domenica 31 marzo 2024

Unione o transizione? La radice del fallimento europeo.

Dieci anni fa tentammo per la prima volta l'esperimento del #midterm, e ci radunammo a Roma per parlare di Un'Europa senza euro. Dieci anni, e due elezioni europee, dopo, ci ritroveremo a Roma il 13 aprile prossimo per parlare di Un'Europa senza Euro 6.


I tempi cambiano, ma, come vedrete, non cambiano i temi. Semplicemente, la loro lista si allunga perché ad essa si aggiungono ulteriori declinazioni di un tema, quello della transizione, che è il tema fondante e cruciale del progetto europeo.

Su questo vorrei condividere qualche riflessione con voi, anche per raccogliere vostri stimoli e suggerimenti.

Giandomenico Maione, che abbiamo avuto ospite nove anni fa,  nel suo libro del 2014, Rethinking the Union of Europe post crisis, fa un'osservazione determinante, che deve essere compresa bene, nelle sue implicazioni, se si vuole capire in che razza di vicolo cieco ci siamo cacciati. Osserva Maione che la costruzione europea si caratterizza, più esattamente che i Trattati la caratterizzano, come un processo di transizione perenne verso una "unione sempre più stretta" (ever closer union, art. 1 secondo comma del Trattato sull'Unione Europea). Non è però chiaro quando questa unione potrà essere considerata abbastanza stretta da sancire il compimento di questo processo, di questa transizione, né, correlativamente, che forma dovrebbe prendere un’unione per essere considerata abbastanza stretta.

Basta un collier o occorre proprio una garrota?

Questo essere un processo di eterno avvicinamento asintotico ad un asintoto che non c’è, o non si vede, è un elemento particolarmente tossico per la conduzione di un ordinato dibattito democratico sulla costruzione europea. L'inesistenza di un chiaro obiettivo, che, se ci fosse, andrebbe iscritto nella Costituzione che non c'è (quella europea), genera vari livelli di problemi di delega e in particolare di moral hazard, quella forma di comportamento opportunistico del delegato (il politico) che sorge, appunto, quando il delegante (l'elettore) è nell'impossibilità di accertare la negligenza, o addirittura il dolo, del delegato nel definire il suo compito. Se questo compito è indefinito, è definito come una transizione, non come un obiettivo, accertare l'impegno di chi dovrebbe realizzarlo, accertare se e quanto si sia avvicinato al risultato, diventa intrinsecamente impossibile.

Il problema è duplice. Da un lato, evidentemente, il non sapere verso dove, verso cosa, si stia andando, rende impossibile giudicare se ci si stia andando. Di conseguenza, la concettualizzazione del progetto come eterna transizione rende logicamente impossibile valutare la qualità della leadership europea, e quindi la deresponsabilizza. Qualsiasi cosa essa faccia è sottratta alla critica, pour la simple et bonne raison che se si ignora l'obiettivo se ne ignorano distanza e direzione, e quindi resta impossibile valutare se chi è in quel momento al governo abbia compiuto passi nella direzione di guida e con la giusta velocità. Si aggiunga che questa radicale indeterminatezza apre alla possibilità  che la definizione dell’obiettivo finale sia dettata da umori estemporanei, come quelli determinati dallo stato di eccezione implicitamente causato da eventi eccezionali (non a caso, secondo Jean Monnet, l'Unione Europea sarebbe stata "la somma delle soluzioni trovate alle crisi": perché queste soluzioni, dettate dalla violenza dei fatti, avrebbero imposto la concretezza di un obiettivo definito: risolvere, appunto, la crisi. Inutile dire, e lo si sta vedendo ora col PNRR, che una panoplia di strumenti creati in condizioni di emergenza non necessariamente costituisce l'ossatura di una Costituzione in grado di assicurare i necessari pesi e contrappesi in condizioni di normalità). L'obiettivo volta a volta perseguito, o presentato come perseguendo, poi, è anche alla mercé di rapporti di forze altrettanto estemporanei e transitori fra i singoli Stati membri, rapporti soggetti all'alea dei singoli processi politici nazionali.

Si trova forse scritto da qualche parte che l’obiettivo sia l’elezione diretta del Presidente degli Stati Uniti d’Europa? No. Però se ne sente parlare come di un obiettivo legittimo, lo si dà per assodato e pacifico, ignorando che un simile obiettivo non è stato né sottoposto a un vaglio democratico né, quindi, tantomeno iscritto in un Grundgesetz condiviso.

D’altra parte, il fatto che non si sappia e non si voglia, in fondo, sapere, che cosa l'Unione Europea debba essere, il fatto che non si sappia a che cosa debba condurre questa transizione, rende non solo impossibile valutare se ci si stia avvicinando all’obiettivo finale (e su questo ci siamo intrattenuti fin qui), ma anche se questo obiettivo sia sensato. Se non sai dove stai andando, ovviamente non puoi sapere se ci vuoi andare. Nel dibattito hanno corso solo le valutazioni implicite e scombiccherate di natura comparativa, riferite a esperienze federali sul cui successo ci si potrebbe interrogare da diversi punti di vista (come più volte ricordato, nella creazione degli Stati Uniti d'Europa a noi sarebbe riservata la sorte non brillante dei nativi) e il cui percorso storico è comunque stato totalmente diverso dal nostro, procedendo, per lo più, da una operazione di tabula rasa delle popolazioni o comunque delle culture autoctone che qui in Europa non c'è stata, nemmeno con tutto il male che ci siamo inflitti, e difficilmente ci potrebbe essere. Questa indeterminatezza del punto di arrivo apre allo sgradevole fenomeno per cui, nel momento in cui i cittadini si accorgono che le cose non stanno funzionando come promesso, che la transizione verso una Unione sempre più stretta non sta "deliverando", come dicono quelli bravi, basta dirgli che se il processo non funziona è solo perché non è ancora compiuto, cioè che ci vuole più Europa. Naturalmente ciò che rende possibile argomentare impunemente il progetto non sia ancora compiuto è il semplice motivo che nessuno sa quale dovrebbe esserne il compimento! In altre parole, la natura di eterna transizione verso l’ignoto del progetto europeo è esattamente ciò che fornisce un fondamento logico all’argomento che altrimenti apparirebbe fallace, ma che tante volte sentiamo ripetere con apoditticamente: quello che attribuisce i fallimenti dell’Europa al fatto che ce ne vorrebbe di più!

Incidentalmente, questo schema logico, lo schema del "ci vuole più", nato e messo in campo nel dibattito sull’Unione europea, è poi stato applicato anche ad altre situazioni di transizione verso l’ignoto. Pensate ad esempio alla gestione della pandemia! Quando era assolutamente acclarato che un certo approccio terapeutico non aveva le proprietà che gli erano state date attribuite, cioè quelle di immunizzare e sterilizzare i pazienti (nel senso di: renderli incapaci di contagio), la risposta, come ricorderete, è stata che ce ne voleva di più ("ci vogliono più dosi" era la declinazione sanitaria del "ci vuole più Europa").

Essendo l’Unione Europea ontologicamente una transizione, non stupisce che la transizione sia la cifra della sua azione politica. Nei fatti, quello che l’Europa ci propone oggi è un florilegio di transizioni: la transizione ecologica (o ambientale, o energetica, che si voglia); la transizione digitale; il sostegno a una serie di altre transizioni di cui l’Unione si fa paladina, nella dimensione che ha assunto di stato etico, e che riguardano la sfera più intima di ogni singolo individuo. L’importante è il processo, la fluidità, e non il punto di arrivo, l'identità. Questo, se ci pensate, è il motivo per cui identità e democrazia sono logicamente connesse. Naturalmente un pezzo di questa storia è che è il processo, e non il punto di arrivo, a giustificare l’esistenza di un clero sterminato e opaco di burocrati, il cui compito è appunto quello di farci transitare, di farci transumare. Sono loro i Pastori di questa eterna e indefinita transumanza, e come tutti i Pastori essi rivendicano un ruolo di guida e pretendono un rispetto sacrale.

Restano da mettere a fuoco alcune visibili asimmetrie, o incoerenze che dir si voglia.

Ad esempio, perché per ogni singola transizione al dettaglio (ecologica, ambientale...) la governance europea ci propone obiettivi quantitativi e tempi specifici, veri e propri benchmark in base ai quali si riserva il diritto di dichiarare il successo o l’insuccesso dei suoi singoli Stati, mentre per la sua propria transizione, quella verso unione sempre più stretta, l’Unione Europea non si propone né un obiettivo definito né dei tempi precisi, sottraendosi quindi alla possibilità di vaglio democratico degli elettori? I politici, e i burocrati, europei non possono sbagliare, non sono accountable, non tanto perché sono loro a fissare a se stessi l'asticella, quanto perché questa asticella è evanescente, non c'è! Sì, certo, Ursula, che sia stata o meno corrotta dai cinesi, con il "grande balzo green" ci ha mandato a sbattere, esattamente come 65 anni fa il compagno Mao mandò a sbattere la Cina, e questo lo pagherà, gli elettori avranno voce in capitolo. Un errore simile, però, alla fine è meno disastroso del non sapere dove si stia andando e in quanto ci si debba arrivare. Alla fine, aldilà di tutti i fronzoli e gli accidenti o incidenti di percorso (come quelli che hanno colto impreparati i poveri punturini, ma non che, come noi, li aveva visti arrivare), al di là quindi di epifenomeni come la censura, il controllo manu militari dei social, lo sforzo profuso per condizionare l'opinione pubblica, ecc., più di tutto questo (che è comunque "tanta roba"), la natura antidemocratica, anzi direi ademocratica del progetto europeo risiede in questo: nel suo essere un processo ontologicamente refrattario alla valutazione da parte di un qualsiasi circuito democratico per il semplice fatto di essere un processo verso l’ignoto, verso un obiettivo non specificato se non come work perennemente in progress.

Questo in qualche modo è anche l’aspetto più nuovo e più inquietante. La censura è sempre esistita, il potere ha sempre ristretto con violenza più o meno esplicita il diritto di critica (e qui ne sappiamo qualcosa: ricordate quando ci negavano le aule a Tor Vergata, per dirne una (l'incontro annunciato qui non si è svolto, e non perché io avessi judo)? Ricordate come è nato questo blog?). Il controllo sociale è sempre esistito anche quando non veniva esercitato in forma digitale: può piacere o dispiacere come considerazione, ma si può ragionevolmente argomentare che alcuni aspetti del fenomeno religioso siano stati agiti con funzioni di controllo sociale, un controllo forse più pregnante di quello esercitato dall’Unione europea ma, attenzione, basato sostanzialmente sugli stessi meccanismi simbolici e archetipici. Vogliamo parlare, ad esempio, del tema della colpa, agilmente sostituito da quello del debito pubblico, o della redenzione, che nella religione europea conserva la "r", quella di "riforme"? La mistica dell'espiazione, della purificazione, del percorso verso la redenzione, insomma: di quella transitio Crucis che sono "le riforme" (altro concetto indefinito, peraltro...), permea tutto il discorso politico europeo, per il semplice motivo che chi lo gestisce ha avuto la scaltrezza di fare proprio un armamentario archetipico che in tutti noi, atei compresi, tocca corde profonde. Censura, controllo sociale, compressione del dibattito, linguaggio sacrale, però sono sempre esistiti: fanno un po' tenerezza i punturini che se ne accorgono oggi, e che forse, per accorgersene prima, invece di leggere per finta Orwell, avrebbero dovuto leggere sul serio Balzac. Il dato radicalmente nuovo, e quindi difficilmente gestibile, del momento storico in cui viviamo è che oggi essi vengono esercitati in nome di un’autorità che non si sa cosa sia, e quindi che cosa possa garantire in cambio (a parte il ciarpame propagandistico sui decenni di pace e di prosperità). Chi ci restringe non è "lo imperatore", non è un monarca vestfaliano, non è una Repubblica liberale borghese: è un po’ di tutte queste cose, senza essere in realtà nessuna di esse.

Ed è appunto questo l’elemento che dovrebbe allarmarci.

Oggi le miserevoli vicende della rivoluzione "green" lo hanno fatto capire ad una certa fascia di pubblico, quello particolarmente attaccato al proprio autoveicolo: a Bruxelles ti dicono di andare da una parte prima di aver capito, e senza avere la volontà di capire, da che parte ti stanno dicendo di andare.  Al #midterm ne parleremo con Riccardo Ruggeri, un altro amico che ci ha accompagnato nel nostro percorso (lo ricorderete al #goofy9 parlarci di CEO capitalism). Purtroppo, se l’automobile è un concetto concreto, tangibile, esattamente come lo era il dischetto di metallo chiamato euro, la libertà, la democrazia, l’ordinamento giuridico, la legge fondante di uno Stato o di una comunità, peggio ancora la necessità che una comunità si aggreghi attorno a una norma fondante, sono concetti molto più impalpabili ed evanescenti, appartengono a quella categoria di concetti che nella mente del grande pubblico possono essere definiti solo per negazione. Ci sono infatti cose che, per qualche strano meccanismo di psicologia delle masse (materia a me totalmente ignota), i popoli tendono a rimpiangere quando li hanno persi, molto più che a difenderli quando li hanno ancora. Questo significa che la battaglia che qui da tempo stiamo compiendo per destare a razionalità il maggior numero di interlocutori possibili è oggettivamente una battaglia ardua.

Alle difficoltà appena enunciate se ne aggiunge una fondamentale, di metodo, consistente nel fatto che dobbiamo tutti chiederci quanto il fare il bene degli altri contro la volontà degli altri non coincida poi esattamente col ributtante paternalismo dei Padoa Schioppa, dei Ciampi, e via discendendo.

Bisognerebbe insomma chiedersi che senso abbia lottare per la libertà e l'autodeterminazione di persone che forse preferirebbero restare schiave! Non è un tema secondario, tutt’altro. Il fatto che in Italia esista ancora uno zoccolo duro, apparentemente inscalfibile, di persone che si riferiscono al partito che ha fatto un investimento politico massiccio su questo progetto di "depowerment" e di "unaccountability", cioè il PD, ci deve incutere non solo e non tanto scoraggiamento, quanto rispetto. Non è escluso, e comunque non va escluso, che siamo noi dalla parte del torto e che invece le magnifiche sorti e progressive di questo processo storico rettilineo verso lo stringersi sempre di più intorno a una cosa che non si sa cosa sia, possa essere effettivamente l’uovo di Colombo, quello che ci mancava e ci manca per ottenere pace e prosperità (e quindi che ce ne voglia "di più"). Certo, la posta in gioco è elevatissima, e quindi ognuno di noi ha il diritto di portare avanti una visione alternativa rispetto a quello che scarnificato dai cascami di una propaganda lezza e putrida ci appare come un’ossatura logicamente incoerente. In questa, come in tante altre cose, si potrebbe argomentare che la gravità delle conseguenze sia tale da determinare una sorta di stato di eccezione, ma qui si entra in una circolarità che è etica prima ancora di essere logica: non possiamo combattere quelli che legittimano se stessi affermando di essere migliori di noi, affermando a nostra volta di essere migliori di loro. Questo modo di fare si attaglia a un un asilo infantile, ma se applicato al mondo degli adulti è, come infiniti esempi anche recenti dimostrano, il germe di sanguinosi e sterili conflitti.

Nel nostro appuntamento di metà anno ci occuperemo quindi non tanto della transizione dell'Unione, del suo punto di arrivo (Stati Uniti d'Europa? Confederazione?... per citare due degli slogan che in modo ricorrente vengono riproposti a vanvera nel dibattito), quanto delle transizioni che l'Unione ci propone, e in particolari di due di esse: quella digitale, di cui la transizione monetaria è un sottoprodotto, e quella ecologica. Due transizioni, si badi bene, che oltre ad avere delle rilevanti contraddizioni interne, tant’è che la transizione ecologica si sta già accartocciando su se stessa, sono anche contraddizione reciproca. La transizione digitale infatti, come del resto la stessa transizione ecologica, richiede una enorme quantità di energia e di materie prime, che non possono essere estratte dalle viscere della terra senza causare un impatto ambientale. Esiste quindi un trade off piuttosto evidente fra digitale e green, e la narrazione che dice di voler portare avanti in parallelo queste due rivoluzioni è un’altra narrazione intrinsecamente truffaldina. Oggi, per fare un esempio, il Bitcoin è uno stato grande quanto la Malesia, e una singola transazione in Bitcoin impiega tanta acqua da riempire una piscina da giardino. L’energia necessaria per alimentare la tecnologia a registri distribuiti sottostante al Bitcoin assorbe una quantità di energia stimata attorno ai 159 TWh (a mezza strada fra i consumi elettrici dell'Egitto e della Malesia: l'Italia è a circa 296 TWh). Non tutte le tecnologie digitali sono così impattanti, naturalmente. Ma l’idea che il "digital" sia amico dell’ambiente perché sostituirebbe la carta che è cattiva perché uccide i nostri amici alberi è totalmente infondata e caricaturale! Non è certo per merito del "diggital" che la superficie dei boschi italiani è in aumento. Un’idea che appartiene appunto a quell’argomentario demagogico, emotivo, basato su sollecitazioni archetipiche, cui ricorre sapientemente il clero europeo per giustificare le proprie decisioni, concepite astrattamente nelle stanze di Bruxelles, tanto impermeabili alla democrazia quanto permeabili dalle lobby. Questo è tanto più vero in un paese in cui, come ben sa chiunque faccia qualcosa, qualsiasi cosa, e da questa eletta schiera tiriamo ovviamente fuori i commentatori televisivi e i giornaloni, in un paese in cui ogni processo amministrativo digitale deve essere replicato in cartaceo perché tale è la volontà della pubblica amministrazione.

Del fondamento, della natura, e delle contraddizioni di queste rivoluzioni parleremo con due esperti che avete conosciuto all'ultimo goofy, dove hanno avuto uno spazio troppo ristretto: Gianluca Alimonti e Michele Governatori. A commentare il loro confronto, e questa è una novità metodologica che sottopongo alla vostra sagace attenzione, avremo un panel di amministratori di società del settore, cioè di uomini pratici, quelli di cui Keynes un po' diffidava, ma senza i quali, vi garantisco, non sarebbe possibile mandare avanti la baracca. Sarà utile per voi capire se e quanta consapevolezza dei limiti di certe retoriche esista nelle classe dirigente, come sarà utile per la classe dirigente capire quanto interesse esiste per certi temi, e quanta attenzione le ordinary uninstructed persons pongono al loro lavoro.

E questi sono solo alcuni dei temi che tratteremo. Per gli altri (euro incluso), ci leggiamo domani (cioè oggi), o forse dopodomani, cioè a Pasquetta. Il link per la registrazione è qui.

sabato 30 marzo 2024

Una precisazione e una richiesta

 (...una delle tante fatte nel corso dei decenni...)



(…all’ombra…)

Non è che perché gli altri propongono soluzioni assurde (per motivazioni ideologiche, per deficit intellettuale, per corruzione, non importa), che noi dobbiamo dire che il problema non c’è.

Il problema mi pare ci sia.

Ricordo a tutti, prima che si apra il dibattito, che il modo migliore per valutare una soluzione è vedere se è coerente con la narrazione del problema, che gli anni si vivono uno alla volta, e quindi tre  o quattro “eccezioni” di fila diventerebbero comunque difficili da gestire, sotto ogni profilo, considerato che i nostri tempi non sono quelli geologici, ma quelli della nostra effimera biologia.

Quanto detto vale per l’una e per l’altra parte: per chi è sicuro che le emissioni non c’entrino nulla, e per chi è talmente sicuro che c’entrino che per combatterle è disposto perfino... a farne di più!


(...al #midterm parleremo anche di questo, e a questo proposito ho una richiesta da farvi: quali sono, a vostro avviso, i grafici più iconici, più usati, o più abusati, per sostenere i meriti dell'una o dell'altra parte, per intenderci, degli elettricisti e dei gasati? Nella vostra frequentazione quotidiana del liquame social, quali argomenti - possibilmente riassumibili in grafici - vedete utilizzare? Io ormai non vedo neanche più, il mio filtro fa passare solo la banda dei segnali deboli, ma suppongo che ci siano grafici che dimostrano che stiamo bollendo, grafici che dimostrano che non sta succedendo nulla, grafici che pesano l'anidride carbonica, grafici che pesano i ghiacci negli oceani, ecc. Probabilmente Critica climatica è una buona fonte di immondizia - peccato che a sua volta non ne citi la fonte, rendendosi ahimè poco utile - e un motivo ci sarà! Se ne aveste e poteste suggerirli mi facilitereste di molto il lavoro e ve ne saremmo grati in due...)


Post scriptum del 31/3/2024, ore 11: cari amici, vedo che non riesco a farmi capire. A me non interessa aprire un dibattito sulle cause del riscaldamento globale! Mi interessa aprire un dibattito sulle soluzioni proposte. Voi direte: ma se non appuri la causa, come puoi trovare una soluzione? Giusto! Ma le dinamiche del dibattituccio che si è aperto su questo tema ci mostrano chiaramente che qui siamo a livello identitario e religioso. La sinistra ha fatto di questo tema la nuova lotta di classe (peccato che sia al contrario) e per convincere i suoi adepti della loro superiorità morale ha abusato, nelle forme che le sono consuete, del principio di autoritarietà. Non ha senso contestare i dogmi, a mio avviso, tanto più quando sono sostenuti da una pioggia di miliardi (nostri) spesi in propaganda. L'operazione che mi interessa è diversa: non riflettere sui cicli di Milankovic (ringrazio comunque Fabio per i suoi contributi sempre utili), ma ragionare su quanta energia servirebbe se tutto fosse elettrificato, quanto rame occorrerebbe per metter su tutte le colonnine di ricarica, come risolvere il problema dell'intermittenza, come si incrocia lo sviluppo dell'offerta rinnovabile con quello della domanda "diggital end grin", ecc. Io credo a tutto, quindi credo anche alla cioddue, all'austerità che fa crescere, ecc. Però se guardo i dati nel secondo caso, vorrei guardarli, e farli discutere, anche nel primo. Claro?

Addendum al dizionario

(...il processo di enshittification di Twitter procede a passi spediti. Nonostante qualcuno pensi, e dato le alternative si possa anche credibilmente sostenere che, Elon sia uuuuuuuuuno di nooooooooooi!, la realtà della mia user experience, e a quanto vedo oggi anche della vostra, è che la situazione si stia degradando in un letame dal quale non può nascere che un fiore, quello maleodorante del vaffanculo. Fra Imbecilli Autentici e Intelligenze Artificiali, è inevitabile che tenda asintoticamente a zero l'interesse per un luogo in cui il rapporto troll/interlocutori tende esponenzialmente all'infinito, tanto che sto pensando di tirarmene fuori, almeno per un po', considerando che il tempo che nevroticamente finisco per dedicare a quel buco nero e maleodorante è, in fondo, tutto tempo che sottraggo a voi e quindi a un confronto più civile e argomentato. E anche se voi, lì, date spesso il meglio, con interventi incisivi e satirici che mi strappano di quando in quando un sorriso, alleviando la fatica del vivere quotidiano, anche se dal liquame putrido ogni tanto aggalla una notizia, la trasformazione in piattaforma di "microblogging" - si dice così? - con tweet o thread lunghissimi in cui invece di cercare la sintesi ci si abbandona alla lurida tentazione di spiegare agli altri come va "er monno", cercando l'applauso di chi la pensa come noi, o pensa di pensarla come noi, o pensa di pensare, mi sta irreversibilmente disamorando, ricopre di una cappa di plumbeo disinteresse un mezzo che una volta, almeno, aveva il richiamo di costringere a una ricerca espressiva, ed era, non fosse che per questo, destinato agli happy few. Pochi possono esprimersi con poche parole, con molte parole possono ambire a farlo in molti... Le guerre esplicite, poi, e prima ancora la pandemia, hanno trasformato la piattaforma in un lugubre corteo di pretenziosi saccenti con la verità in tasca, tutti smaniosi di propinarvela e di imporvela ricorrendo alla ributtante pornografia de "i bambeeneeh", che, non si sa bene perché - cioè si sa benissimo! - sono sempre i propri, e mai gli altrui. Ogni volta che un cialtrone in utroque posta su Twitter una foto di "bambeeneeh" un romanzo di Dostoevskij va in autocombustione: il nostro secolo è quello del male della banalità, della banalità che è incapace di riflettere sul male. D'altra parte, nessuna riflessione sul male ha mai arginato il male, anche se da queste riflessioni emerge nitida una allarmante regolarità: il male è causato da chiunque voglia imporre il bene... E così, mentre si annulla lo spazio logico per un confronto razionale e argomentato, dall'altro si annega nello spazio tipografico l'icastica concisione che il luogo prima imponeva, rendendolo, se non meno tossico, più fruibile. Non che fosse, questo, un esito inatteso! Da un lato è piuttosto ovvio che fra noi e uno degli uomini più ricchi del pianeta non possano esserci tantissimi punti di contatto, a parte quelli dati dalla comune appartenenza all'umanità e dal fatto che l'uomo è spiritoso e spesso strappa un sorriso. Io gli sarò per sempre grato di averci sciacquato da torno "er Barbetta", ma in termini di dinamiche oggettive, ripeto, differenze significative non ne vedo. D'altra parte, un po' come sarebbe complicato argomentare che un coltello possa essere usato per suturare, vedo arduo immaginare che una infrastruttura messa su non per liberarci, ma per controllarci e condizionarci - perché i social questo sono - possa, salvo casi felici, costituire un grande momento di presa di coscienza democratica e di empowerment - che non ho mai capito come si traduca - dei proletari digitali di tutto il mondo! L'appello alla libertà di pensiero fatto da chi ha i mezzi per imporre senza troppe difficoltà il proprio pensiero suona vagamente ipocrita, nei fatti non pare sia molto più che un elemento di marketing utile ad attrarre un pubblico in crescita - e l'intelligenza dell'uomo sta nell'averlo capito: il pubblico di quelli che non vogliono che altri dicano loro come pensare. Ci sono però forti probabilità che la musica non cambi, cambi solo il suonatore. Fra le conseguenze ancillari - ma non tanto - di questa enshittification ce n'è una da cui vi avevo messo in guardia per tempo: un luogo costruito per reprimere il dissenso non può che essere disseminato di trappole per chi dissente! A parte l'ovvio fatto che chi dissente, se lo fa in un regime a democrazia impoverita, dovrebbe avere tutto l'interesse a non farsi tracciare - e non mi fiderei troppo dell'anonimato, amici miei, perché ove le cose si mettessero male i vostri indirizzi IP, e una pletora di altri dati di localizzazione, potrebbero facilmente essere usati contro di voi - resta il dato, vecchio come il mondo, che qualsiasi corpo sociale - che sia una manifestazione, una riunione di partito, o un social - può essere infiltrato da agents provocateurs allo scopo di causare incidenti, e uno dei più evitabili, ma anche inevitabili, in quell'ambiente sommamente infiltrabile che è Twitter è la querela! Non è un caso se qui l'esigenza di non cadere vittime di rappresaglie da parte delle "luride carogne perbeniste della gauche caviar" è stata evidenziata ben undici anni fa, originando il nostro Dizionario, del quale vi propongo oggi tre rapide integrazioni...)


Invece di dire:
Prova a dire:
Non me ne frega un cazzo!
Lo leggerò con interesse.
L'AD e il presidente si stanno scannando.
L'AD e il presidente sono sinergici.
Non capisce un cazzo!
È un gran lavoratore.
(...proseguite voi...)


(...e sì, lo avrete capito: con il progressivo ampliarsi delle mie frequentazioni si sono moltiplicate le occasioni per praticare il mio sport estremo preferito: l'eufemismo. D'altra parte, se la lezione di questo post è che viviamo in una gigantesca bolla di ipocrisia, nell'attesa che qualcuno, o meglio qualcosa, ci fornisca lo spillo per bucarla, l'unica via percorribile è, come sempre, quella di sfruttare la forza dell'avversario. E siccome parte integrante di questa forza è il metodo, facciamolo nostro e usiamolo a nostro vantaggio. Vedete altre possibilità? Immagino che Valeriuccio ne veda: lui, a cavallo di un triciclo e con lo scolapasta in testa, muove mestolo in resta guerra ar monno in nome della purezza e durezza - de coccia - d'antan. Ma oggi il problema è un altro, è quello adombrato nel post precedente. Faccio i miei migliori auguri a chi pensa di essere più bravo di me: la cosa mi rassicura, perché certamente beneficerò dei risultati del suo lavoro! Nell'attesa, scusatemi, ma preferisco prenderla a ridere per non piangere...)

(...il che non toglie che ogni tanto vi beccherete un post come il precedente...)

(...con l'occasione vi ricordo che fra due settimane saremo a Roma per il midterm. La prima legge della termodidattica mi solleva dal peso di spiegarvi perché la vostra presenza oggi, oltre a essere sempre gradita, è anche particolarmente utile. L'esperienza fatta il 28 luglio del 2021 è eloquente, per chi l'ha saputa capire. Ora mi muovo verso Ovest, e più tardi vi racconto di che cosa parleremo il 13 aprile. Datevi una mossa perché la sala è quella dell'altra volta, e oltre a voi adorabili sciroccati avremo anche "classe dirigente" fra il pubblico: non è detto che coinvolgerla sia determinante - nulla lo è - ma senz'altro non coinvolgerla non ci ha aiutato, finora...)



martedì 26 marzo 2024

"Il Signore ti dia altri cento anni!"

Fabrice, ayant l’air de marcher au hasard, s’avança dans la nef droite de l’église, jusqu’au lieu où ses cierges étaient allumés ; ses yeux se fixèrent sur la madone de Cimabué, puis il dit à Pépé en s’agenouillant : Il faut que je rende grâces un instant ; Pépé l’imita. Au sortir de l’église, Pépé remarqua que Fabrice donnait une pièce de vingt francs au premier pauvre qui lui demanda l’aumône ; ce mendiant jeta des cris de reconnaissance qui attirèrent sur les pas de l’être charitable les nuées de pauvres de tout genre qui ornent d’ordinaire la place de Saint-Pétrone. Tous voulaient avoir leur part du napoléon. Les femmes, désespérant de pénétrer dans la mêlée qui l’entourait, fondirent sur Fabrice, lui criant s’il n’était pas vrai qu’il avait voulu donner son napoléon pour être divisé parmi tous les pauvres du bon Dieu. Pépé, brandissant sa canne à pomme d’or, leur ordonna de laisser son excellence tranquille.


(...sempre più spesso "mon excellence" si imbatte in mendicanti, cioè in quelle persone che ci offrono l'opportunità di aiutare in concreto quell'umanità per la quale tutti siamo disposti a spenderci in astratto, quelle persone che pongono, a chi voglia porsele, due domande impegnative: "come ha fatto a ridursi così?" e "io, al suo posto, cosa farei?". Ogni volta, inevitabilmente penso al giovane Del Dongo, travolto sul sagrato di San Petronio dalle conseguenze non imprevedibili della sua trasognata e impulsiva generosità. La reazione istintiva di molti, spesso anche la mia, è quella di ignorare questa presenza più perturbante che importuna. Non è facile sostenere lo sguardo di chi, abdicando alla propria dignità, si affida alla solidarietà altrui. Non lo è, perché non è facile chiedere, non è facile confessare  in pubblico la propria fragilità, e di converso non è facile essere scossi nella propria certezza di essere al sicuro. Perché come è capitato a lui, così potrebbe capitare a te. Certo, anche in questo, come in altri casi, bisogna diffidare dei professionisti! Tuttavia, da un lato, non so a voi, ma a me capita sempre più di sorprendere a tendere la mano persone "come noi", persone visibilmente istruite ed educate, aggrappate disperatamente a quel minimo sindacale di decoro che le condizioni gli consentono, persone che si avvicinano sussurrando, che in tutta evidenza ancora non si rassegnano, non vogliono ammettere di essere costrette a tanto per tirare avanti. Persone, per semplificare, che vorrebbero lavorare, che un lavoro magari ce l'hanno avuto, o una pensione. Dall'altro, quand'anche fossero dei lazzaroni, resterebbe il fatto che sono uomini, e certo, se da un lato sussidiare il lazzarone è un incentivo - questo è l'argomento abituale di chi si sottrae - d'altra parte soprattutto se sei o pensi di essere cristiano ti sarà capitato di leggere "te autem faciente eleemosynam, nesciat sinistra tua quid faciat dextera tua, ut sit eleemosyna tua in abscondito, et Pater tuus, qui videt in abscondito, reddet tibi." Le opere di misericordia, insomma, per noi non dovrebbero essere un optional, e vi do una brutta notizia: nel pacchetto non è compresa solo la misericordia corporale dell'euretto abbandonato frettolosamente in mano altrui, ma dovrebbe essere anche compresa la misericordia spirituale della sopportazione e della consolazione, insomma: dell'ascolto, o, se volete, di quello che oggettivamente non possiamo dare, perché noi per primi, ahimè, non l'abbiamo: il tempo.

Del resto, potremmo anche dirci che uno Stato sociale esiste, e che dovrebbe pensarci lui. La teoria è qui, e qui. Sarebbe utile capire, caso per caso, se e quanto sovvenga ai singoli casi particolari, ma, appunto, ci vorrebbe del tempo, quel tempo che forse dovrei prendermi per questa, come per altre cose - incluso il dialogo con voi - ma che viene sacrificato in nome di esigenze più pressanti (a volerne, se ne trovano sempre).

Ieri "mon excellence" usciva da uno dei palazzi del potere vero, dove si era intrattenuto in questioni più o meno rilevanti con un detentore del potere vero, e a un angolo di via del Corso si è imbattuto in una signora anziana, non troppo trasandata. Ho tirato dritto, poi non so perché mi sono fermato, mi sono frugato le tasche, sono tornato indietro, e le ho affidato un pezzetto di carta non troppo stropicciato. Apparentemente quello che non cambiava la vita a me la cambiava a lei: si chiama utilità marginale! Sorpresa e confusa la signora si profondeva in ringraziamenti. E io, preoccupato da un possibile "effetto San Petronio", a dirle che non doveva, che era il minimo che potessi fare (ma evidentemente era molto oltre il massimo di quanto gli altri facevano), che le auguravo una buona giornata e che mi dispiaceva di non potermi trattenere.

E lei: "Sei una buona persona, il Signore ti dia altri cento anni!"

E io: "Grazie, ma me ne bastano molti di meno!"...)



(...ma è veramente così?...)



(...avrete constatato una certa mia fatica nel proseguire qui il nostro percorso. Non riesco più a star dietro a questa come a tante altre cose, comprese quelle che ho sacrificato a questa. Il tempo che posso dedicarvi si è compresso, la mia ora è una vita di incontri, incontri da organizzare, incontri cui partecipare, e di pratiche da istruire. La solitudine è diventata una risorsa scarsa, la lettura un paradiso perduto, inclusa quella dei vostri commenti, cui altresì non ho più tempo di rispondere, e così il dialogo fra di noi si sfilaccia...






















































[pausa]















































[qui in mezzo ci sono state tre telefonate e infiniti messaggi Whatsapp per una bega riguardante una cosa successa in una regione]





















....si sfilaccia lentamente, inesorabilmente. Sento che vi perdo e ci perdiamo mentre il momento richiederebbe che fossimo più saldi che mai, perché il nemico è in affanno, e questo lo rende particolarmente insidioso, e perché avete dimostrato, con la vostra presenza, di essere in grado di aiutarci a definire una linea più razionale (fra FinDay e voto sul MES c'è un chiaro rapporto di causa-effetto). D'altra parte, in queste pause forzate si accumulano così tanti temi, sono così tante le cose su cui vorrei confrontarmi con voi (pressoché ogni giorno si apre con una conferma degli scenari che abbiamo delineato lungo gli anni, a partire da quelli determinati dalle prevedibili difficoltà di Francia e Germania), che da un lato il motore della narrazione si ingolfa per eccesso di alimentazione, e dall'altro, però, i tempi ridotti per elaborare tutte queste conferme rischiano di confinare il blog a una stucchevole, notarile, autocompiaciuta enumerazione di cose che ci eravamo detti, perché mancano il tempo, il dialogo, il confronto necessari per capire insieme dove queste cose ci portano.

Ma siamo sicuri di non averlo capito, siamo sicuri di volerlo capire, e siamo sicuri di non essercelo già detto?

Alla fine, andremo dove era inevitabile che si sarebbe andati. Quando nel 2011 vi dissi che la Germania avrebbe segato il ramo su cui era seduta mi era piuttosto chiaro, e, ne sono certo, era chiaro anche a voi, che noi eravamo seduti su un ramo più basso. Siamo in quel ricorrente momento della storia in cui il capitalismo deve rianimare il ciclo dell'accumulazione. Qui ormai non può esserci ripresa senza ricostruzione, e per esserci ricostruzione, come vi dicevo in una delle ultime dirette Facebook, di quei lacerti di tempo che riesco a dedicarvi, deve esserci distruzione. As simple as that. Anche il "green" a modo suo era una ricostruzione, la ricostruzione di un mondo (quello green) che non c'era mai stato. Apparentemente questo ci esentava dallo spiacevole compito di distruggerlo, ma in realtà "lu grin" era ugualmente distruttivo e disgregante per il nostro tessuto industriale e per la nostra vita quotidiana, era un'autostrada verso la definitiva e totale subalternità dei nostri Paesi, e quindi non sta funzionando (s'ha mort) perché i cittadini, giustamente, non lo vogliono. C'è un'altra cosa che nessuno vuole, in astratto, ma che poi in concreto si ripresenta, e si andrà su quella lì, sui grandi classici: se debito deve essere - e non può non essere, dati gli squilibri interni all'area, squilibri autoinflitti, ma non per questo meno reali - allora debito sia, ma almeno debito di guerra, debito fatto per una "buona" ragione: la produzione e l'acquisto di armi. Siamo sicuri di non essercelo mai detto? Io sono quasi sicuro di avervi scritto più volte che le tensioni generate dalle nostre assurde regole fatalmente avrebbero condotto a una simile valvola di sfogo. L'abbattimento dei freni inibitori, se da un lato ci libera della mielosa ipocrisia che per anni ci ha presentato i conflitti coloniali come "missioni di pace", dall'altro è un elemento di ovvia inquietudine.

Alla fine, la mia lassitudine, il mio disamoramento, vengono anche dal fatto che tutto vorrei tranne che scrivere il QED definitivo, anche perché di questi tempi non si sa se qualora esso si palesi ci sarebbe il tempo o il modo di scriverlo, né a beneficio di chi esso verrebbe scritto.

Ma insomma, forse sono troppo pessimista: sarà il tempo, saranno gli anni che passano, sarà la frustrazione di non potervi sempre restituire il molto che mi avete dato né prendere il molto che avete ancora da darmi, ma anche questa curiosità non possiamo scioglierla: dicono i giornali che io sono coinvolto nell'elaborazione del programma per le europee, che a mio avviso sarebbe molto semplice da scrivere: meno Europa!, e in quello che i giornali dicono ci deve essere qualcosa di vero, perché fra un po' ho una call...)

(...e quindi, pensandoci meglio, in effetti altri 100 anni farebbero comodo, soprattutto se fosse possibile riceverli in due o tre tranche da vivere contemporaneamente, perché da solo è veramente complicata! Ci vediamo presto che devo parlarvi del #midterm...)