perché? Perché sì...).

D'altra parte, se i farabutti non ambissero a rappresentarsi e sentirsi dei paragoni di nobiltà d'animo, ci sarebbero molto più simpatici e sarebbero molto meno dannosi. Invece questa ambizione non la depongono, e ad essa è funzionale il padrenobilismo.

Certo, anche il padrenobilismo i suoi rischi li presenta. Spesso il padre nobile scelto è francamente improponibile (ogni riferimento a padri nobili sopra citati è puramente intenzionale), anzi, direi che lo è di norma, perché i motivi della scelta, quando non sono venali ("quello dice un sacco di fregnacce ma porta voti!") sono comunque estemporanei, illogici.

Prendiamo ad esempio Franco Modigliani.

Mi piace ricordarlo oggi che una certa sinistra, farfugliando cose che visibilmente non è in grado di capire, riscopre la natura keynesiana e lavorista della nostra costituzione. Sarebbe utile che chi può si legga Post Keynesian theory and policy di Paul Davidson, e in particolare il Capitolo 5: "Why traditional mainstream Keynesian theory is not Keynes's theory". Servirebbe a capire quale opera di tradimento e "sterilizzazione" del messaggio keynesiano sia stata fatta da Modigliani (sotto l'impronta intellettuale del suo coautore Samuelson), per il tramite di quella che noi istruiti chiamiamo "la sintesi neoclassica". Viene da Samuelson l'idea che ogni modello economico possa essere ricondotto, come caso particolare, al modello di equilibrio economico generale di Walras, l'idea insomma che la Teoria generale di Keynes non sia, appunto, una teoria generale, ma il caso particolare, a salari fissi, del modello walrasiano. Il corollario di questa impostazione, ovviamente, è che tutti i problemi si possono risolvere con le riforme strutturali (cioè favorendo la flessibilità verso il basso dei salari). Un'idea, voi lo capite bene, perfettamente compatibile col jobs act del cattivo Renzi, ma certo non che la liturgica invocazione dell'art. 1 fatta non ricordo più se da Fassina o da D'Attorre (o da chi?).

Voi direte: "Stai rimbecillendo come un certo editorialista della domenica (che però ha la scusa di avere alcune decine di anni più di te): divaghi, divaghi,... Ma dove vuoi arrivare? Che c'entra Modigliani con i nostri problemi, con la Catalogna, con la ripresa economica?"

Calma, ci arrivo. Modigliani ci interessa per due motivi, che vi enuncio prima di spiegarveli (o rispiegarveli):

1) perché è un esempio, uno dei tanti, di economista di destra diventato padre nobile della sinistra;
2) perché nonostante non fosse un genio (e ci tenne a certificarlo con un Nobel), salvò la pelle (del che siamo lieti).

Entrambe queste cose ci riguardano, e la seconda più della prima.

Intanto, che uno per cui tutti i problemi si risolvono tagliano i salari non possa ragionevolmente essere considerato di sinistra credo che voi lo capiate! Bene. Allora vorrei ricordarvi che questo caro, simpatico vegliardo, proprio lui che aveva firmato insieme a un altro padre nobile di figli d'arte di sinistra questo appassionato manifesto a favore di politiche supply-side (aka riforme strutturali, aka taglio del vostro, non del suo, salario...), proprio lui aveva guadagnato sul campo i galloni di padre nobile, perché... aveva battibeccato con Berlusconi durante una diretta televisiva! Qualcuno ricorderà questo episodio, e se riuscisse a ritrovare lo spezzone video glie ne sarei molto grato. Per me, che ero ricercatore di fresca nomina, assunto nel dipartimento dove ero stato cresciuto ed educato allo spirito critico (oggi invaso dagli ultracorpi, ma tant'è: non è che altrove le cose vadano meglio...) ricordo che la scena fu surreale! Col senno di poi, devo dire che il Berlu, del quale mi farebbe molto piacere che si dedicasse ai suoi hobby, e che non ho mai votato, aveva un certo istinto: lo stesso che dimostrò dando del kapò a quel politico tedesco fallito...

Ecco, questo lo mettiamo in conto "paradossi del padrenobilismo": adottare come padre nobile un economista sostanzialmente reaganiano nell'approccio... e questo perché? Perché per motivi estemporanei ha avuto un diverbio con il simbolo del Male (essendo però stato lui un Male ben più profondo e radicale in termini di snaturamento dell'unico pensiero rivoluzionario partorito nel XX secolo - nel XIX non era andata molto meglio...).

E del salvare la pelle?

Parliamone. Vi ricordo che Modigliani fu quello che, mentre invocava politiche supply side (costituendosi propagandista dell'approccio al mercato del lavoro elaborato e poi imposto dall'OCSE, come abbiamo visto qui grazie ad Agénor, quello basato sul concetto di occupabilità, anziché di occupazione...), andava anche petulando in giro che l'euro era buona cosa, perché la Bce sarebbe stata un organo collegiale, marcando un progresso rispetto alla situazione degli anni '80. Negli anni '80, infatti, per evitare fughe di capitali verso la Germania i paesi satellite dovevano scegliere il tasso di interesse che la Germania praticava, quello che faceva comodo a lei. Non di meno (altrimenti i capitali sarebbero scappati in Germania), non di più (altrimenti gli investimenti sarebbero stati troppo compressi). Il grande vantaggio di passare alla Bce sarebbe stato quello di evolvere dalla situazione in cui si adottava il tasso di interesse che faceva comodo solo a uno, a quella in cui si adottava un tasso di interesse che non faceva comodo a nessuno! Vi ho descritto, faustianamente, questa vicenda in uno dei miei post preferiti (voi lo preferirete quando lo capirete: se ci volete provare è qui).

Uno che ragiona così, evidentemente, non è un gran genio. Perfino io, nel 1997, ero stato in grado di obiettargli che la Bce sarebbe stata egemonizzata dai paesi dell'ex area del marco, come poi fu,  e come Modigliani stesso lamentò nel 2002: e fu il suo canto del cigno. Ci voleva una testa discretamente vuota, vuota come le quinte del Doppelgänger, per non capire l'ovvio cinque anni prima che questo bussasse alla porta...

E anche qui, a me, che ero persona istruita (dai baccelloni), colpiva una cosa: ma come diamine aveva fatto un fenomeno simile ad andarsene per tempo dall'Italia, a non finire, come tanti altri, nei campi tedeschi, uno incapace di vedere pochi mesi al di là del proprio naso?

Alla risposta ci sono arrivato da poco, e ve ne ho parlato qui: c'era stato un bel segnale di discontinuità, c'erano state le leggi razziali: non occorreva essere un genio per capire, se eri ebreo, che era il momento di cambiare aria. Bastava non essere un bandierista, e avere i mezzi materiali per farlo...

Ora, noi siamo un pochino più lungimiranti del buon Franco. Sarà perché siamo nani sulle spalle di un gigante (Keynes, decisamente non Franco), ma intanto riusciamo a capire che un sistema nel quale l'unica valvola di sfogo è la compressione dei salari si condanna alla deflazione, e poi intuiamo anche che siccome i salari sono il reddito della maggioranza, se vuoi comprimerli poi devi comprimere la democrazia, e in fondo a questo percorso c'è la guerra. Ho cominciato a far notare questo sgradevole dettaglio prima di Maidan. Ma Maidan è in Ucraina, quelli sò strani, sò cosacchi, da noi ste cose nun succedeno... Ora vi state godendo (si fa per dire) lo spettacolo della Catalogna, che qualcuno ha definito una Maidan a bassa intensità: chissà che domani una cosa simile non possa succedere anche da noi, per un pretesto qualsiasi (non necessariamente le pulsioni autonomiste di un territorio)? Solo per dirvi che molti di voi credo abbiano cominciato a prendermi un po' più sul serio.

Resta il fatto che, come vi dicevo un paio di anni or sono, oggi mi sembra difficile ricevere un segnale come quello che il buon Franco ricevette e seppe interpretare. In altre parole: quando è che dovremo andarcene per salvare la pelle? Quando è che il potere ci userà l'inaudita accortezza di segnalarci il suo irreversibile scadimento verso il fascismo?

Io che sarebbe il caso di andarsene lo dico da un po'. Non a voi, naturalmente! Perché, sapete, l'economia funziona così: se un'idea buona la dici a tutti, poi diventa cattiva. E io a voi voglio bene, ma a me di più... Molti hanno capito ugualmente, e ogni tanto ci salutano: chi dalla Nuova Zelanda, chi dalla Norvegia... Ma, insomma, a Rockapasso che questa storia finirà, ma finirà nella violenza, non lo dico da domani. L'argomento era sempre: "Ma i genitori?", e la mia replica: "Ma i figli?". Alla fine, siamo giunti alla conclusione che ove mai si dovesse costituire l'esercito europeo, ce ne andremmo (a proposito: devo ricordarmi di controllare i passaporti). Tuttavia, mi sto chiedendo se sia veramente il caso di aspettare questo snodo, che effettivamente sarebbe piuttosto esplicito. Perché già oggi stanno succedendo cose abbastanza preoccupanti, ma delle quali, per qualche strano motivo, fino a ieri mi preoccupavo praticamente da solo: e mi riferisco, come avrete capito, alla censura, altro fiore all'occhiello di ogni regime totalitario.

Vi lascio con due lettere che ho ricevuto, e che mi inducono a pensare che forse non è proprio il caso di aspettare che arrivi l'Eurogendfor a prenderci a casa.

La prima è mi arriva da "uno de passaggio"(che in realtà sono due: uno va nei paesi emergenti a vendere casseforti, e l'altro ci va a svuotarle - via crisi finanziarie. Ho begli amici, vero? Diciamo che sono il lato piacevole di questa esperienza per altri versi un po' usurante. Comunque, questo è quello che le casseforti le vende...):




Caro Alberto,

oggi a Piddinia è la festa del patrono San Culazio (patrono dei posteggiatori), per cui ho passato una giornata dedicata alla famiglia... e alla lettura.

I tuoi tweets, e quelli che rilanci, offrono sempre spunti interessanti. 
Mentre ammiravo lo sguardo smarrito di Rajoy, ritwittato da lemasabachthani (a proposito, la partita ispano-catalana sembra venga gestita da ambo le parti per ottenere i peggiori risultati possibili!) mi è caduto l'occhio sul promoted tweet appena sotto, la cui immagine ti allego.


Penso sia stata deformazione professionale causata dall'uso del termine "Blockchain", che mi ricorda tanti articoli da hardware shops; e forse anche la presenza del colosso (dalla salute malferma) assicurativo/cooperativo bolognese Unipol.

Sta di fatto che ho cliccato sul link e ho trovato questo. Di recentissimi esempi di quanto stia diventando sempre più orwelliana e distopica la nostra società, oggi ne hai rilanciati molti (come questo, questo, e questo:  follie che per uno spirito libertario (ed anche per chiunque riconosca il valore dello Stato di diritto) sono vere e proprie pugnalate inferte ai cittadini, sempre più avviati a tornare sudditi (i più fortunati) o schiavi; ma la naturalezza con cui tale Elena Comelli scrive ciò che scrive, ed anche il fatto che qualcuno paghi perché il suo articolo venga promosso su Twitter, mi riempiono di sentimenti contrastanti (nessuno dei quali però teso alla gioia).

Davvero chi propala tali concetti non si rende conto delle implicazioni che la loro applicazione avrebbe/avrà sulla vita, sulla privacy, sui diritti e, in sostanza, sulla "libertà dal bisogno" delle persone? Con un'iperbole (forse) mi chiedo quante anime il diavolo abbia comprato nel mondo della comunicazione.

Penso di dover accelerare i miei proposti intercontinentali.

Un forte abbraccio

Uno de passaggio

...e l'altra lettera mi è arrivata dal vicepresidente (di asimmetrie): oggetto "Questa è davvero grave", e contenuto un solo link, questo.

Alla domanda se ci sia qualcuno disposto a fare una battaglia per la libertà di opinione, io posso dare solo i nomi di due che certamente non sono disposti, perché gliel'ho chiesto quando per combattere c'erano margini maggiori di quelli attuali: li conoscete e non vale la pena di ripeterli. Ho dovuto elaborare il lutto di  veder crollare il sistema di valori al quale ero stato educato: quello secondo cui, siccome la sinistra era antifascista, e il fascismo aveva conculcato la libertà di pensiero, la sinistra avrebbe difeso la libertà di pensiero. Sapete che fin da subito, fin dalla pubblicazione del mio primo articolo sul manifesto, mi ero dovuto ricredere.

Ma il punto è che oggi credo a nessuno questa battaglia interessi, e il motivo temo sia ovvio: si avvicina (forse) un cambio della guardia, e sono in molti a poter legittimamente pensare che sia delle leggi sulla censura quello che è delle leggi elettorali: fatte per blindare la posizione di chi è al governo, diventano poi lo strumento col quale chi è all'opposizione blinda se stesso, una volta raggiunto il potere. La libertà di pensiero, che in tempi meno malsani fa paura solo al potere, oggi mi sembra faccia paura anche all'opposizione, e penso che anche qui il motivo sia evidente. Se la sinistra sta pagando, come prevedibile, il prezzo di aver fatto politiche di destra (inutile citare l'articolo nel quale lo annunciai, tanti anni fa), questo però non significa che la destra sia necessariamente disposta a fare politiche di sinistra (cioè il contrario delle politiche che i padri nobili Modigliani e Sylos Labini auspicavano). Una riflessione sul fallimento delle riforme, e più in generale sul fallimento del mercato, e sulla necessità di ritornare a un modello di economia mista, non fa comodo credo a nessuno, perché a sinistra è stata cancellata dall'orizzonte del dicibile, e a destra è oggettivamente in contrasto con gli umori di una parte non indifferente dell'elettorato. Meglio non pensarci, meglio non pensare...

Io proverò a combattere, ma temo di sapere come andrà a finire questa storia: finirà in nulla, e ci terremo questa ulteriore violazione delle nostre libertà, abituandoci. Quando ci volgiamo indietro, al XX secolo, vediamo Auschwitz, questo culmine di orrore. Si impone alla vista per la sua enormità, e anche perché è più vicino, ma così facendo, questa vetta di abominio, ci nasconde l'abisso che la precedette. Come si arrivò ad Auschwitz? Non credo che il percorso sia stato molto ripido: penso che sarà stato graduale, e che poco a poco si sia scivolati nell'orrore, così, banalmente, ogni volta pensando che alla fine quello che stava succedendo era poca cosa, era sopportabile, e comunque sarebbe toccato prima da altri. Mi sembra abbastanza paradossale che si dia il nome di liberismo a un sistema sociale che in realtà si muove su un percorso preordinato, il cui punto di arrivo è ciclicamente quello e solo quello. La libertà dov'è, in questo sistema che ci costringe a ripetere gli stessi errori?

Ecco: oggi ho potuto dirlo.

Domani potremo sperimentarlo.

Buona notte e buona fortuna...

domenica 6 marzo 2016

A Biagio su Modigliani e la BCE

Biagio Bossone, che non conosco personalmente, mi ha segnalato questo suo intervento su Voxeu, il portale del CEPR, think tank del quale vi ho parlato recentemente, rinviandovi anche ai siti che documentano le mie affermazioni.

Non mi aspetto, lo dico senza polemica, che un organismo cospicuamente finanziato dalle banche (centrali o meno) e dalle istituzioni europee dica né lasci dire qualcosa di critico sull'euro. Desidero subito chiarire che questa mia osservazione non è polemica. Si tratta, semplicemente, di contribuire ad affermare anche in economia un principio che è ovvio nelle altre scienze: quello per il quale i risultati delle ricerche devono essere accompagnati da una disclosure dei potenziali conflitti di interesse.

Detto questo (a futura memoria), vorrei entrare costruttivamente nel merito del lavoro che mi è stato segnalato. Bossone mi sembra una persona aperta (altrimenti non mi avrebbe contattato). Io ho sempre meno voglia di esserlo, anche perché la mia avventura è iniziata proprio da un episodio di censura subito dalla "rete CEPR", ma in questo caso faccio un'eccezione.

La sintesi dell'intervento è che i problemi dell'Europa si risolverebbero modificando lo statuto della Bce, che è "sbagliato" per vari motivi, come Modigliani con lungimiranza aveva pronosticato.

Chi segue la mia opera di divulgazione sa bene che questa visione agiografico-irenica del processo europeo non solo non incontra il mio favore, che non conta nulla, ma soprattutto non trova riscontro nei dati di fatto. Avendo dichiarato le mie premesse di valore (atto di onestà oggi desueto), passo a difenderle sul terreno fattuale.

Il genio di Modigliani
Intanto, mi duole non trovare riscontro alla visione ideale di Franco Modigliani espressa da Bossone. Come noi sappiamo (perché ce l'ha detto Modigliani), Modigliani credeva nel 1997 che i problemi dell'Europa sarebbero stati risolti da "più Europa". Ve ne ho parlato partitamente quattro anni or sono. La sua idea era che passando alla moneta unica "monetary policy would be conducted by a European central bank in which Germany would have an important - but not an absolute – voice". L'euro come fine della German dominance, insomma.

(...parentesi metodologica. De mortuis nihil nisi bonum è un principio che non si può applicare agli intellettuali. Gli intellettuali vivono nelle loro idee. Il privilegio dell'immortalità si paga con l'esenzione dell'agiografia coattiva. Chiusa parentesi...)

Ragionando in quel modo, lo abbiamo notato più volte, Modigliani non dava prova di grande brillantezza. Perfino io, in quello stesso anno, ero stato in grado di scrivere che:

L'argomento di Modigliani secondo cui l'ECB determinerà, con la scomparsa della Bundesbank, una sostanziale esautorazione della Germania viene ripreso anche da altri autori, tra cui, in particolare, De Grauwe. Qui ci limitiamo ad osservare che esso appare un po' semplicistico, perché è sì vero che la Germania avrà a sua diretta disposizione un solo voto nel consiglio dell'ECB, ma è anche vero che essa non sarà da sola, essendo appoggiata dai paesi dell'area del marco (Olanda, Belgio, Lussemburgo, Danimarca, cui probabilmente andranno ad unirsi altri paesi scandinavi, l'Austria e in molte circostanze anche la Francia), i quali costituiscono un blocco politicamente ed economicamente molto più coeso di quello formato dai paesi mediterranei. Che l'ECB determini una riduzione del peso della Germania nella conduzione della politica monetaria non è quindi altro che un pio desiderio.
(Bagnai, Le conseguenze dell'adozione dell'euro per i lavoratori migranti, Quaderni di Presenza UNAIE, 1997).

Avevo ragione io (non ci sarebbe bisogno di ribadirlo...), e, come altresì sapete, fu lo stesso Modigliani ad ammetterlo, lamentando, nel 2002, che la Bce era divenuta una sorta di succursale della Bundesbank. E cosa sarebbe mai potuta diventare, dati i rapporti di forza prevalenti? Veramente vogliamo illuderci che "a broader and more constructive interpretation of the statutes of the ECB", per usare le parole con le quali Bossone riassume il pensiero di Modigliani pre-1999, sarebbe stata sufficiente a rovesciare questi rapporti di forza?

Chiarisco il mio pensiero, ponendo la domanda in un altro modo: veramente crediamo alla favoletta del capitalismo forte che aiuta i capitalismi nascenti a irrobustirsi e a fargli concorrenza? E perché dovrebbe farlo? Per fare un piacere a Modigliani? Ragionamenti di questo tipo, a me pare, screditano la scienza economica agli occhi del pubblico, per lo meno di quello sufficientemente adulto da non credere alle favole.

Questo per dovere di cronaca. La ricostruzione del pensiero di Modigliani fatta da Bossone contiene però alcuni spunti interessanti. Come vedremo, molti, per noi, sono banalità. Le passiamo comunque in rassegna, perché sono il presupposto logico delle proposte di riforma avanzate da Bossone, che mi interessa discutere con voi.

Il nemico scomparso
Prima chicca: già alla fine degli anni '90 pare che Modigliani riconoscesse che darsi l'obiettivo della stabilità dei prezzi era combattere un nemico scomparso (l'inflazione).

Bene, bravo, concordiamo. Peraltro, non facciamo altro che ribadirlo ai politici che non sanno come venirne fuori: benedetti ragazzi! Basta far notare che l'Europa non funziona perché è uno strumento messo su per risolvere problemi diversi da quelli che abbiamo ora!

Ma...

Al di là di quanto possiamo dire ora: ancora una volta: possibile che se ne fosse accorto solo Modigliani che negli anni '90 l'inflazione sostanzialmente non c'era più? Intendiamoci, per i nostri giornalisti, si sa, l'inflazzzzzzzzzzzione è stata a millantamila cifre fino all'entrata nell'euro, che con un colpo di bacchetta magica ha risolto tutti i nostri problemi (perché loro non sono populisti come noi, quei porci: loro fanno ragionamenti articolati!). Ma i giornalisti che noi seguiamo sui social non hanno né gli strumenti culturali, né la statura intellettuale, né lo spessore etico per affrontare la questione in termini corretti. Noi, che invece li abbiamo, non possiamo sfuggire a una domanda: perché mai negli anni '90 le istituzioni europee si accanivano con tanta ferocia contro un nemico ormai evidentemente defunto? Noi, qui, su questo blog, e soprattutto Quarantotto sul suo, siamo andati alla radice di questa domanda, leggendo ad esempio Featherstone, o Castaldi, interrogandoci con un minimo di rigore sul concetto di indipendenza della Banca centrale. Non siamo facilmente disposti ad ammettere che qualcuno ci dica che i Trattati europei sono fondati sul principio della stabilità dei prezzi "per errore", perché "i politici non sono stati a sentire Modigliani" che si era accorto che l'inflazione non c'era più!

L'inefficacia della politica monetaria
Altro punto interessante: sempre secondo Modigliani, "monetary policy has very limited control over the level of prices" (nel resoconto di Bossone).

Ce ne eravamo accorti, e fortemente concordiamo.

Ma...

Possibile che Modigliani, e chi lo segue, non si rendesse (o non si rendano) conto del fatto che questa affermazione mina alle fondamenta la necessità di rendere la Banca centrale indipendente? Perché la favoletta sappiamo qual è: politicocorrottobbrutto stampa moneta, stampa moneta causa inflazzionebruttanemicadelproletario, quindi dobbiamo sottrarre il potere di emissione di moneta al controllo dell'esecutivo per evitare che questo ne approfitti per corrompere gli elettori (comprandone il voto) generando inflazione. Ma se la "stampa" di moneta non genera automaticamente inflazione, allora forse non c'è bisogno di sottrarre la sovranità monetaria all'esecutivo, o meglio: allora forse chi vuole sottrarre all'esecutivo questo potere di intervento lo fa perché ha in mente obiettivi redistributivi che non sono quelli dichiarati (proteggere il potere d'acquisto della vedova e dell'orfano)...

Tutte cose che qui avete letto, e che temo non leggerete mai su Voxeu (in ogni caso, io non gliele sottoporrò, per motivi antropologici che specificherò più avanti).

La BCE come investitore di ultima istanza
Andando avanti nel resoconto di Bossone mi colpisce questa frase:

"The third reason for giving the ECB a central role in promoting investment was that with the shift to the single monetary policy, the ECB was to become the only institution within the monetary union with substantial power to influence investment".

Frase inquietante per diversi motivi.

Intanto, perché c'è un salto logico. Bossone parla di "terzo motivo", ma gli altri due io non riesco a vederli: i due punti precedenti sono quelli che vi ho riferito, riguardanti l'inesistenza dell'inflazione, e l'inefficacia della politica monetaria nel gestirla. Non sono motivi per attribuire alla BCE un ruolo centrale nella promozione degli investimenti, a meno che non ci siano stati dei tagli, chiesti dalla redazione di Voxeu, che abbiano fatto saltare qualche snodo essenziale. Sono cose che capitano, ma un chiarimento sarebbe utile.

Poi, perché non si capisce esattamente come la BCE avrebbe potuto influenzare gli investimenti. Certo, oggi i tassi di interesse sono negativi, ma anche nel 1997 non è che fossero altissimi! Sempre nel mio studio dell'epoca, notavo che forse la moneta unica avrebbe avuto effetti sull'occupazione, ma:

la storia comunemente raccontata per suggerire che questi effetti saranno risolutivi (minori tassi, più crescita, più occupazione) è sbagliata, perché in Europa nelle attuali condizioni tassi più bassi non sono suscettibili di determinare una disoccupazione significativamente minore

argomentando questa affermazione con le simulazioni condotte mediante quattro modelli econometrici, fra i quali questo. L'argomento di Modigliani che il "dividendo dell'euro" (i tassi bassi) avrebbe promosso l'investimento era fallace, e i fatti lo hanno dimostrato.

Ma soprattutto, quello che mi atterrisce è la serenità, la seraficità, con la quale Bossone, contro il quale non ho alcuna animosità personale, che mi ha dato un cenno di disponibilità al dialogo da me molto apprezzato, constata che con l'unione monetaria la BCE sarebbe diventata l'unica istituzione europea con un sostanziale potere di controllo degli investimenti.

Per fortuna (come vi ho spiegato) non è proprio così (in realtà è peggio), ma se lo fosse, questo significherebbe che con l'unione monetaria noi avremmo messo il futuro dei nostri figli (perché quello è l'investimento), il nostro modello di coesione sociale e politica (perché quello è l'investimento: burro o cannoni?), alla mercé di un pugno di burocrati non eletti e totalmente unaccountable! Questa prospettiva lascia Bossone del tutto indifferente. Non ne vede la mostruosità e l'estrema pericolosità politica. La registra come un fatto, come un mero dato tecnico.

Ecco.

Io qui perdo contatto.

Lo dico con rispetto e senza voler stabilire graduatorie, ma qui avverto una frattura antropologica.

Chi è in grado di scrivere una frase simile senza farsi una domanda è legittimamente uomo a modo suo, che io rispetto, ma lo rispetto affermando risolutamente che la mia umanità è diversa. Io sono stato educato ai valori della democrazia costituzionale, palesemente incompatibili con un mondo nel quale una collettività sovrana viene espropriata di scelte cruciali per il proprio futuro a beneficio di un simpatico comitato d'affari opaco e privo di responsabilità politica.

La proposta costruttiva
Quello che segue, ahimè, non fa che approfondire il solco fra queste due diverse umanità. La proposta costruttiva di Bossone si articola in cinque punti, non tutti originali (non è una critica), alcuni tecnici (non è una critica), di nessuno dei quali viene minimamente tentata una analisi politica (è una critica).

Il primo punto è la solita storia della BcecomelaFed, ovvero il "dual mandate": attribuiamo alla Bce anche il compito di contenere la disoccupazione, e avremo risolto. Questo ci permetterebbe di "cristallizzare una delle principali lezioni della crisi: le politiche di domanda influiscono sull'occupazione", e inoltre "would thrust upon the ECB the responsibility to mediate between these two overarching social objectives in normal times".

Io trasecolo.

Apprendo di non aver insegnato, prima della crisi, ai miei studenti, che le politiche di domanda influiscono sull'occupazione! Orsù! Siamo seri! Come ho già notato due post or sono, se andiamo a dire che abbiamo imparato dalla crisi, cioè sulla pelle dei nostri simili, quello che avremmo dovuto sapere (perché era scritto nei nostri libri), ne usciamo veramente devastati, come professione. Non voglio essere aggressivo, ma devo veramente mordermi le labbra per non far notare a certi colleghi che se prima del 2008 non avevano letto il Dornbusch-Fischer, il problema è loro, non della professione, né della scienza economica. La maggior parte dei colleghi lo aveva letto, e sapeva benissimo cosa stava facendo.

Ne ho dato qui un esempio documentato, chiarendo che  il genocidio della Grecia, per esempio, non è un "Ops! Il moltiplicatore era un po' più grande...". No. È un genocidio deliberato, perché deliberata fu la scelta di dare al moltiplicatore previsto nel programma di aggiustamento un valore del tutto irrealistico e smentito da qualsiasi studio disponibile all'epoca (compresi quelli della Banca centrale greca).

Ma soprattutto, ancora una volta, è contraria a quanto ho studiato nei corsi di diritto pubblico l'idea che si assegni a un organismo privo di responsabilità politica il compito di mediare fra inflazione e disoccupazione, cioè, sostanzialmente, che si dia a Mario Draghi il potere di decidere lui, unico e solo, legibus solutus, la distribuzione del reddito europeo, o di quel che ne resta grazie alla sua illuminata gestione. Io non posso concepire che una persona della mia età, che magari sarà anche stata, come me, educata a valori democratici, non veda la mostruosità di una simile prospettiva.

Ma non la vede, e lo scrive. Naturalmente sull'house organ della Bce.

Un'altra proposta di Bossone mi trova pienamente d'accordo: l'idea che l'obiettivo di inflazione venga gestito in modo simmetrico, ovvero che venga penalizzato tanto chi lo supera, quanto chi, come la Germania, si tiene sistematicamente al disotto, effettuando una svalutazione reale competitiva (come qui diciamo da tempo, e ora dice perfino Bofinger). A dimostrazione del fatto che sono d'accordo con Bossone, vi segnalo il working paper nel quale la avanzai nel lontano 2010. Paper respinto all'epoca da una rivista sulla base del buon argomento che "le conclusioni di politica economica non erano rilevanti". Capito bene? Leggete con calma e poi mi saprete dire.

Ma...

Certo, io sono d'accordo con Bossone, ma il problema è che la Germania non è d'accordo con noi! Chi va dalla Merkel a dirle "cortesemente adesso inflazioni"?

E qui si aprirebbe una lunga e dolorosa parentesi su cosa debba essere un economista. Anche qui, frattura antropologica. Da un lato, evidentemente, ci sono quelli che pensano che debba essere un attento compilatore di libri dei sogni. Dall'altro, uno studioso dei sistemi di incentivi. L'unico sistema nel quale la Germania non è incentivata a deflazionare la propria economia è quello a cambi flessibili, per motivi che erano chiari a Meade nel 1957. L'unico sistema che garantisce che il tentativo della Germania di praticare una deflazione salariale competitiva venga frustrato è quello nel quale la Germania ha una sua valuta, che si apprezza quando la svalutazione dei salari manda il paese in surplus. Punto.

Il problema non è costringere la Germania a inflazionare. Il problema è disincentivarla dal deflazionare.

E questo secondo problema, a differenza del primo, una soluzione ce l'ha. Chi non la vuole ora e con la pace, la vuole dopo e con il sangue, e se ne assume fin da ora la responsabilità politica ed etica.

Ecco...

Ci sarebbero altre minori osservazioni da fare, ma ve le risparmio.

Devo fare le valigie per andare in Francia, sono giorni di stanchezza e di amarezza, e volevo condividere con voi l'amarezza maggiore: quella di essermi trovato, per via di un percorso professionale che non mi sono scelto, in compagnia di persone che hanno un concetto di democrazia molto lontano dal mio. Mi prendo qui la responsabilità di affermare che secondo me il dialogo con persone così distanti dai principi fondamentali della nostra costituzione è inutile. Sarò lieto di essere smentito, ma voi mi conoscete. Non aggiungo altro.

venerdì 21 agosto 2015

Tante nomine... nullum par elogium! (il 1938)


(un grazie a Miguel. E, per restare in argomento...)

Da Celso ricevo e condivido con voi:


Riassumiamo quanto successo a proposito delle nomine dei nuovi direttori dei Musei italiani?
Notiamo che una scelta così delicata e significativa è stata fatta il 18 di Agosto. Data di per sé bizzarra, ma, si sa, il governo Renzi si occupa del paese anche ad Agosto.
Secondo l'attuale ideologia dominante onnipresente, e brandita come un'arma impropria, i designati dovevano rispondere a criteri di assoluta eccellenza in una competizione aperta e internazionale.
Si è subito acceso un dibattito vivace, come probabilmente sapete tutti da Twitter; tra i protagonisti Claudio Borghi, che dei politici è quello che più si è esposto, entrando anche nel merito del...."merito" dei designati. Si è subito capito che il tanto strombazzato merito in realtà non c'era. È interessante allora notare le reazioni di persone di rango, e politicamente significative, come per esempio il dott. Giampaolo Galli, che pubblica un tweet
Sorprendente no?

Dice di non sapere chi siano, di non conoscerli, ma di rallegrarsi che siano stati scelti, perché NON SONO ITALIANI. Metodologicamente un ragionamento bizzarro: dobbiamo studiare le carte e poi emettere un giudizio, oppure basta avere un passaporto diverso da quello italiano? Se si presentava Giorgio Vasari, saremmo stati contenti della sua eliminazione perché aretino? Che dire? Ma il meglio doveva ancora venire ed è la puntata di Inonda di ieri sera con la partecipazione di Vittorio Sgarbi. @Martinet, molto opportunamente, ha postato gli interventi di Sgarbi in questa trasmissione. Vi prego di guardarli e di guardare attentamente come i due Dioscuri cercano di arginare Sgarbi. Ma, come sapete, Sgarbi è un cavallo pazzo, ha cominciato a urlare, a dire parolacce, a minacciare di andarsene, se gli avessero impedito di dire ciò che voleva dire. Badate bene che un altro al posto di Sgarbi non avrebbe avuto la capacità e la possibilità di dire la verità su queste nomine. Che sono sprovviste di qualsiasi autorevolezza, che non brillano per particolare qualità, che dimostrano, carte alla mano, l'inferiorità degli stranieri scelti sui concorrenti italiani. Nessuno poteva replicare a Sgarbi, che praticamente aveva messo tutti con le spalle al muro, compresa la squisita signora Buitoni.

Ma qui entra in scena un uomo che non ci delude mai: il dott. Plateroti. Nostra vecchia conoscenza, egli, dopo il diluvio di insulti e argomentazioni di Sgarbi, se ne esce con una perla impagabile: ecco, se restiamo al livello di titoli e di meriti, non se ne esce. Come come? Sì, proprio così. Come il dott. Galli si rallegrava per la scelta degli stranieri senza avere la minima idea di quali fossero i loro meriti, così il dott. Plateroti ritiene che il "merito" in realtà sia un falso problema (lo avevamo capito, dott. Plateroti!). In realtà conta scegliere persone che abbiano rapporti con gli ambienti internazionali, quelli che possono dare soldi ecc ecc.

Se poi mettiamo a capo di uno dei più importanti musei al mondo, gli Uffizi, un esperto di avori e bronzi, se mettiamo una laureata in scienze politiche, che ha diretto un medio museo, alle Gallerie dell'Accademia, da cui abbiamo cacciato un esperto di pittura dal '200 al '400, questo non interessa al dott. Plateroti.

Se mettiamo a Paestum un giovanotto di 34 anni, che ha un terzo dei titoli della Guidobaldi, come dice Sgarbi, al dott. Plateroti non interessa. E non gli interessa nemmeno che questo sventurato dichiari oggi che non è vero che non ha esperienza, perché ha fatto per due anni la guida turistica a Berlino...

Vi rendete conto di ciò che sta succedendo in questo paese, ormai una Repubblica delle Banane in mano ai tedeschi? In realtà andrebbe spiegato perché queste sono davvero nomine politiche; @Martinet, nella sua risposta all'incauto interlocutore, individua bene i punti salienti della questione. Aggiungerei anche che la tutela e la conservazione dei beni culturali l'abbiamo inventata noi; chi vuole, può leggere un libro assai bello di Donata Levi su un vero pioniere della tutela, Cavalcaselle. Nel novecento abbiamo fondato due istituti di restauro straordinari, come quello di Roma e quello dell'Opificio delle Pietre dure. Siamo un paese che non ha mai demeritato per quanto riguarda l'inquadramento giuridico della tutela dei beni culturali. Altro discorso è quello dei fondi, e per questo valgono le osservazioni sopra di @Martinet. I paesi hanno storie e tradizioni differenti, modi di organizzarsi differenti, che non sono frutto dell'improvvisazione e che altrettanto all'improvviso non possono essere obliterati. I Musei americani sono organizzati diversamente perché diversa è la loro storia, e non si può scegliere solo un aspetto della loro organizzazione dimenticando il contesto generale: è pura follia. In realtà questi signori, questi autentici nemici della patria (l'opera lirica mi viene sempre in aiuto), vogliono solo dare il controllo di questo paese ad altri, che si stanno preparando al controllo di tutte le attività e di tutte le risorse d'Italia.

Non penserete mica che fosse una battuta quella del finlandese che voleva dai Greci il Partenone in pegno?



(Bene. Ringraziato Celso, aggiungo tre cose:

[1] ai finlandesi volere il Partenone non ha portato bene.

[2] ora voi siete tutti ingazzurriti perché sono stati toccati gli Uffizi. Potrei anche esservi vicino: io ci ho passato l'infanzia, perché mia madre ha potuto fare con me quello che io per tanti motivi non ho potuto fare coi miei figli (e me ne pento). Ma dove eravate mentre veniva massacrata la musica? Io ero qui. Ma i media - e voi - zitti e mosca. Eppure tagliare il FUS - e farlo nel modo "meritocratico" in cui lo si è fatto - è un'operazione strettamente equivalente a quella compiuta con le nomine di Franceschini: significa mettere la nostra musica in mano all'estero. Perché? Ma è semplice. Scusate tanto, ma se con Musica Perduta per portare in concerto questo disco siamo dovuti andare a finire a Gdynia, qualcosa vorrà pur dire, no? Voi vedete i quadri, e va bene così: sono del resto fatti per essere guardati (se non visti). Ma c'è un patrimonio musicale enorme che sta andando perduto, e soprattutto c'è il dato di fatto che chi vuole fare il musicista di professione, se è italiano, deve comunque predisporsi all'espatrio, e questo, notate bene, soprattutto se si occupa di musica italiana. Spero sia chiaro. All'estero ci applaudono e non capiscono perché la nostra musica a voi non interessi. Poi però qui ci sono tanti che si sbracciano e sbraitano sull'identità. Voi proprio non volete capire come funziona, vero? Finché non tocca le vostre chiappe, va tutto bene. Gli insegnanti non si preoccupano degli operai, i quali non si preoccupano dei commessi dell'IKEA, i quali non si preoccupano dei musicisti, i quali non si preoccupano del personale dei musei, il quale... E la catena potrebbe essere percorsa al ritroso.

Il potere non sferra attacchi frontali, non schiera tutte le forze in campo. Vi prende uno per uno. Ma voi non volete capire, come nella nota poesia. E se gli esempi bastassero, ne avremmo avuti abbastanza.

Io speriamo che me la cavo...

Ah, e comunque, tanto per farvi capire che stiamo effettivamente parlando della stessa stessissima identica cosa, Nastasi e Baratta sono due facce della stessa medaglia, no? Due espressioni dello stesso metodo: quello di una politica che ha una ben precisa agenda liberista da portare a termine, su mandato dei creditori esteri, e che si nasconde dietro i suoi burocrati (in probabile conflitto di interessi).

[3] è evidentissimo che finirà male. Come ripeto praticamente fin dal primo post (quello sullo sbilifesto) la menzogna dei media - e dei miei colleghi - partorirà violenza. Io, noi, abbiamo fatto il possibile per scongiurarlo. Abbiamo fatto, nel nostro piccolo, quello che Keynes ha fatto con i suoi Essays on persuasion: mettere in evidenza il fatto che la menzogna schierata ad esclusiva tutela degli interessi di una sola parte, nel tentativo irrazionale di farla prevalere oltre il lecito e il dovuto, conduce inevitabilmente a uno scoppio di violenza. Anche noi abbiamo parlato "in a spirit of persuasion", ma dobbiamo rassegnarci, dopo le ultime vicende greche, a registrare quello che era peraltro scontato: dove non era riuscito un gigante come Keynes (che, lo ricordiamo, in qualche modo aveva tentato di scongiurare sia la Seconda guerra mondiale che l'avvento di un sistema monetario internazionale intrinsecamente instabile - a sua volta foriero di disastri non solo economici), dove lui non era stato ascoltato, come potevamo noi nani, ancorché sulle sue spalle, sperare di essere intesi?

Non c'era alcuna speranza.

L'ottusità degli tsiprioti italiani, in questi giorni, o capolavori di arte povera come questo, fanno capire che non c'è scampo. Per la terza volta in un secolo ci avviamo a un'esplosione di violenza senza pari, che non abbiamo modo di evitare. Troppo è stato investito per condurre il gregge sul ciglio del burrone. La deflazione andrà avanti fino a quando la distruzione di valore che essa inevitabilmente porta con sé, per i motivi che ci siamo ripassati qui, andrà contro agli interessi del "rentier" (da intendere cum grano salis, astenersi dilettanti, grazie, non è giornata). E allora si ricorrerà alla soluzione più ovvia: il keynesismo di guerra, la spesa pubblica in distruzione.

Ormai non vedo altro esito, e non lo vede nemmeno Summers, come vi ho altresì già detto (con l'occasione vi segnalo anche la replica di Giacché).

Non è quindi una mera curiosità quella che mi ha spinto a ripassare la biografia di un Nobel che non era esattamente un fulmine di guerra, come ci siamo detti diverse volte: Franco Modigliani. Mi spingeva una domanda ben precisa: come ha fatto uno così diversamente intelligente da non capire che la Bce sarebbe stata comandata dai tedeschi, a capire al tempo del fascismo quando era giunto il momento di andarsene? Perché, insomma, diciamocelo: non capire che la Bce sarebbe stata una succursale della Buba è abbastanza da baggiano: e questo macroscopico, colossale errore di valutazione il nostro l'ha fatto a fine carriera, quando si suppone avesse acquistato saggezza.

Invece aveva dimostrato molta più saggezza da giovanotto, portando (buon per lui) la pelle in salvo.

Perché?

Bè, per un motivo molto semplice: il potere aveva dato un segnale difficile da ignorare (anche per un ingenuotto simile).

Scordatevi che questa volta lo dia.

Non ci saranno leggi razziali, o macroscopiche violazioni dei diritti civili (anzi!), o di quelli politici. Abbiamo visto come si muove oggi il potere. Secondo il metodo Juncker (cioè il principio della rana bollita). Come dicevo sopra, al punto (2), il potere non sferra attacchi frontali: ci sfalda, un pezzo alla volta. Figuriamoci poi dare un segnale esplicito di aggressione, come la discriminazione di una razza o di un gruppo sociale! Mai e poi mai! Non si fa, non sta bene... anche perché se lo si fa, poi laggente capiscono...

Morale della favola: siamo nel 1938. Un anno che potrebbe anche durare molto a lungo, ma che sarà prima o poi seguito dal 1939, senza una frattura visibile. Chi può si porti avanti col lavoro. La damnatio memoriae del nostro patrimonio culturale è un segno, uno dei tanti. Piccolo, non comparabile per orrore e conseguenze alle leggi razziali. Ma va nella direzione che Celso indica: quella di umiliare e svendere il nostro paese, e soprattutto di affermare l'idea ingiusta che esso meriti di essere umiliato e svenduto. Non è così. E non è difficile prevedere che un'idea ingiusta, martellata dai media e affermata da un potere corrotto e cialtrone, alla fine provochi una reazione irrazionale e altrettanto ingiusta.

Bene.

Chi poteva capire ha capito. E gli altri, come al solito, saranno beati.

E ora scusate, che devo scrivere un paio di lettere ad amici che abitano a qualche migliaio di chilometri da questo fumante mucchio di letame...)

P.s.: per farvi dormire tranquilli, vi riporto qui anche questo commento dell'ottimo porter. Chiarisce che anche in presenza di fratture ben visibili, chi non vuole capire comunque non capisce. E ribadisce la sensazione che qui cominciamo ad avere in molti: siamo nel 1938.

Buona lettura:

porter ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Why is the Eurogroup ruling Europe?":

Si diceva che siamo tornanti al 1938 e infatti, mutatis mutandis:
“La radicalizzazione antisemita del 1938 costituì, dunque, parte dell’ultima fase di preparazione a quella guerra che avrebbe dovuto portare la Germania al dominio e al riordinamento razziale dell’Europa.
[..]
Tendenzialmente, la popolazione ebraica della Germania era agiata e la sua espropriazione, per mano dello stato e di numerose aziende private, fu accelerata in quel momento anche per l’accresciuto bisogno di denaro contante per pagare gli enormi costi del riarmo. Descrivere le violenze antisemite del Terzo Reich alla stregua di una “regressione alla barbarie” può essere allettante, ma ne travisa fondamentalmente la dinamica. Se è vero che la forza motrice di boicottaggi ed espropriazioni furono in primo luogo i piccoli commercianti del ceto medio-basso, delusi dal fatto che il regime non ne avesse migliorato la situazione economica con mezzi più convenzionali, l’estinzione sociale ed economica della comunità ebraica fu anche ordinata dall’alto, rientrando nel quadro generale di preparazione alla guerra, giustificata da un nazionalismo radicale legato non già alla vaga idea di un ritorno a una sorta di sonnolenta e isolata dimensione medievale, bensì a una guerra tecnologicamente avanzata volta al dominio europeo, basata su quelli che erano considerati all’epoca i criteri moderni e scientifici di idoneità e supremazia razziale”
p. 560-561
“Il 16 aprile 1938 un imprenditore di Monaco che aveva prestato servizio come consulente nei casi di arianizzazione scrisse una lettera durissima alla Camera di commercio e dell’industria locale. In essa si proclamava “nazionalsocialista, membro delle SA e ammiratore di Hitler”. Ciononostante, proseguiva, era “talmente disgustato dai metodi … brutali ed estorsivi usati contro gli ebrei che, d’ora innanzi, non intendo avere più nulla a che fare con le arianizzazioni, anche se questo significa rinunciare a dei generosi onorari ... Come uomo d’affari di lunga esperienza e di provata onestà, non [posso] più tollerare passivamente la maniera in cui tanti affaristi e imprenditori ariani … puntano spudoratamente a mettere le mani su negozi e stabilimenti ebraici pagando cifre irrisorie: avvoltoi che si accalcano con occhi rapaci e la bava alla bocca a dare di becco sulla carcassa giudea”“
p. 369
R. J. Evans – Il Terzo Reich al potere 1933-1939 - Mondadori

Postato da porter in Goofynomics alle 21 agosto 2015 22:39 


(emphasis added)